E se fossero stati gli alieni…?

E se fossero stati gli alieni…?
(via nuova sull’Avancorpo Ovest del Monte Croce, Alpi Apuane)
di Alberto Benassi

Introduzione e storielle apuane…
Il Monte Croce, docile cima delle Apuane meridionali, è conosciuto come la montagna delle giunchiglie, perché ogni anno a maggio, una bellissima fioritura ne ricopre gli erbosi fianchi sommitali. Soprattutto in questo periodo, la sua cima è molto frequentata da gruppi più o meno numerosi di persone, che vi salgono per ammirare le migliaia di fiori che formano un bellissimo tappeto bianco su un mare verde, vero e proprio spettacolo della natura apuana. L’incontro delle sue creste, a formare una croce, sembra sia l’origine del nome di questo monte: che, se osservato dai versanti meridionale e orientale, ha la forma di grosso ed erboso collinone, che ricorda più il vicino dolce Appennino che le aspre e ardite Apuane. Grazie a queste caratteristiche, ha da sempre attirato più l’escursionista che l’arrampicatore, ma in verità il versante nord, e soprattutto quello ovest, sono assai dirupati in quanto la montagna “si appoggia su un zoccolo calcareo” (1)che fa mostra di sé conbelle strutture rocciose. Il triangolare versante nord è breve, ma molto scosceso, con rocce frammiste a erba, e con alla base alcuni pilastri di bell’aspetto separati da canali, mentre quello ovest, decisamente più interessante per l’arrampicatore, presenta una bella ed estesa parete che forma un verticale avancorpo roccioso dove, da tempo, mi girava per la testa l’idea di aprire una nuova via. Questa parete compresa tra la Foce delle Porchette a destra e la Foce di Petrosciana a sinistra, più estesa in orizzontale che in verticale, ha una conformazione piuttosto compatta, segno che non sarà facile salirla. Rispetto alle cime circostanti del Forato, Nona e Procinto, l’Avancorpo Ovest del Monte Croce non ha una prolifica storia alpinistica, infatti presenta solamente tre itinerari di salita, poco o nulla ripetuti, aperti negli anni a cavallo tra il 1980 e il 2000:

La quarta lunghezza di E se fossero gli alieni…? al Monte Croce

– una misteriosa via Piotti della quale, finalmente, dopo serrate indagini e grazie alla gentilezza di Umberto Vecci e Francesco Cantini, abbiamo svelato l’arcano. Aprile 1981, due cordate: la prima con il compito di aprire la via, composta dai pisani Mario Piotti (Piotti in verità era genovese e pisano di adozione), Francesco Cantini e Roberto Di Stefano; la seconda a seguire dei lucchesi Umberto Vecci e Domenico Dinelli, con il compito di sistemare la chiodatura. Via di stampo classico che supera l’evidente grosso diedro molto aperto nel settore destro, alla quale sembra non sia stato attribuito un nome né una relazione;

– sempre nei pressi del grosso diedro, l’11 maggio 1997 i fiorentini Leonardo Piccini e Juliane Schmidtlein, dopo un primo tentativo con altri, realizzano la via Chiodo Fisso in modo tradizionale con qualche spit alle soste, senza trovare tracce di passaggio;

– nel maggio del 1998 più a destra, sul compatto placcone (“il mare”) i locali Alessandro Bertagna e Giuliano Batini aprono con spit sui tiri e alle soste la via Dù punti nel mare.

Oltre a questi tre itinerari, sulla parete negli anni ‘90 ci sono stati anche alcuni tentativi: uno dei versiliesi Fabrizio Convalle e Barbara Bardi, l’altro dei lucchesi Mauro Giambastiani (il Dondi) e Daniele Carboni del 1994 (forse ‘95), il terzo ancora di Leonardo Piccini. I primi due nel settore destro verso la Foce delle Porchette, il terzo più a sinistra verso la Foce di Petrosciana. In verità di tentativi ce ne fu anche un quarto, ma questo ve lo racconterò più avanti. E’ quindi una parete un po’ dimenticata, caratteristica che già da sola è sufficiente per stimolare la curiosità dell’apritore sempre alla ricerca di terreno vergine da esplorare. Strano però, perché la parete, anche se in mezzo a cime alpinisticamente più conosciute, quali il Monte Nona e il Monte Forato, è interessante, in bella vista, oltre a promettere impegno data la sua verticalità.

Durante la terza ripetizione di E se fossero stati gli alieni…?. Foto: Eraldo Meraldi.

E’ con questi presupposti che a fine settembre 2019, complici i postumi alla spalla sinistra causati da una brutta caduta in bicicletta che non mi permettono di arrampicare e la conseguente rabbia da sfogare, ne approfitto andando a fare un giro fin sotto la parete per scrutare meglio la roccia e poter trovare la possibilità di tracciarvi un nuovo itinerario. Guarda e riguarda, ecco che nel suo settore sinistro mi cadono gli occhi lungo un’evidente linea di fessure. Eppure la parete l’ho guardata tante altre volte, ma queste fessure, così evidenti, come mai non le avevo viste? Strano come a volte non si riesce a vedere quello che si ha davanti agli occhi, poi d’un tratto ecco che tutto si rivela. Cambiano le situazioni? Cambia la nostra capacità di visione, di lettura? Evidentemente sì.

Decido di avvicinarmi il più possibile alla parete, ma il fitto bosco che ne ricopre lo zoccolo mi impedisce di vedere la roccia. Devo trovare un punto di osservazione fuori dalla vegetazione, così poco prima di arrivare al bivio che sale alla Foce di Petrosciana, prendo a destra il sentiero 109 che corre proprio sotto la parete dell’avancorpo e porta alla Foce delle Porchette. Nella speranza di trovare un punto più accessibile per salire il ripido bosco che separa il sentiero dalla parete, trovo un’evidente traccia di animali che sale obliqua verso sinistra, la percorro fino ad arrivare alla base di una specie di costola rocciosa che scende verso il basso, dove la vegetazione si dirada. Da qui ora si vede bene la linea di fessure che dà la direttiva alla via. Questa costola, che incide il bosco basale, è ben visibile anche da lontano, dalla strada poco dopo il parcheggio e dal sentiero poco prima di Fonte Moscoso. Oltre ad essere un buon punto di riferimento per individuare l’attacco, è il modo migliore per raggiungerlo visto che, fuori da questo avancorpo roccioso, il terreno anche se boscoso è ripido e franoso.

