La fine in Italia dello scialpinismo e dello sciescursionismo?
Divieto di scialpinismo nel Parco Nazionale d’Abruzzo. A quando gli altri?
di Pier Paolo Mori
(pubblicato sul suo profilo Fb l’8 settembre 2022)
Lettera raccomandata in invio ai vertici dei Parchi nazionali e regionali alpini ed appenninici, agli Enti Parco, al Ministero Mite, Ispra e alle Province e Regioni interessate dalla presenza di Parchi naturali.
Spettabile XXX,
nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise è stato vietato (Disciplinare agosto 2020) lo scialpinismo al di fuori di alcuni sentieri estivi indicati dall’Ente Parco. Non sono pochi sentieri, però escludono la gran parte degli itinerari classici di scialpinismo. Sono sentieri estivi, nelle foreste, a mezza costa, segnati una quarantina di anni fa per aiutare gli escursionisti a non perdersi. Non c’entrano niente con lo scialpinismo.
Il Ministero Mite non è intervenuto, nessuno degli Onorevoli delle Commissioni ambiente di Senato e Camera ha chiesto spiegazioni, il Club Alpino italiano, CAI, non si è minimamente opposto, implicitamente ha approvato.
I motivi che ha dato l’Ente Parco per i divieti sono abbastanza generici, non approfonditi, non puntuali, non frutto di studi pubblicati dall’Ente Parco su primarie riviste scientifiche internazionali soggette a peer review e dibattito:
– ci potrebbe essere una tana d’orso in letargo (sui pratoni?)
– gli scialpinisti vanno veloci e possono non essere percepiti per tempo dagli animali selvatici (non vengono visti sui pratoni ma poi non danno fastidio nelle folte foreste?)
– uno studio sul gallo forcello nelle Alpi occidentali ha dimostrato che prova stress dagli scialpinisti (e sono stati messi i divieti sulle montagne abruzzesi dove NON c’è il gallo forcello).
Su queste basi è stata pregiudicata la pratica dello scialpinismo e sciescursionismo in gran parte dell’Appennino centrale, l’area del Parco prende 500 kmq. Dall’oggi al domani sono state ANNIENTATE le passioni della vita di tanti amanti della natura, a cominciare dal sottoscritto.
Inevitabilmente a breve dovranno adeguarsi gli altri Enti Parco dei territori con orsi, galli forcelli, animali selvatici come i caprioli o i cervi. In pratica TUTTI i parchi nazionali, regionali, provinciali, comunali italiani, sulle Alpi e sugli Appennini.
Il regolamento del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise è stato emanato da un Ente sicuramente prestigioso, con un consolidato centro di studi scientifici, poi il Ministero Mite ed Ispra hanno accettato, le Commissioni ambiente di Senato e Camera non hanno presentato dubbi o chiesto approfondimenti e spiegazioni, il CAI ha implicitamente approvato. Se gli altri Enti Parco non si adeguassero OMETTEREBBERO la tutela ambientale e della biodiversità.
A breve quindi, forse fin dalla prossima stagione, lo scialpinismo e lo sciescursionismo DOVRANNO essere limitati in tutta Italia ad alcuni sentieri segnati estivi.
È la fine dello scialpinismo e dello sciescursionismo in Italia. E anche dello sci fuori pista, a prescindere dal rischio slavine.
Richiedo pertanto che venga esaminata da parte dei vertici dei Parchi Alpini ed Appenninici e dalle Province e Regioni con presenza di parchi naturali o di vaste aree montuose o forestali nelle quali è possibile la pratica dello scialpinismo e dello sciescursionismo, l’ipotesi dell’estensione dei divieti imposti dall’Ente Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise.
Sono divieti che io personalmente ritengo assurdi però la mia opinione evidentemente non è condivisa dal Ministero Mite e Ispra, i massimi Enti nazionali di supervisione e controllo degli Enti Parco, non è condivisa dagli Onorevoli delle Commissioni Ambiente di Senato e Camera, che nulla hanno fatto per avere spiegazioni, non è condivisa dal Club alpino italiano (che in teoria dovrebbe tutelare scialpinisti e sciescursionisti) che non si è minimamente opposto.
Se TUTTE le principali Autorità, Enti, Associazioni di categoria in Italia condividono il divieto allo scialpinismo e allo sciescursionismo (e al fuori pista nei comprensori sciistici) per il possibile fastidio agli orsi, ai galli forcelli, ai cervi e ai caprioli, allora il divieto andrà applicato dovunque nel territorio nazionale ci sono questi animali. La tutela della biodiversità è entrata recentemente anche nella Costituzione. Secondo i nuovi regolamenti in pratica lo scialpinismo e lo sciescursionismo ormai andrebbero considerati alla stregua della caccia e quindi strettamente controllati, disciplinati.
Con l’invio della presente a Province, Regioni, Enti Parco, mi auguro di stimolare un riesame della regolamentazione emanata dall’Ente Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise.
E comunque in assenza di sollecite determinazioni al riguardo da parte degli Enti Parco, Province, Regioni interessate, avrò cura prossimamente di presentare esposti circostanziati alle Procure della Repubblica delle province dell’Arco alpino e degli Appennini perché valutino se si è in presenza di omissioni da parte degli Enti che dovrebbero o contestare il Regolamento abruzzese presso il Ministero Mite OPPURE imporre anche loro i divieti, e in ogni caso disciplinare scialpinismo e sciescursionismo che a quanto pare andrebbero visti come si considera attualmente la caccia.
La richiesta alle Procure sarà per prima cosa di vagliare se i vincoli e divieti dell’Ente Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise sono corretti o se rappresentano degli abusi. Qualora la conclusione fosse che sono corretti (conclusione alla quale sarebbero giunti Ministero Mite, Ispra, Commissioni Ambiente, CAI), dovrebbero essere estesi al territorio nazionale, dovunque ci sono circostanze simili (la presenza accertata o presunta di fauna selvatica) e il non estenderli rappresenterebbe un danno alla biodiversità, e sarebbe particolarmente grave se ad omettere l’estensione del divieto fossero Enti, come gli Enti Parco nazionali e regionali, che fanno della tutela della biodiversità la loro principale ragion d’essere.
Se poi le Procure arriveranno alla conclusione che i vincoli e divieti dell’Ente Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise non sono esagerati ed errati (come io ritengo) ma sono giusti, andranno applicati con coerenza, a cominciare proprio dal territorio abruzzese, laziale e molisano, quindi NON ci potranno essere esclusioni e tolleranze. Anche i controlli di Carabinieri forestali e Guardiaparco NON potranno essere effettuati in sci, non potranno esserci tolleranze per paesani ed amici degli amici, non sarà possibile vedere decine di scialpinisti che vanno a fare le escursioni nelle aree vietate (ad esempio Monte Godi e Monte Turchio o le Mainarde) perché saremmo in presenza di una gravissima inefficienza ed omissione da parte dei servizi di controllo e vigilanza.
Si richiede agli Enti Parco e alle Province e Regioni e al Ministero Mite ed Ispra equilibrio, spirito scientifico, rispetto per i grandi appassionati della natura, coerenza, una volta emanati i regolamenti vanno poi fatti rispettare senza distinzioni.
Distinti saluti, Pierpaolo Mori
Scialpinismo: il divieto abruzzese si estenderà all’intero territorio nazionale?
di Carlo Crovella
Nella mia consueta attività di lettura a 360 gradi, mi sono imbattuto in questo post rigirato su alcuni siti istituzionali e proveniente da un intervento personale di Pier Paolo Mori.
Parto dal suo scritto non per innescare una polemica nei suoi confronti, ma per sviluppare alcune riflessioni su quello che è il “grande tema” della Montagna dei nostri giorni: cioè l’accrocchio fra “danneggiamento antropico ai monti-come e se prevenirlo-eventuali divieti e/o misure di contingentamento”
Partiamo da un assioma: che le misure ufficiali di divieto, cui si riferisce Mori, siano davvero esistenti e che siano davvero come lui le descrive. Ci importa poco, in questa sede dove sviluppiamo riflessione generali, la fondatezza di tal fatto di cronaca. L’episodio, come detto, è un semplice spunto per alcune riflessioni a tavolino.
Innanzi tutto va sottolineato che esiste davvero il trend che io descrivo da tempo: senza magari rendercene conto, stiamo muovendoci già all’interno di un modello restrittivo che non può che stringere ulteriormente le ganasce.
E’ il modello giuridico generale che lo impone, anche contro la volontà dei soggetti coinvolti: una volta che viene presa una decisione, anche con competenza territoriale limitata (in questo caso entro in confini del Parco d’Abruzzo), per i meccanismi impliciti del sistema giuridico in cui viviamo, tale decisione è destinata ad estendersi addirittura a livello nazionale. Se infatti in un dato luogo, anche circoscritto, prevale un certo principio (nella fattispecie: no scialpinismo perché rischia di danneggiare la biodiversità) e tale principio si consolida (ovvero non ci sono azioni contrarie a tale principio da parte della autorità preposte a farle), il principio non può che stendersi a livello nazionale (altrimenti si creerebbero delle disparità di situazione e di trattamento).
Questo concetto, che sfugge ai più, va tenuto nella massima considerazione, poiché sarà il “cavallo di Troia” dell’estensione dei divieti e delle restrizioni di accesso antropico all’ambiente outdoor (di cui le montagne sono una parte).
Per cui attenzione che le decisioni del tale Parco, della tale autorità regionale, del tal comune, dello specifico ente territoriale, ancorché inizialmente limitate ad aree geografiche ben precise, se non immediatamente smontate da chi di competenza (TAR, Parlamento, Magistratura, non so chi altro…), molto rapidamente si estenderanno all’intero territorio nazionale, ovvero coinvolgeranno tutti i cittadini.
Il sistema è pronto: le ganasce sono già lì, le brugole sono inserite, basta che maturi la volontà politica di stringerle. Alla faccia di chi mi dà del visionario paranoico!
La seconda considerazione che mi sorge spontanea è la seguente: come da me annerito in grassetto, Mori afferma che con decisioni tipo quella del Parco d’Abruzzo “sono state annientate le passioni della vita di tanti amanti della Natura”. Quanti errori concettuali e quante contraddizioni!!!
Li descrivo perché non sono errori e contraddizioni in cui cade il singolo scialpinista Pier Paolo Mori, ma sono errori e contraddizioni che contraddistinguono, purtroppo, l’attuale massa di individui che frequentano le montagne, con o senza sci.
Innanzi tutto una passione sportiva NON è un diritto che va “garantito” come implicitamente richiesto da Mori, visto che inserisce questa frase in una raccomandata “di protesta” indirizzata alla Procura.
In secondo luogo, lo spaccia per “amore per la Natura”: ma se ami davvero la Natura, ti inchini al predominante rispetto verso la Natura stessa, accettando (magari obtorto collo, ma accettando) di rinunciare/calmierare la tua passione sportiva in nome di un superiore rispetto nei confronti della Natura.
Qui emerge una vistosa contraddizione, che (ripeto) contraddistingue l’enorme maggioranza degli attuali frequentatori della montagna: non si tratta di amore verso la Natura o nello specifico verso le montagna, bensì si tratta di un’esigenza onanistica di veder appagata il proprio individuale piacere di praticare sport in montagna.
La Natura non c’entra per niente e neppure c’entra la Montagna (quella con la M maiuscola, rappresentativa di tutte le montagne del mondo), ridotta quasi a palazzetto dello sport dove praticare la propria disciplina preferita.
C’entrano invece concetti quali “fare il grado” in arrampicata, registrare dislivelli crescenti e/o in tempi sempre minori, sciare su pendenze sempre più accentuate, scalare cascate sempre più strapiombanti ed effimere… Insomma esigenze di appagamento individuale (per questo, io le definisco onanistiche), ma che nulla hanno a che fare né con l’amore per la Natura né con quello per la Montagna.
Chi ama davvero la Natura e la Montagna può arrivare perfino a rinunciare o quanto meno autocalmierare le proprie uscite in ambiente, per dare un piccolo contributo ad attenuare il peso antropico su Natura e Montagna. Ho già scritto che se tutti noi (non solo noi lettori di questo Blog, ma TUTTI quelli che vanno in ambiente) dimezzassimo le nostre uscite annue, il peso antropico dei fruitori sarebbe la metà di quello che invece è. Non sarà la metà spaccata? Beh, sarà comunque inferiore allo status quo.
Infine una considerazione che riguarda il CAI e il suo coinvolgimento non solo nel caso di specie ma nel tema generale, quello ambientalista.
Nella raccomandata alla Procura, Mori scrive (anche qui ho sottolineato in neretto) che il CAI “in teoria dovrebbe tutelare scialpinisti e sciescursionisti”.
Perché solo gli scialpinisti? Beh, oggi gli scialpinisti (visto che il caso di specie verte su un divieto scialpinistico), ma, secondo questa interpretazione, domani il CAI dovrebbe tutelare i diritti degli arrampicatori o degli alpinisti o dei biker o dei runner o degli escursionisti nelle più svariate forme, ecc ecc ecc.
Insomma il CAI viene visto come una specie di sindacato, come un’associazione di consumatori che tutela l’interesse dei suoi iscritti.
Impostazione completamente sbagliata. Ancora una volta non ho nessun interesse a polemizzare direttamente con Mori, ma cito questo risvolto che riguarda il CAI perché ho notato che questa concezione è, purtroppo, assai diffusa e va eradicata del tutto.
Tra l’altro, prendendo a prestito interventi a corredo di altri articoli (anche recenti) sul neo presidente CAI, molti soci (o lettori non soci, non si sa) hanno invocato prese di posizioni ufficiali di tipo ambientalista da parte del CAI: qualcuno addirittura sostiene che il Presidente del CAI dovrebbe essere il capocordata di azioni politiche e/o giuridiche CONTRO certe iniziative, come ad esempio la famigerata pista di bob di Cortina.
A parte la contraddizione che salta agli occhi anche di un bambino (il CAI dovrebbe fare azione giuridica contro la pista di bob in nome della tutela della Natura e, contemporaneamente, agire contro la decisione del Parco d’Abruzzo, assunta in nome della tutela della Natura), occorre sottolineare che entrambe queste concezioni sono sbagliate.
Infatti il CAI non è né un’associazione ambientalista in senso stretto né un sindacato alpinisti/scialpinisti/arrampicatori/escursionisti, ecc.
Il CAI è un’associazione di alpinisti, oggi purtroppo intesi nell’accezione di “frequentatori della montagna” e non di alpinisti in senso stretto. Ma sorvoliamo su questo risvolto che ci distrae.
L’art. 1 del CAI prevede che il CAI “ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale”
Tralasciamo, ho detto, l’equivoco che purtroppo deriva da quella precisazione “alpinismo in ogni sua manifestazione” perché è lì che si annida la legittimità del coinvolgimento nell’associazione di runner, biker, ecc.
Andiamo oltre, il discoro odierno lo impone. Lo Statuto del CAI specifica lo studio delle montagne e la difesa del loro ambiente naturale.
Ora, questo non significa che il CAI sia tout court un’associazione ambientalista. Per tale motivo io affermo che non spetta la CAI assumere ruoli da protagonisti in vicende tipo azioni giudiziarie contro la pista di bob di Cortina (rispetto alla quale, sia chiaro, io sono contrarissimo, ma ci pensino le istituzione preposte, non il CAI).
