Doktor Kugy o Doktor Faust?

Doktor Kugy o Doktor Faust?
di Flavio Ghio
(pubblicato su Le Alpi Venete, autunno-inverno 2024-2025)

1944-2024, la memoria
Essere ricordato fu un punto fisso di Kugy quando era in vita. Mitteleuropeo, è ricordato anche da noi, ma non sappiamo quanto questo ricordare gli sarebbe andato bene. A volte il ricordo di famosi alpinisti diventa una camicia di forza che impedisce loro di essere quelli che erano in vita. Le loro azioni e i loro pensieri, espressione della libertà, sono la colla per attaccarli alle pagine dei libri. Ci sarà sempre qualcosa che sfugge e che sarebbe giusto rincorrere. Lodevole riproporre Kugy in modo semplificato a chi non sa nulla, ma quando le commemorazioni si avvicinano al secolo, è probabile che quanti hanno ascoltato la lezione siano una maggioranza che riceve sempre le medesime informazioni, quindi è probabile che a un certo punto pensino a Kugy come a un limone spremuto.

II giovane Julius Kugy ritratto presso lo Studio fotografico Sebastianutti & Benque di Trieste, “fotografi dell’imperial regia corte d’Austria e del Brasile”. Archivio CAI Sezione XXX Ottobre, Trieste.

Non è il miglior modo di richiamare l’intesse su Kugy, un ripetuto flusso di informazioni che lo accomuna all’Austria Felix: romantico, poetico, pacifista, cittadino europeo, sostenitore della tolleranza, del pluralismo linguistico, del rispetto reciproco tra i popoli, non tra le nazioni che all’interno dell’impero austroungarico erano bandite. Un corpus dottrinale simile a quello della Scolastica che si appoggiava più sull’autorità che sui fatti e che fu scosso quando la Terra perse la sua centralità nel cosmo.

Anche Kugy, favorevole alla conservazione dello status quo, fu scosso quando l’Europa disegnata dal Congresso di Vienna non fu più il centro del mondo. I cultori di Kugy, appoggiandosi ai suoi Ipse dixit, di cui uno è stato anche “monumentalizzato” in Val Saisera, si preoccupano che la sua storia ormai formulare non desti interesse; così propongono le trovate estemporanee per ravvivarlo. Kugy è nel letto di Procuste di iniziative di ogni tipo: kermesse, tour, eventi, piatti tipici. Chissà se lui, che in montagna preferiva i bivacchi sotto le stelle ai rifugi, i silenzi più del clangore dei raduni, che cercava la qualità più della quantità, si riconoscerebbe in questo ricordare.

Le novità si fermano alle vivaci iniziative collaterali, per questo il monumento di parole che veicola Kugy non deve cambiare. Ha fatto scuola Claire-Éliane Engel, che afferma: «Lo stile di Kugy è semplicissimo» (1). Nessuna indagine: Kugy si spiega da sé.

Lo schizzo per mano di Kugy della Via Eterna, itinerario che percorre il gruppo del Jôf Fuârt/Wischberg. Archivio CAI Gorizia.

Così le problematicità presenti nei suoi testi scompaiono. Eppure basta confrontare certe sue affermazioni per farle riapparire. Sono le discordanze che permettono di arrivare là dove le concordanze si fermano. Lo sanno gli alpinisti che non ci si innalza su muri perfettamente lisci.

Non serve leggere l’opera omnia di Kugy per incontrarle; siccome Kugy ruota in continuazione il caleidoscopio dei ricordi, troviamo mescolati in articoli nuovi parti di articoli già scritti, così le discordanze si trovano in un solo articolo. Come lo scritto di Kugy per Alpinismo eroico, il libro pubblicato per ricordare Comici scomparso l’anno prima. Kugy racconta la sera alla Taverna Gelbmann, quando ricevette la notizia che l’anello delle cenge degli dei era stato completato ed esclamò: «Bravi! […] allora voi avete aperto la via Eterna!» (2). Appena quattordici righe dopo, commenta la maggiore impresa di Comici:

«Comici ci ha dato la prova che la Grande Cima di Lavaredo dal Nord è veramente impossibile. Ma questa prova per noi alpinisti non era necessaria: lo sapevamo già» (3). È normale saltare dal «Bravi!» al biasimo, allontanando Comici anche dal novero degli alpinisti?