Appena mi sarò rimesso decido di provarci e, visto che da tempo mi frulla per la testa la malsana idea di aprire una via in solitaria, ci faccio un pensierino. L’intenzione è di aprire la via usando solo materiale a incastro e chiodi a fessura, insomma senza piantare spit, nemmeno alle soste. Così per non cadere in tentazione e bucare, non li metterò nemmeno nello zaino. Accantonata l’idea della solitaria, propongo ad Alessandro se vuole essere della partita in questa nuova avventura. Alessandro accetta entusiasta anche la mia proposta di non portare gli spit. Ancora non lo sappiamo, ma quando spunteremo sulla cengia presso l’attacco, avremo una sorpresa che ci lascerà, lì per lì, alquanto perplessi e che non avremmo certo immaginato. La prima volta che ci portiamo all’attacco, pensando ingenuamente di renderci la cosa più semplice, evitiamo la costola rocciosa e risaliamo alla sua sinistra il ripido e franoso bosco. Dopo non poca fatica e aver rischiato l’osso del collo, a causa del terreno molto ripido e instabile, ecco che finalmente spunto sulla cengia alla base della placca compatta che preclude l’accesso alla linea delle fessure che salgono, quasi senza interruzione, fino al ciglio sommitale della parete. Alzo gli occhi e cosa ti vedo…? Una bella fila di vecchi chiodi, anche a pressione, piantati a distanza ravvicinata, fa bella mostra di sé lungo la placca.

Chiamo Alessandro che, ancora sotto a lottare con la giungla verticale, non li ha certamente visti:
“Ale, ci sono i chiodi!”.
“Cosa?”.
“Ci sono i chiodi”.

Una bella beffa… di chi saranno? Qualcuno, parecchi anni fa è salito in artificiale. Vuoi vedere che la via c’è già? In effetti le fessure sono belle evidenti e a qualcuno, dotato di buon occhio, non erano sfuggite: ma non ne sapevo nulla. Guardiamo bene, in alto oltre l’ultimo chiodo, dal quale penzola una sbiadita e sfilacciata fettuccia, non si vede nulla. Siamo perplessi e delusi, soprattutto delusi.

“Che si fa?“.
“Ormai che siamo qui andiamo a vedere, al limite ci accontenteremo di una ripetizione”.

Magra consolazione. Un po’ in libera e un po’ tirandomi ai chiodi, non è il momento di fare virtuosismi, arrivo all’ultimo ancoraggio costituito da due traballanti e arrugginiti chiodi, piantati in un buco a mo’ di sandwich con intorno una fettuccia tutta marcia. Mi fermo a guardare, sopra nella fessura erbosa non vedo altri chiodi. Metto un friend nella fessura e mi alzo per guardare meglio… non c’è niente. Bene magari è solo un tentativo… speranzoso proseguo. Prima di superare un’insidiosa toppa erbosa, aggiungo un buon chiodo universale sulla destra della fessura e proseguo alcuni metri, aggiro a sinistra una scaglia con un arbusto e, in una rientranza, attrezzo la sosta con due ottimi chiodi. Non c’è traccia di passaggio. Anche sopra, niente chiodi. Se qualcuno fosse arrivato qui avrei trovato qualcosa, almeno per calarsi, invece niente…

” Sì Ale, per fortuna era solo un tentativo, evviva!”.

Una volta attrezzata la sosta, con il cordino di servizio tiro su il sacco con il materiale, poi faccio salire Alessandro.

Non sarà il primo è ultimo tentativo, questa operazione di tirare su il saccone la ripeteremo varie volte, per finire la via ci serviranno ancora altri tre giorni di lavoro diluiti in circa dieci mesi tra impegni vari, inverno, piogge e CoViD-19 che ci costringe a stare chiusi a casa. Al primo tentativo arriviamo a metà del secondo tiro. Superato lo strapiombo lascio due chiodi uniti da un cordino con moschettone e mi faccio calare in sosta. La seconda volta siamo più produttivi e arriviamo a metà del quarto tiro. Anche qui, stessa manovra, lascio due chiodi e mi faccio calare. Al terzo tentativo pensiamo di finire la via, invece riusciamo solo a finire il quarto tiro. Una volta attrezzata la sosta nella nicchia sotto la lama finale, complici la stanchezza e l’ora tarda per continuare, un po’ sconsolati scendiamo. Quando arrivo con la doppia alla cengia d’attacco, dove abbiamo lasciato zaini e scarpe, non trovo più le mie, eppure le avevo messe qui. Mi accorgo che sopra al materiale lasciato lì è caduta parecchia della roba che abbiamo disgaggiato: evidentemente qualcosa di grosso che abbiamo buttato giù deve avere colpito le mie scarpe facendole ruzzolare giù per il ripido bosco. Che bischero e ora…? Come faccio? Le cerchiamo, ma nulla da fare, non si trovano, vista l’ora tarda mi rassegno e con le scarpe d’arrampicata messe tipo ciabatta mi faccio tutta la camminata fino a ritornare alla macchina. Alla fine, dopo tanta fatica e lunga attesa, il 4 luglio 2020 siamo comodamente seduti sul terrazzo erboso in cima al pilastro, stanchi ma soddisfatti, a farci i complimenti e a contemplare in lontananza l’azzurro del mare . Le maltrattate Apuane, le “Montagne Irripetibili” (2) ci regalano anche questo bel contrasto: mare e montagna. Ci voleva proprio per risollevarsi da questo lungo cupo periodo e, adesso, via verso nuove avventure.

La quarta lunghezza di E se fossero gli alieni…? al Monte Croce

Che passa il convento?
Itinerario di stampo classico dal tracciato logico ed evidente. A parte la placca iniziale e qualche altro tratto, si svolge lungo una serie quasi ininterrotta di fessure e lame. La via regala un’arrampicata mista libera e artificiale, piuttosto sostenuta di grande soddisfazione, disegnando una linea elegante senza forzature perché, come dice Stefano Santomaso, forte alpinista classico agordino: “Ci siamo lasciati guidare verso l’alto dalla parete stessa… è bastato seguirla”. A parte la placca iniziale, che abbiamo trovato attrezzata anche con alcuni chiodi a pressione, segno di un vecchio e misterioso tentativo (anni ‘60 o ‘70), chiodi che abbiamo pensato di lasciare, a testimonianza di chi ci aveva già provato, abbiamo deciso di proseguire attrezzando sia i tiri che le soste solamente con chiodi a fessura. Oltre ai chiodi, usati e lasciati, abbiamo integrato con friend di varie misure.