Tuttavia ciò che è indiscutibile è che il CAI non ha obblighi statutari di tutela dei presunti diritti sportivi dei propri associati: quindi non è e non potrà MAI essere il sindacato degli alpinisti (intesi come frequentatori della montagna).
Ma c’è di più: nell’accenno dell’art 1 alla difesa dell’ambiente naturale delle montagne, il CAI non può andare contro decisioni assunte proprio con l’obiettivo di tutelare la Natura (e quindi l’ambienta naturale delle montagne).
In soldoni: fra Mori (che immagino sia socio CAI) e il Parco d’Abruzzo, il CAI non può che allinearsi (quanto meno tacitamente) col Parco. Quindi lo sbigottimento di Mori, che purtroppo è lo sbigottimento di molto assatanati del proprio piacere sportivo in montagna, è del tutto infondato. Bisogna spiegarglielo, pazientemente, e farglielo capire.
In conclusione, una domanda operativa: ma se il CAI non è né una associazione ambientalista in senso stretto né il sindacato degli alpinisti (intesi come sopra), allora in cosa più consistere la concretizzazione odierna dei quel pezzettino finale dell’art. 1 del suo Statuto?
Molto semplice: nella diffusione di una mentalista ambientalista, iniziando proprio dai Soci stessi del CAI. Il nostro obiettivo (“nostro” riferito a coloro che sono affezionati al CAI e magari sono impegnati nel sodalizio) deve essere quello di diffondere un modo di pensare per cui non ci saranno più i Mori della situazione. Cioè dobbiamo puntare a non avere più (in teoria anche al di fuori dei nostri soci, ma almeno fra i nostri 330.000 soci al livello nazionale) personaggi che scambiano il proprio piacere sportivo con l’amore per la Natura e che, in subordine, si aspettano che il CAI tuteli sindacalmente la concretizzazione dei piaceri sportivi individuali.
In pratica occorre realizzare una rivoluzione copernicana del pensiero.
Operativamente, come? Io penso che dovremmo sfruttare la capillare diffusione delle Scuole CAI (di ogni specializzazione: alpinismo/scialpinismo/arrampicata/escursionismo…).
L’attuale obiettivo delle Scuole CAI, prima che tecnico, deve diventare quello di diffusione della mentalità ambientalista, inserita in un corretto e maturo approccio alla montagna.
Nelle Scuole CAI resterà ovviamente un insegnamento tecnico “di base”, ma nell’era internet esso è molto meno importante rispetto al passato, come carattere dominante delle Scuole CAI. Intendo dire che internet è zeppo di tutorial che illustrano come ci si lega, come si attrezza una sosta, come si fa una ricerca ARTVA e addirittura… come si calzano gli attacchi Dynafit di scialpinismo… Ormai non c’è bisogno di una Scuola CAI per illustrare queste cose.
Quindi non è più quello tecnico il tassello chiave della didattica CAI, bensì la diffusione di una corretta mentalità nell’approccio alle montagne, mentalità di cui il risvolto ambientalista è un elemento chiave, anche se non l’unico.
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Sbaglierò ma questa é la fiera della supercazzola. Non occorre molto per dire che:
Di spazio in montagna ce n’è per tutti, uomini e bestie. Lo scialpinista, tra i primi, frequenta una superficie infinitesima fatta di valli e pendii per lo più privi di vegetazione. Gli animali, ammesso sia anche vero che vengono disturbati, possono trovare spazi enormi dove l’uomo non va;
Il delirio ambientalista è peggio della peste. Per colpa loro le montagne (non parlo delle località turistiche) sono destinate allo spopolamento;
Gli scialpinisti creano poco indotto, quindi non hanno lobbies che li proteggono da leggi e regolamenti assurdi.
Cla says:
2 Novembre 2022 alle 13:48
Marco 4, fai bene a catafottertene.Però ricordati del pensionato fermato sulla spiaggia del Mondello dall’elicottero deicarabbbbinieri nel aprile 2020.
Per me dovevano impalarlo sul posto. Quello stesso giorno io ero a una spiaggia sempre vietatissima… ma che siccome si cammina 1h30 e in quel momento di più… perchè ho dovuto lasciare la macchina prima per via delle restrizioni del covid, non passava nessun elicottero. Nel periodo del lockdown più stretto i miei cognati sono stati multati perchè giocavano a tennis… io ero in montagna ben lontano da casa dove però non mi vedeva nesuno. sulla spiaggia di mondello sei sotto il naso di tutti… quando si fanno le sporche si fanno bene.
Una precisazione. Prediligo da sempre la qualità alla quantità. Il fatto che il CAI “perda” soci in assoluto non solo non è un male, ma è addirittura un bene. Molto meglio un CAI da 100.000-150.000 soci totali che un CAI da oltre 300.000 soci, se la parte marginale di soci (quella che “perdiamo”) ha una mentalità come quella espressa da ATES & C. La loro ideologia è l’opposto di quella del CAI, anche allo stato attuale (cioè di CAI nazional-popolare da 300.000), figuriamoci con un CAI di qualità. La controprova è che nessun dirigente del CAI si presta alle loro proteste. Anzi in un commento passato è stato riportato che il Presidente del CAI Abruzzo considera le loro esigenze come dei “capricci”.
Corretto! Tali sono e l’ho scritto esplicitamente fin dal commento dell’articolo originario. Ora lo riscrivo e senza acrimonia: mentalità del genere sono estremamente NOCIVE non solo per l’immagine del CAI, ma addirittura per l’immagine della comunità degli alpinisti in generale. In uno contesto storico, come l’attuale, in cui l’opinione pubblica “sta con gli orsi” (parafrasando il titolo del film di Bud Spencer e Terence Hill “Io sto con gli ippopotami”), veder andare in giro affermazioni come le loro, con richieste smaccate di poter fare gite anche dove vietato da un Parco, è un pericolo per immagine della comunità alpinistica nel complesso: i lettori generalisti (NON frequentatori di montagna) rischiano di mescolarci tutti insieme. Per cui penso convintamente che dovremmo prendere le distanze da questi signori e stigmatizzarli aspramente. Oggi più che mai andar in montagna deve essere intriso di un profondo senso civico, ancor superiore a quello dei decenni scorsi.
L’accenno all’ondata sui no vax è riferita al fatto che ne arrivano sempre di nuovi: basta leggere le cose sconclusionate che uno di loro ha scritto sul complottismo delle élite ecc, Ma che centyra con gli atti del Parco Abruzzo??? Niente. Ho già espresso nei mesi scorsi (in pieno dibattito sul tema specifico green pass ecc) che quel tema (SGP) era ed è solo un pretesto per “protestare”: si scaricano su quel tema frustrazioni e infelicità generali contro il modello sociale. C’è un parallelismo fra il passato dibattito sul green pass e la ribellione verso gli atti del Parco Abruzzo. Anziché affrontare quest’ultimo tema come farebbe un cittadino £serio e coscienzioso” (che va dall’avvocato e, se ci sono gli estremi, deposita un ricorso al TAR, senza rompere né al CAI né agli altri cittadini, soci o non soci), questi signori strumentalizzano l’evento per costruirci sopra una “protesta” da cavalcare. A loro interessa “protestare” per protestare. E’ contro questo atteggiamento, estremamente deleterio per la comunità alpinistica, che dobbiamo prendere le distanze, altrimenti ne subiremo i danni di immagine.
Quoto pienamente il commento #70 di Ines Millesimi. Il limite di tolleranza in questa serie di commenti è stato più volte superato, facendo scadere la discussione ai soliti livelli beceri. Avviso che da questo momento ogni commento che trasudi acrimonia più o meno violenta verrà cassato.
Mi spiace che il livello del confronto sia sceso così in basso e ormai sia diventato acrimonia e pura reattività. Si è completamente perso il senso del problema (complesso) e si è arrivati a un punto di esacerbazione della conflittualità. Ne consegue, nostro malgrado, che i tempi non sono culturalmente maturi per affrontare questo tema, mi pare. E mi spiace che ognuno dia il peggio di sé. Cosa deve pensare una persona che legge il blog di Gogna, in genere caratterizzato da questioni impegnative molto ben argomentate? Questo clima non mi piace, forse è specchio dei tempi…
Crovella, vada a dormire, che di cretinate sull’ultimo intervento ne ha dette tante e troppe…
Per educazione verso il titolare del sito la chiudo qui.
Buona serata a tutti.
Crovella, quelli che:
1) pensavano e pensano che l’emergenza Covid sia stata gestita alla cazzo e non nell’interesse della salute pubblica, non arrivano a ondate. Come si dice di dio a catechismo: sempre ci sono stati e sempre ci saranno.
2) erano e sono ostinatamente contrari al grinpas.
3) non si sono vaccinati.
Idem come al punto 1).
Sul fatto che mia madre mi abbia messo al mondo a vanvera, visto che concentro in me le caratteristiche ai punti 1), 2) e 3), ti invito a non dire cazzate come fai spesso. I miei genitori mi hanno concepito nella loro prima notte di matrimonio desiderando un maschio. Alla luce di ciò posso affermare che non hanno fatto le cose per nulla a vanvera come tu sostieni.
E poi ‘sto benedetto Cai… quello da te descritto sa si lager nazista. Ti credo che i soci sono in calo.
Vabbè dai, solo per dirti che come sempre la penso in maniera opposta alla tua anche per spirito di bastian contrario. A parte il discorso Covid che è cosa ben più seria del Cai. Anzi, sei la fonte di notizie che più stimola in me il sentirmi contro. Stammi bene, va. Te lo auguro nonostante tutte quelle dosi che ti sarai fatto…. i rave sono uno scherzo al confronto.
Ci mancava una nuova ondata di complottisti-no vax-no green pass ecc ecc ecc…. si vede che la loro madre lu sforna a vanvera…
Sono stupito che i presidenti delle vostre Sezioni CAI (ammesso che siate davvero soci) non vi abbiano ancora ripreso/sanzionato/espulso. Dalle nostre parti se un socio si permettesse di cianciare in pubblico stupidaggini del genere, tra l’altro infastidendo sia il CAI come sodalizio sia i singoli soci del CAI, il rispettivo presidente di sezione si vergognerebbe di avere al suoi interno”fenomeni” del genere e agirebbe in uno dei due modi: o li ridurrebbe al silenzio o libererebbe il CAI della loro presenza.
Il punto è
a) che da limitazione (che a giudicare da quello che leggo è eccessiva gia’ ora) non si vada a proprio divieto. Se allo Stato e agli enti preposti dai il dito, quelli ti prendono il braccio, specie in questa epoca storica. Il cedere oggi significa privarsi totalmente della montagna domani, perchè a meno che tu non sia una persona poco avveduta, è cambiato il trend (e qui ha ragione Crovella), prima c’erano i diritti, ora ti mettono sempre di piu’ divieti (anche dove non servono perchè vi è gia’ il mercato e i prezzi che regolano, vedasi consumi di energia). Mio padre era contrario alla montagna, diceva che era roba da siori. E ritornera’ da e per gli SIORI, io non so qui se vi è l’amministratore delegato della Brembo, della Ferrari che legge…loro stan tranquilli andranno ovunque, ma gli altri sappiano bene che il loro lassismo nel gestire questa situazione si ritorcera’ contro in futuro (queste sono cose concetti gia’ detti 100 e piu’ anni fa da Pareto). Perchè poi andremo a misurare il grado dello stress delle formiche e delle piante che calpestate e….beh quanta Co2 emmettete…lo sapete che sotto sforzo ne emettete di piu’ e mandate in malora la Terra? Dovete stare a casa, fermi, e soprattutto ZITTI E EMETTERE MENO CO2 POSSIBILE!!. Ricordate il Covid? bene .. .facciamo i sacrifici che poi salviamo il Natale e puntualmente a Natale tutti dentro… e accadra’ la stessa cosa per la montagna. Le elite vogliono che tu STIA A CASA (se andate a vedere vi sono video del WEF che inneggiano alle cita’ deserte del lockdown, figurati se ti lasceranno andare in giro in montagna…vogliono gia’ le citta’ deserte) e consumi solo le cose prodotte dalle multinazionali etc. Trovate tutto su internet, direttamente dai loro meeting.
b) sarebbe bello che gli organi dirigenziali del CAI avessero il coraggio di fare periodicamente dei referendum (non truccati, seri, valutati da un ente imparziale o con meccanismi software non alterabili) su quello che pensano i soci E CHE SIANO VINCOLANTI ALL’AZIONE (ma il potere lo si tiene ben stretto solitamente).
Uno andrebbe bene del tipo “abbiamo disponibili per l’uomo il 100% del territorio montano, a causa della tutela ambientale, causa sovraffollamento etc. vorremmo ridurre mediamente gli accessi di x%, e limitare il territorio al y%, oppure date vuoi dei valori a tali parametri… voglio proprio vedere che numeri salterebbero fuori…qualcosa era gia’ stato fatto… dove sono gli esiti? verteva piu’ sul covid.
Saluti.
Ragazzi, il buon Crovella (@ 64) ha detto che avete “capricci onanistici”.
Ma, alla vostra età, non vi vergognate? 😂😂😂
Il tema se sia giusto o meno da parte del Parco impedirvi di fare montagna è determinato dalle condizioni oggettive che si sononettamentee deteriorate (sotto ogni profilo: ecologico, economico, sociologico…ecc) negli ultimi decenni. Da circa 15 anni io porto avanti una azione politica che è l’opposto della vostra. Il mio slogan è “Più montagna per pochi”. I lettori abituali ne conoscono i dettagli per cui se i “fenomeni” di ultimo arrivo desiderano conoscerla meglio, si facciano parte attiva e vadano a leggere i miei articoli pubblicati anche in questo blog.
Qui il tema è diverso. A prescindere dalla fondatezza o meno del vs “diritto” (?!?) di fare gite a fronte di divieti, contesto aspramente che veniate a frignare presso il CAI. Il CAI NON è il sindacato degli alpinisti/scialpinisti/arrampicatori/escursionisti, ecc. Le finalità statutarie del CAI sono ben chiare (art 1) e non comprendono tale compito. Difatti avete gia’ “rotto” i cabasisi a posizioni dirigenziali del CAI (Presidenza Abruzzo) e vi è stato GIUSTAMENTE risposto che il CAI non corre dietro ai “capricci” (meno che mai se alcuni individui non sono neppure soci, ma cmq anche nei confronti dei soci). Confermo la fondatezza istituzionale di tale posizione (Pres. Abruzzo). Volete la controprova? Contattate direttamente la Presidenza Generale agli indirizzi che vi ho segnalato (per agevolarvi l’azione, considerato che date l’impressione di essere piuttosto sconclusionati): se la Presidenza Generale vi risponderà, vi dirà esattamente le stesse cose. Infatti il CAI ha altre finalità. Per cuo evitate di romperci gli zebedei.