Poi l’ironica conclusione: «Nell’amore per la montagna non c’era alcuna differenza fra noi» (4) per rattoppare la calza bucata e cancellare la dissonanza. Si privilegia un’affermazione di maniera, dettata da quel Nicodemismo (atteggiamento di chi, aderendo a una fede, si astiene dal professarla) che Kugy usava per attraversare il campo minato dei lettori di fede italiana che non conoscevano la cultura tedesca. Si ricorda che la prima cattedra di letteratura germanica è del 1907 a Torino e fu affidata ad Arturo Farinelli che aveva trascorso otto anni a Innsbruck insegnando, tra l’altro, filologia romanza.

Può essere che questa discrepanza, mescolata ad attestazioni di fiducia sparse qua e là, riveli l’irritazione per un disagio di cui non ci rendiamo conto. Ci avvicineremo maggiormente al Kugy reale rimettendo in moto il suo pensiero piuttosto che dare movimento, spostando le bacheche e le suppellettili del museo dove è stato collocato.

L’elegante Julius Kugy a 78 anni, sempre a contatto con le sue montagne. Archivio CAI Gorizia.

Il centro radiante
Per capire quale tipo di disagio possa averlo portato all’asprezza, lasciamo momentaneamente l’alpinismo e osserviamo come Kugy descrive altre due passioni: la botanica e la musica.

«Richard Kühnau, da molti anni contabile nella nostra azienda commerciale, s’era incaricato di disciplinare la mia passione per la botanica e per la musica» (5). Possiamo trovare qui il motore immobile sul quale si innestano le passioni della sua vita?

«Non è forse la musica simile per certi versi alla botanica e alla contemplazione delle piante? Certo io ascolto pedali, duces e comites delle fughe, strumenti di legno, ottoni, incantevoli varietà, profondi, violenti bassi continui. Ma ciò che più mi incanta è il suono totale, l’unità conchiusa: l’unità conchiusa di melodie, di armonie, di incredibili ricchezze di colori e di raggianti effetti. Ne sono felice. Non cerco l’analisi. Teoria musicale, scienza del basso continuo e del contrappunto sono messi da parte, stanno sepolti nell’inconscio» (6).

Kugy cerca la totalità che dà senso alle cose, non scompone il tutto nelle sue parti. Questo è il nucleo radiante del suo pensiero con il quale si dedica alla musica, alla botanica, e anche all’alpinismo. Kugy è un botanico sistematico, riconduce ogni esemplare di pianta a uno schema scendendo dal Regno fino alla Specie. Ma quando erborizzando arriva nelle Giulie, il caso vuole che l’esemplare da catalogare fosse incatalogabile, un fiore che non c’è: la Scabiosa Trenta. Non griderà mai «Eureka!» anche se avrebbe dovuto farlo perché cercandolo sempre più in alto, il fiore che non c’è gli ha aperto le porte della montagna portandolo nel regno dello Zlatorog e del Tricorno.

Lo struggimento del botanico non riguarda l’alpinismo, ma sono le radici dell’alpinista.
Ha fatto un percorso imprevedibile, e non sarà l’unico: da botanico ad alpinista, e l’accadere dell’imprevedibile ricorda il miracoloso.

La lapide che, con felice continuità, decora Palazzo Coronini-Cronberg a Gorizia, dove nacque Julius Kugy il 19 luglio 1858. Archivio CAI Gorizia.

L’ingresso miracoloso nell’alpinismo si accompagna all’intuizione che la montagna sia una forma analogica dell’Eternità. «[I monti] brillano, sopra i destini umani, oltre le generazioni, nella loro inesausta bellezza. Tutti gli anni accendono in mille cuori giovanili e benedetti la fiamma santa e pura dell’amore che anela all’eternità delle cime» (7).

