Le altre salite di Emilio Comici
Emilio Comici è nella storia dell’alpinismo un personaggio “chiave”, come un Preuss, un Cassin, un Bonatti o un Messner. Una personalità non così semplice da tratteggiare, in quanto il triestino incarna alla perfezione l’alpinista un po’ malinconico, romantico e solitario, dal carattere introverso e soggetto a rapide mutazioni di umore, in un’altalena di esaltazioni e depressioni.
Nessuna via di Comici è banale, a prescindere dal grado di difficoltà, perché vi predomina sempre il fattore estetico.
Quando Emilio Comici e Giordano Bruno Fabjan salirono nel 1929 la parete nord-ovest della Sorella di Mezzo del Sorapìss, subito si acclamò il primo sesto grado italiano. In quella ascensione Comici fece uso di chiodi e manovre di corda, su una parete di 600 metri indubbiamente repulsiva e remota. I ripetitori, e specialmente quelli moderni, non confermarono appieno il giudizio che fu dato allora di quell’impresa. Nella sua bella relazione Comici non dà un parere tecnico sulle difficoltà e non nomina la parola sesto grado. Egli parla solo di” difficoltà estreme” in un passaggio che la cordata superò solo nel primo tentativo, ma che nel secondo e vittorioso evitò.
Ad ogni modo la Sorella di Mezzo fu l’avviso che le cose stavano cambiando e che il sesto grado non era solo per gli uomini d’oltralpe.
Comici era al corrente delle valutazioni e dei progressi del momento, e gli aggettivi usati nelle sue relazioni sono precisamente commisurati alla Scala di Welzenbach, ormai in uso da quattro anni.
Nel 1931 Comici, con Giulio Benedetti, salì i 1200 metri della Nord-ovest della Civetta, la parete delle pareti, per un nuovo itinerario, a sinistra di quello di Emil Solleder che aveva segnato l’inizio del sesto grado ufficiale. Sulla Rivista Mensile del CAI, Comici scrisse «Io credo, per l’arditezza del concetto di affrontare una simile parete, per la continua esposizione, per le incessanti difficoltà – richiedenti oltre che una raffinata tecnica moderna di roccia, pure un tremendo sforzo fisico e psichico – di aver posto l’alpinismo italiano all’altezza che gli spettava. Questo era il mio sogno, la mia aspirazione: porre in testa l’alpinismo italiano sulle Dolomiti italiane!». Nella sua relazione compaiono 16 volte l’espressione “estremamente difficile” e 18 volte “straordinariamente difficile”. La descrizione dell’itinerario è fatta quasi lunghezza per lunghezza, vengono menzionati i luoghi in cui sono stati piantati i chiodi e se sono stati lasciati o no. Si specifica accuratamente quando sono state usate le staffe di cordino sul chiodo (2 volte), quanti pendoli sono stati effettuati, il numero totale dei chiodi (35). È quindi la prima relazione di tipo moderno e con buon motivo, considerato che con quell’impresa si superava il limite Solleder. Ma a questo punto occorre ricordare che la via Comici-Benedetti è un continuo obliquare a destra, nell’affannosa rincorsa della vera vetta, con un termine sulla via Solleder, a cinquanta metri dalla cresta finale. Pare che un itinerario così illogico sia stato realizzato dopo la scelta di un punto d’attacco molto distante dalla linea verticale, così cara a Comici, la “via della goccia cadente”, e che questo sia dovuto alla deformazione prospettica di osservazione dal lago Coldai.
Comici intendeva l’arrampicata un’arte: egli seguiva l’estro e il proprio impulso e, perfettamente padrone delle nuove tecniche, realizzava itinerari esteticamente perfetti. Egli fu mitizzato per questa sua capacità di scelta e per il suo stile di vita d’artista, oltre naturalmente che per la sua bravura. Vi furono veri e propri tifosi di Comici, come in tempi posteriori successe a Bonatti o a Messner. Le sue gesta andarono ben oltre i precisi confini dell’alpinismo, la parola “sesto grado” tramite suo entrò nel vocabolario per indicare la difficoltà estrema di tante altre cose. È quindi stranamente curioso che la sua più grande impresa, la Civetta, cioè l’affermazione più alta e più degna della convivenza tra libera e artificiale, quell’arrampicata “mista” che in seguito non trovò mai una precisa collocazione, sballottata, immiserita e incompresa nelle sterili dissertazioni e discussioni accese tra puristi e artificialisti, non fosse concorde con la linea estetica e con i sentimenti che governarono sempre l’attività di Comici. L’ingenua e fresca gioia di aver portato l’alpinismo dolomitico italiano ai livelli tedeschi (se non oltre) che Comici espresse, cozzò con i giudizi degli ignoranti e dei detrattori, di quelli insomma che hanno sempre qualcosa da dire contro. Tanto rumore si fece (giornalistico e alpinistico) per la conquista dei 550 metri della parete nord della Cima Grande di Lavaredo, tanto silenzio cadde sulla splendida illogicità della Civetta, nonostante che l’itinerario abbia avuto primi ripetitori di tutto rispetto, tra cui (3a ascensione) Riccardo Cassin e Mario Dell’Oro. La ragione di ciò è nel differente modo di presentarsi delle due imprese. La Nord della Grande è una lavagna, ed è quello che il grande pubblico voleva, l’arena del sesto grado con i gladiatori finalmente italici; la Nord-ovest della Civetta non accetta spettatori, gli uomini che la scalano sono sperduti nei camini e nelle fessure, invisibili per la chilometrica distanza. Occorre viverci dentro per capire qualcosa, occorre «contemplare estatici quelle muraglie che ci attirano con forza piena di lusinghe e d’incanto e struggersi dal desiderio di toccarle, di possederle, di penetrare nei loro misteri per ricavarne sensazioni indicibili e impensate (E. Comici)».