Circatgli atti (sia i divieto che le autorizzazioni agli alberghieri ecc) del Parco Abruzzo sui quali ce lo state facendo a fette, se in tali atti ci sono dei vizi, tocca a chi ha interesse agire secondo gli strumenti e le procedure previste dalla legge in questi casi. Lasciate stare tranquillo il CAI, che tanto al CAI NON gliene frega un bellino dei vostri capricci, e (se davvero credete nelle vostre idee) andate da un avvocato e fate i ricorsi del caso. Se non avete voglia di fare i ricorsi, significa che frignare solo come bambini dell’asilo. Il quadro è ben chiaro: state rompendo le palle al CAI per far sì che sia il CAI a fare quei passi giuridici che voi non siete neppure capaci a fare… Non ci interessa farvi da balia: arrangiatevi.
Quanto a me e alla mia esperienza e attività in montagna, non vengo certo a giustificarmi di fronte a dei Peter Pan immaturi come siete voi. Vi dico solo come mi comporterei io di fronte ad un ipotetico caso analogo al vostro, ad esempio di fronte a eventiali divieti imposti dal PNGP (Parco Naz Gran Paradiso). Noi sabaudi siamo educati fin dalla culla in questo modo: “prima il dovere e poi il piacere”. Questo in generale nella vita. Per cui una atto di legge (tale e’ in primis un atto emanato da un Ente pubblico) per prima cosa lo si rispetta inflessibilmente (“dura l’ex, sed lex”). Chi lo si trova infondato, si attiva a titolo petsonale sul piano giuridico per ottenerne l’abrogazione/riduzione. Ovvero i singoli individui, senza frignare (specie rompendo i cabasisi al CAI) depositano un adeguato ricorso in Tribunale. Tutto ciò a loro spese e senza “rompere” né presso il CAI come istituzione né presso singoli soci o pluralità di soci e neppure presso qualsiasi altro individuo che magari non è neppure socio, ma vuole starsene tranquillo senza subore il fastidio dei vostri piagnistei.
Nel mio intervento originario, cioè il commento inserito nell’articolo,è già contenuto tutto ciò. Riasdumo perche” non abbiate il minimo dubbio: persone come voi sono estremamente NOCIVE per l’immagine della comunità alpinistica presso l’opinione pubblica generale. Specie in un frangente storico come l’attuale, dove l’attenzione ambientalista è giustamente diffusa in modo capillare, voi rappresentate un “bubbone” che ci porta solo danni di immagine. Meglio perdervi che trovarvi.
Per tale motivo spero che i dirigenti del CAI, anche ai massimi livelli, non diano la minima attenzione ai vostri capricci onanistici. Piuttosto, non sarebbe male che il CAI vi sottoponesse ad un ciclo di formazione per far evolvere in voi la corretta mentalità ecologica. Magari, dopo tale formazione, potreste esser un po’ più “accettabili” di quanto siete adesso.
Faccio due osservazioni: Crovella le piace vincere facile, quindi Lei ha fatto una vita andando per i monti con gli sci, arrampicando, etc. e ora a 70 anni ci viene fatta la parternale di stare a casa, che siamo egoisti, che frignamo, etc.
Visto che per 50 anni si è divertito da oggi sta a casa, non va piu’ in montagna nemmeno 1 volta così da la possibilita’ di far andare un giovane al posto suo. Ci sta? Qualcuno conosce bene Crovella e puo’ monitorarlo in questo aulico intendimento? Dia il buon esempio Crovella che a ciarlare sui blog sono tutti buoni. Lei è solo un furbo.
In merito al supremo interesse della flora e fauna è giusto che ci sia. Giuridicamente è errato farlo passare come superiore a quello dell’essere umano di muoversi.. .perchè se all’animale viene misurato il livello di Glucocorticoidi per la nostra presenza non vedo perché non debba essere misurato il livello di stress anche a chi non puo’ andare in montagna, perché non puoi andare in montagna, non puoi uscire oltre i 200 metri da casa… non è che all’animale impediamo di andare fuori dalla sua tana… tutto questo giochino inizia a dare fastidio eh!.
Poi bello.. qualcuno riporta (sempre se è corretto) che mister X dice che “non esiste quindi un concetto di diritto all’alpinismo, e che esso è sempre legittimato qualora non in conflitto con diritti superiori quali la salvaguardia dell’ambiente”. Si decida… esiste o non esiste? Gia’ qui in questa affermazione si nota tutta la vaghezza e lo smarrimento giuridico. Sul Bidecalogo il Cai è stato chiaro che tutelava in qualsiasi caso il diritto dello scialpinista. Sapete almeno quello che fate? In piu’ ho gia’ sentito l’uso de “ I DIRITTI SUPERIORI DELLA SALVAGUARDIA DELLA…. “… quella volta era della salute, salvo poi che varie riviste scientifiche mediche hanno chiaramente affermato che i lockdown sono stati sbagliati come strategia e che i costi sono stati superiori ai benefici, per non parlare dei dcpm considerati incostituzionali da una moltitudine di giudici…
So gia’ come andra’.. tutti a casa poi dopo averci tenuto x anni via dalla montagna esordira’ la rivista del XXX prendendo la rivista scientifica xyz che non andare in montagna era errato. Inizio ad essere un po’ stufo di questa PRESUNTA SCIENZA e di questo DIRITTO APPROSSIMATIVO, MOLTO DA BAR.
Per altro stiano tutti sereni che se verrà eccessivamente limitata la mia libertà il ricorso sarà automatico e dovranno portare le pezze giustificative, ma anche io porterò le mie, come automatico sarà in caso di soccombenza il lasciare un paese disgraziato dove le persone sono trattate peggio degli animali. E con questo vi saluto.
Crovella: “Il CAI non si deve occupare delle fisime dei soci (o addirittura neppure soci) che frignano come bambini dell’asilo cui è stato tolto il giocattolino”.
Bisogna riconoscere che la capacità di argomentazione crovelliana, le sue dotte disquisizioni, i fini ragionamenti e, non ultimo, la simpatia che ispira nei suoi commenti ne fanno quasi un novello Marco Tullio Cicerone.
A lui ricorderò la celeberrima apostrofe: “Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?”.
N.B. Sostituire Catilina con Crovella e procedere nella lettura dell’orazione.
Rispondo a Carlo.
In nome della salvaguardia della fauna, sarebbe opportuno trattare Il mio giocattolino alla stregua del “suo” giocattolino. La scienza “dovrebbe” misurare il “mio” giocattolino, misurare il “suo” giocattolino e, usando STESSO peso e STESSE misure, dichiarare se ad essere pericoloso siano ENTRAMBI i gicattolini, oppure solo il mio o solo il suo o altro. Io non ho paura ad usare il rigore scientifico nel trattamento di tale problematica. Se per salvare 1 orso si dimostra si debbano tenere fuori 20 alpinisti l’anno sono pronto a farlo. Ma se dopo 2 anni di divieti agli alpinisti e scialpinisti, facciamo anche 3, dai mi rovino anche 5, NON corrisponde un aumento degli orsi, andrebbe chiaramente RIVISTO il disciplinare per mancato successo della manovra. Diverrebbe palese che l’uno non influenza in maniera SIGNIFICATIVA l’altro. Lei è pronto a PROPORRE questi sudi, questi dubbi, queste perplessità in nome della fauna? si darebbe delle scadenze? Ecco. Questi sono i miei dubbi. Per cui gradirei che il disciplinare in atto sia CORRELATO di motivazioni serie (e non soltanto del livello dei glicorcorticoidi che aumentano alla fauna anche in seguito al rumore CONTINUO dei motociclisti, degli echi di flotte di escursionisti, dell’arrivo del lupo, o di un gruppo di cinghiai o altro. La scienza impone regole e criteri scientifici. Il disciplinare impone nuove regole a quelle categorie minori molto conosciute (chi non conosce l’alpinismo e lo scialpinismo?) ma che di fatto riguarda forse una netta minoranza dei frequentatori della montagna. Per favore risponda in maniera meno superficiale e con astio mie perplessità. Pensi un attimo se nel raggio di 200kn da casa sua troverebbe il 60% di montagne VIETATE. Quale sarebbe il suo pensiero? Ecco, si metta nei panni di chi subisce regole molto stringenti senza una adeguata motivazione comprovata da fatti reali. Il parco NON motiva con pubblicazioni scientifiche da loro prodotto (a quanto sembra, poi ovviamente, io posso non essere a conoscenza di chissà quante pubblicazioni a riguardo…, e sembrerebbe generiche motivazioni di tipo cautelativo.
Concordo con il Presidente del CAI Abruzzo, secondo il quale, stando a quando riportato in uno dei commenti sottostanti, le proteste in questione costituiscono dei “capricci”.
Il CAI non si deve occupare delle fisime dei soci (o addirittura neppure soci) che frignano come bambini dell’asilo cui è stato tolto il giocattolino.
Anziché rompere gli zerbedei alla moltitudine degli altri soci (che NON condividono le vs idee), rivolgetevi direttamente agli organi competenti presso il CAI Centrale e chiedete conto della loro “inattività sul punto. Per facilitarvi il compito, riporto qui sotto i riferimenti:
SEGRETERIA DI PRESIDENZApresidente.generale@cai.itGiovanna Massinitel. 02.205723.221gmassini@cai.it
UFFICIO LEGALEufficiolegale@cai.it
Un dibattito molto interessante. E molti commenti, tra i quali gli ultimi, pongono tutti questioni che non possono essere liquidate con leggerezza.
Tuttavia lancio una provocazione più generale, che non riguarda solo chi pratica scialpinismo.
Se da un lato i parchi hanno una funzione tecnica precisa, di conservazione e salvaguardia, dall’altro dovrebbero avere anche l’importante funzione culturale di avvicinare e stimolare il pubblico ad una sensibilità, ad un sentimento di appartenenza. Ma è anche vero che questi sentimenti, che hanno anche la funzione fondamentale di farci percepire il senso e l’impatto delle nostre azioni in ambito antropico, li si può stimolare efficacemente facendo toccare con mano, andando in quei luoghi.
Chiuderli tout court crea dei santuari, certo, ma ne fa dimenticare bellezza, significato. Allontana un pensiero comune e condiviso.
La mediazione tra i rischi di un eccesso in entrambe le direzioni, mi rendo conto sia in nodo difficile. I costi culturali in gioco più ampi, altissimi.
La mia risposta in un dibattito in cui l’interlocutore diceva che è giusto limitare l’affollamento in montagna, con i divieti.
È proprio calzante anche per questo dibattito. E la inserisco.
Il problema non è SOLO l’affollamento. Secondo il Servizio scientifico dell’Ente Parco Pnalm, ed hanno ragione, anche pochi escursionisti di vetta o alpinisti o scialpinisti o sciescursionisti possono rappresentare un grave turbamento, ad esempio se vanno vicino ad una tana di orsi.
Il numero crea un altro tipo di problema, la bomba di puzza, cioè tante persone insieme incrementano odori e suoni.
Quindi se anche passa una volta al giorno una comitiva di venti escursionisti o scialpinisti urlanti già c’è un problema.
Poi un altro elemento da considerare sono gli orari. Le escursioni in gruppo crepuscolari e notturne, negli orari più importanti per gli animali selvatici, rappresentano un impatto multiplo sull’habitat rispetto allo stesso gruppo a mezzogiorno sullo stesso itinerario.
Quindi il criterio deve essere di individuare una serie di itinerari dove presumibilmente si arreca poco danno, e li’ consentire la percorrenza, limitando i gruppi numerosi (ad esempio divieto di più di 5-6 persone insieme), vietando le escursioni crepuscolari e notturne, gli ecosafari per incontrare gli animali nel momento in cui sono più vulnerabili.
Mi fa ridere (e al tempo stesso mi preoccupa) il discorso che ho letto più sopra in un commento in cui si diceva che se il Parco mette i divieti è meglio per i local che tanto conoscono le Guardie e poi al limite pagano volentieri una multa.
Questa trasgressione furbacchiona è estremamente dannosa per l’ecosistema perché se un itinerario è vietato anche poche persone, anche le Guardie o i Forestali, non ci devono andare.
Adesso però l’Ente Pnalm ha vietato tutto, le persone sanno che è un abuso e si sentono legittimati a trasgredire e le stesse Guardie sanno che sono divieti assurdi e non fanno le multe.
Questo però è molto dannoso per la tutela della biodiversità.
Ci devono essere i divieti che è indispensabile che ci siano, e gli itinerari vietati possono anche cambiare di anno in anno, il resto deve essere libero. Se tutti sappiamo che un divieto è giustificato, poi nessuna persona rispettosa della natura ci va, e se uno trasgredisce poi deve essere punito, senza se e senza ma.
Però questo lavoro di individuazione di itinerari consentiti e vietati, così importante, per il quale ci siamo offerti come ATES di collaborare gratuitamente, l’Ente Parco NON lo fa.
Nel frattempo ci sono i divieti a raffica, nessuno li rispetta, ci sono tante incoerenze e iniquità nelle autorizzazioni.
C’è un generale calo di fiducia verso l’Autorita’.
Così NON va bene.
Chi sono i veri ambientalisti?
Noi ATES oppure chi vuole vietare totalmente le montagne e le foreste (e poi però ci fa i ristorantini alberghetti nelle zone più selvagge ed i concerti notturni con i trombettieri) oppure chi dice che è meglio se mettono i divieti così c’è meno gente tanto lui (che dice di essere un grande amante della natura) va dove gli pare, perché poi ha i soldi per pagare le eventuali multe???
La causa, in definitiva andrebbe cercata altrove, e noi la vorremmo trovare, e chiaramente non siamo noi.
SHAPE \* MERGEFORMAT
Sempre in tale opuscolo, si sottolinea che la presenza umana sia la fonte principale di disturbo, tanto da menzionare il calo del numero dei camosci presenti nella famosissima e frequentatissima Val di Rose, tanto da essere necessario il n° chiuso. Tutto molto “logico” e apparentemente chiaro. Ma andiamo anche ora a fare una correlazione sulla valle LIMITROFA, ovvero appena oltre il crinale dove la RISERVA INTEGRALE pone il divieto ASSOLUTO, per cui NON vi sono disturbi umani, eppure anche qui il calo dei camosci evidenziato dal grafico è evidente.
(PS: IO non ho i dati della Val di Rose, sono dati che è ho “inventato” leggendo quello che loro scrivono nell’opuscolo, anche i dati dei camosci della Camosciara sono inventati ma il calo dei camosci è confermato da ricercatori di mia conoscenza (inf. privata).
SHAPE \* MERGEFORMAT
Questi dati dimostrano come il dubbio sussiste. Ovviamente noi NON auspichiamo il “tana-libera-tutti”, noi vogliamo solo instaurare un tavolo di discussione perchè Noi (e credo anche il CAI), consideriamo che alpinismo e scialpinismo siano le attività considerate le più ECO-SOSTENIBILE di tutte.
Per cui si chiede se il CAI volontà di organizzare un tavolo di discussione su questo argomento, e magari andare in direzione di un numero chiuso si alpinisti, e limitare lo scialpinismo solo in quelle valli o versanti dove è acclarata la presenza di orsi e dove l’itinerario passa a meno di (100, 200, 300 m? non so, sono loro i ricercatori) da tali tane, o comunque concertare una modifica dell’itinerario compatibile con la loro presenza. Oppure in direzione di segnare itinerari FIGURATIVI, ovvero non presenti sul territorio (senza bandierine bianco-rosse) ma che permetta un’areale di ski Alp o di accesso ad alcune pareti ghiacciate.
Noi siamo pronti.