Vista la bella e quasi continua serie di fessure che caratterizza l’itinerario, abbiamo pensato di non usare gli spit, con la speranza che la roccia, fosse con noi generosa regalandoci la possibilità di portare a termine questa nostra ambizione senza forare. Non è stato facile, la roccia compatta di alcuni tratti ha reso difficoltosa una buona infissione dei chiodi nei piccoli buchi intasati dai ciuffetti d’erba. Alla fine la nostra tenacia è stata premiata e non è stato necessario bucare la roccia e la chiodatura è risultata di buona qualità. Riuscire a mettere un buon chiodo, non è solo un indicatore tecnico del proprio bagaglio personale, è anche una soddisfazione che riteniamo non secondaria a quella del puro gesto arrampicatorio. Lo so, alcuni sorrideranno a questa affermazione, andare ad arrampicare portandosi dietro chiodi e martello è un po’ passato di moda, ma ognuno di noi ha le proprie manie, fissazioni. Qualcuno mi ha detto che attrezzando la via in questo modo, senza spit, avrà solo alcune ripetizioni e poi cadrà inevitabilmente nel dimenticatoio. Spero di no, perché la via a noi sembra proprio bella, oltre ad essere in un bel posto: ed  è anche bene attrezzata.

La roccia è buona, i brevi tratti friabili sono stati abbastanza ripuliti, le ripetizioni che seguiranno non potranno che migliorarne la qualità. Alcuni tratti saliti in apertura in artificiale li abbiamo già liberati, gli altri lo saranno sicuramente nelle future ripetizioni.

Cosa manca per dare completezza a una nuova via? Darle un nome, che sia significativo e rappresentativo dell’itinerario, cosa non sempre facile da attribuire. Quello che abbiamo scelto per questa via, è nato casualmente tra un tiro e l’altro e chiacchiere varie, al caldo sole rigeneratore di un bel sabato invernale alla cava rossa di Monsummano, quindi già in grande anticipo sulla data in cui la via è stata finita. Come si può facilmente intuire, il nome è legato al mistero dei chiodi trovati sul primo tiro. Mistero rimasto tale, avvolto nei densi vapori delle nebbiose leggende apuane.

E’ bello che ci siano ancora leggende e misteri, che tutto non venga svelato. Perché il mistero… alimenta il mito, “è nel mito che possiamo trovare il senso del nostro esistere e la risposta ai grandi perché della vita” (3)

Note
(1) Guida Alpi Apuane, CAI-TCI, 1979;
(2) Le Montagne Irripetibili di Giorgio Perna e Fabrizio Girolami;
(3) Alla ricerca delle antiche sere di Gian Piero Motti, 1982.

Durante la terza ripetizione di E se fossero stati gli alieni…?. Foto: Eraldo Meraldi.

Primi salitori
Alberto Benassi – Alessandro Rossi, 4 luglio 2020 dopo alcuni tentativi nei mesi di ottobre e novembre 2019.

Difficoltà
V, VI, VI+, VII-, A0 e A1

Lunghezza
La via si sviluppa in 5 tiri di corda per una lunghezza di circa 120 metri a cui bisogna aggiungere lo zoccolo di circa 60 metri di facile arrampicata e ravanata tra le piante del bosco per raggiungere la stretta cengia alla base della placca dove inizia la via.

Materiale
Oltre alla NDA (normale dotazione alpinistica), portare: 2 mezze corde da 50/60 m, almeno 15 rinvii, una buona scelta di cordini per limitare gli attriti, almeno 1 staffa, martello e un piccolo assortimento di chiodi per ogni necessità, serie di friend Totem (oppure equivalenti Camalot) integrando con Camalot C4 n. 2 e n. 3.

Avvicinamento
Dal parcheggio per l’accesso al rifugio Forte dei Marmi, raggiungere casa Giorgini e la successiva casa del Pittore (Montanina). Ignorare il bivio che a destra porta al rifugio Forte dei Marmi, proseguendo a sinistra in direzione del monte Forato. Superata Fonte Moscoso e alcuni bivi, poco prima di arrivare alla marginetta (cappelletta, NdR) per salire alla Foce di Petrosciana, prendere a destra il sentiero 109 che ritorna alla Foce delle Porchette e passa sotto la parete ovest dell’avancorpo del Monte Croce.

Seguirlo per pochi minuti fino a reperire una traccia di animali (ometto) che sale verso sinistra nel bosco. Seguirla fino a uscire dalla vegetazione arrivando alla base di una specie di costola rocciosa in vista della parete dove sale la via (questa costola rocciosa è visibile anche dal parcheggio). Non proseguire a sinistra nel bosco, ma salire prima dritti tra la vegetazione per le rocce superando un gradino. Obliquare a destra, quindi ancora dritti fino a reperire una cengia rocciosa (I e II). Non salire dritti ma andare a sinistra per la cengia (2 piccoli ometti) e appena rientrati nel bosco, salire di nuovo dritti per terreno ripido e passi verticali aiutandosi con le piante fino ad arrivare sulla stretta cengia alla base della parete dove si trova l’attacco presso una placca con vecchi chiodi a pressione segno di un “misterioso” tentativo. Ore 1.30 circa dal parcheggio.

Discesa
Ci sono due possibilità:
– per i più pigri, in doppia dalla via, poi disarrampicando con attenzione il ripido bosco e le rocce che formano lo zoccolo (possibile doppia) fino a riprendere la traccia che riporta al sentiero 109.
* prima doppia 20 m alla sosta 4;
* seconda doppia 40 m fino alla nicchia della sosta 2;
* terza doppia fino a terra sulla cengetta di attacco.

– oppure per i più classici scendere a piedi, anche per gustarsi con maggiore completezza il rapporto con la montagna, godendosi la tranquilla bellezza del luogo che ci regala un bel panorama verso il mare e una rilassante camminata ristoratrice dopo le fatiche della parete. In fondo, perché tutti gli “Alieni” dovrebbero essere brutti e cattivi come invece spesso vengono descritti? Magari sono solo venuti per conoscerci e anche loro, poi, ritornano verso casa…

Una volta usciti dalla via risalire la costola erbosa a sinistra del canale, poi a destra (tracce) quindi in verticale lungo un pendio erboso arrivando su un bellissimo e panoramico pianoro in vista della cuspide del Monte Croce. Obliquare verso sud per prati fino a scendere nel bosco. Raggiunto il greto di un torrente, poco dopo si incontra il sentiero che scende dal Monte Croce , subito prima della suggestiva gola dove il sentiero è attrezzato con catena e caratterizzato da gradini intagliati. In breve alla Foce delle Porchette e da questa alle fresche e ristoratrici acque della Fonte Moscoso.

