Penso che chiunque, sapendo di morire, preferisca un quadro di silenzio e di pace, ciò che di certo non era quel giorno sul versante del Monte Roisetta.
La guida seguiva una comitiva impegnata in discese con l’eliski, quando dal Monte Roisetta una valanga di grandi dimensioni (con un fronte di oltre duecento metri e una profondità di un metro e mezzo) si è staccata a causa del passaggio di alcuni sciatori su una placca a vento, travolgendo per centinaia di metri quattro persone che si trovavano più a valle rispetto alla zona del distacco.
Simona Hosquet, guida alpina del Cervino residente ad Antey-St-André, e il tecnico Giuseppe Antonello, Avalanches forecaster presso la Fondazione Montagna Sicura di Courmayeur, sono stati sepolti dalla massa di neve mentre gli altri due compagni, clienti della Hosquet, sono riusciti a galleggiare grazie all’airbag.
Erano le 12.30 del 6 febbraio 2014, nel vallone di Cheneil, sopra Valtournenche.
La valanga «era di enormi dimensioni» racconta Roberto Rossi, torinese di 38 anni e guida del Cervino, primo soccorritore ad arrivare sul posto. Rossi stava sciando con un cliente poco più in alto rispetto alla zona dove si è staccata la massa di neve. «Insieme a un collega svizzero e ad alcuni altri sciatori sfiorati dalla valanga ho coordinato le prime operazioni: abbiamo impostato l’Arva in modalità ricerca e abbiamo trovato Giuseppe Antonello sotto due metri di neve. Erano passati quindici minuti dal seppellimento. Rispondeva alle domande, seppur affannosamente. Quindi con un’altra guida ho continuato a scavare e sotto un metro di neve abbiamo trovato Simona Hosquet. Sembrava avesse diversi traumi a una gamba, il suo viso purtroppo era già cianotico».
Simona è morta poco dopo il ricovero in ospedale, per i gravi traumi subìti e per una grave ipotermia. Nata ad Aosta, Simona, classe 1984, aveva appena compiuto 30 anni il 9 gennaio scorso.
Diamo un occhio al suo colossale curriculum: nel 2002 è entrata nelle fila dal Centro sportivo Esercito e nelle due stagioni successive ha conseguito il titolo di campionessa italiana di staffetta e medaglia d’argento tricolore nella prova individuale sui 5 km a tecnica classica di sci di fondo. Nel 2007 è diventata la prima donna soldato a conseguire la qualifica di istruttore militare scelto di sci e alpinismo, conseguendo poi il grado di caporale maggiore; nel 2010 era diventata guida alpina di alta montagna. Protagonista di alcune spedizioni, aveva salito l’Aconcagua. Nel 2008 sale la via Cassin alla parete nord delle Grandes Jorasses, poi nel 2009 affronta con successo la mitica via MacIntyre-Colton, sempre alla punta Walker delle Grandes Jorasses e ancora, nel 2011, ripete la via degli Sloveni (Knez e compagni) sulla Punta Croz della Grandes Jorasses. Basterebbero queste due ultime imprese citate per qualificare il valore alpinistico di Simona, ma vogliamo aggiungere anche la ripetizione della difficile “Padre Pio prega per tutti” sul Picco Muzio del Cervino e la prima femminile italiana alla via Bonatti del Cervino, da lei salita nel 2011, come al solito alternandosi al comando con i due compagni Sergio De Leo e Nicolas Estubier. Simona Hosquet era l’unica donna della storica società Guide del Cervino.
Valga per tutti il giudizio di Marco Albarello, ex direttore tecnico del Centro sportivo Esercito di Courmayeur, che ha ricordato così la giovane guida: «Era una ragazza fantastica, il Centro sportivo esercito ha sempre guardato a lei come un punto di riferimento. È stata una donna e un’atleta straordinaria in grado di fare il doppio di quanto riuscivano a fare i maschi, con un’umiltà e una forza fuori dal comune, prima nel fondo e poi come guida alpina».
E’ difficile con queste notizie, e nella complessità d’informazione che una così numerosa ed eterogenea comitiva comporta (sembra almeno una ventina di persone), farsi un quadro completo della meccanica dei fatti. Chi era sotto, chi era sopra, chi era cliente, chi aveva l’airbag, ecc.).