Se la montagna è divina, l’alpinismo sarà un servizio che l’alpinista, transeunte e mortale, rende all’eternità della montagna. Lo dirà anche nella prefazione del suo primo libro: «È un rendimento di grazie. E vorrebbe essere un Cantico dei cantici innalzato a gloria e laude della montagna!» (8).

Il servizio deve essere rispettoso: «Quando mettiamo piede nei loro palagi, comportiamoci da ospiti modesti in casa dei potenti» (9).

Il rispetto dell’auctoritas è uno dei valori mitteleuropei che servono a Kugy per raccontare le sue montagne. Assomiglia al cerimoniale prestabilito con cui il suddito si rapporta al sovrano. La scuola rispettosa raccontata da Kugy è il cerimoniale alpino del rapporto con la montagna divina ed eterna. Per l’alpinismo successivo sarà un cerimoniale del timore che ha potere di frenare le iniziative del singolo. Così verrà sostituito dal cerimoniale dell’ardimento che ha in Napoleone Cozzi, l’altra anima dell’alpinismo triestino, il suo profeta. Perché Kugy non si è limitato a salire le montagne, ma a un certo punto ha voluto celebrarle con il canto? Per lo stesso motivo per cui non si è acquietato sapendo che la Scabiosa Trenta era una chimera e l’ha conservata nei sogni, che possono essere anche raccontati ma non esperiti nella realtà. Da qui il suo struggimento per quel fiore.

Siamo noi che scambiamo mezzo Kugy per l’intero, ignorando che ci sono desideri nei suoi racconti che ambiscono a essere realtà. È lo Streben dei romantici tedeschi, che vorrebbe colmare ogni separazione, e avvicinare la lontananza stessa. Lo Streben lo porta a constatare che le sue vie, pur diverse, si assomigliano per non avere avvicinato l’eterno che pure hanno scalato.

L’attimo
Le vie del doktor Kugy sono come gli studi del doktor Faust, non portano lontano: «Filosofìa ho studiato, diritto e medicina, e, purtroppo, teologia, da capo a fondo, con tutte le mie forze. Adesso eccomi qui, povero illuso, e sono intelligente quanto prima! Mi chiamano magister, mi chiamano dottore» (10).

Anche il dr. Kugy si rende conto che la sua grande conoscenza della montagna lo ha reso più operativo, è stato anche uno stimato Alpinreferent, ha dato anche di più di quello che ci si attende da un Alpinreferent, ma questo non lo ha reso più sapiente.

Il dr. Faust scoprirà la forza del fare, il dr. Kugy quella dell’indagine, della contemplazione attiva: «Noi alpinisti amiamo i monti con tutto il cuore. Li guardiamo sempre. A questo amore, a questi sguardi, va aggiunto un terzo elemento, l’indagine» (11). Andare in montagna, starle accanto, cantarla non basta a trovare l’agognata unità. Bisogna agire, ma una via che porta in cima, pur seguendo le forme della montagna, pur percorsa con deferente rispetto, resta sulla superficie e non entra nelle cose. Per penetrare la realtà il dr. Faust evoca lo spirito della Terra, Kugy inizia a indagare ciò che lo circonda. Osserva la natura, segue i percorsi dei camosci: «La scoperta, il battesimo e l’introduzione di queste Cenge degli Dei nella nomenclatura costituiscono la parte migliore delle mie fatiche alpine» (12); ascolta le leggende dei valligiani, i nomi segnano le tappe del suo pensiero: «Battezzai queste cenge chiamandole “Cenge degli Dei”, nome accolto anche dalla nomenclatura italiana» (13); interroga i grandi cacciatori, soprattutto quello con il dito ammonitore su labbra chiuse e «diversi particolari che ebbe a dirmi li abbiamo trasformati in imprese temerarie, felicemente riuscite» (14). Le saghe nordiche e la tetralogia wagneriana dell’anello del Nibelungo fanno correre la sua fantasia: «Non è un’autentica meraviglia delle Giulie questo anello magico?» (15).