Relazione
1° Tiro (La rampa di lancio)
Salire la bella e compatta placca seguendo la vecchia e misteriosa chiodatura, spostandosi a destra a prendere una fessura formata da una lama. Con passo atletico salire la lama, poi per delicato e fastidioso tratto erboso raggiungere la sosta a sinistra di un alberello.
25 m, A0/A1, VI, VII-, A1, VI+ vari chiodi anche a pressione (trovati), friend e 1 ch. messo da noi prima del tratto erboso. Sosta attrezzata con 3 chiodi.
Le tracce del misterioso tentativo si fermano ai due chiodi accoppiati subito prima della fessura.

2° Tiro (Strapiombo del secondo tipo)
Spostarsi a sinistra (clessidra) salendo sotto lo strapiombo, superarlo per la sottile fessura che lo incide.
Seguire la fessura adesso più aperta e dopo aver superato il tratto dove questa si allarga, lasciarla spostandosi a sinistra superando un breve e verticale muretto entrando in una comoda nicchia dove si sosta.
25 m, V, A1, VI, V+, 1 clessidra e vari ch.
Sosta attrezzata con3 ch., cordone e moschettone.

3° Tiro (Extratraverso)
Uscire dalla nicchia a destra a riprendere la fessura. Superare un breve tratto aggettante con roccia dubbia per entrare in un diedrino. Prima dell’ultimo chiodo uscire a sinistra su placca arrivando su uno stretto terrazzino. Obliquare a sinistra sotto la compatta parete. Sfruttando un piccolo buco sul compatto muro traversare a sinistra e, con un delicato passo in discesa, aggirare il bordo del muro arrivando alla sosta su piccolo ed esposto terrazzino.
20 m, VI-, V, VI, chiodi e friend.
Sosta attrezzata con 3 ch. + cordone e maglia rapida.

4° Tiro (Verso mondi nuovi…)
Dritti sopra la sosta, poi a destra a prendere una fessura svasata fin sotto uno strapiombo che si aggira a sinistra. Salire per roccia concava e strapiombante. Dove diventa fessura friabile, traversare a drdtra su placca a prendere il bordo rovescio di una bella fessura-lama orizzontale.
Con entusiasmante arrampicata seguire a destra la lama orizzontale che poi diventa verticale e porta alla sosta sotto a un altro strapiombo formato da altra lama fessurata rovescia.
30 m, chiodi e friend, V+, VI+, A1, VII-, VI+, VI. Allungare le protezioni.
Sosta attrezzata con 3 ch. + cordone e maglia rapida, clessidra a sinistra con cordone.

5° Tiro (La fessura del “non è che siamo noi gli alieni?”)
Seguire a destra con entusiasmate e atletica arrampicata la lama rovescia uscendo dalla zona strapiombante. Superare un muretto uscendo a sinistra su terreno appoggiato facile con roccia delicata ed erbosa. Traversare al diedro di sinistra, quindi di nuovo a destra a riprendere un canaletto con vegetazione uscendo su terrazzo alla sosta. 25 m, chiodi e friend, VI, VII-, V, IV.
Sosta attrezzata con 3 chiodi + cordone e moschettone.
Il nome dato ai singoli tiri non è una mia idea ma di Eraldo Meraldi che ha girato un video durante la terza ripetizione della via (che abbiamo fatto ai primi di settembre). Ripetizione cui ha partecipato anche l’amico Ciro Bambini che come potrete vedere non è proprio un mago delle staffe.

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E se fossero stati gli alieni…? ultima modifica: 2020-11-18T05:56:57+01:00 da GognaBlog

44 pensieri su “E se fossero stati gli alieni…?”

  1. 44
    emanuele menegardi says:

    Bravi gli “apuani” e contrariamente al Prof.  penso che il raccontarsi, come ha fatto il buon Benassi, sia una delle più belle caratteristiche dell’alpinismo. Conoscevo Manolo per le sue vie, ma ho apprezzato maggiormente il suo alpinismo dopo aver letto il suo libro: una autobiografia che è tutta da leggere d’un fiato.
    Raccontare e raccontarsi non è mai spocchia o vanagloria!

  2. 43
    Fabio Bertoncelli says:

    Eh, cari ragazzi, voi siete ancora giovani e impulsivi.
    😅😅😅

  3. 42
    Carlo Crovella says:

    Sì, azzeccata l’osservazione di Fabio. Non l’abbiamo mica capito solo da stamattina che c’è un Dottor Jekyll e un Mister Hyde… Ma è un aspetto carino anche quello, io spero che si riproponga anche in futuro.
     
    Il professore mi ha dato un suggerimento, sul quale stavo riflettendo da tempo: una raccolta dei miei in interventi sul blog, credo vengano più volumi della Recherche di Proust. Vedremo.
     
    Io sono un appassionato del filone dell’autobiografia, anzi c’è una linea di pensiero letterario secondo la quale la letteratura non può che essere autobiografia, perché  anche il più “asettico” romanziere pesca o da fatti autobiografici, cioè realmente avvenuti, o dal suo inconscio. Quindi un qualsiasi testo si inserisce in tale scenario, anche gli articoli di montagna. Ciao!

  4. 41

    Mi sembrate tutti un po’ matti.

  5. 40
    Roberto Pasini says:

    Arioti. Hai perfettamente ragione. Abbiamo esagerato e faccio ammenda, soprattutto con Benassi. Eravamo partiti dal suo bel pezzo che avevo già letto in PM,video compreso, per parlare del significato di raccontare le cose che si fanno in montagna, poi la discussione  ha preso una piega sbagliata, quando ho cercato di difendere tutti i narratori contro quello che mi sembrava il rigido moralismo giudicante del Professore che distingueva veri alpinisti da apritori “popolari”. Comprenderai tuttavia, a mia discolpa, che sentirsi dire che stai cazzeggiando mentre la gente ha il problema della pagnotta può essere per qualcuno molto spiacevole. Un vero calcio nei testicoli. L’errore è stato di reagire emotivamente. Ci casco sempre, anche se dovrei essere più saggio. Ognuno di noi ha i suoi punti deboli.ciao 

  6. 39
    Fabio Bertoncelli says:

    Signori cari, c’è un errore di fondo nell’accomunarmi a Cominetti perché il più delle volte neanche approvo quello che scrive. 
    «Signori cari, c’è un errore di fondo nell’accomunarmi a Cominetti perché il piú delle volte neanche approvo quello che scrive.»
    Della serie: “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”.

  7. 38
    Prof. Aristogitone says:

    Signori cari, c’è un errore di fondo nell’accomunarmi a Cominetti perché il più delle volte neanche approvo quello che scrive. Quanto al teatro dell’assurdo, fossi in Crovella, pubblicherei in un unico tomo i suoi commenti e articoli apparsi qui. Ce ne sarebbe per i beati. Arrivederci a tutti e comunque il tema dell’articolo è valido e piacevole. Alcuni dei commenti scaturiti, un po’ meno.

