Da anni lavori di sbancamento e di deforestazione feriscono la montagna nell’Appennino marchigiano, per permettere il rinnovamento e l’ampliamento degli impianti sciistici. Ma le Sezioni locali del CAI, insieme alle associazioni ambientaliste, non ci stanno.
Dolore Acuto
di Martina Nasso
(pubblicato su Montagne360, aprile 2020)
Foto di Luca Biagetti
La montagna ferita grida il suo dolore acuto. Per gli alberi sradicati, per la roccia scavata in profondità e per il suo volto, irrimediabilmente ormai deturpato. Il Monte Acuto, cima minore del complesso del Catria, nell’Appennino marchigiano, da anni è oggetto di lavori di sbancamento e deforestazione per permettere l’allargamento e il rinnovamento degli impianti sciistici già presenti da decenni sul posto. Il progetto che ha autorizzato i lavori, quasi totalmente finanziato dalla Regione Marche, prevede una spesa di circa 3.500.000 euro per l’allargamento delle piste, la costruzione di due seggiovie, di uno skilift, di un impianto di innevamento artificiale e uno di illuminazione delle piste. A fine ottobre, CAI Marche, CAI Montefeltro e CAI Pesaro hanno organizzato un raduno sulla montagna devastata dal nome evocativo, “Dolore Acuto” appunto, e hanno chiamato a raccolta i gruppi regionali CAI di Toscana, Umbria ed Emilia Romagna, nonché numerose associazioni ambientaliste, per manifestare contro la ferita inflitta.
Una scelta miope
Gli impianti sciistici sull’Acuto risalgono agli anni ’70. L’area è compresa tra i 1200 e i 1500 metri di quota. Il primo impianto di risalita di proprietà pubblica venne costruito nel 1976 e chiuso al termine della stagione invernale 1988-89. Dopo circa due decenni di abbandono, partirono i lavori di ripristino e di ampliamento finalizzati alla riapertura degli impianti nel 2008, seguiti poi da quelli attualmente in corso, iniziati nel 2018. Tutti questi interventi, portati avanti grazie a importanti finanziamenti pubblici, tradiscono una logica di sfruttamento che nulla ha a che vedere con lo sviluppo sostenibile del territorio montano e dei suoi stili di vita. Inoltre, la scelta di finanziare un simile progetto appare totalmente miope se si pensa a quanto l’effetto della crisi climatica in atto stia incidendo sull’ambiente montano, in particolare per quanto riguarda la riduzione della quantità di neve. Non è un caso che già nel 2013, come ricorda Filippo Di Donato, rappresentante CAI in Federparchi, il CAI nel Nuovo Bidecalogo espresse la sua contrarietà alla realizzazione di nuove stazioni sciistiche sotto i 2000 metri di quota e all’ampliamento dei comprensori sciistici esistenti, nonché a nuove opere a fune per raggiungere vette, ghiacciai, valichi, o territori che comunque superino i 1600 metri sulle Alpi e i 1200 metri sull’Appennino. «Le attività legate agli sport invernali – spiega Di Donato – sono ancora attive per lo più grazie ai finanziamenti pubblici. Anche loro devono fronteggiare i mutamenti climatici e, per questo motivo, chiedono sempre più risorse economiche per le infrastrutture e risorse ambientali per l’innevamento artificiale».
A sottolineare la miopia della scelta compiuta è anche Fabio Taffetani, professore ordinario di Botanica sistematica all’Università Politecnica delle Marche. Secondo l’esperto, che denuncia il grave danno ormai già causato a «una serie di habitat unici per la ricchezza e la rarità della flora», le risorse andavano investite in tutt’altro modo: «In quell’area esistono tutte le condizioni per far partire un turismo sostenibile basato sul cammino lento ed escursionistico che non hanno eguali in altre aree dell’Appennino: rete efficiente di sentieri, elevato numero di rifugi disponibili e ben tenuti, gestione sostenibile delle foreste, servizi per la zootecnia con alpeggio, numerosi centri abitati di fondovalle vitali e accoglienti con attività tradizionali e motivi di interesse storico e culturale. Quello che manca nella zona sono le possibilità di alloggio a basso costo, che possono dare impulso a una imprenditoria familiare diffusa (che inverta il declino delle attività produttive e l’esodo della popolazione più giovane): sarebbe bastato un terzo dei soldi pubblici che sono stati impiegati per distruggere il versante orientale del Monte Acuto per sistemare decine di case coloniche, seguendo una logica di sviluppo sostenibile mirata a rivitalizzare e recuperare luoghi che altrimenti andranno incontro all’abbandono».