Kugy capisce che non conta la quantità delle vie fatte, il numero è muto senza salto qualitativo. Fondamentale è la qualità della via, non l’essere la centesima o la cinquecentesima. Anche se la tecnica, per assurdo, permettesse l’accesso a una serie di ascensioni tendente a infinito, sarebbe un cattivo infinito, non c’è salto, è pura quantità senza qualità. Kugy cerca di fare un salto qualitativo che interessi anche il ricordo, quando chi lo ha conosciuto cesserà di parlare di lui: «Qui e là la mia memoria sarà tramandata da chi mi conobbe, ai figli ed ai nipoti; e quando il ricordo personale sarà spento, quando la tradizione sarà impallidita, il mio nome suonerà ancora tra queste pareti con aria di leggenda» (16)

Le cenge
Ovviamente il salto qualitativo non può essere una via come le altre, quale forma deve avere la via del salto per differenziarsi ed essere una via delle vie, che conduca a qualcosa di più importante della cima e che permetta all’uomo di sentire, anche solo per un attimo, la presenza dell’eternità. Allora sì che si chiuderebbe il cerchio e lo Streben troverebbe pace.

Quell’attimo dovrà essere tutt’uno con l’anima di chi lo esperisce, non durata ma solo pura, infinita intensità. Un attimo per il quale valga la pena compiere il gesto del dr. Faust, stringere la mano al diavolo: «Se dirò all’attimo: Sei così bello, fermati! allora tu potrai mettermi in ceppi, allora sarò contento di morire!» (17). E allora, come per incanto la montagna inizia a parlare a Kugy: «Abbiamo guidato per vie ardue e nascoste i tuoi primi maestri, i bracconieri, verso nuove e sempre più ricche riserve di caccia. Ti conduciamo alle cime che brillano lassù, oltre gli orrori e le meraviglie dei precipizi, attraverso la gloria delle pareti in gole che nessun essere umano ha mai visto, su pendii che nessuno ha ancora salito, per vie nuove che nessuno ha mai calpestato. Ti offriamo un guanciale di fiori per il riposo, fresche e magiche polle per la tua sete, sicuri ripari per la notte, sensazioni, gioie, ricordi innumerevoli e infiniti. Troverai l’azzurro araldo del cielo, vedrai camosci giocare pascolando. Seguici. Noi ti daremo l’accesso a quanto il tuo cuore brama, alla felicità fra i monti» (18). Le cenge svelano a Kugy i segreti della montagna: «Quando vidi chiaramente come stavano le cose e notai improvvisamente la coincidenza delle mie osservazioni con alcune notizie del vecchio Pesamosca che mi erano parse incomprensibili, ebbi la gioiosa sensazione di aver rubato alle Alpi Giulie uno dei loro più belli e gelosi segreti» (19). In un attimo, le precedenti esperienze alpine sbiancano al bagliore della nuova visione: «Così m’è venuto varie volte il pensiero che si potrebbe forse combinare un anello di cenge intorno a tutta quell’immensa isola di roccia formata dal Jôf Fuârt coi baluardi della Cima de lis Codis e l’intera catena delle Madri dei Camosci» (20). Le cenge degli dei a differenza delle altre vie concedono all’uomo di avvicinarsi al divino: «China la fronte; il tuo piede calpesta le vie degli Dei! Nessuna epigrafe lo dice lassù, ma il tuo cuore tremante lo dirà, compreso di venerazione, quando seguirai quelle cornici sottili e vertiginose, scolpite nella roccia» (21). Un abbraccio, un percorso omniavvolgente che accarezza le pareti, non le taglia con un colpo di spada come le altre vie: «Ma per quanto queste siano strane e significative, non raggiungono quel peculiare fascino mistico che mi pare aleggi sopra le “Cenge degli Dei”. Questo nome potrà dare un’idea di quel che sentii quando mi si rivelò il meraviglioso enigma di quelle tetre pareti» (22).

La via Eterna è un “ponte divino” tra l’uomo transeunte e la montagna eterna. Kugy sente che questa non è solo un’idea e proverà a descriverla.

Il monumento di Kugy nei pressi del Passo della Moistrocca/Vršičin, in Val Trenta. Archivio CAI Gorizia.