  8. 37
    Antonio Arioti says:

    Non comprendo perché una bella storia come quella raccontata da Alberto debba dare adito ad una sfilza di commenti che non c’entrano una cippa.
    E sì che non siamo nemmeno in estate quando il caldo gioca dei brutti scherzi.
    Alberto, grazie.

  9. 36
    Carlo Crovella says:

    Bhe le BR sono state fondate nel 1970, certo, ma hanno imperversato per tutto il decennio… quindi ho convissuto anche io con loro. Gambizzazioni e, purtroppo, omicidi per strada sono avvenuti anche a Torino. Ribadisco che il sequestro Moro è datato 1978. Cmq, mi pare che sei andato in testa coda, oggi. Non pensavo che una battutella sul siparietto da teatro dell’assurdo scatenasse queste reazioni. Mamma mia, si vede che ti duole il callo al piede. Cmq, taglio la testa al toro e, di mia iniziativa, mi scuso (anche se non ritengo che ce ne siano gli estremi), così ti tranquillizzi. Meglio che ci risentiamo quando sei un po’ più tranquillo. Buona giornata!

  10. 35
    Roberto Pasini says:

    Crovella. Pandemic fatigue? 1970 ? Parli di cose che non conosci. Le BR furono fondate nel 1970 in un raduno clandestino in provincia di Reggio emilia a cui parteciparono esponenti provenienti da varie frange del movimento studentesco. Due di questi erano persone che purtroppo io conoscevo bene. Pandemic fatigue? Il mio maestro diceva che bisogna sempre pagare le diagnosi, altrimenti sono “gratuite”. Quindi se mi mandi privatamente la fattura pagherò volentieri la tua diagnosi della mia sindrome. Grazie.

  11. 34
    Carlo Crovella says:

    Roberto, ma guarda che oggi ti sei proprio alzato con il piede sbagliato. Cosa c’entra il 1970? io ho iniziato il liceo nel ’75, non c’era grande differenza rispetto a 5 anni prima. Il sequestro Moro è del ’78… quindi gli anni di piombo sono durati anche per tutta la mia gioventù, non solo per la tua. Mi sa che sei un po’ teso, oggi, pandemic fatigue anche per te? Dai, speriamo che l’aria di mare ti rassereni nel corso della giornata. Con amicizia. Ciao!

  12. 33
    Carlo Crovella says:

    Ah alla fine ho focalizzato, dove si è annidato l’equivoco. Cioè: voi pensate che il mio commento 20 sia riferito all’articolo. No, no: è una lieve sfottò al solo siparietto Pasini-Cominetti professore. Nulla da eccepire sull’articolo.
     
    Però se rileggete anche voi con attenzione e serenità il commento 20, vi accorgerete che non c’è tutta quella aggressività che (conseguenza della pandemic fatigue?) ci volete vedere. E soprattutto non c’è il minimo riferimento all’articolo principale, ma solo al cosiddetto “siparietto”.
     
    Buona giornata a tutti, ciao!

  13. 32
    Roberto Pasini says:

    Crovella. Per la precisione. Tu nel 1970 avevi 10 anni. Io andavo all’Univesita’, lavoravo, militavo nella sinistra storica e progettavo di sposarmi per la prima volta. Basta. Mi sono stufato e stiamo stufando anche gli altri. A me non piace annoiare. Scusate lo sfogo personale. Non lo farò più. 

  14. 31
    Alberto Benassi says:

    torniamo nelle Apuane che sono bellissime nonostante la follia degli uomini cerchi di distruggerle.

    oh meno male a qualcosa è servita la pubblicazione della via.

  15. 30
    Carlo Crovella says:

    @28 Roberto, guarda che seppur leggermente più giovane di te, appartengo anche io allo stesso periodo. Frequentavo il liceo negli anni di piombo, con le VR fuori e KoSSiga ministro dell’interno, ricordi? Quindi so a cosa ti riferisci. Proprio per questo mi pare che dovremmo tutti concentrarci sui temi all’ordine del giorno. Non rinnego affatto la mia preferenza a scrivere in modo autobiografico, anzi è il mio “unico” modo di scrivere, ma neppure comprendo perché il mio odierno sfottò sul siparietto delle comunicazioni in terza persona fra te e Cominetti debba farvi scattare come molle… suvvia, se inviti alla leggerezza, sii leggero tu per primo. L’aggressività che “vedi” nel mio commento 20 non c’è proprio. Buon proseguimento di giornata, ciao!

  16. 29
    Carlo Crovella says:

    Certo che mi piace scrivere in modo autobiografico, lo faccio praticamente da sempre, appartengo a quello specifico filone letterario (che vanta nomi ben più illustri del mio). Ma il tema odierno è in particolare il siparietto delle comunicazioni in terza persona fra Pasini e Cominetti professore: tipico cliché da teatro dell’assurdo (da me tanto amato). In altri momenti sarebbe stata una macchietta carina, Oggi come oggi la trovo stridente.
     
    PS: sta tranquillo che in campagna conosco la fatica del lavoro. Lo faccio per diletto, certo, ma le cipolle me le coltivo nel mio piccolissimo orto, ci hai proprio azzeccato! Ciao!

  17. 28
    Roberto Pasini says:

    Per Crovella. Lascio perdere perché ho imparato a mie spese a controllare il mio lato sgradevole e valutativo.  Ti ricordo che io appartengo ad una generazione che ha vissuto la sua giovinezza in un’epoca nella quale si sparava per le strade e siamo andati vicini alla guerra civile in questo paese. Anche negli anni bui quelli che avevano imparato la lezione durante la guerra hanno insegnato a noi giovani a mantenere umanità, allegria e buongusto come antidoto alle regressioni indotte dal pericolo e dall’ansia. ( Gli infermieri e i medici che cantano e sorridono non sono pazzi irresponsabili ma persone che hanno imparato a gestire positivamente lo stress). Siamo sopravvissuti agli esaltati, ai violenti, ai paranoici, ai talebani, ai sadici maniacali che abbondavano a destra e a sinistra. Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare, ma duri non significa essere rigidi, moralisti, bacchettoni, tristi e persecutivi. Non siamo davanti alla fine dell’umanità, che qualche squilibrato desiderebbe, ma ad una sfida che si vincerà, quindi autocontrollo, umanità  e nei momenti di sconforto ascolto reiterato dell’Inno alla gioia. E adesso con questo predicozzo autobiografico per me basta e torniamo nelle Apuane che sono bellissime nonostante la follia degli uomini cerchi di distruggerle.