Veniamo invece a quello che il parco ha permesso: ha dato la possibilità di tenere aperti alberghetti in aree molto remote con un via vai di persone anche in orari notturni e con possibili safari notturni, permette il passaggio di moto continuo senza nessuna regolamentazione sui decibel, permette continue pubblicità sul parco, e permette che la Regione Abruzzo punti sul Parco per aumentare il turismo in tali aree.
Rimango in attesa di riscontro positivo.
Cristiano Iurisci, iscritto al CAI dal 1996 e co-fondatore dell’associazione ATES
Mi fermo qui. E spero di essermi spiegato bene e di non essere frainteso
PS: il mio messaggio conteneva 3 grafici e 1 cartina, spero vi fidiate.
Dopo alcuni scambi convenevoli ho poi mandato lui una mei “ufficiale” nel quale chiedevo se era possibile mettere all’ordine del giorno la problematica sin qui descritta; ecco parte del testo:
il CAI Ragionale in seguito ad una mia interrogazione ha risposto che l’alpinismo e lo scialpinismo non sono un diritto, e che la salvaguardia della montagna va messa in un livello superiore.
Le faccio notare che seguendo la mappa ufficiale del PNALM, tracciando gli itinerari “classici” di scialpinismo pubblicati sulla guida di L. Mazzoleni nel 2007, lo scialpinismo di fatto viene vietato per oltre l’80% (può controllare in allegato quello che ho scritto).
Se poi inseriamo nella medesima mappa (dei sentieri ufficiali del PNALM), qualsiasi accesso alpinistico è vietato! in pratica il divieto di alpinismo la percentuale è TOTALE, ovvero del 100%.
Il PNALM ha recentemente pubblicato un libricino sul “disturbo” della Fauna da parte dell’uomo (anche questo lo può vedere in allegato). Descrive dei Disturbi che l’uomo fa alla fauna da ppiù punti di vista, ma principalmente misurando i livelli di Glucocorticoidi (una proteina collegata allo stato di “stress” da parte dell’animale). Si fa menzione delle varie attività umane outdoor. Tutte cose abbastanza realistiche e quindi condivisibili.
Ma c’è un ma. Ogni attività potenzialmente pericolose per la fauna è necessariamente legata al numero di persone che fanno tale attività. Insomma bisogna separare il problema “teorico” da quello “reale”. Manca insomma uno studio calato sul territorio dove si analizza l’impatto REALE di ogni attività in relazione al numero di frequentatori e il potenziale danno all’ambiente. Se, come viene scritto che la bici, soprattutto quella elettrica, ha un grosso impatto in quanto gli animali vengono “sorpresi” data la velocità con la quale il ciclista sopraggiunge, tale pericolo andrebbe moltiplicato per il numero dei partecipanti, in modo da avere un valore che è l’impatto REALE. Se si prevedono numerosi bikers, appare chiaro che sia opportuno ricorrere a divieti e limitazioni (come ad esempio il numero chiuso) semplicemente perché, se si supera la quota massima sopportabile dal territorio (concetto espresso c turismo ecosostenibile) ecco che la bici elettrica non è più considerabile “green” o “ecosostenibile” o altro..
Al di la di questa semplice osservazione, ad oggi non è stato ancora dimostrato che questo stress (certo e acclamato dai livelli di Glucocorticoidi) sia correlato ad un reale calo demografico o, peggio, abbia messo in pericolo di estinzione delle specie che vivono sul PNALM.
Ad oggi, infatti TUTTE le specie sono in aumento. Tutte TRANNE l’orso che è praticamente costante di 50-60 individui e quindi rimanendo sempre a rischio di estinzione da oltre 50 anni.
Ora (e qui sta il punto NODALE della questione), se è acclarato che l’orso è in numero costante da e visto che l’alpinismo è stato assente se non del tutto marginale fino al 2006 (parliamo di 20 alpinisti anno al massimo), e che anche ora a praticarlo siano stimante al massimo a 400 persone ad inverno (ovvero di 5 persone al giorno in tutta l’estensione del parco, tutte indirizzata a pareti ghiacciate e all’ombra quasi mai o affatto frequentate dalla fauna), l’impatto REALE del divieto di alpinismo sulla salvaguardia dell’Orso è prossimo allo zero. Se poi ci focalizziamo sullo scialpinismo, i numeri sono più alti ma comunque stimabili a non più di 1500-2500 persone ad inverno e questo solo a partire ultimi anni, altrimenti prima del 2010 erano forse 500 anno).
Se vogliamo fare un grafico dei livelli di Glucocorticoidi (di stress) causato da Alpinisti e scialpinisti sull’asse delle ordinate e su quello del tempo sull’asse delle ascisse pare logico non vi sia nessuna correlazione scientifica tra queste attività e la mancanza di crescita del numero degli orsi che sono sempre sull’orlo dell’estinzione.
Salve a tutti. Non sono intervenuto fino ad ora perché è sempre difficile far capire i propri concetti senza essere travisati, oltre al fatto che ogni scritto rappresenta un “nero su bianco” per cui diventi oggetto di critiche o elogi a secondi chi ti legge. Fatta questa premessa cerco di esporre il mio pensiero.
Parto da una cartina:
Tempo fa scrissi al presidente CAI Abruzzo una lettera nel quale evidenziavo che se al PNALM non si può praticare alpinismo in quanto contro la 394 che vieta uscire fuori sentiero, appare chiaro che noi abitanti dell’Appennino abbiamo seri problemi per praticare tutte quelle attività che sono al di fuori del sentiero UFFICIALE se tale rigoroso aspetto venisse applicato a tutte le aree “verdi”, aree quasi tutte ubicate in zone dove vi sono rocce, pareti, neve, falesie, ecc, ecc.
Il presidente CAI Abruzzo, a nome dell’OTTO mi risponde che la mia problematica non è che un “capriccio” in quanto seppur scritto che il CAI ha per iscopo l’Alpinismo, tale frase è relativa al periodo di fondazione del CAI, ovvero alla fine del 1800, oggi non ha più quel senso originale. Sottolineando che non esiste quindi il concetto di diritto l’alpinismo, e che esso è sempre legittimato qualora non in conflitto con diritti superiori quali quelle relative alla salvaguardia dell’ambiente (flora e fauna).
Scrivo poi un messaggio al non ancora presidente Montani che pare interessato alla discussione dell’argomento perchè sollecitato da quello uscente.
“….siamo tutti in apprensione se il CAI considera queste discipline ad alto valore morale come si legge ovunque, specie in relazione al basso impatto ambientale più volte scritto nella Rivista CAI oltre ad essere stato recentemente sottolineato dal presidente uscente al TG1, o alla stregua dei bracconieri come appare dalle recenti multe ricevute da me e miei amici o dalla risposta avuta dal Pres. CAI Abruzzo. .
Fra le decine di “cose” che giustificano l’esser soci CAI (per chi ci “crede”) ne cito ancora due. 1) occuparsi dei rifugi, sia a tavolino (commissione rifugi) sia operativamente, con ispezioni, manutenzione, lavori e, dove dove c’è gestione diretta, cucinare e servire ai tavoli; 2) agenzia mateimoniale: mi riferisco non a frequenazioni di passaggio, ma a unioni strutturali. Il 90% dei miei amici di montagna sta vivendo matrimoni trentennali, nati in sezione.
Tutte queste cose derivano dal fare gite, ma non sono fare gita in senso stretto. Due conseguenze: 1) se, come provocatoriamente ipotizzato da altri, dovessero vietare le gite, i veri soci, specie se attempati come me, non vedrebbero estinguersi i motivi per cui sono soci del CAI, per cui sono convinto che il sodalizio sopravviverebbe nonostante l’ipotetico divieto di fare gite in montagna; 2) chi non ama tutte queste cose e, viceversa, è solo animato dal fare gite e basta, NON DEVE ISCRIVERSI AL CAI. Infatti il CAI NON è la sua casa e lui non è un socio utile e proficuo alla serenità della comunita’ sociale del CAI.
Inoltte non deve far paura l’ipotesi di perdere soci, rispetto al numero eccessivo attuale. Un numero così gonfiato come l’attuale significa che comprende moltissimi “falsi” soci, cioè individui che formalmente sono soci perché pagano la quota, ma non sono dei “veri” soci nel contenuto perché non “pensano” nel modo più utile per il CAI. Piuttosto che 330.000 soci nazionali, io preferirei che fossimo solo 150.000 al massimo, ma tutti con la mentalità per cui sono felici di esser soci.
Chi freme perché vuole macinare dislivelli o scalare gradi elevati spesso non è un socio utile alla causa del CAI. Costui faccia dunque la sua strada, indipendente dal CAI, ed eviti di avanzare richieste e proteste verso il CAI (fai questo, fai quello…). Il CAI non ha interesse a dare fastidio a questi individui “esterni”, ma il CAI e i singoli soci hanno invece il diritto di esser lasciati in pace dai soggetti “terzi”.
VERO!
ma è anche vero che il CAI per esistere a fare le sue attività ha bisogno dei soci.
E non credo che tutti i soci abbiamo un pensiero unico.
@48 proprio non riesci a capire che il CAI fa quello che “sente” dal suo interno (cioe’ dalla comunità dei soci) e invece NON fa quello che gli chiede un individuo dall’esterno???
Fai la tua strada è non rompere le palle ne’ al CAI come istituzione né ai singoli soci. Nel CAI sappiamo bene cosa ci piace e cosa non ci piace: quando una cosa ci piace, agiamo prontamente di nostra iniziativa, anche senza pressioni esterne; quando una cosa non ci piace, evitiamo di agire nonostante le pressioni esterne.
Altri commenti: il silenzio è una risposta. Se la Presidenza ritiene di non pronunciarsi , evidentemente ha i suoi motivi. Che poi sono riassumibili in uno solo: la base sociale non è interessata alle criticità segnalate.
@51. La differenza fra il CAI e le associazioni alternative è proprio li’. Se vietano in assoluto l’andar in montagna, le associazioni come ATES si sgonfiano completamente perché oggi esistono esclusivamente sul “fare montagna”. Il CAI si impernia invece sulla componente complementare del fare, cioè “studiare montagna”. Per fare montagna non ho bisogno di esser socio CAI: prendo lo zaino e vado… posso farlo da “non socio” e non cambia nulla. Non è necessario ne’ opportuno esser socio CAI per fare montagna in prima persona. Invece è fondamentale esser soci per tutto il resto che offre il CAI: frequentare la sede, gli eventi, scrivere sui o leggere i vari “magazin” sociali, fare l’istruttore, far crescere i giovani, organizzare scuole, incontri, lezioni teoriche, conferenze, proiezioni, andare nelle biblioteche (nazionale o sezionali), incontrare altri alpinisti, condividere esperienze, testimonianze, esperimenti….e mi fermo qua. Il “valore” dell’esser socio CAI è in questo immenso risvolto, non nel fare gite. Quelle le puoi fare come libero battitore.
Solo chi capisce il valore del CAI, che NON è fare gite ma l’altro risvolto, trova piacevole esser socio. Chi non ama l’altro risvolto, non si associ: ha tutto il diritto di fare la sua strada, ma non rompa le palle al CAI, inteso sia come istituzione che come singoli soci o pluralità di soci.
Scrivo al commento 45:
Mi risponde così Crovella al commento 47:
Devo riconoscere che ha ragione.
Non ho la pretesa né l’ardire di parlare a nome di tutti i 330.000 soci, ma immagino che fra essi si trovino (legittimamente) anche quelli che si accontenterebbero di “guardare e non toccare”, e di studiare senza “fare”.
ma…non è che si vuole allontanare la gente dagli ambienti naturali per non avere occhi indiscreti che potrebbero intralciare “cose, iniziative, atti, fatti e misfatti” che non sono proprio il massimo dell’ambientalismo…???
Il CAI come tutti i cittadini, enti, aziende, associazioni, può dire la sua. E dire da che parte sta.
Frequentare fa conoscere, amare e poi rispettare. Conoscenze puramente virtuali o astratte conducono al degrado. Il Cai ha un ruolo educativo e formativo nell’azione pratica. Se ne ricordi. Caporetto è stata la conseguenza di generali aristocratici che neppure conoscevano i soldati e le truppe. Speriamo che tanto zelo nel porre divieti e allontanare dalla montagna innevata non provochi la Caporetto della stessa pulsione ambientalista
Commento con questo post uscito oggi sulla pagina ATES, associazione tutela escursionisti e scialpinisti, che sta suscitando un vivace dibattito.
Può’ essere molto utile anche per questa discussione, per questo lo presento come commento.
Le contraddizioni del Club alpino italiano
Nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (Pnalm) è stato vietato (Disciplinare agosto 2020) lo scialpinismo al di fuori di alcuni sentieri estivi indicati dall’Ente Parco. Non sono pochi sentieri, però escludono la gran parte degli itinerari classici di scialpinismo. Sono sentieri estivi, nelle foreste, a mezza costa, segnati una quarantina di anni fa per aiutare gli escursionisti a non perdersi. Non c’entrano niente con lo scialpinismo.
I motivi che ha dato l’Ente Parco per i divieti sono abbastanza generici, non approfonditi, non puntuali, non frutto di studi pubblicati dall’Ente Parco su primarie riviste scientifiche internazionali soggette a peer review e dibattito:
– ci potrebbe essere una tana d’orso in letargo (sui pratoni?)
– gli scialpinisti vanno veloci e possono non essere percepiti per tempo dagli animali selvatici (non vengono visti sui pratoni ma poi non danno fastidio nelle folte foreste?)
– uno studio sul gallo forcello nelle Alpi occidentali ha dimostrato che prova stress dagli scialpinisti (e sono stati messi i divieti sulle montagne abruzzesi dove NON c’è il gallo forcello).
Su queste basi è stata pregiudicata la pratica dello scialpinismo e sciescursionismo in gran parte dell’Appennino centrale, l’area del Parco prende 500 kmq. Dall’oggi al domani sono state ANNIENTATE le passioni della vita di tanti amanti della natura, a cominciare dal sottoscritto.
Inevitabilmente a breve dovranno adeguarsi gli altri Enti Parco dei territori con orsi, galli forcelli, animali selvatici come i caprioli o i cervi. In pratica TUTTI i parchi nazionali, regionali, provinciali, comunali italiani, sulle Alpi e sugli Appennini.
Il Cai, Club Alpino italiano, non è intervenuto criticando il nuovo regolamento, a difesa degli appassionati, che in teoria dovrebbe tutelare: escursionisti di vetta, alpinisti, sciescursionisti, scialpinisti.
Il Cai è troppo “ambientalista” per criticare un Ente Parco?
Ma dove è andato a finire poi tutto l’ambientalismo del CAI quando in un recente convegno proprio a Pescasseroli un dirigente importante del CAI si è pronunciato fortemente a favore dei nuovi ristorantini alberghetti nelle zone selvagge del Parco, e degli altri Parchi???
L’Ente Pnalm ha recentemente autorizzato dei nuovi ristorantini alberghetti nelle zone più selvagge del Parco, in comune di Bisegna e di Lecce nei Marsi, qualcuno ci guadagna bene, però dove prima era il territorio incontrastato degli animali selvatici, la quiete, il buio, il silenzio, ora c’è un ristorantino alberghetto, un via vai di umani a tutte le ore, anche crepuscolari e notturne, odori di cucina, luci, voci, suoni, odori vari, una grande quantità di escrementi umani. Si è andati come umani ad occupare l’ultimo ed ormai unico e disperato rifugio degli orsi: il buio e la notte.