Il patto
C’è un pericolo: se quella via sarà solo descritta e non realizzata, rimarrà sui libri, sarà un’altra Scabiosa Trenta: una chimera, il delirio di un vecchio, e lui dovrà dire addio all’essere rimemorato in eterno.

Lui non può percorrerla per l’incipiente vecchiaia: «A causa della mia grave età e della mia invalidità militare era da escludere un tentativo da parte mia» (23). La prudenza lo frena, ma la tentazione è forte: «L’idea è fantastica, un successo di tal genere sarebbe immenso. Quando scrissi questo capoverso, ricordo benissimo, avrei voluto subito cassarlo: mi pareva troppo arrischiato e mostruoso» (24). La tentazione diventa incontenibile. Vorrebbe la realizzasse il suo assistente, quel Dougan-Wagner che come Avatar di Kugy ha già salito l’Elbrus nel 1929: «Bene, mi dissi, se io non posso più farlo, sarà Dougan ad attuare quel mio vecchio desiderio. Fra camerati è indifferente chi ci va» (25). Nel 1930 Wladimir Dougan-Wagner, con i metodi della scuola rispettosa, fallisce.

Che fare? Una vita dedicata alla ricerca della verità della montagna rischia il naufragio. La strada è stata individuata, ma se nessuno è in grado percorrerla, è un’illusione. Per superare questa impossibilità il dr. Faust si è affidato a Mefistofele, il dr. Kugy si affida al luciferino Comici: «Ci voleva uno dei più moderni arrampicatori, di prim’ordine, fornito di tutti gli accorgimenti tecnici della nuovissima scuola, non soltanto delle oneste mani che io, seguace della vecchia scuola, avevo a disposizione» (26). Il prezzo da pagare è alto: ha venduto l’anima della scuola rispettosa che finisce, che non verrà più seguita, ma lui sarà ricordato in eterno. La via Eterna è stata realizzata con gli artifici che la scuola rispettosa combatteva. In Dal tempo passato inserisce l’immagine della corda doppia e del pendolo con una didascalia; un libro uscito postumo quando tutto è ormai compiuto. Kugy vuole metterci in guardia, definisce quel pendolo “famigerato“, perché risultato di un baratto gravido di conseguenze.

Sulla “Cengia degli dei”, oggi. Foto: Matteo Cimolino.

Il lato oscuro
Con l’equazione Montagna eterna = via Eterna, la montagna e l’andare in montagna sono due aspetti della medesima sostanza. La montagna è eterna per analogia, l’uomo eterno in virtù dell’essere ricordato. Kugy giunge dove nessun alpinista era riuscito: dare una forma all’anelito e allo struggimento. In questo il dr. Kugy è stato un grande alpinista. Ha mostrato l’unità del tutto in alpinismo dopo averlo vagheggiato da botanico e da musicista.

Che fare? L’ideatore della via Eterna ha costruito il cavallo di Troia che ha portato la scuola moderna nella cittadella rispettosa dell’alpinismo e la raderà al suolo. Sui fogli illuminati dal bagliore degli incendi scrive: «Subentrava il presentimento. Ma questo è fallace, può illudere e far balenare cose che non sono più vere e non sussistono affatto. Frane e crolli modificano il volto della montagna» (27). La scuola moderna è un feedback aperto e senza ritorno, l’esatto contrario del simbolo presente nella via Eterna. Allora Kugy segnala il pericolo: «Nelle sue condizioni attuali il tragitto circolare sarà accessibile soltanto ad un ristretto numero di superaudaci e io mi guardo bene dal desiderarne, o peggio consigliarne, la ripetizione. Al contrario, mi vorrei mettere al suo ingresso con la man alzata per dissuadere i candidati all’avventura» (28).

Rimane un lato oscuro. Nei suoi libri ha parlato dell’etica rispettosa della sua scuola, ma per realizzare il sogno ha fatto una scelta: lui, cavaliere senza macchia, si è consegnato al diavolo. Per essere ricordato in eterno ha spalancato la porta alla tecnica che fino a quel momento aveva tenuto sprangata. Se il dr. Faust di Goethe anticipa l’uomo moderno, il dr. Kugy anticipa l’alpinista moderno. Non per la difficoltà delle sue imprese, ma per questo tormento, perché la profondità dell’attimo in cui ha fatto quella scelta supera la via particolare e colpisce l’anima.