La Nord della Grande faceva gola a molti, c’erano già stati parecchi tentativi, anche degli alpinisti più forti del momento. Hans Steger, nel 1930 con Paula Wiesinger, salì ottanta metri e al punto massimo lasciò un fazzoletto.
Nell’estate 1933 s’inserirono in lizza anche i fratelli cortinesi Angelo e Giuseppe Dimai, figli del grande Antonio. Vi furono parecchi tentativi, con ricambio di parecchi uomini, tra i quali Ignazio Dibona, Giuseppe Ghedina e Angelo Verzi, tutti cortinesi. Bisognava far la parete ad ogni costo. Prima dei tedeschi. E in quel clima ossessivo si figurò il tentativo finale, dei due Dimai e di Comici. I capocordata si alternavano ogni pochi metri, furono usate le corde fisse per scendere e risalire il giorno dopo; fu usato il cordino di collegamento, con il quale dal basso gli amici potevano mandare su agli uomini in parete qualunque cosa essi necessitassero. Il 13 agosto i tre uscirono dalla parete gialla e bivaccarono su un buon terrazzino. Il giorno dopo, presto in mattinata, erano in vetta. Fu un vero e proprio trionfo, ma con quell’impresa nacquero polemiche a non finire. Tutti videro allora l’uso allarmante di chiodi e per questo è famoso il giudizio del patriarca dell’alpinismo Julius Kugy, che profferì: «Adesso è provato che la Nord della Grande non era una parete arrampicabile».
Si può dire che era nato l’alpinismo “himalayano” sulle Dolomiti. Il filosofo dell’alpinismo Domenico Rudatis non aveva ancora detto «percorrere la parete in più tempi non è più un sesto grado» (lo fece solo nel 1935); il principio dell’autosufficienza della cordata avrebbe dovuto essere basilare per tutti. Ma ciò non successe, perché spesso la storia avanza al di là della logica e dell’etica. Al di là degli aspetti spettacolari di quell’impresa (la prima ad essere seguita in diretta giornalistica, data la facilità di accesso e la notorietà), al di là delle polemiche sui chiodi e sul futuro di un tal genere di alpinismo, al di là delle rivalità (anche Giuseppe Dimai meritava la sua parte e invece tutti furono per Comici), al di là della spettacolarizzazione, oltre insomma a tutte le questioni e le beghe del tempo, la Nord della Cima Grande è uno stacco netto con il passato. Comici e i Dimai usarono, per i primi 225 metri, 75 chiodi (uno ogni 3 metri!). Lo stesso Comici che sulla Civetta aveva piantato 35 chiodi su 1200 metri, uno ogni 34 metri. Comici non scrisse mai, al riguardo della Nord della Grande, una relazione così entusiasta e così pignola come aveva fatto per la Nord-ovest della Civetta. Ancora più interessante è osservare l’immediata storia dell’itinerario che oggi conta migliaia di ascensioni.
Nel giro di quattro anni la chiodatura era diventata talmente fitta da permettere un’ascensione senza bivacco. Il pericolo tanto paventato dai puristi aveva preso corpo: ci si issava ormai sui chiodi, uno dietro l’altro, con gioco meccanico di scalette, corde e moschettoni. Al chiodo fisso in posto ci si può arrivare di slancio, quasi al volo: e la salita passava lo stesso per “sesto grado”. E a questo assurdo si pose rimedio soltanto molti decenni dopo, prima con l’introduzione della scala artificiale, poi con la precisa presa di posizione di Reinhold Messner, che seguiva le idee di Enzo Cozzolino e di altri liberisti della fine degli anni ’60.