E il convegno a Pescasseroli era proprio per aprirne altri, nuovi ristorantini alberghetti nelle zone selvagge, remote, preziose del Parco, i posti più integri d’Italia, poi ci sarà una rete di ristorantini alberghetti. Un vero e proprio assalto alla natura, ed in prima fila in questo assalto c’è il Cai.
Che contraddizioni! Il Cai è talmente ambientalista da non poter criticare un Ente Parco, quando vengono annientate le passioni della vita degli escursionisti di vetta, sciescursionisti, alpinisti, scialpinisti, senza forti, dibattute, puntuali giustificazioni scientifiche….
E poi lo stesso Cai è in prima fila nell’assalto alle ultime aree integre e naturali rimaste in Italia, il prezioso habitat degli animali selvatici.
@45 Sbagliato! Resterebbe comunque “lo studio delle montagne e la tutela del loro ambiente naturale”. Il nocciolo della questione è nel risvolto culturale e ideologico del CAI: far parte del CAI è qualcosa di più che fare montagna. Chi è animato unicamente dal desiderio di “fare” sport in montagna (stile ATES & C) SBAGLIA di grosso a “guardare” al CAI, che ha un’altra filosofia.
Di conseguenza chi sta fuori dal CAI (per i soprastanti motivi) deve fare il suo cammino in modo totalmente autonomo e indipendente dal CAI e non può continuamente protestare col CAI (dall’esterno) perché il CAI non mette in pista questa o quella azione legale o le collaterali iniziative (convegni, articoli, ecc). Gli approcci ideologici di chi sta fuori dal CAI NON sono gli approcci ideologici del CAI. Le iniziative come ATES continueranno a ricevere rifiuti impliciti e silenziosi da parte del CAI per un motivo semplicissimo: la loro ideologica è incompatibile con quella del CAI.
Al commento 45, leggere:
Certo è che un’associazione CHE “ha per iscopo…
Certo è che un’associazione “ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione” non avrebbe più alcun motivo di esistere qualora l’alpinismo (di cui lo scialpinismo è senza dubbio una delle manifestazioni) venisse vietato.
Chiedo per un amico… perché mai una raccomandata e non una PEC? ovvero il motivo di fondo non sarà perché una lettera raccomandata può essere spedita anche da uno pseudonimo/nome di fantasia 🤔 mentre una PEC individua con certezza il mittente? magari questo botta e risposta trova il motivo di cessare perché comunque non conduce da alcuna parte ovvero solo verso i vertici del PNALM che pare essere l’unico oggetto del contendere (leggi verbali emessi dalla Forestale per cani non al guinzaglio in riserva integrale)
@41 Non ricominciamo il giro di giostra…
E’ evidente che il CAI NON si è mosso sul piano giuridico (né si muoverà!) perché ha ritenuto opportuno NON muoversi, anche perché la stragrande maggioranza (ritengo la totalità) dei soci NON approva né condivide queste idee “strampalate” né capirebbe eventuali azioni giuridiche del CAI a loro sostegno. Come singolo socio, confermo la mia soddisfazione alla constatazione che il CAI NON si faccia minimamente invischiare in queste beghe.
Chi ritiene di essere portatore di diritti violati (?!?) può liberamente agire nelle opportune sedi, senza continuare a frignare sistematicaemnte col CAI pretendendo che si muova il CAI al suo posto.
Per quanto riguarda il “diritto costituzionale” di libero spostamento sul territorio, ho già detto (da tempo immemore, anche prima delle tematiche connesse alla pandemia) che siamo in una situazione di criticità ambientale tale per cui dovremmo capire noi stessi quanto sia necessario “autolimitarci”. Cioè non dovremmo neppure attendere che una qualche autorità, a torto o a ragione, ci “limiti” dall’alto, ma dovremmo sentire “dentro di noi” che, oggi come oggi, è necessario autolimitarci in nome della tutela ambientale. Quindi questo “diritto” costituzionale, se applicato alla fattispecie in questione, dovremmo “dimenticarcelo”. Se continuate a frignare su questo tema, significa che non siete dei sinceri amanti della montagna, ma siete solo interessati al vostro onanistico piacere di svolgere un’attività sportiva in montagna. La differenza è abissale.
Posizioni ideologiche come quelle di ATES sono quindi estremamente negative, sia in assoluto sia perché rischiano di danneggiare l’immagine della comunità alpinistica agli occhi dell’opinione pubblica generale. Gli alpinisti “seri”, quelli che amano sinceramente la montagna, pensano in modo diametralmente opposto alle idee di ATES. Se non prendiamo esplicitamente le distanze da realtà come ATES rischiamo di venirne invischiati. Meglio di no.
Da persona che nell’appennino centrale si è formata come alpinista, mi permetto una battuta amara, parafrasando un’esclamazione che il direttore di molti anni fa, del dipartimento di scienze marine di Ancona, disse pensando ai proprietari pescherecci di San Benedetto del Tronto, di fronte alla loro miopia.
“Chissce, co li barche, c’è fa lu foco fra decianne” (quelli, con i pescherecci, ci fanno un falò tra dieci anni).
Fu profetico. E con i cambiamenti climatici in corso, con l’apporto di ulteriore crisi che porteranno, sono abbastanza convinto che le amministrazioni del centro Italia, saranno costrette a prendere decisioni molto più morbide.
È questione di tempo.
Buongiorno, Ho letto che il Cai non puo’ fare ricorsi su queste tematiche (vedasi Bidecalogo pag 18 e pag 2…. pag. 18 sezione dedicata allo scialpinismo… “Il CAI è perciò fermamente convinto che tali attività non debbano essere mai limitate mediante preclusione all’accesso delle aree naturali nel periodo invernale, anche quando tali limitazioni sembrerebbero indirizzate alla salvaguardia dell’incolumità individuale. Auspica quindi che le diverse discipline sportive invernali in ambiente innevato possano sempre essere liberamente praticate appellandosi al senso di responsabilità ed autodisciplina dei propri Soci nel perseguire gli obiettivi primari della sicurezza e del minimo impatto sull’ambiente.” Di piu’… pagina 2 nelle premesse “attivare, dopo attenta valutazione dei singoli casi, eventuali azioni ed opposizioni in sede amministrativa o a mezzo di ricorsi giurisdizionali, qualora ravvisi e constati il mancato rispetto della legislazione vigente e/o gravi danni ambientali”). Se il CAI non si muove è per volonta’ politica (valuta la limitazione accettabile con un contemperamento degli interessi di tutela ambientale) non giuridica. D’altronde non si capisce perché il CAI si dia tanto da fare con i sentieri, i rifugi per gli utenti e non gli importi nulla di altri utenti (gli scialpinisti). Oppure consideriamo il Bidecalogo nullo.
Ho sentito termini quali “ma lo scialpinista non ha diritti garantiti” …a no? e la liberta’ di movimento della Costituzione cosa è? Semmai si puo’ dire che tale liberta’ va bilanciata con il diritto all’integrita’ degli ambienti naturali (ma allora se limiti lo scialpinismo ha senso limitare gli hotel, rifugi, funivie… andate a vedere quante funivie ci sono nelle Dolomiti…). Non puoi limitare una categoria e lasciare fare il bello e brutto tempo agli altri. Ogni norma deve avere una ratio logica, se non ce l’ha il giudice la disapplica.
Nel sistema dello stato di diritto l’estensione di un divieto della montagna è IMPOSSIBILE con il sistema giuridico attuale e Costituzionale anche se l’ambiente è stato inserito in Costituzione. Questo perchè non esiste un diritto tiranno (che esiste nelle dittature) ma tutti i diritti costituzionali vanno bilanciati. Si dica semmai che questo divieto puo’ esserci solo in caso di sovvertimento del sistema giuridico attuale su base dittatoriale. La limitazione invece è fattibile perché limitarlo, gestirlo, vuol dire dare spazio ad altri diritti che potrebbero essere preclusi (es. la saturazione dell’ambiente montano per attivita’ antropiche a danno dell’integrita’ ambientale).
Invece è vero che negli ultimi 2 anni hanno messo a dura prova lo Stato di Diritto (diciamo che l’hanno massacrato). Bisogna capire se certe elite antidemocratiche (che hanno il controllo sulle classi dirigenti, istituzioni e associazioni) riusciranno ad instaurare dei regimi totalitari (o di democrazia apparente… elezioni truccate, politici cooptati) allora ha senso parlare di divieti totali. Ma nel sistema giuridico quello della Costituzione non ha senso parlare di divieti totali, di assenza dei diritti dello sciatore fuoripista.
Voglio chiudere questa serie di commenti con delle considerazioni generali. Non mi rivolgo in alcun modo a Crovella, con il quale è evidente che è impossibile qualsiasi dialogo.
Ci sono stati tanti interventi di varie persone. Ritengo giusto fare delle conclusioni finali.
L’Ente Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise ha introdotto una serie di vincoli e divieti che pregiudicano su 500 km quadrati di territorio, gran parte dell’Appennino centrale, le attività di escursionismo di vetta, sciescursionismo, alpinismo e scialpinismo. Si può trovare sulla pagina ATES, associazione tutela escursionisti e scialpinisti una approfondita disamina in tanti post pubblicati negli ultimi 8 mesi.
Questi vincoli e divieti o saranno contestati dal Ministero, o dalle Procure, o disapplicati in seguito a giudizi presso i tribunali ordinari. Oppure ci sarà una presa di coscienza da parte dell’Ente Parco sull’opportunità di apportare correttivi. Sono fiducioso che questa è una eventualità possibile.
Se non accadrà nessuna di queste ipotesi, rimarranno i vincoli e divieti, e bisogna vedere, non è certo, che vengano poi realmente applicati.
Comunque è ipotizzabile che si arrivi, in assenza di contestazioni e modifiche ai vincoli e divieti, ad una progressiva adozione da parte di altri Enti Parco e Riserve, ma anche Regioni e Province, di una regolamentazione simile. Sarebbe la quasi fine dell’escursionismo di vetta, sciescursionismo, alpinismo e scialpinismo in Italia.
Il Club alpino italiano (Cai) in teoria dovrebbe tutelare escursionisti di vetta, sciescursionisti, alpinisti, scialpinisti. Avrebbe dovuto approfondire i nuovi regolamenti e chiedere le giustificazioni scientifiche, oltre a chiedere all’Ente Parco equità e coerenza nelle regole e nelle autorizzazioni. Lo poteva fare con richieste dirette, in un contesto cordiale, amichevole, di collaborazione tra Enti, ci potevano essere articoli, convegni. Alla peggio, di fronte ad una totale chiusura dell’Ente Parco, il Cai aveva la possibilità di sensibilizzare gli Onorevoli amici della montagna per una richiesta di informativa dettagliata al Ministero Ambiente da parte delle specifiche Commissioni di Senato e Camera.
Il Cai però non ha fatto tutto ciò. A quel punto abbiamo costituito ATES, per farlo noi. Nella attuale società italiana, dominata dai gruppi di pressione e di tutela di specifici interessi, l’assenza di una organizzazione di tutela rende estremamente vulnerabili le categorie indifese. Noi come ATES facciamo quel poco che è possibile fare, con i nostri mezzi e potere limitati, ma è meglio di niente: soprattutto sensibilizzazione ai problemi per i vari soggetti interessati, con una importante elaborazione concettuale, questo può fare un’associazione culturale.
Con l’occasione, oltre ad un’azione di tutela dell’escursionismo (in senso lato), facciamo anche un’azione di autentica tutela della natura e biodiversità, portando alla luce i problemi generati da molte attività estremamente impattanti che si svolgono nel territorio protetto, autorizzate dall’Ente Parco ed in qualche caso, come i nuovi ristorantini alberghetti nelle zone selvagge o i grandi raduni nelle foreste integre (vere e proprie bombe di puzza per gli animali selvatici), con anche il Cai in prima linea.
Segnaliamo così le contraddizioni tra i vincoli e divieti all’escursionismo (in senso lato) e le autorizzazioni, o la tolleranza, per altre attività molto impattanti sull’ecosistema.
C’è un ambientalismo a corrente alternata, a intermittenza. Noi chiediamo giustificazioni scientifiche forti, puntuali, dibattute per i vincoli e divieti, e poi chiediamo equità e coerenza.
Ricordo a tutti che nell’agosto scorso, cioè tre mesi fa circa, è stato pubblicato sul blog un articolo riguardante ATES e Mori in particolare. In tale articolo si sottolineava già la contraddizione e l’incompatibilità fra ATES-Mori da una parte e, dall’altra, le finalità statutarie e la posizione ideologica del CAI.
Interessante, alla luce di questo secondo articolo e del dibattito che ne è scaturito, rileggere di nuovo quel primo articolo e i relativi commenti dei lettori, commenti non certo “lusinghieri” (già allora) nei confronti di ATES-Mori.
https://gognablog.sherpa-gate.com/lidentita-del-cai/
Buona serata a tutti.
Sono contento Crovella che con queste sue ultime esternazioni siano emerse chiaramente le sue intenzioni e il suo approccio, abbiamo tolto la patina di superficie.
Lei fa riflessioni banali, che non tengono conto della complessità e dello spessore dei temi da noi sollevati e trattati diffusamente, non si rende nemmeno conto delle sue contraddizioni, non legge la documentazione che abbiamo prodotto, insiste a darci consigli non richiesti e non apprezzati da bambino che gioca al piccolo avvocato, e’ insolente nei toni, si erge a supremo rappresentante del CAI quando, a quel che lei dice, in realtà non ha nessun ruolo, si propone come massimo interprete di quella che lei ritiene essere l’ideologia del CAI, poi però non sa dare conto delle incoerenze.
che disastro!!
sono comunque contento che dopo le sue ultime esternazioni sia venuto meno anche il seppur minimo criterio di civile dialogo e quindi sono autorizzato a non proseguire con lei in un inutile dibattito, tanto non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Mori…sei duro di comprendonio o sei in malafede? Probabilmente entrambi. Cmq il CAI NON può esprimersi come piacerebbe a te perché la posizione ideologica del CAI è antitetica rispetto alla tua.
Prr fortuna io non occupo al momento ruoli decisionali all’interno del CAI, a qualsiasi livello. La mia è un’opinione personale, anche se coerente con quella ufficiale e con il sentiment dominante fra i soci. Ma, per fortuna, non devo decidere io su gente come te (individui che personalmente ritengo negativi per l’associazione). Di conseguenza, puoi avanzare le tue proposte a chi di dovere e vediamo cosa ti verra’ risposto. Per convegni ecc mi pare ci sia una commissione eventi (oppure chiedi in segreteria al CAI Centrale). Circa gli articoli ecc, mandali in redazione a M360: se sono interessati (dubito) li pubblicheranno. Se nessuno ti risponde…trainer le conseguenze: non interessate al CAI.