L’unità raggiunta è luciferina, il tormento del dr. Kugy si trasmette a quanti ancora cercano questa sintesi e scoprono che la ricerca li ha segnati. Non per caso, Comici confessa alla musicista Rita Palmquist: «Ho lavorato intensamente per sviluppare il mio fisico, i miei muscoli e sono riuscito come pochi; ma tutto ciò a danno della mia vita interiore» (29). Non è casuale che Enzo Cozzolino confidi a Marcello Rossi, incontrato al Vazzoler qualche giorno prima, di cadere dalla Torre di Babele: «Tutto quello che faccio è in funzione dell’alpinismo. A volte mi vengono dei dubbi e mi chiedo se sia giusto dare tutto alla montagna» (30).

Forse tutto questo può sembrare sproporzionato. Può essere. O forse oggi si vende l’anima al diavolo senza saperlo.

Note
1 – Claire-Éliane Engel, Storia dell’alpinismo, Mondadori, 1969, p. 159.
2 – Emilio Comici, Alpinismo Eroico, Hoepli, 1942, p. 197.
3 – Emilio Comici, Alpinismo Eroico, ibidem.
4 – Emilio Comici, Alpinismo Eroico, cit. p. 198.
5 – Julius Kugy, Dalla vita di un alpinista, Tamari, Bologna, 1967, p. 25.
6 – Julius Kugy, Dal tempo passato, Libreria Adamo, Gorizia, 1982, p. 199.
7 – Julius Kugy, Dal tempo passato, cit. p. 321.
8 – Julius Kugy, Dal tempo passato, cit. p. 16.
9 – Julius Kugy, Dal tempo passato, cit. p. 113.
10 – Johann Wolfgang Goethe, Faust, Acrobat, p. 9.
11 – Julius Kugy, Dal tempo passato, cit. p. 137.
12 – Julius Kugy, Dal tempo passato, ibidem.
13 – Julius Kugy, Dal tempo passato, cit p. 120.
14 – Julius Kugy, Dal tempo passato, ibidem.
15 – Julius Kugy, Dal tempo passato, ibidem.
16 – Kugy, Dalla vita di un alpinista, cit. p. 209.
17 – Johann Wolfgang Goethe, Faust, cit. p. 37.
18 – Julius Kugy, La mia vita, Edizioni Ricerche, 1993, p. 129.
19 – Julius Kugy, Dalla vita di una alpinista, cit. p. 138.
20 – Julius Kugy, Dalla vita di un alpinista, cit. p.131.
21 – Julius Kugy, Dalla vita di un alpinista, cit. p.132.
22 – Julius Kugy, Dalla vita di un alpinista, ibidem.
23 – Julius Kugy, Dal tempo passato, cit. p. 120.
24 – Julius Kugy, Dal tempo passato, cit. p.137.
25 – Julius Kugy, Dal tempo passato, cit. p. 55.
26 – Julius Kugy, Dal tempo passato, cit p. 138.
27 – Julius Kugy, Dal tempo passato, ibidem.
28 – Julius Kugy, La mia vita, Tarvisio, 2011, p. 205.
29 – Emilio Comici, Alpinismo Eroico, cit, p. 200.
30 – Cfr. Lo Scarpone, Marcello Rossi, “E il sole è tornato a splendere sulla Civetta…”, 1972.

Doktor Kugy o Doktor Faust? ultima modifica: 2025-04-13T05:41:00+02:00 da GognaBlog

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11 pensieri su “Doktor Kugy o Doktor Faust?”

  1.  Ma questo vale quello che vale, in parete si va dove il cuore se la sente di andare

    Oltre al cuore  ci metterei anche la mente. Un misto di emozioni e razionalità.