Lo stesso Comici nel 1937, anche sull’onda delle chiacchiere, divorò la parete da solo in neppure quattro ore. Con ciò dimostrando, arma a doppio taglio, di essere il più forte e coraggioso scalatore del momento, degno del mito in cui viveva; ma dimostrando pure che i chiodi non permettono al sesto grado di sopravvivere dopo la prima ascensione. E con amarezza Comici scrisse: «C’erano tanti chiodi… povera parete nord!».
Qualche giorno dopo, assieme a Renato Zanutti e Mary Varale, scalò l’aereo ed elegante spigolo sud-est dell’anticima della Cima Piccola di Lavaredo, da allora noto come Spigolo Giallo, autentico prototipo di scalata dolomitica di alta difficoltà, realizzando in pratica il suo ideale di dirittura, eleganza e perfezione estetica. Sulla stessa cima, Comici si ripeté tre anni dopo sul lato nord, affrontato con Piero Mazzorana: un altro spigolo di suprema eleganza.
Mary Varale, all’inizio di quella stagione 1933, aveva invitato Comici in Grignetta per tenere un corso di roccia che aggiornasse sulle ultimissime tecniche i giovani lecchesi. Egli rimase impressionato dalla bravura di alcuni di loro e predisse che quelli avrebbero fatto grosse imprese… Con Cassin, Ratti, Dell’Oro e tanti altri, il Maestro non s’era certo sbagliato!
A giudizio di alcuni alpinisti contemporanei, una delle più incredibili sue imprese, anche se forse la meno celebrata, fu quella che compì nel 1936 con Sandro Del Torso e con Mazzorana: la parete nord del Dito di Dio, nel gruppo del Sorapis.
L’ultimo periodo della vita di Comici fu caratterizzato da una serie di imprese compiute con l’amico vicentino Severino Casara, il quale poi ne canterà le gesta in molti libri. Oltre ad aver tentato la parete est del Campanile di Val Montanaia, nel 1937, con Casara, salì i 400 metri della parete sud della Cima d’Auronzo per una fessura molto estetica. L’ultima impresa sfiorò la perfezione per l’eleganza dell’arrampicata e il valore del tracciato. Su un torrione che si eleva sui fianchi del Sassolungo, detto “il Salame” per la sua forma cilindrica, Comici tracciò con Casara una via non lunga (350 metri) ma splendida e difficile, un vero e proprio trionfo dell’arrampicata libera su quella artificiale.
Le prime ascensioni in Carniche e Giulie
17 agosto 1927 – Torre Innominata 2463 m, per la gola nord (con Gino Razza), 570 m, V.
10 giugno 1928 – Jôf di Montasio 2753 m per la Gola del Vert Montasio (con Giorgio Brunner e Riccardo Deffar.
8 agosto 1928 – Cima di Riofreddo 2507 m, parete nord, (con Giordano Bruno Fabjan),700 m, V+.
6 marzo 1929 – Jôf di Montasio, cresta est-sud-est, 1a invernale (con Brunner).
9 marzo 1929 – Cima del Vallone 2368 m, 1a invernale da sud-ovest (con Brunner).
29 giugno 1929 – Cima di Riofreddo, spigolo nord-est (con Fabjan), 750 m, V.
4 agosto 1929 – Monte Sart 2324 m, parete nord (con Mario Forni, Dario Mazzeni e Giacomo Orsini, 1100 m, dal III al V.
8 settembre 1929 – Torre Dario Mazzeni 2212 m (Montasio), 1a ascensione (parete est) (con Mario Orsini), 250 m, V.
22 settembre 1929 – Torre Lazzara 2263 m (Montasio), 1a ascensione (con Piero Slocovich), 300 m, IV e V.
6 luglio 1930 – Monte Cimone del Montasio, parete ovest (con Fabjan, Deffar e Mario Orsini), 500 m, V+
20 luglio 1930 – Monte Siera 2443 m, parete nord-est (con Fabjan, Ovidio Opiglia e Brunner), 500 m, IV e V.
31 agosto 1930 – Briceljk (Parete di Bretto) 2347 m, parete nord-ovest (con Giuseppe Cesar), 1200 m, dal III al V.
7 settembre 1930 – Cengia degli Dei (Jof Fuart 2666 m-Madri dei Camosci 2518 m), con Mario Cesca.
28 settembre 1930 – Torre di Val Romana 1972 m, 1a ascensione (con Brunner, Lagger e Opiglia).
21 dicembre 1930 – Bavški Grintavec (Grinta di Plezzo) 2344 m, 1a invernale (con Brunner, Fabjan e Opiglia).
20 novembre 1931 – Candela del Canyon delle Meraviglie (Istria), 1a ascensione e Gran Torre (con Giorgio Stauderi).