  18. 27
    Albertro Benassi says:

    certo che ci vuole una bella faccia di …… hai riempito questo blog con pubblicazioni, con tanto di foto da bimbetto non ultima questa
    Il mistero del Money(Una querelle giornalistica ai tempi della Prima Repubblica)di Carlo Crovella
    ci hai raccontato di quando assapori il tuo caffe nei sabaudi caffè torinesi
    e,  siccome,  questo argomento non t’interessa ci fai la solita morale con tanto di Panda scalcinata, recitazioni varie, cipolle unte forse… non perchè l’olio costa caro.
    Ripeto, comprati zappone e vanga così le cipolle che mangi invece di comprarle te le  le coltivi. Però la vanga è pesa e la terra è bassa.

  19. 26
    Carlo Crovella says:

    Cmq, sono andato a rileggere il mio commento di stamattina presto, cioè il n. 20 e sinceramente non riesco a capire come possiate leggerci dentro un tono “aggressivo”. Semmai un sorrisino di distacco… questo sì, difatti il tono era fra lo scherzoso e la leggera presa in giro…
    Non è che iniziate tutti a essere un po’ troppo “suscettibili”, scattando esageratamente alla prima increspatura, in quanto “stressati” anche voi perché iniziate a risentire della sindrome che chiamano “pandemic fatigue“?
    https://it.mashable.com/coronavirus/4497/oms-pandemic-fatigue-significato

  20. 25
    Carlo Crovella says:

    Roberto, mi spiace moltissimo se ti ho innervosito, ma c’è un equivoco di fondo.
    Mai scritto (da parte mia): “andate a lavorare!”. Rileggi e vedrai. Ho detto che il quadro generale è tale che, oggi come oggi, l’attenzione di tutti dovrebbe vertere su temi prioritari, lasciando perdere quelli faceti. Sta “bruciando” la casa e voi vi dilettate a disquisire se è più carino il divano moderno o classico…… Il quadretto di te e Cominetti-alias che vi scambiate comunicazioni “formali” in terza persona mi appare stonato in questo momento storico. Situazione che starebbe benissimo in una piéce del teatro dell’assurdo (da me tanto amato, ho più volte recitato – in una compagnia amatoriale – in diversi testi di Ionesco e Durenmatt), ma nella realtà attuale stride assai. Questo non potete negarlo.
    Approfitto dell’occasione, però, per precisare a tutti che io non ho particolari preoccupazioni economiche a titolo personale. Non perché io sia ricchissimo, tutt’altro, ma semplicemente perché vivo con pane e cipolla, quindi senza tante esigenze, e non ho aspirazioni di vita “sociale” né mi piace viaggiare ecc ecc ecc. Come auto ho una Panda 30 (vecchio modello, anni ’90), il che la dice lunga sulla vita spartana che conduco.
    Sono invece molto preoccupato per le prossime generazioni, cui stiamo consegnando un paese in cenere perché preferiamo (come media aritmetica ponderata nazionale) assembrarci sul lungomare (Napoli) o in spiaggia (Palermo) o a prender aperitivi (vedi Navigli dei mesi scorsi) o in stupidissime discoteche (Costa Smeralda ecc). 
    Ma tanto questo andazzo (quello “vostro”, non quello “mio”, perché io sono in auto lockdown strettissimo da settembre e in realtà, per scelta ideologica, sono in lockdown esistenziale da oltre 20 anni – comunico con gli amici solo via pc/telefono, faccio tante cose, ma sempre per conto mio, faccio gite in montagna da solo o al massimo con mia moglie ecc ecc ecc), questo vostro andazzo, dicevo, ci porterà verso una nuova e inevitabile stretta nei prossimi mesi (allenteranno la corda solo a cavallo delle festività).
    A ricordarvi che non sarà più tempo di discorsi faceti ci penserà il (presumibile) prossimo governo, cui sta lavorando il tuo amato PD prima di ogni altro:
    https://it.insideover.com/politica/convergenza-tra-usa-e-pd-mesi-contati-per-il-governo-conte.html?utm_source=ilGiornale&utm_medium=article&utm_campaign=article_redirect&_ga=2.125049354.1277013722.1605688414-2064583549.1603351784
    E se ci fosse un severo regime restrittivo di sei mesi (gennaio-giugno 2021), tale per cui non si potrà andare in montagna (né su roccia né sulla neve) per un periodo così lungo, sarà ancora all’ordine del giorno il tema “per chi si aprono le vie”?
    Primum vivere, deinde pholosophari (e sentir dire una cosa del genere a uno come me, che ama la “speculazione filosofica e dialettica” più di ogni altra cosa, significa che siamo proprio con le spalle al muro…).
     
    Ciao a tutti!
     

  21. 24
    Roberto Pasini says:

    Per Crovella. Hai fatto incazzare anche me e non è un’impresa facile, diciamo un 7c.  Capisco le tue preoccupazioni economiche, come quelli di molti altri che vivono intorno a me e ti sono vicino e solidale. Tuttavia ho visto spesso l’espressione “andate a lavorare” usata in modo improprio, inopportuno e inutilmente aggressivo. Esattamente come hai fatto tu questa mattina e te lo dice uno che ha lavorato tutta la vita, a partire dagli anni dell’Universita’ fino a ben oltre l’età pensionabile e che ancora cerca di aiutare quando e come può  può colleghi, amici e giovani che stanno sulla linea del fronte. Inoltre come tutte le armi da taglio può essere usata facilmente contro colui che la impugna. Qui si sta discutendo in modo leggero un tema che non è affatto leggero: il bisogno umano, profondamente umano, di comunicare agli altri le proprie realizzazioni e le proprie emozioni. Un bisogno profondo di cui tu dovresti essere ben consapevole vista la quantità di messaggi che lanci dalla tua tana mentre contemporaneamente dici che odi l’umanità e vorresti vivere in una baita isolata. Messaggi pubblici a volte anche molto intimi e personali, con tanto di corredo fotografico familiare e storico.  Aggredire gli altri non è una soluzione efficace per controllare la legittima ansia di fronte a situazioni difficili, tanto più se si aspira ad un ruolo di guida e di leadership rispetto ai principi nei quali si crede. Tanti anni di montagna dovrebbero avertelo insegnato. Stammi bene.