Una gestione ecosostenibile
Anche in altre aree dell’Appennino sono in corso interventi simili, come i lavori agli impianti di risalita tra il Corno alle Scale e il comprensorio sciistico di Doganaccia, progetto al quale si sono opposti CAI Emilia Romagna e CAI Toscana. L’azione delle associazioni, però, non può bastare. Di Donato conclude: «Chiediamo un impegno a livello di Governo e Regioni, affinché le politiche del territorio siano in linea con i trattati e le convenzioni nazionali e internazionali che spingono verso una corretta, lungimirante ed ecosostenibi- le gestione e fruizione delle risorse ambientali e montane».
L’alleanza
di Natalino Pierpaoli
(mail 26 giugno 2020 indirizzata a Francesco Scoppola, poi girata ai membri del Comitato scientifico di Mountain Wilderness))
[…] Il comprensorio sciistico del Monte Acuto (Massiccio del Monte Catria, dorsale Umbro-Marchigiana, in provincia di Pesaro-Urbino), fu realizzato alla fine degli anni ’70 ad opera del Consorzio di bonifica montana dell’Appennino pesarese e del Comune di Frontone. L’impianto venne servito da una funivia monofune che univa la località Grotticciole 567 m alla Cupa delle Cotaline 1386 m e da un ristorante-rifugio realizzato dalla trasformazione di un preesistente capannone-stalla presso Cupa delle Catoline; vennero pertanto realizzate alcune piste aperte all’interno della faggeta di Cupa delle Cotaline-Gorghe-Travarco, oltre a uno skilift. Anche allora non mancarono proteste e denunce da parte delle associazioni ambientaliste. Gli impianti dal dicembre 1980 passarono di proprietà al Comune di Frontone, rimanendo in funzione fino all’inverno 1988-89. Da questa data l’intero comprensorio rimarrà chiuso e in stato di abbandono. Nel frattempo la funivia Grotticciole-Cupa delle Cotaline passerà di proprietà alla Provincia di Pesaro e Urbino. Nel 2000 l’intera area del Monte Catria e del Monte Acuto diverrà Zona a Protezione Speciale (ZPS) quindi più tardi SIC (Sito di Interesse Comunitario) oltre ad essere vincolata sul piano floristico dalla legge regionale.
Nel gennaio del 2009, dopo ristrutturazioni degli impianti di risalita e l’allargamento di alcune piste, l’impianto è stato di nuovo riattivato. Nel 2013 è stata realizzata una nuova pista da sci, sempre nei pressi del comprensorio, eradicando 6300 mq di faggeta (senza autorizzazione) per una lunghezza totale di 440 metri. Dal 2017 sono iniziati i lavori di modifica dei vecchi impianti di risalita, così come quelli di riattivazione e messa in sicurezza di tutte le vecchie piste. L’autorizzazione prevedeva l’eradicazione di 2,67 ettari di bosco per l’ampliamento delle piste e la realizzazione di una nuova seggiovia, in realtà da un confronto di immagini satellitari riprese in anni diversi ho calcolato, per mezzo di un software Gis, l’eradicazione di oltre 6,20 ettari di bosco. Premetto che i lavori sono stati considerati (arbitrariamente) come di straordinaria manutenzione, quindi soggetti solo a VIncA, eludendo l’assoggettamento a VIA. Nel nuovo progetto infine sono previsti la realizzazione di un ulteriore nuovo skilift, al di sopra delle Cotaline, e un impianto di innevamento artificiale.
Lo scorso settembre 2019 mi sono incontrato con alcuni rappresentanti di un pool di associazioni ambientaliste, sia nazionali che locali, con a capo Italia Nostra onlus Marche dell’amico Maurizio Sebastiani, con le quali ho stretto una serrata collaborazione che è sfociata nello studio sistematico ed estensivo della situazione su diversi piani, da quello territoriale autorizzativo (urbanistico-paesaggistico) a quello botanico, sino a quello dell’assetto idrogeologico. Abbiamo quindi formato un gruppo ristretto di persone che si è presa la briga di occuparsi di questi vari settori, alla fine abbiamo messo insieme tutta una serie di considerazioni e valutazioni che hanno prodotto, grazie anche al supporto di uno studio legale di Ancona, un corposo esposto che è stato depositato, martedì 23 giugno 2020, presso la Procura di Urbino. Le ipotesi di reato sono diverse e di una certa gravità.