Su due punti però sono tutti concordi, che ci fosse pericolo 3 di valanghe e che Simona fosse alla terza rotazione di eliski.
Il pendio e la valanga
L’idea che sia morta una guida mi addolora. La mia tristezza diventa disperata costernazione se penso che lei era una donna… non so, sono fatto così.
Poi mi ripugna che una tale tragedia sia avvenuta praticando lei un gioco la cui validità io nego filosoficamente, l’eliski. Certo, per lei era lavoro. La nobiltà di questo lavoro non è per nulla sminuita dalla banalità e dal frastuono dei ripetuti girotondi d’elicottero di cui purtroppo era anche lei sfortunata protagonista.
Penso che chiunque, sapendo di morire, preferisca un quadro di silenzio e di pace, ciò che di certo non era quel giorno sul versante del Monte Roisetta.
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quindi se non ho capito male , tutto dovrebbe essere accaduto per un ECCESSO di discese e i nuovi indagati sono:
-gli sciatori stessi, clienti e guide
-l’elicottero/ri che li portavano su
Se non ho capito male, i “tecnici” scagionati erano sul pendio a fare rilievi nivologici
In questa vicenda tremenda e paradossale accaduta il 6 febbraio 2014, la notizia odierna è molto interessante:
Non ho capito nei confronti di quale tipo di “tecnici” era stata avviato il procedimento penale ora archiviato (forse i meterologi di qualche sito ?). Comuqnue la nuova direzione delle indagini mi pare prenda una piega più sensata, legata a più verosimili cause, per come la vedo io. Attendiamo ulteriori news e dettagli se fossero pubblici, grazie Matteo Guadagnini.
Ah: avete letto che la Procura della Repubblica di Aosta ha archiviato il procedimento penale nei confronti dei tecnici che rilevavano le condizioni del manto nevoso in occasione della morte della guida Hosquet ed aperto nuova indagine perchè la causa del distacco è stata individuata dal perito del PM nella intensa e ripetuta attività (45 passaggi) sino alla tarda macchinata, di sciatori scaricati dagli elicotteri?
Matteo Guadagnini,da facebook 9 settembre 2015
(retorica)…ogni incidente è fonte di insegnamento:
Dal Corriere della Sera
Poco più in là i soccorritori hanno invece estratto dalla valanga Giuseppe Antonello, di La Salle, ingegnere di «Fondazione Montagna Sicura», finito sotto quasi due metri di neve. «Nella caduta mi sono addormentato, sembra assurdo. Dopo un quarto d’ora mi sono svegliato e mi stavano tirando fuori», ha raccontato. Se l’è cavata con una lieve ipotermia e qualche livido.
…a volte basta il pensiero: l’iscrizione a Fondazione Montagna Sicura è molto più efficace di airbag, sonda, pala, arva…
L’uso della figura retorica del pensiero della morte, che è passaggio obbligato estremo e dunque ineluttabile, assieme all’uso del pronome indefinito “chiunque”, seguito dall’inossidabile verbo “preferire”, e, finalmente, dal solido complemento oggetto “pace e tranquillità” mi ricorda più che un pensiero libero, un pensiero unico, capovolto.
Una cosa mi è chiara: che ai tempi in cui era più urgente far capire una qualsiasi sensibilità verso i monti, tu come pochi altri ti divertivi a far quel che ti pareva, per i monti e per i mari montuosi, senza regole, intonsi e ignari di ciò che stava per cambiare: il numero dei suoi frequentatori.
E adesso, dopo che ti sei divertito per una vita, ma senza insegnare e comunicare nulla, che l’insegnamento costa fatica e tempo libero, ti addentri in una morale che appare come il pensiero a cui ti opponi, ma capovolta. Una morale vuota, quella di chi ha ragione perchè “ha ragione”.
E la esponi in un contesto ferale, donandole se possibile anche un’ombra lugubre e squallida.
Forse l’unica cosa da dire era silenzio.
io direi soltanto:
è morta un’alpinista, e nel mio …nostro…caso è morta una collega!
STOP…non c’è altro da dire nè da capire, la montagna è anche questo e lo sappiamo bene, altrimenti si rischia anche senza volerlo di cadere nella retorica come dice Jacopo e di fare il gioco di chi stiamo contestando…
quanta retorica!