Concludo chiarendo un punto che forse non hai capito o non vuoi capire. Quando mi sono imbattuto nel tuo post, cui poi ho aggiunto il mio commento, il mio obiettivo è stato quello di sottolineare pubblicamente la scriteristezza delle tue idee. Nel mio commento originario non l’ho scritto esplicitamente, per non infierire troppo, ma il succo è che gente come te arreca un danno significativo all’immagine della comunità alpinistica presso l’opinione pubblica generale. Idee sconclusionate come contrapporsi ad atti emessi da un (qualsiasi) Parco a fini di tutela ambientale rischiano, in un momento storico come questo, di farci apparire tutti come “scombiccherati” agli occhi dell’opinione pubblica generale, mentre evidentemente noi non lo siamo. Di conseguenza tu e i tuoi amici, con le idee che andate cianciando, siete dannosi per la comunità alpinistica e, in particolare, per quella del CAI. A questo punto il mio obiettivo non è rivolgermi a te, perché hai dimostrato di esser “sordo” a ogni paziente tentativo di farti ragionare. Il mio obiettivo è aver dimostrato alla comunità alpinistica che personaggi come te e i tuoi compari vanno ostracizzati e resi innocui per la nostra immagine. Per cui: cammina per la tua strada ma non andar in giro ad elemosinare appoggi e consensi, meno che mai da CAI di cui tu rappresenti l’antitesi ideologica.
Ad integrazione di quanto ho detto nel commento precedente, 34, riporto qui un post che abbiamo pubblicato qualche settimana fa sulla pagina ATES. Purtroppo Enti pubblici primari che annientano le attività escursionistiche (o accettano questo annientamento) in nome di una presunta, ma non dimostrata, tutela ambientale, poi sono in prima linea per la proliferazione di nuovi ristorantini alberghetti o alberghi diffusi nelle ultime aree integre e preziose d’Italia.
Se c’è un ristorantino alberghetto nelle zone selvagge e remote di un Parco nazionale, con lo stesso criterio ci può essere un nuovo impianto da sci (che impatta di meno sugli animali selvatici essendo ad operatività esclusivamente diurna) o delle villette. L’Ente Parco in Abruzzo ha anche autorizzato l’asfalto di una sterrata ai prati d’angro, una delle aree più importanti per gli orsi, destinata a servire dei futuri nuovi impianti sciistici. E il Cai addirittura si impegna perché ci sia questo assalto alla natura con i nuovi ristorantini alberghetti nelle zone selvagge.
E poi Crovella ci viene a dire che a suo avviso il Cai non può criticare i provvedimenti che annientano le attività escursionistiche perché il Cai deve essere super ambientalista. Ma di quale ambientalismo parla il Signor Crovella?
Purtroppo il sonno dell’autentico ambientalismo poi inevitabilmente genera i Crovella.
Lo strano ambientalismo dell’Ente Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise e del Club alpino italiano
Negli anni passati le Presidenze e Direzioni dell’Ente Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise hanno autorizzato la nascita di nuovi ristorantini alberghetti nelle aree tra le più integre, selvagge, remote, preziose del territorio del Parco, d’Italia d’Europa.
Dove prima c’era il buio, il silenzio, la quiete, il regno incontrastato degli animali selvatici ora c’è un ristorantino alberghetto, un via vai di umani diurno, crepuscolare e notturno, odori di cucina, luci, suoni, voci, odori vari, una grande quantità di escrementi umani. Si è andati come umani ad occupare l’ultimo ed ormai unico e disperato rifugio degli animali selvatici, le montagne, le foreste, il buio e la notte.
Che poi il ristorantino alberghetto lo si chiami rifugio o estremo bivacco, la sostanza non cambia, si tratta di un gravissimo deterioramento dell’habitat degli animali selvatici, in particolare degli orsi.
L’Ente Parco poi ha addirittura pubblicizzato queste iniziative imprenditoriali di privati.
L’Ente Parco si è assunto una responsabilità storica, ha avviato la denaturalizzazione e antropizzazione del territorio del Parco, la fine della wilderness.
Adesso è difficile contrastare le pretese dei Sindaci che vorrebbero far aprire ancora nuovi ristorantini alberghetti, sempre nelle aree più selvagge e preziose del Parco, ricostruendo antichi remoti stazzi abbandonati da decenni ed ormai diruti, tra foreste e montagne. Sarà una corsa ad aprire nuovi ristorantini alberghetti nelle aree più integre, un assalto alla natura del Parco, probabilmente la fine degli orsi marsicani.
È significativo il convegno che abbiamo riportato nel post, tenutosi recentemente a Scanno e Pescasseroli, con pro loco e Sindaci in prima linea per i nuovi ristorantini alberghetti. Ed il Club alpino italiano che partecipa in modo entusiasta all’assalto alle ultime aree di natura integra in Italia e in Europa.
L’Ente Parco prende 5-6 milioni di euro l’anno di fondi pubblici, il Cai probabilmente molti di più’. E poi sono in prima linea nella denaturalizzazione e antropizzazione del territorio del Parco, il paradosso è che i tanti soldi pubblici servono alla fin fine a distruggere il patrimonio pubblico per eccellenza degli italiani che è la natura integra, quelle pochissime aree rimaste, mettendo a repentaglio anche la specie simbolo dell’Appennino, l’orso.
@34 Tempo perso. È risaputo ad esempio che il CAI è il principale sponsor delle nuove ferrate costruite da zero dopo la pubblicazione del Bidecalogo. E mi fermo qui. Buona fortuna.
E se invece come Cai perdessimo i Crovella? Non sarebbe meglio? In realtà non vedo nessun problema perché il Cai si possa esprimere in modo critico rispetto a regolamenti che pregiudicano le attività istituzionali. Regolamenti emanati senza un corredo di forti giustificazioni scientifiche e non con criteri di equità e coerenza. Tra l’altro il Cai in un recente convegno a Pescasseroli, nel Parco, per bocca di un dirigente, non ha esitato invece a pronunciarsi a favore della denaturalizzazione e antropizzazione del territorio del Parco creando una serie di ristorantini alberghetti nelle zone selvagge, tra foreste e montagne.
Quindi il Cai, secondo Crovella, da una parte non può esprimersi criticamente, con articoli, interviste, convegni, nei confronti di un regolamento che annienta le passioni della vita di tanti praticanti le attività escursionistiche, ed invece il Cai può essere in prima linea per la denaturalizzazione e antropizzazione di un Parco naturale primario in Europa??
Vietate pure ma chi è come me farà tutto ugualmente…
@31 guarda che sei tu che non hai focalizzato bene. A parte il risvolto delle azioni legali, la presa di posizione del CAI sul tema “ambiente” c’è da tempo ed è molto netta. È sintetizzata dal Bidecalogo. Trattasi si posizione ideologica antitetica rispetto alle idee “scriteriate” di ATES ecc. Ergo il CAI non si schiererà MAI con Mori ne’ come auspicato dal commento 13. In più, rispetto ad atti in vigore, è come se il CAI invitasse a violare la legge, impensabile! Se gli atti sono viziati, prima li si fa annullare nelle opportune sedi (ma non su iniziativa del CAI), e solo dopo il CAI eventualmente (ma dubito) li commenterà. Sintetizzando: sugli indicati atti del Parco, il CAI al momento non è esplicitamente obbligato a esprimersi né in un senso né Nell’altro. Ma se sul punto.mettete il CAI con le spalle al muro, il CAI non può che schierarsi ideologicamente dalla parte del Parco e contro le idee di Mori & C.
Chi si aspetta una presa di posizione del CAI come espresso in 31 oppure in 13 ecc, se socio CAI in essere, dovrebbe riflettere sulla contraddizione fra le sue idee e quelle ufficiali del CAI e trarne le conseguenze sull’inopportunità di rimanere socio in una “casa ideologica” opposta alle sue idee personali.
Conclusione: non è il CAI che deve correre dietro ai vari Mori in circolazione, ma semmai cercare,con pazienza, di educarli e di farli ragionare, affinche’ cambino le loro attuali idee scombiccherate. Se proprio non si riesce a “convertire” i Mori in circolazione, meglio perderli del tutto. Buona serata!
Forse Crovella non ha capito che a volte è importante prendere posizione. E il CAI dovrebbe farlo, perchè (teoricamente) rappresenta gente che va in montagna. A prescindere dalle azioni legale che potrebbe o non potrebbe fare. Ma temo che siano tutti teorici alla Crovella. Amen
Il problema affollamento delle montagne e quindi rischio per la biodiversità è reale. Mi riferisco a tutte le discipline montane compreso quindi lo scialpinismo. Si dovrebbe quindi limitare il flusso, ma come? La soluzione è una sola, serve una selezione naturale dei frequentatori dato che non possiamo mettere uno a decidere tu si, tu no. Bisogna tornare indietro, abbattere strade e funivie esagerate che facilitano l’accesso alle montagne. Altra soluzione non esiste a mio avviso. Altrimenti becchiamoci i divieti.
Domando per un amico:
Questa Associazione Culturale, ATES quanti soci ha?
Quanti tra i soci hanno un cane che li accompagna nelle loro escursioni?
Grazie.
@27 Mori: guarda te lo dico con simpatia perché un po’ mi fai tenerezza per l’ingenuità del tuo pensare e del tuo agire, ma tutta la tua posizione (e per estensione temo quella di ATES che non conosco, ma se tanto mi da tanto…) è solo “aria fritta”… Tutto ‘sto vostro voler “sensibilizzare” finora a cosa è servito? Lo riconosci tu stesso che le infinite istituzioni (dal Parlamento al CAI…) cui vi siete rivolti non vi hanno nemmeno risposto…
All’atto pratico ti/vi suggerisco eventuali mosse, da sperimentare non fosse altro che per smentire Crovella:
1) Consulta un avvocato amministrativista: oltre a descrivergli il caso nella sua totalità, gli fai esaminare gli attivi del Parco nel dettaglio con l’obiettivo di individuare eventuali loto vizi sui quali attaccarli. Nel caso, fatti suggerire come e in quali sedi (TAR presumo) agire ecc. Ovvio che l’avv.to investe tempo e alla fine ti presenterà una parcella… che ti devi accollare tu… ma così va la vita…
2) Per quanto riguarda il risvolto specifico dell’eventuale azione del CAI (inteso come CAI Centrale), se non credi a quanto ti stiamo dicendo da ore, taglia la testa al toro. Rivolgiti ufficialmente all’Ufficio legale del CAI Centrale, Via Petrella 7, Milano, e poni lo specifico quesito se, magari sulla base del parere legale di cui al punto 1), il CAI posso o addirittura debba agire e come fare per innescare tale azione del CAI Centrale (es comunicazione ufficiale alla Presidenza Generale, ecc). Vedremo cosa dirà l’Ufficio legale di Via Petrella. Ti anticipo che probabilmente manco ti risponderà non per maleducazione o incapacità, ma proprio per il punto che ti sto illustrando da tempo. L’azione ida te “invocata” NON fa parte delle finalità statutarie del CAI e quindi la risposta ufficiale non potrà essere che quella che ti stiamo dicendo da ore. Se avranno tempo, ti risponderanno in tal senso, ma solo per cortesia, altrimenti non ti risponderanno neppure.
3) In alternativa prova a contattare i Presidenti delle locali Sezioni del CAI cercando di sensibilizzarli ad una azione congiunta sotto lo “stemma” almeno dei CAI locali. Quale azione congiunta devi prima focalizzarla tu (azione di pressione emotiva, azione giuridica in senso tecnico…?) Secondo me i Presidenti si defileranno, un po’ ipocritamente, nel senso che ti diranno “bella idea sì, ma senti fai così: fai una petizione e raccogli firme, poi vediamo”… Intanto prendono tempo e, anche se ti ripresenti successivamente con numerose firme raccolte, difficile che le singole sezioni – o gruppi di sezioni – intraprendano azioni legali (i bilanci sezionali sono miseri), per cui alla fine avrai in mano un pugno di mosche.
4) A prescindere dal CAI (Centrale o locale), lancia una petizione con raccolta firme: questa è tecnicamente facile da fare (sappi che io NON firmerò per i motivi già espressi), dopo di che con l’elenco delle firme in mano non saprei bene cosa potrai fare… Lo rispedisci all’Ufficio Legale di Milano? La risposta sarà la stessa. Idem per Presidenti locali. La spedisci al Parco? Faranno spallucce e a ragione: il Parco mica è tenuto a guardare al consenso dell’opinione pubblica, è un ente con un preciso statuto e ben definite finalità. O riuscite ad attaccare i suoi atti nella infondatezza degli atti emessi o… non ci sono alternative.
Quanto all’obiettivo di “sensibilizzare” l’opinione pubblica in generale, mi sa che siete fuori tempo o addirittura contro corrente: oggi il mood dominante, a livello ideologico, è quello completamente opposto al vostro. Ciò non vi deve impedire né disincentivare ad agire, ci mancherebbe, ma… la vedo dura, sia in termini di efficacia nel raggiungere i vs obiettivi che nelle rispettive tempistiche. Cmq, osserverò le vostre mosse con curiosità, pronto eventualmente a “imparare” cose in cui non credevo fino a quel momento, ma altrettanto pronto a sfruttare in qualsiasi momento il mio diritto di critica nei vs confronti. Buona fortuna!
Rispondo ancora a Crovella.
Come ho già detto in un precedente commento, però probabilmente è opportuno ripeterlo, noi come ATES siamo un’associazione esclusivamente culturale e quindi suscitiamo dibattiti e riflessioni, questa è la nostra funzione.
I nostri temi sono i vincoli e divieti nei Parchi alle attività escursionistiche, in senso lato, quindi anche escursionismo di vetta, alpinismo, sciescursionismo, scialpinismo, escursionismo a cavallo e con il proprio cane di compagnia. In questi 7-8 mesi di attività abbiamo sensibilizzato all’argomento la comunità italiana degli appassionati, i media, le associazioni più rilevanti (Cai, Wwf), i vertici e il personale dei Parchi e Riserve, le Istituzioni (Prefetture, Ministero Ambiente, Ispra, comandi dei Carabinieri Forestali, commissioni ambiente di Senato e Camera, le Procure).Questo per quanto riguarda la nostra attività come ATES.
Noi poi riteniamo che sia importante, in una società come quella attuale italiana organizzata per gruppi di pressione e di interesse, che esista un’organizzazione di tutela di escursionisti e scialpinisti, sciescursionisti ed alpinisti, escursionisti a cavallo e con il proprio cane di compagnia.
Inoltre pensiamo che i vertici degli Enti Parco possano incorrere in errori di valutazione e giudizio, sia in buona fede che anche, non lo si può escludere, qualche volta in malafede. È quindi necessario esercitare un’azione di controllo, di eventuale contrapposizione dialettica, un’azione culturale, che non è necessariamente giudiziaria. Lo è solo in casi estremi.
Il Cai potrebbe benissimo avere questa funzione, come le associazioni analoghe che operano negli Stati Uniti.
Poi questo non significa costituirsi parte civile o simili interventi giudiziari. Però il Cai può agire con articoli, interviste e convegni, ci sono inoltre tanti onorevoli “amici della montagna”, e anche amici dei 330.000 voti potenziali degli iscritti Cai, che possono essere sensibilizzati su specifici argomenti e a loro volta intervenire sul Ministero Ambiente, che controlla i Parchi. Quindi il Cai, volendo, ha una enorme possibilità di intervento, senza contrapporsi ad Enti pubblici ma facendo un’azione di sensibilizzazione ed educazione. VOLENDO.