Proprio domani, 27 giugno, alle ore 11.00 in località Fonte Avellana, presenteremo con una conferenza stampa la vicenda. Saremo all’aperto, stante la situazione CoViD-19 nel rispetto della distanza di sicurezza e dell’indossare la mascherina. Nostra intenzione è diffondere la notizia a un vasto pubblico, non solo per avere un’eco mediatica di maggior peso ma anche (per mia convinzione) per risultare utile ad altre cause, come quella attuale del Terminillo.
L’esposto è stato firmato da dieci associazioni ambientaliste, nello specifico: Italia Nostra, WWF, LAC, Legambiente, LAV, LIPU, CAI, Pro Natura, GrIG e Lupus in Fabula.
Sempre sullo stesso fronte, ma con uno sguardo che va più lontano, vorrei lanciare una ulteriore proposta (già palesata ad altri in “gruppo ristretto” che l’hanno ben accolta) la quale dovrebbe seguire l’atto di denuncia come naturale impegno volto a cercare di creare una più solida consapevolezza tra gli attori principali del contesto territoriale interessato, ossia gli abitanti.
Perché per quanto sia facile [in realtà non lo è affatto] denunciare, occorre anche aver presente quale possa essere un percorso alternativo di sviluppo (non solo economico, ma anche sociale e culturale) per un territorio che oggettivamente, mi rendo conto, ha delle forti potenzialità di crescita sostenibile.
Non si tratta di imporre o esportare un modello ma di proporre delle idee, in modo dialettico quindi con un confronto attivo, ai veri protagonisti di questo possibile cambiamento, i quali come detto sono esclusivamente le persone che vivono e lavorano in quel determinato territorio.
Per quanto possa sembrare ambiziosa la proposta, credo la si debba almeno come atto successivo alla denuncia. Di menti brillanti mi pare abbiamo un bel bacino, sia tra il nostro gruppo che in tutte le associazioni coinvolte, cercheremo pertanto di proporre delle idee e sollecitare delle risposte a quella immancabile per quanto retorica domanda che alcune persone sicuramente faranno (non tutte fortunatamente), ossia:
“Ma se ci togliete il comprensorio sciistico quale futuro potremo avere? Verrà meno una buona fetta di turismo, quindi saremo condannati all’oblio e al disfacimento economico, sociale e di conseguenza demografico di questo territorio. No, non abbiamo altra alternativa“. […].
Chiedo scusa per la digressione.
Effettivamente non è attinente.
Cancellatela pure.
Osservazione acuta, Daniele!
Scusate, ma l’argomento non erano le piste da sci sul Monte Acuto o in generale sull’appennino? Per le informazioni personali esistono altre vie
Quasi 30 anni fa Grazia. Con la mia famiglia.
Classico giro turistico in pullman. Mezza Sicilia in una settimanaperiodo di Pasqua.
Portati in pullman al rifugio e li liberi di scorrazzare per un oretta.
Non abbiamo saputo resistere e scarpette di tela abbiamo iniziato a salire su per un sentiero con ai lati più di un metro di neve.
Da lontano si vedeva il fumo uscire da un cratere e io volevo raggiungerlo ….ma era piuttosto lontano.
I miei sono rimasti con mia sorella, molto più piccola di me e mi hanno detto di fare in fretta.
Sulla bocca del cratere ero solo. Ogni tanto si sentivano dei boati e il contrasto fra la neve e le colonne di fumo era davvero impressionante.
Poi sono tornato giù di corsa.
Avevamo perso il pullman del rientro e il capo gita stava per chiamare l’ elicottero del soccorso…non era ancora tempo di telefonini.
Zitti e buoni abbiamo pagato il taxi per il rientro all’ albergo…ma non ci siamo mai pentiti di quel tempo speso in più sul vulcano.
Ē da allora che voglio tornarci…penso ci porterò mio figlio…anche se l’ idea di doverci andare per forza con una guida mi frena.
Niente contro le guide..anzi. Però mi infastidisce l’ imposizione.
Marcello, prima di ogni cosa desidero farti i complimenti per le accortezze usate dalla tua famiglia nel rispetto dell’ambiente.
Per il resto, certamente, la mia era una provocazione e so perfettamente che le raffinerie, per svariati motivi, devono sorgere sul mare.
Nel 2020 in un paese civile occidentale mi sembra a dir poco allucinante che si possano perpetrare scelte distruttive per una comunità e il territorio che abita a vantaggio di pochi (guadagno) o talvolta di molti (petrolio e divertimento), senza curarsi dei risvolti di una data azione, sia essa legata agli impianti di risalita o a una raffineria.
La mia risposta è che non posso non pensare ai malesseri generati dalla lavorazione del petrolio oppure dagli additivi usati per mantenere la neve sulle piste.
Se dipendesse da me, sceglierei di farne a meno.