  22. 23
    Giovanni Verzani says:

    Carlo Crovella, beviti dei bicchierotti di rosso, forse migliori🍷🍷

  23. 22
    Alberto Benassi says:

    Sembrate estratti da una pièce teatrale di Ionesco (teatro dell’assurdo). Tutte ste comunicazioni forbite fra gente che sa perfettamente di chi si tratta l’un dell’altro! In altri periodi avrei anche gustato questo “gioco” dialettico. Ora bel altre sono le priorità. Preoccupatevi se domani avremo la pagnotta per sopravvivere, altro che!

    ma vai a …… Crovella. Nella  vita il pane te lo guadagni solo te?
    Ci fai due maroni con tutti i tuoi scritti e pubblicazioni .
    Usa un pò di vanga e zappone, sempre che tu lo sappia fare,  che ti fa bene.

  24. 21

    E dopo Aristogitone ci mancava pure Azzeccagarbugli. 

  25. 20
    Carlo Crovella says:

    Sembrate estratti da una pièce teatrale di Ionesco (teatro dell’assurdo). Tutte ste comunicazioni forbite fra gente che sa perfettamente di chi si tratta l’un dell’altro! In altri periodi avrei anche gustato questo “gioco” dialettico. Ora bel altre sono le priorità. Preoccupatevi se domani avremo la pagnotta per sopravvivere, altro che!

  26. 19
    Alberto Benassi says:

     
    Come ho già detto l’ideale espresso al punto 2 e ribadito al punto 17 è giusto e  ammirevole e l’ho quasi sempre adottato altrimenti avrei aperto in ben altri stili “popolari” come è stato detto.
    Perchè ho pubblicizzato questa via?
    1 per la cronaca
    2 perchè ritengo  sia una bella via
    3 per fare una certa pubblicità alle sempre più martoriate Apuane,  ne hanno molto bisogno
    4 per lo stile adottato che va un pò contro corrente
    5 perchè mi piaceva raccontare la storia di una parete dimenticata anche se sotto gli occhi
    6 perchè spero venga ripetuta e magari anche apprezzata
    7 perchè ho scritto una relazione che più che una fredda e schematica relazione è un racconto, magari venuto male, ma è un racconto.
    E’ tutto questo disdicevole autoreferenzialità?  Decidete voi.

  27. 18
    Roberto Pasini says:

    Riva. Fammi capire. Stai dicendo che hai aperto delle vie e che poi hai comunicato che le avevi aperte solo per la cronaca, magari dando loro un nome e dicendo in che giorno l’avevi aperta e con chi? Se è così, come non puoi non vedere in questo atto un umano desiderio di far sapere e di legare il tuo nome a qualcosa che hai fatto e che in qualche modo rappresenta un lascito, un ricordo? Perché questo desiderio sarebbe disdicevole? Se ti fosse interessata solo la tua esperienza interiore, l’avresti fatta e non l’avresti detto a nessuno come un mandala costruito da te, visto solo da te e poi cancellato.

  28. 17
    Riva Guido says:

    @ Prof. Aristogitone al 2 e al 15. Centro nel centro! Quando è toccato a me la pensavo così. Grazie.

  29. 16
    Roberto Pasini says:

    Caro Professore, la ringrazio della precisazione. Comprendo la distinzione che lei fa tra chi racconta e socializza le sue aperture per puro dovere di cronaca (di cui mi sembra di capire lei abbia maggiore stima) e chi lo fa per procurarsi consenso e approvazione ( che lei mi sembra giudicare meno positivamente). È una distinzione sottile che richiede una capacità di diagnosi differenziale che è decisamente superiore alle mie competenze. Io mi limitavo al terreno che mi è più consono della comunicazione e distinguevo chi racconta e chi non racconta. Certamente potrebbe essere interessante approfondire le motivazioni di chi racconta ma per farlo, mi consenta, bisognerebbe essere meno inclini ad un giudizio rigido basato su criteri etici, come le accade ogni tanto, quando lei non segue la guida del suo amico chitarrista, che pur nella sua esuberanza emotiva è più indulgente, comprensivo e meno moralista verso le motivazioni complesse degli umani e più incline ad accettare le contraddizioni dell’animo umano, forse anche per esperienza personale, ma questo lo sa lei che lo conosce bene, io non mi azzardo e mi limito a suggerirle di ascoltarlo di più. Con la più viva stima. 

  30. 15
    Prof. Aristogitone says:

    Egregio Pasini, nella sua analisi ha saltato a piè pari quella parte di alpinisti, che sono la maggior parte, che aprono vie per il piacere di farlo e ne divulgano i dettagli per informare eventuali ripetitori o comunque altri alpinisti che magari credevano che quella data linea non fosse già stata salita, per esempio. Ciò esula totalmente dal compiere quell’azione sperando che altri ne debbano seguire le tracce. Gli apritori popolari, ovvero quelli che preparano le vie per gli altri e godono sapendo che questi ultimi le apprezzano sono, a mio modo di vedere,  quelli che davvero hanno i problemi di cui lei accenna perché agiscono ricercando il consenso e l’approvazione altrui. Non sono alpinisti indipendenti,  quindi non sono alpinisti.

  31. 14
    Roberto Pasini says:

    Fabio non vedo una contraddizione nel tuo orientamento. Ho ascoltato una recente intervista di Gogna sul suo ultimo libro nella quale diceva che nell’alpinismo/arrampicata c’è un elemento di “rappresentazione”. Questo vale per le imprese dei grandi e per le realizzazioni dei meno grandi. Sono le narrazioni che leggiamo con piacere e ammirazione e che diventano la storia maggiore o minore di questa attività umana. Poi c’è il mondo silente di chi fa ma non parla e non mi riferisco ai ripetitori ma agli apritori sconosciuti. Un mondo sicuramente minoritario, di nicchia, che non conosciamo neppure, perché non lascia tracce, se non minime. E qui trovi di tutto (come peraltro nella storia narrata). Tu giustamente mi hai rimproverato perché la mia espressione sembrava una diagnosi crudele e negativa, contro le mie intenzioni. È vero. Gli unici due che ho conosciuto erano problematici ma qui trovi anche seguaci dell’antico adagio per la felicità “vivi nascostamente”. Perché non dovremmo apprezzarli sia che si tratti di una scelta della volontà sia che derivi da una costrizione dovuta a problemi irrisolti di socialità? In fondo accettiamo tanto narcisismo patologico nella storia narrata perché non dovremmo comprendere anche una solitudine magari segnata dal dolore? Chi siamo noi per giudicare, come ha detto un signore che pure occupa un posto molto alto nella gerarchia dei valutatori del bene e del male (per chi ci crede ovviamente). 

  32. 13
    Alberto Benassi says:

    Ammiro gli alpinisti modesti, che salgono per se stessi in silenzio

    Fabio, perchè un alpinista modesto non dovrebbe raccontare di se (sempre che lo voglia) ? Essere modesto, non fare un’attività estrema,  non vuol mica dire non avere cose interessanti  da dire.
    Esperienze, gioie, paure, vittorie,  sconfitte, contraddizioni, aspirazioni. Insomma emozioni le proviamo tutti. Non solo Bonatti, Gervasutti, Honnold, ect.