Alcune precisazioni poi disattivo la ricezione dei commenti su questo argomento; 1) per quanto concerne il ruolo del CAI nella vicenda che ha dato origine alla discussione confermo che la posizione corretta (purtroppo) è quella di Crovella, indipendentemente da quanto possa risultare simpatico o meno all’uno o all’altro; 2) ribadisco che le nostre generazioni hanno una responsabilità verso chi verrà dopo (ho letto un delirante commento del tipo quelli che verranno si arrangeranno), io ho due nipoti e francamente un cinismo di questo genere non mi va giù; 3) nella generalità dei commenti si dimentica che nulla sarà come adesso in termini ambientali bensì sarà in termini peggiorativi per cui sono proprio le nuovissime generazioni che andrebbero educate e formate con una cultura diversa da quella del perfetto consumatore; c’è un problema però, quando chiedo a mia nipote che ha 10 anni cosa le dicono a scuola di ambiente, di tutela delle specie, di inquinamento, di riciclo etc etc mi dice che per caso una delle maestre gli ha accennato qualcosa forse un anno fa. Per chi è in grado di comprenderlo il problema è proprio questo per cui replicheremo ad oltranza la formazione culturale di tanti piccoli consumatori che poi da grandi si preoccuperanno quando qualcuno limiterà la libertà di consumare/fruire in nome di risibili motivazioni di tutela ambientale. Saluti a tutti.
saluti a tutti
Posso confermare alla Foca Monaca che non ho molta fiducia negli italiani, «un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori». Come recitava Mussolini quando non aveva ancora visto i risultati delle sue imprese.
Per chi non ha tempo e voglia di leggere la mia precedente disanima completa (@22), la sintetizzo: non sono i Mori della situazione (completamente fuori strada su ogni risvolto del caso) che si propongono di educare i vari Crovella, bensì tocca ai Crovella doversi caricare, con pazienza, fatica e amore per il CAI, il compito di educare i Mori in circolazione (nonché il 13 – di cui non ricordo il nome) affinché comprendano la totale infondatezza del loro attuale modo di ragionare.
Siamo di fronte a (presunti) soci CAI che non hanno neppure letto lo Statuto dell’Istituzione cui si sono associati (o, se l’hanno letto, non lo hanno minimamente capito, il che all’atto pratico è uguale, se non peggio). Come poter ottenere questa “educazione” che si deve sviluppare su tre strade contemporanee, quella civica, quella ambientalista e quella associativa? L’ho già espresso nella conclusione dell’articolo: attraverso l’azione formativa concretizzata dalla Scuole del CAI (di ogni disciplina e livello tecnico), le quali più che insegnare nozioni prettamente tecniche dovrebbero oggi rispondere a questo prioritario ruolo istituzionale.
Per tale motivo da diversi anni (anche su questo blog) esprimo la convinzione dell’obbligatorietà (almeno a carico dei soci CAI) di partecipazione ad almeno uno dei corsi organizzati dalle Scuole CAI. Infatti se in un qualsiasi corso CAI ti insegnano, ad esempio, l’effettivo contenuto dello Statuto del CAI, al termine del Corso non puoi uscirtene che ti “aspetti” che il CAI agisca giuridicamente o “politicamente” contro atti di enti pubblici emessi a sostengo della tutela ambientale. E così via…
Caro Pierpaolo Mori,
sospetto che nessuno ti avesse avvertito preventivamente della pubblicazione, su questo blog, del tuo scritto. La questione di metodo dovrebbe venire prima di tutto il resto, perché in sostanza, qui, dei tuoi contenuti è stato fatto uso strumentale.
Andiamo per ordine. Carlo Crovella inizia la sua lunga postilla col dire che parte dal tuo scritto
e a questo punto si sente a posto con la coscienza: può ingranare la marcia e dire quello che vuole.
Il motivo per cui ti ha tirato in ballo è che gli serviva uno spunto per fare la classica sottolineatura infantile, il “ve l’avevo detto io” che
La retorica orribile, servile e compiaciuta delle “ganasce” non comprende un tentativo d’analisi politica, si astiene da qualsivoglia forma di discernimento. Crovella non arriva a vedere, come giustamente fai tu, che abbiamo qui un’istituzione che, in nome della tutela della biodiversità, concentra tutte le sue attenzioni sulle frequentazioni individuali delle montagne, dimenticando però di intervenire, al tempo stesso e per coerenza, su attività economiche (e “scientifiche”) ed anzi, come scrivi, favorendole.
Hai ragione da vendere. Anche perché, mi pare ovvio, se anche forse sottinteso, saresti perfettamente a tuo agio nel rispettare interdizioni puntuali e ben fondate: cioè, mi pare di capire, sei decisamente a favore della tutela della biodiversità, non sei uno che se ne “catafotte” (commento n. 4).
Invece, e qui torno alla questione di metodo, finisci senza saperlo nel tritacarne di Carlo Crovella, in qualità di “singolo scialpinista Pier Paolo Mori (sic)” come esponente esemplare della
E laddove chiami in causa il CAI, Crovella annota che
ma gli sfugge, per l’appunto, che tu non hai certo chiesto di sindacare a favore dell’uso indiscriminato della montagna. (Il CAI, aggiungo, farebbe meglio a non tacere su certo schifo pre-olimpico).
Parafrasando le sue stesse espressioni, per “esigenza onanistica di veder appagato il proprio individuale piacere”, per la visibilità, Carlo Crovella non fa altro che istigare un dibattito sterile con gente che pontifica sul futuro di “figli e nipoti” (commento n. 10, addirittura), solito disprezzo delle “libertà individuali” (commento n. 8: magari sbaglierò, ma questo in genere è un argomento dove certa sedicente sinistra converge su posizioni reazionarie, di destra), solita sfiducia scorreggiona nel cittadino (commento n. 19, “gli italiani sono sempre troppi e spesso nocivi”, a cura dell’ineffabile bruno telleschi).
Le cose che hai scritto meritavano ben altro trattamento.
@21 (ma per estensione anche @13) Confermo che considero completamente sbagliate (cioè prive di fondamento sul piano giuridico, oltre che su quello ideologico) la vs aspettative sul coinvolgimento del CAI nell’opposizione ad eventuali atti, anche visibilmente errati o addirittura illegittimi, da parte di enti pubblici et similia. Il tutto per un semplicissimo motivo, già da me esposto a chiare lettere: tale ipotetica finalità non fa parte dell’azione statutaria del CAI.
Se gli atti degli Enti pubblici sono errati/infondati, il ns ordinamento generale prevede tutte le azioni da perseguire per contrapporsi agli atti in questione, iniziando dai ricorsi al TAR (e non da “raccomandate” alle procure o ad altre uffici della magistratura… non sono entrato in questo discorso tecnico per non appesantire troppo le riflessioni dell’articolo, ma personalmente ritengo proprio sbagliata la scelta “tecnica”, a dimostrazione di quanta confusione abbiate in testa). Tali ricorsi al TAR (e in secondo grado al Consiglio di Stato) devono esser depositati da soggetti che abbiamo un interesse legittimo a farlo, pena infondatezza degli stessi ricorsi. Fra questi soggetti “legittimati” escludo che rientrerà mai il CAI, che appunto NON E’ e non sarà MAI il sindacato dei frequentatori della montagna. A mio modesto parare non rientrerà mai, fra i soggetti portatori di interessi legittimi violati dagli atti deli enti pubblici, neppure il singolo cittadino – o una pluralità di cittadini – per il solo fatto che tali atti degli entri impediscono la concretizzazione di una passione sportiva (?!?)… Però, nulla osta al cittadino di provare a depositare il ricorso al TAR… vedremo come andrà a finire.
In conclusione è bene chiarire che ci sono due problemi che, nel caso di specie, si annodano uno nell’altro, ma concettualmente sono indipendenti e tali occorre mantenerli in sede di riflessioni, altrimenti si fa un minestrone ingestibile come appunto capita a Mori.
I due problemi sono:
1) Primo Problema. Se sia “giusto” (dapprima eticamente e in seconda battuta giuridicamente, cioè se sia fondato sul piano giuridico) che un ente possa porre dei divieti A FINI DI TUTELA AMBIENTALE (e io confermo la mia posizione sul punto: SI’, E’ GIUSTO!). Vanno esaminati gli atti per verificare che siano privi di vizi, ma se lo sono, nulla si può dire a loro carico. Il riferimento al principio costituzionale della libertà di circolazione è troppo generico su questo punto, da solo non regge perché mille e mille sono i casi di divieti esistenti nella realtà e nel territorio nazionale e tali permangono (se fossero anticostituzionali sarebbero già stati “abbattuti”: non c’è bisogno di aspettare gli atti abruzzesi per porre il problema di una generale anticostituzionalità). Se basate la va azione su questo punto, a naso, siete abbastanza fuori strada, proprio tecnicamente… cmq nulla osta a provarci: buona fortuna!
2) Secondo problema: se, a fronte di atti errati/infondati, tocchi al CAI agire contro tali divieti (e anche qui confermo la mia posizione: è sbagliato attendersi ciò dal CAI, perché non fa parte delle sue finalità statutarie e io mi auguro che lo statuto del CAI non si allarghi MAI a comprendere la finalità di tutela sindacale dei suoi soci, né su questo risvolto né in nessun altro aspetto dell’esistenza).
Nel caso di specie, nulla osta a che altri soggetti, diversi dal CAI in quanto istituzione (teoricamente tali soggetti possono essere anche soci CAI, però in questo frangente vanno intesi come singoli cittadini indipendenti o come pluralità di cittadini) facciano ricorso al TAR. Staremo a vedere come reagirà il TAR: sulla base dei dati del problema attualmente noti, quelli riportati da Mori, le speranze di un accoglimento d itale eventuale ricorso contro gli atti in questione appaiono davvero esigue.
Se desiderate che le vs idee (che io considero errate, sia sul piano ideologico che su quello tecnico-giuridico) siano messe alla prova attraverso adeguate azioni, vi suggerisco di consultare dei legali (prioritariamente amministrativisti) prima di agire. Ovvio che le azioni comporteranno impegno. fatica e costi (gravanti solo su di voi) e potrebbero terminare (come io penso) in un buco nell’acqua. E’ un rischio che, se credete davvero nella fondatezza delle vs ide, dovete esse pronti a correre. Però lasciate perdere il CAI, perché non c’entra nulla con faccende di questo genere. Ogni appello (es @13) cadrà inevitabilmente nel vuoto per il motivo che ho già segnalato esplicitamente: lo Statuto del CAI NON comprende queste finalità. La Presidenza Generale non deve neppure giustificarsi se non raccoglie appelli del genere. Se sentite davvero l’esigenza di mandare in soffitta gli atti del parco abruzzese, dovete avere il “coraggio” di dare vita in modo indipendente a vostre azioni giuridiche. Se non avete tale convinzione, la cosa finisce lì, come è giusto che sia. in ogni caso, in bocca la lupo!
Conosco le lettere di questo scialpinista, concordo con lui per il semplice fatto che autorizzano rifugi con tanto di pernotto e ristorazione in luoghi integrali, perché questi non disturbano l’ambiente???e autorizzano uscite di gruppo con guida che si sa benissimo che i gruppi non fanno altro che schiamazzare.
Purtroppo è il parco che non ha interesse al bene della natura ma soltanto interessi commerciali, perché uno scialpinista ogni chilometro quadrato non reca disturbo a nessuno e nemmeno chi fa trekking invernale tra un paio di amici, invece i gruppi sì!!! Poi se la guida è così brava da farli stare zitti tanto di cappello ma non è detto. Lo scialpinismo c’è sempre stato da che mondo è mondo! come si spostavano una volta nella neve per esigenze abitative?! Quando prendete spunto da un articolo di qualcun altro mettetelo integrale perché lui specificava anche tutto questo, voi non avete menzionato nulla invece, facile rigirare la frittata come fa comodo
Pierpaolo Mori, come ho scritto nel mio breve intervento n. 15 , queste iniziative sono solo brutto opportunismo mascherato da falso ambientalismo. Si va a colpire i deboli per mascherare, per favorire, in realtà, altri settori, altri personaggi.
Ti faccio un esempio di opportunismo mascherato da falso ambientalismo . Anni fa in Apuane si vietò l’arrampicata sulla parete del Solco d’Equi perchè lì ci nidifica l’aquila. Bene viva l’aquila. Peccato però che li nei paraggi ci sono le cave di marmo. Le cave, con tutti i macchinari, mezzi che ci lavorano in maniera assordante e le mine che scoppiano e sventrano i fianchi, non la disturbano l’aquila????
Il paesaggio è un luogo spirituale dove gli uomini riconoscono la bellezza della natura, anche degli orsi. L’ambiente è invece un luogo materiale dove gli orsi non sanno neppure dove sono. Dall’11 febbraio 2022, con la modifica dell’articolo 9 della costituzione, la natura appartiene sia agli uomini sia agli orsi, ma non è facile conciliare la tutela del paesaggio con la tutela dell’ambiente. Nonostante la crisi demografica gli italiani sono sempre troppi e spesso nocivi, più degli orsi.
Pierpaolo Mori,
Risposta, parte seconda
Noi accetteremmo che ci fosse una parte del territorio nazionale dove e’ previsto il totale divieto alle attività umane, ma non possiamo accettare che ci siano vincoli e divieti SOLO per le attività escursionistiche e tutto il resto è un luna parco.
Se un Ente pubblico non agisce nella Sua attività di regolamentazione con forti e puntuali giustificazioni scientifiche, con equità e coerenza, allora non si è più nello Stato di diritto, si è nel totale arbitrio.
Il nostro quindi è un discorso non solo di tutela dei diritti degli escursionisti, ma anche ambientalista, etico e dei diritti civili. È un peccato che Crovella lo banalizzi vedendo solo dei discoli che vogliono andare a sciare nelle foreste contrapposti al buon Ente Parco difensore della natura.
Tutto il discorso che fa Crovella riguardo il ruolo del CAI, poi decade se lo stesso Crovella leggesse attentamente quanto abbiamo qui sopra ripetuto.
Se gli Enti Parco non sono infallibili, (contrariamente a quanto sembra pensare Crovella, che vede nei vertici degli Enti Parco i grandi sacerdoti del culto della piccola Greta, e quindi varrebbe il dogma della infallibilità), e possono invece emanare regolamenti errati (per vizi di giustificazioni scientifiche, coerenza ed equità) oppure dare autorizzazioni non propriamente ambientaliste, per motivi non ben chiari, allora è necessaria una organizzazione di tutela dei diritti di escursionisti e scialpinisti e quindi lo sarebbe naturalmente il Cai. Pure negli Stati Uniti, le versioni locali dei Cai agiscono ANCHE come un Sindacato di escursionisti e scialpinisti.
Proprio per la latitanza del CAI in proposito è dovuta nascere ATES. Ci auguriamo che sia una parentesi. Nel frattempo bisogna fare un’azione di sensibilizzazione nei confronti dei vari Crovella perché riflettano con serietà sui temi che proponiamo e sui problemi che stanno per travolgere le attività escursionistiche in Italia.
Pierpaolo Mori,
Risposta, parte prima
Ho visto che sul blog di Alessandro Gogna è stato pubblicato un nostro post ATES (Associazione tutela escursionisti e scialpinisti) e il successivo commento di Carlo Crovella.