  2. Salve Cominetti mi astengo dallo scrivere commenti  quando viene pubblicato un mio testo perché ogni scaraffone … ma in questo caso, essendo la tua domanda laterale, rispondo volentieri.
    Siamo arrivati in cima, c’è anche una mia foto lassù scattata da Enzo Cozzolino. In questo caso  più kugyani sono i ripetitori che se ne vanno  per la seconda cengia.
    Meno noto è che non abbiamo fatto la traversata di due tiri di corda verso il centro della parete. Dal terrazzino siamo saliti  diritti  per poi obliquare verso sinistra e arrivare sotto il diedro giallo. Ma questo vale quello che vale, in parete si va dove il cuore se la sente di andare

  3. Flavio Ghio? Quello della via dei Fachiri con Enzo Cozzolino, immagino.
     
    Quale onore!
     
    Approfitto per chiedere se la suddetta via la finiste sulla seconda cengia o siete saliti fino in vetta?
    So che non c’entra con Kugy ma ricevo le Alpi Venete da decenni e un numero si e uno no, se ne parla…e va bene così. Grazie.
     
     
     

  4. Quando fece il Gran Combin con Creux si trovò a dover scavare nella neve dove passare la notte

  5. Carlo, non è la bibliografia di Kugy, sono i testi dai quali sono state tratte le note inserite nel testo.

  6. Ciao Flavio!Bello scritto. La tua descrizione dell’atteggiamento mitteleuropeo mi ha riportato a pensare ai miei nonni… il loro modo di vedere la vita così diverso da qualsiasi altro si conosca e che anche nella nostra bellissima città ormai è scomparso, forse, del tutto. Rimane ancora qualche strascico nella gente della nostra età che ha potuto respirare il “Viva l’A e po’ bon!”.
    Venendo invece ad Alpinismo Eroico, che come ben sai, fu riedito ricopiando uno dei testi della prima edizione, in quanto i clichets andarono perduti in un incendio, mi sono convinto, anche a seguito di diverse conversazioni coi  vecchi alpinisti della nostra città (oramai purtroppo tutti scomparsi), che se non per dolo ma per errore, qualcosa nel testo è stato ritoccato. 
    La figura di Comici non risulta quella dell’uomo che essi conobbero (mia nonna lo aveva conosciuto e me parlava in modo piuttosto differente da ciò che emerge nel testo).Allo stesso modo la “doppia faccia” di Kugy mi ha sempre sollevato qualche dubbio.
    La Scabiosa Trenta poi, sicuramente per un periodo mito botanico, fu analizzata nell Erbario del Museo di Lubiana dal botanico Anton Kerner, il quale scoprì che altro non fosse che Cephalaria Leucantha, specie già nota, pubblicando nel 1893 sul Bollettino botanico austriaco. Kugy sicuramente ne era al corrente visto, che la scoperta fu fatta nel mentre lui esplorava le Giulie alla sua ricerca.Oserei dire che Kugy mantenne quel mito non realisticamente ma come un totem per esaltare la sua personale visione della montagna, luogo mistico e leggendario. 
     
     

  7. Buon articolo, ricco e sapiente di una ricerca laboriosa sul protagonista, che apre la mente verso mille rigagnoli di riflessioni.
    Cantore degno della sua epoca.
    Ricercatore e naturalista. 
    Vero uomo a mani nude.
    Riversata la sua esistenza nell odierno fa sorridere ma anche meditare quanta superficialità e denaro scorra tra la dolomia e le  croste laviche pietrificate delle cenge degli Dei.
    Oggi il demone del successo della conquista e dell esser qualcuno e per questo ricordato la fa da padrone ;solo di striscio appare Faust nell esistenza di Julius.
    Doktor Kugy la sua purezza brillerà ancora a lungo e non solo ad Est! 

  8. Non si cerchi nel monte un’impalcatura per arrampicate. Si cerchi la sua anima.
    (Julius Kugy)

  9. Gli articoli di montagna con que4sto taglio “storico” sono i miei preferiti.

  10. Scrive che non serve leggere tutto di Kugy per conoscere Kugy.
    Mi chiedo se Ghigo lo abbia fatto
    E mi rispondo che No visto che anche nella bibliografia mancano due titoli

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