Per l’energia elettrica e greta e il sistema malato in cui viviamo siamo d’accordo.
Simone,
quando sei venuto a visitare Donna Etna?
Grazia,
a “casa mia” esiste la più grande concentrazione di piste da sci del mondo. Quindi, ridico e sottolineo: che sia giusto o no, non si può “mettercene” altre.
Le raffinerie normalmente stanno vicino ai porti perché il petrolio da raffinare arriva via mare. Non si possono spostare sulle montagne, mi dispiace. Ho vissuto vicino a una raffineria e ne ricordo ancora la puzza, quindi preferisco starne lontano, ma, ripeto anche questo, quando utilizzo la mia vecchia auto diesel euro 3 (scelta di proposito), so di contribuire a quella puzza di uovo marcio e non per questo però posso andare al lavoro a piedi perché ogni giorno devo percorrere diversi km. Quando posso vado in bicicletta o a piedi vicino a casa, abbiamo una sola auto in famiglia, insomma per quanto possibile cerchiamo di non inquinare inutilmente.
Stabilito dall’evidenza che per ora i carburanti fossili servano ancora, che vivere inquini comunque, che una condotta rispettosa dell’ambiente portata avanti adottando ognuno nel nostro piccolo degli accorgimenti affinché la nostra impronta antropica gravi il meno possibile sul pianeta, che ‘sto cazzo di sistema ha difetti anche molto più gravi dell’uso dei carburanti fossili (con cui si produce l’energia elettrica per le bici ecologiche: una minchiata colossale!), e che Greta è già defunta, nonostante la sua giovane età …
La domanda che ti pongo è la seguente: dove vorresti mettere le raffinerie?
Sull’energia lasciamo perdere, sono cose troppo personali e poi andremo ancor più fuori tema.
Non lo sapevo Grazia.
Eppure da ragazzo ci sono stato…..ricordo ancora quel giro fatto da solo in mezzo alla neve fino ad affacciarmi ad uno dei suoi crateri….non ricordavo minimamente la differenza di sesso fra i due vulcani.
Grazie!
Marcello,
allora facciamo che raffinerie e impianti da sci li spostiamo tutti a casa tua?
Tanto da qualche parte bisogna pur metterli!!!
L’energia è libera e ognuno ce l’ha dentro di sé, anche se non la vede e non la sente, anche quella dei vulcani che sembrano realtà lontane da noi.
Buona giornata a tutti.
Simone,
”Iddu” è lo Stromboli.
L’Etna è donna 🙂
Insisto col sostenere che le raffinerie e le piste da sci sono due cose imparagonabili. Che sia giusto o no, la distruzione ambientale causata per costruire piste, impianti, ecc. dalle mie parti ha portato ricchezza (molta) e qualche malattia sociale connessa al benessere.
Le raffinerie sicuramente non portano aria buona ma da qualche parte bisogna pur metterle. Il carburante che mettiamo nei serbatoi delle nostre auto come e dove dovremo produrlo?
Infine, io l’energia dell’Etna non la sento. Non dico non esserci, ma qui non si sente. Ognuno sente la sua. Ciao.
Ma una volta gli isolani non lo chiamavano “iddu”?
Caro Marcello,
se mi sono venute in mente, direi di sì: purtroppo gli abitanti delle aree in questione, abbindolati dalla promessa di uno stipendio al tempo della costruzione, e convinti in vari modi della superiorità del lavoro rispetto alla salute ancora ora nonostante le decine di morti e malati, acconsentono a operazioni inaccettabili da numerosi punti di vista.
Se riuscissimo a riunire invece di separare tutto, andremmo più lontano e più spediti.
Vi mando un po’ di energia da sorella Etna, che di questi tempi può sempre servire.
Grazia scusami ma tra le raffinerie e le piste da sci c’è una bella differenza in tutti i sensi. Secondo me il paragone non c’azzecca proprio. Ciao
Purtroppo mi trovo d’accordo con Matteo.
Non posso non pensare alla devastazione del territorio e dei suoi abitanti a seguito dell’installazione degli impianti delle raffinerie in Sicilia.
Domenica 19 luglio si è svolta a Cortina ‘Ampezzo “Non nel mio nome”, manifestazione di vari gruppi ambientalisti per protestare per la devastazione delle pendici delle Tofane per i lavori legati ai Mondiali di sci alpino del 2021 naturalmente “sostenibili”.
Dovunque gli impiantisti mirano a devastare gli ambienti montani per evitare lo “spopolamento delle vallate” , come se questa fosse la soluzione….
Non si tiene conto dei cambiamenti climatici e forse che c’è un turismo che cerca luoghi incontaminati e che facciano sognare, stupire e che lascino a bocca aperta per la bellezza.