  33. 12
    Fabio Bertoncelli says:

    Ammiro gli alpinisti modesti, che salgono per se stessi in silenzio, ma apprezzo tantissimo le autobiografie alpinistiche e la storia dell’alpinismo. È un controsenso: delle due cose l’una dovrebbe escludere l’altra, ma io sono fatto cosí.

  34. 11
    Roberto Pasini says:

    Bresciani, Piotti sono parte della storia narrata. È inevitabile pensare a nomi che conosciamo e immaginare tentativi non portati a termine. Magari erano sconosciuti e sono arrivati in cima schiodando.  Ah saperlo! Quando mi è capitato di trovare dei reperti mi ha sempre fatto sognare e commosso l’idea del mondo parallelo degli sconosciuti. Un po’ come i manufatti anonimi che a volte si trovano in posti improbabili e nascosti e che ci riportano alla storia minore, non detta, meno attraente e tirata a lucido che corre parallela alla storia ufficiale degli eroi e dei grandi eventi. 

  35. 10
    Alberto Benassi says:

    Ho cercato di ricostruire la storia alpinistica della parete con le vie aperte e i tentativi fatti riportandoli sulla relazione. Ho  cercato di scoprire di chi fossero quei vecchi chiodi testimoni di un lontano tentativo. Potrei pensare a Mario Piotti, ad Agostino Bresciani?  Magari loro  ci potrebbero dire qualcosa, ma non ci sono più.

  36. 9
    Roberto Pasini says:

    Sono certo che esiste un universo parallelo all’alpinismo che conosciamo perché è stato narrato. Probabilmente molti luoghi sono stati saliti da persone che non ne hanno mai parlato per diversi motivi. Ci sono stati forse grandi alpinisti che non conosciamo e non conosceremo mai. I famosi alieni. A volte si scoprono, come ha fatto Benassi, piccoli indizi, ma sono solo ipotesi che possiamo fare perché “ciò che non è detto non esiste”. 

  37. 8
    Alberto Benassi says:

    Le vie si possono aprire per tanti motivi e in diversi stili. Uno dei motivi più importanti, almeno per me, sta nella ricerca di  una completezza della propria esperienza alpinistico/arrampicatoria. Insomma un’alpinismo, una montagna  a 360° che comprende: ripetizioni, aperture, solitarie, invernali, solitarie invernali, ect. Lo stile di apertura è imporante, non tanto per fare delle classifiche,  ma perchè riflette o almeno dovrebbe, la mentalità di chi apre l’itinerario. Ad ognuno il proprio stile che  non dovrebbe essere influenzato dai futuri possibili ripetitori altrimenti si toglie peronalità all’itinerario.
    Poi si può decidere di raccontare tutto questo oppure no. Lo si può raccontare  per farsi grandi, oppure  perchè uno è un professionista e ci deve vivere. Ma anche per tanti altri motivi tra cui la semplice cronaca alpinistica che potrà essere dettagliata, oppure alla Gary Hemming : attacco ed uscita punto!
    Oppure perchè si ha voglia di trasmettere le proprie esperienze ed emozioni, penso che una delle ragioni della letteratura alpinistica sia questa.
    A me fa piacere leggere la cronaca alpinistica e i racconti delle  salite fatte.
     

  38. 7
    Roberto Pasini says:

    “anche se” era saltato il “se”. Il 

  39. 6
    Roberto Pasini says:

    Bertoncelli. Assolutamente vero. La mia considerazione statisticamente era un po’ eccessiva e faccio ammenda. Le due cose non sono necessariamente collegate, anche certi comportamenti a volte possono essere borderline. C’è chi preferisce vivere nascostamente e non far sapere a nessuno quello che fa, anche se io penso sia molto difficile adottare in modo estremo questo comportamento. Il bisogno di riconoscimento, anche minimo, è fondamentale per gli esseri umani per stabilizzare la loro identità. Ricordi il pallone dal volto umano “Wilson” con cui dialoga nella totale solitudine il protagonista di Cast Away ? 

  40. 5
    Fabio Bertoncelli says:

    Roberto, chi apre vie per se stesso non è “spesso” un “onanista” e non necessariamente ha “problemucci personali irrisolti”. Può essere, semplicemente, una persona diversa dalla maggioranza.

  41. 4
    Roberto Pasini says:

    Caro Professore, lei è spesso più estremo del suo alter ego. Potremmo dire che uno apre le vie per se stesso e per i ripetitori. Se uno le aprisse solo per se stesso non ne parlerebbe con nessuno, così come terrebbe i libri che scive nel cassetto, gli articoli e i racconti in un piccolo scrigno segreto senza socializzarli sul Gogna blog. La maggior parte di noi umani, vuole lasciare un segno, piccolo o grande, del suo breve passaggio sulla scena della vita e un segno è tale solo se c’è qualcuno che lo riconosce. Pochissimi sono quelli che se ne fottono completamente del riconoscimento sociale e vivono rinchiusi nella loro autosufficienza onanistica, come alieni tra noi. Questo comportamento è spesso frutto anche di qualche problemuccio personale irrisolto. Quindi caro Professore sia meno apodittico, lasci che il suo alter ego continui a suonare sul gognablog con nostro grande diletto e si unisca alla soddisfazione condivisa dell’apuano mordace e tenace che insegue le orme aliene. I miei rispetti. 

  42. 3
    Alberto Benassi says:

    Le vie si aprono per se stessi e non per i ripetitori.

    principio rispettabilissimo, che ho quasi sempre adottato nelle vie che ho aperto. Dico “quasi” perchè in alcune ho cercato di  favorirne le ripetizioni. Ma per motivi non certo di pubblicità personale, ma ben più nobili. Ad esempio per una via che abbiamo  aperto sul monte Corchia e l’abbiamo dedicata ad un AMICO che purtroppo non c’è più.
    Questa nuova via al monte Croce l’abbiamo aperta  con uno stile che, qualcuno, ha sentenziato, dopo alcune ripetizioni, l’avrebbe fatta cadere nel dimenticatoio. Ma questo è quello che ci dava più soddisfazione e così abbiamo fatto.

  43. 2
    Prof. Aristogitone says:

    Le vie si aprono per se stessi e non per i ripetitori.

  44. 1
    Marco Lecci says:

    Sono sicuro che la prossima stagione conterà fior fiori di cordate! Per quanto mi riguarda sto solo aspettando il momento buono per capitarci, come tanti altri immagino. 

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