Apprezzo che Alessandro Gogna abbia voluto dare risalto ai temi trattati nel nostro post. Alessandro Gogna è una figura di riferimento e primaria per gli alpinisti ed escursionisti italiani.
Anche Carlo Crovella è una persona importante per lo scialpinismo italiano, per le Sue pubblicazioni e per l’attività nel CAI.
Noi come ATES siamo un’associazione esclusivamente culturale e quindi suscitiamo dibattiti e riflessioni, questa è la nostra funzione.
I nostri temi sono i vincoli e divieti nei Parchi alle attività escursionistiche, in senso lato, quindi anche escursionismo di vetta, alpinismo, sciescursionismo, scialpinismo, escursionismo a cavallo e con il proprio cane di compagnia.
In questi 7-8 mesi di attività abbiamo sensibilizzato all’argomento la comunità italiana degli appassionati, i media, le associazioni più rilevanti (Cai, Wwf), i vertici e il personale dei Parchi e Riserve, le Istituzioni (Prefetture, Ministero Ambiente, Ispra, comandi dei Carabinieri Forestali, commissioni ambiente di Senato e Camera, le Procure).
Il dibattito in proposito sul blog di Gogna, che noi seguiamo e apprezziamo, e’ un ulteriore importante momento di riflessione.
Voglio quindi puntualizzare alcuni aspetti riguardo il commento di Carlo Crovella.
Condivido totalmente la preoccupazione che Lui esprime riguardo la possibilità che vincoli e divieti che adesso caratterizzano il territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise vengano estesi a tutto il territorio nazionale, il che significherebbe la fine dello scialpinismo e sciescursionismo ed alpinismo ed escursionismo di vetta in Italia.
Non condivido però la Sua lettura di altri aspetti trattati nei nostri post. Riporto le parole di Crovella:
“La seconda considerazione che mi sorge spontanea è la seguente: come da me annerito in grassetto, Mori afferma che con decisioni tipo quella del Parco d’Abruzzo “sono state annientate le passioni della vita di tanti amanti della Natura”. Quanti errori concettuali e quante contraddizioni!!!
Li descrivo perché non sono errori e contraddizioni in cui cade il singolo scialpinista Pier Paolo Mori, ma sono errori e contraddizioni che contraddistinguono, purtroppo, l’attuale massa di individui che frequentano le montagne, con o senza sci.
Innanzi tutto una passione sportiva NON è un diritto che va “garantito” come implicitamente richiesto da Mori, visto che inserisce questa frase in una raccomandata “di protesta” indirizzata alla Procura.
In secondo luogo, lo spaccia per “amore per la Natura”: ma se ami davvero la Natura, ti inchini al predominante rispetto verso la Natura stessa, accettando (magari obtorto collo, ma accettando) di rinunciare/calmierare la tua passione sportiva in nome di un superiore rispetto nei confronti della Natura.”
Probabilmente la lettura che ha fatto Crovella dei nostri post non è stata adeguatamente approfondita. Ha un po’ banalizzato i nostri temi. Noi non siamo i discoli che vogliono andare a sciare in montagna nelle foreste fregandocene che diamo fastidio a Yoghi e Bubu. Il nostro discorso e’ molto più articolato. Partiamo dalla libertà di circolazione sul territorio stabilita dall’art. 16 della Costituzione. Accettiamo che ci siano vincoli e divieti qualora fondati su solide e puntuali giustificazioni scientifiche. Però le necessarie forti motivazioni scientifiche per vincoli e divieti non ci sono state, e tanto meno le motivazioni puntuali per ogni sentiero.
Chiediamo poi che ci sia da parte degli Enti Parco coerenza ed equità. Ad esempio, non è possibile che ci sia il divieto alle attività escursionistiche e poi:
L’Ente Pnalm ha recentemente autorizzato dei nuovi ristorantini alberghetti nelle zone più selvagge del Parco, qualcuno ci guadagna bene, però dove prima era il territorio incontrastato degli animali selvatici, la quiete, il buio, il silenzio, ora c’è un ristorantino alberghetto, un via di umani a tutte le ore, anche crepuscolari e notturne, odori di cucina, luci, voci, suoni, odori vari, una grande quantità di escrementi umani. Si è andati come umani ad occupare l’ultimo ed ormai unico e disperato rifugio degli orsi: il buio e la notte. Poveri Yoghi e Bubu.
L’Ente Pnalm ha autorizzato la trasformazione di stazzi abbandonati da decenni, remoti e diruti, che sono stati ricostruiti e sono diventati albergo diffuso. La presenza di umani benevoli nelle zone più integre e preziose del Parco gradualmente abitua gli orsi agli umani, è l’inizio della confidenza, il fenomeno per cui gli orsi perdono timore degli umani ed arrivano a frequentare i paesi. Questa è ormai una delle maggiori minacce alla sopravvivenza della specie. Poveri Yoghi e Bubu.
L’Ente Pnalm autorizza raduni e gite di grandi comitive, 20-30-100 persone, nelle zone selvagge del Parco. Tanti umani significa tanto odore e tanti suoni, che si cumulano fino a diventare vere e proprie bombe di puzza per gli orsi, che hanno olfatto e udito finissimi. Poveri Yoghi e Bubu.
L’Ente Pnalm autorizza e addirittura pubblicizza sulle sue pagine internet (pagate da noi cittadini italiani) gite guidate in gruppo negli orari crepuscolari e notturni, fatte apposta per incontrare gli orsi, dei veri e propri ecosafari, che vanno a invadere il territorio degli animali selvatici nel momento in cui sono più vulnerabili. Poveri Yoghi e Bubu.
L’Ente Pnalm autorizza massicci tagli boschivi, nelle zone selvagge e preziose del Parco. Via vai di camion, motoseghe, un tremendo frastuono, tanti umani dovunque, i sentieri che vengono devastati dal passaggio dei trattori. Poveri Yoghi e Bubu.
L’Ente Pnalm tollera la presenza nel Parco di importanti impianti da sci e tanti fuori pista nelle foreste adiacenti, un territorio dove più volte sono stati visti gli orsi, anche mamme con i cuccioli, forse disturbate nel letargo dagli sciatori o dai fuoripista in particolare con gli snowboard. Poveri Yoghi e Bubu.
L’Ente Pnalm tollera che le strade del Parco diventino delle piste per le corse in moto di grandi gruppi di motociclisti, con il rombo delle sgassate dei potenti motori che invade tutte le valli, arrivando fin nelle più appartate foreste e schive montagne. Poveri Yoghi e Bubu.
L’Ente Pnalm consente in alcune parti del territorio una fortissima pastorizia, anche in periodi dell’anno particolarmente delicati per il terreno come l’autunno inoltrato, anche in aree che l’Ente Pnalm considera così preziose per gli orsi da vietarle agli escursionisti. E pastorizia significa anche tanti branchi di grossi e feroci cani da guardiania, liberi di vagare ovunque, una potenziale enorme minaccia per i cuccioli di orso. Anni fa in zona Ferroio di Scanno fu ritrovata l’orsacchiotta Morena uccisa e con le orsa fratturate dai morsi. Non si è mai saputo chi è stato. Poveri Yoghi e Bubu.
L’Ente Pnalm effettua delle ricerche sugli orsi catturandoli con dei lacci o delle gabbie, uno stress enorme, poi arrivano le scienziate e gli scienziati e gli sparano il sedativo per addormentarli, un’operazione che comporta il rischio di avvelenamento e morte degli orsi, come è successo a Daniza in Trentino. Le povere bestie poi vengono incollarate, gli legano al collo un collare di cuoio che manda impulsi radio che poi le scienziate seguono a distanza. E i poveri orsi, decine, sono costretti a vivere con un collare intorno al collo, quanto fastidio. E che pena veder girare per monti e foreste il simbolo della natura selvaggia, l’orso, sempre con un collare degli umani al collo. Ma così le scienziate possono fare le loro pubblicazioni. Poveri Yoghi e Bubu.
Comunque, leggendo la disciplinare del 2020, non c’è una frase in cui sia presente la parola scialpinismo. Chiaro, alcuni divieti possono essere superflui ed esagerati, ma questa protesta sembra più una accusa personale che altro.
consumo sempre più intensivo del suolo, cementificazione, distruzione di montagne facendole a fette con le cave, rifiuti lasciati dovunque, impianti e piste da sci, ect, ect.
E per essere ambientalisti bisogna vietare lo scialpinismo??
Siamo veramente ridicoli, oltre che ciechi e opportunisti.
Massimo, stai pure tranquillo che di battaglie ambientali (vere) ne ho fatte in prima persona, esponendomi in prima persona. Ma sentire queste stronzate da ambientalisti da salotto mi fa ragionevolmente incazzare. La trave nell’occhio e si guarda la pagliuzza. Così come ormai la frase stra inflazionata “per le generazioni future”. E basta, non bisogna devastare il Pianeta, ma le generazioni future sapranno arrangiarsi da sole.
Il CAI in primis dovrebbe tutelare gli interessi dei propri iscritti, ovvero la frequentazione libera, consapevole e responsabile della montagna che implica ovviamente anche la tutela degli ambienti naturali; in Svizzera ci sono zone interdette allo scialpinismo in quanto aree di tutela della fauna ma ciò non impedisce di continuare a percorrere i classici itinerari di scialpinismo; un conto è la delimitazione motivata di alcune specifiche aree, un conto il divieto generalizzato senza alcuna plausibile spiegazione e come socio CAI, mi aspetto una presa di posizione da parte della presidenza generale
“La libertà di circolazione dovrebbe essere subordinata a quella di tutela degli habitat e della valorizzazione della cenosi, soprattutto per le future generazioni, secondo me. “
Mi trovo assolutamente d’accordo con Ines.
Però iniziamo dalla circolazione che realmente impatta e inquina, non con le cazzate su scialpinismo, sentieri (o pareti spittate), per favore!
Quindi automobili con peso massimo di 900 kg e potenza massima di 30 kW, qualunque combustibile. Moto, aeromobili e barche private a motore da diporto vietate.
Molto di quanto scritto nella “raccomandata” nasce dall’astio verso i Guardia Parco del PNALM che hanno emesso qualche tempo fa alcuni verbali per cani (da caccia tra l’altro) lasciati senza guinzaglio in riserva integrale dove nemmeno sono ammessi se legati, ovvero non sono ammessi nemmeno i padroni dei cani… le campane fanno Din Don Dan e fermarsi al primo rintocco spesso non consente di comprendere il “problema” ammesso che esista… buona Montagna a tutti
Certo che se l’humus su cui costruire una mentalità un po’ più ambientalista, non per noi ma per i nostri figli e nipoti, è quello dei commenti 9, 7, 5 e 4 strada ne facciamo pochina
Che cazzate..habitat naturali devastati dagli scialpinisti..vietiamo i rifugi e le polentate..il CAI così si estinguerebbe
Penso che Crovella e poi Tassi abbiano spiegato in modo esaustivo la complessità del problema e non c’è peggior sordo di chi vuole fare in montagna quello che vuole. La libertà di circolazione dovrebbe essere subordinata a quella di tutela degli habitat e della valorizzazione della cenosi, soprattutto per le future generazioni, secondo me. Oggi più che mai manchiamo di conoscenze ecologiche in nome dello sviluppo “sostenibili” e delle libertà individuali. Ho avuto modo di vivere il PNALM per 4 gg grazie a un corso nazionale per docenti organizzato dal CAI e ci è stato spiegato tutto con molta chiarezza dagli operatori e dai tecnici del parco, nato nel 1922.
Marco 4, fai bene a catafottertene.
Però ricordati del pensionato fermato sulla spiaggia del Mondello dall’elicottero deicarabbbbinieri nel aprile 2020.
Pazzesco che il CAI non intervenga. Club Alpino..mi fa ridere
Sto aspettando il giorno in cui non riusciremo a respirare, emette troppa co2, che è mortale per l’ambiente.
Di base il divieto è di percorrere la montagna fuori dai “percorsi ufficiali” del parco. Poi siccome ogni gita inizia su uno di quelli (che di solito sono roba da merendoni) ed al di sopra non c’è nessuno meno che mai panzoni della forestale, io me ne sono sistematicamente catafottuto.
Di fatto le restrizioni nel PNALM oggetto del contendere ci sono sempre state, ora vengono “solamente” fatte rispettare e analoghe misure protettive di alcuni ambienti delicati esistono e vengono rispettate anche in altre aree. Nello specifico è tutelato l’areale dell’Orso Marsicano di cui “sopravvivono” poche decine di esemplari. Personalmente lo scritto di “Pier Paolo Mori” (account FB decisamente anonimo) appare più un accanimento nei confronti dei vertici del PNALM piuttosto che altro; rimanendo in abruzzo solo per “esplorare” gli altri tre parchi potrebbe non bastare una vita e non ci sono solamente quello… l’Appennino ha aree immense dov’è poter andare con sci ciaspe o qualsivoglia altro in inverno e non credo occorra citarne altre. Poche decine di km quadrati di riserva integrale non credo possano impedire di sciare e frequentare le Montagne; quoto al 100% l’intervento di Carlo Crovella soprattutto quando parla di “appagamento individuale”, in alcuni casi ossessivo, dei numeri spesso fino a se stessi. Buona settimana a tutti.
Essere alpinisti, scialpinisti o escursionisti non è sinonimo di sostenibilità ambientale! Il danno antropico delle attività outdoor esiste e come al solito è una questione di flussi. Dieci escursionisti in una settimana non sono un problema, cento al giorno sono un problema. I Parchi sono porzioni di territorio prezioso e come tale vanno salvaguardati. Con sacrificio come scialpinista andrò altrove ma con la convinzione di averlo fatto a fin di bene. Spesso non ci rendiamo conto che i nostri Parchi sono unici e preziosi a livello internazionale. Faccio un esempio. Nei Parchi Nazionali l’introduzione dei cani anche al guinzaglio è vietata. Per farla semplice nei territori dove non esiste questa limitazione le malattie dei selvatici incidono almeno tre volte tanto. Ebbene quando lo fai notare ai padroni dei cani questi non hanno la percezione e sostengono sia una baggianata. Quando chiedi loro se farebbero le stesse rimostranze all’ingresso del Parco di Yellowstone piuttosto di qualche parco nel nord dell’inghilterra bene ti rispondono che quelli sono altri parchi più prestigiosi! Ecco peccato che a livello mondiale ad esempio il Parco del Gran Paradiso sia tra i primi venti per indici di “wildlife” e biodiversità ed i parchi inglesi abbiano invece un indice di “wildlife” prossimo a quello del parcheggio di un centro commerciale (Fonte BBC).
– Francamente colgo anch’io la contraddizione di fondo nell’esternazione del Mori con particolare riferimento alla posizione del CAI e ritengo che se prendessero campo restrizioni analoghe in altre aree protette, se ben motivate dal punto di vista scientifico, non rimarrebbe che adeguarsi; io vivo in Appennino e se dall’oggi al domani l’Ente Parco dell’Antola limitasse l’attività invernale ne sarei ovviamente dispiaciuto ma credo che ne comprenderei le eventuali motivazioni. Condivido l’idea per cui una porzione consistente di frequentatori della montagna sia un po’ troppo assatanata e in quanto tale decisamente deficitaria come cultura ambientale …