Non si può essere così miopi e poco lungimiranti.
Purtroppo con i finanziamenti in arrivo si rischiano degli scempi sulle Alpi come sugli Appennini. .
Mi associo ai commenti ovviamente contrari a progetti idioti come questo è pure al messaggio di contrarietà che hanno sottoscritto le varie Sezioni del CAI . Però mi chiedo quale credibilità può avere un sodalizio che, da una parte si oppone in questa maniera ai progetti trattati dall’articolo è dall’altra ha al suo interno Sci Club CAI che organizzano uscite sulle piste.
Come aveva scritto all’allora presidente nazionale Gabriele Bianchi, il mio compianto amico, socio e collega Cristiano Delisi in occasione di una manovra poco chiara: sembra che la mano destra non sappia cosa fa la mano sinistra.
Il mondo dello sci da discesa, legato agli impianti di risalita ed alle piste é lontano dalla sostenibilità ambientale. Di solito gli utilizzatori pretendono standard di vita “cittadini”. In estate poi si riciclano gli impianti per portare in quota le mtb da dh. Altro uso “consumistico” della montagna. E pensare che ci sono inverni sempre più avari di neve nei quali si potrebbe ampliare la pratica escursionistica.
Io non sono assolutamente contrario a qualsiasi forma di sviluppo turistico ma credo che si ridurrebbe del 99% il problema con una legge semplice di un solo articolo: E’ vietata qualsiasi forma di sovvenzione pubblica, diretta o indiretta, per la costruzione di impianti relativi all’attività sciistica.
Se veramente sono funzionali e redditizi dal punto di vista dello sviluppo turistico, che se li finanziano albergatori, negozianti e operatori del settore che ne traggono beneficio.
Gli impianti del Monte Acuto non hanno mai contribuito allo sviluppo economico dell’area, sono solo serviti ad impiegare risorse pubbliche a favore di un solo comune del comprensorio, il Comune di Frontone sul cui territorio insiste la stazione della ovovia che sale la rifugio delle Cotaline e lo stesso rifugio, tutti gli altri comuni dell’area (Cantiano, Cagli e Serra Sant’Abbondio) sono marginali ed esclusi da qualsiasi possibile beneficio. Va comunque detto che nemmeno il Comune di Frontone ha avuto beneficio dagli impianti, in primis perchè aperti solo qualche fine settimana soltanto per mancanza di innevamento ( l’ultima stagione credo che le piste non siano mai state funzionanti) e poi perchè le persone che usufruiscono degli impianti arrivano e partono in giornata e forse usufruiscono dei servizi del cosiddetto rifugio della Cupa che sarebbe più opportuno definire self service. Non paghi di ciò adesso si richiede l’impianto per l’innevamento artificiale e cominciano a funzionare piste da discesa per mountain bike o down hill che contribuiscono soltanto ad aumentare il visibile degrado che si è creato sul lato orientale del monte Acuto, tutto ciò per far funzionare gli impianti ed il self service. Quello che colpisce è che tutto ciò è avvenuto nel completo silenzio di tutti (CAI compreso solo adesso per fortuna ci si è svegliati) tranne alcune piccole associazioni ambientaliste, ma soprattutto con l’indispensabile contributo degli enti pubblici, Regione, Provincia e Comuni che anzi hanno contribuito ad elargire fondi pubblici a vanvera e senza alcun controllo, o meglio sotto l’attento controllo di pochi. Sappiate che le ferite inferte alla montagna, con gli ultimi interventi, nei giorni di buona visibilità risaltano a 50 km di distanza ma per le competenti autorità risultano come lavori di straordinaria manutenzione e quindi non soggetti nemmeno a VIA (valutazione di impatto ambientale) e che purtroppo ancora non è finita.
Di solito sono proprio gli abitanti quelli che dicono “si fa”, facili da abbindolare con quattro perline luccicanti…
E quando dicono “non si fa”, vengono demonizzati dai media e perseguitati dalle autorità, come in Valsusa
adesso che arriveranno miliardi dall’Europa e che bisogna avere i progetti per spenderli, chi li ferma più i cementificatori delle montagne?!
gli abitanti…
sono loro che dovrebbero dire questa cosa NON si fa!!
Mi chiedo quanta neve cadrà sul monte Acuto o quanti giorni di temperature sotto lo zero ci saranno…l’affare non stà certo nel turismo, ma nella realizzazione e non sarà certo per gli abitanti!
By-the-way, dovreste vedere cosa hanno fatto a Cortina per le “Olimpiadi a impatto zero”!