10 agosto 1932 – Cima di Val di Guerra 2353 m (Pramaggiore), parete est (con Sandro Del Torso e Renato Zanutti).
26 settembre 1934 – Jalovec 2643 m (Alpi Giulie Slovene), spigolo nord-est con variante diretta (con Anna Escher, Jože Lipovec e Ida Mally), 600 m, V+ e A1.
Le altre prime ascensioni
4 agosto 1928 – Cima del Bancon 2346 m, 1a ascensione e Cima degli Aghi, 1a ascensione (con Felice Franceschini e Domenico Rudatis, II e III.
9 giugno 1929 – Sorapiss 3205 m per il canalone ghiacciato settentrionale (con Brunner), IV.
16 agosto 1929 – Circo dello Zurlon (Sorapiss), nuovo accesso (con Fabjan).
24 agosto 1929 – Dito di Dio 2603 m (Sorapiss), parete nord-ovest (con Fabjan), 600 m, V.
25 agosto 1929 – Croda del Valico 2800 m c. (Sorapiss), 1a ascensione (da est) (con Severino Casara, Mario Salvadori, Fabjan, Emmy Hartwich Brioschi), II.
26-27 agosto 1929 – Sorella di Mezzo 2999 m (Sorapiss), parete nord-ovest (con Fabjan), 800 m, VI-.
31 agosto 1929 – Piz Popena 3152 m (Cristallo), parete ovest (con Fabjan), III e IV.
15 febbraio 1930 – Cridola 2581 m, parete sud, via Berti, 1a invernale (con Brunner).
15 giugno 1930 – Campanile Innominato del Rinaldo (Campanile Brunner) 2410 m, 1a ascensione (con Brunner e Opiglia), I.
29 giugno 1930 – Punta dei Tre Scarperi 3152 m, canalone ovest (con Brunner e Fabjan), IV.
2-3 agosto 1930 – Croda Antonio Berti 3024 m, parete ovest (con Fabjan e Piero Slocovich), 500 m, VI.
13 giugno 1931 – Torre Casa (Torre di Lagunaz) 2296 m(Pale), 1a ascensione (con Brunner e Opiglia).
14 giugno 1931 – Torre del Boral 2290 m, 1a ascensione (con Brunner e Opiglia), V.
6 luglio 1931 – Torre Nord dell’Alberghetto, 1a ascensione (parete nord) (con Brunner), III.
11 luglio 1931 – Torre Armena 2652 m (Agnèr), variante a Nord (con Brunner), IV.
14 luglio 1931 – Cima della Beta 2704 m (Pale), parete ovest (con Brunner), IV.
4-5 agosto 1931 – Monte Civetta 3220 m, parete nord-ovest, via nuova (con Giulio Benedetti), 1050 m, VI.
26 gennaio 1932 – Cadin di San Lucano 2839 m, 1a invernale (con Brunner e Gabriella Cernuschi).
30 gennaio 1932 – Piz Popena 3152 m (Cristallo), 1a invernale (con Brunner).
12 giugno 1932 – Spiz Piccolo 2120 m (Pale), da Nord (con Brunner), IV.
28 giugno 1932 – Torre di Lagunaz 2296 m, traversata da nord a sud + Spiz di Lagunaz 2338 m 1a ascensione (con Brunner e Massimina Cernuschi), IV+.
29 luglio 1932 – Torre del Diavolo 2622 m (Cadini), parete ovest (con Salvadori), 120 m, VI.
12 agosto 1932 – Torre Siorpaes 2553 m (Cadini), parete nord-ovest (con Salvadori, Nico Arnaldi e Marcello Masotti), III e IV.
28 maggio 1933 – Zuccone di Campelli 2161 m (Prealpi Lecchesi), parete ovest (con Mary Varale, Roya, Rudolf ed Emil Springorum, seguiti da Riccardo Cassin, Mario Dell’Oro e Mario Umett Spreafico), 140 m, V.
2 giugno 1933 – Nibbio 1368 m (Grigna), parete est, via Comici (con Antonio Piloni e Mario Dell’Oro), VI.
4 giugno 1933 – Torre 1728 m (Grigna), parete est (con Augusto Corti e la Varale), V.
12-14 agosto 1933 – Cima Grande di Lavaredo 2999 m, parete nord (con Giuseppe e Angelo Dimai), 550 m, VI- e A1.
8 settembre 1933 – Cima Piccola di Lavaredo 2856 m, Spigolo Giallo (con la Varale e Renato Zanutti), 350 m, VI+.
20 settembre 1933 – Corno d’Angolo 2420 m (Cristallo), spigolo sud (con Sandro Del Torso), V.
25 giugno 1934 – Stefan (Olimpo), spigolo nord-ovest (con Anna Escher).
26 giugno 1934 – Stefan (Olimpo), parete nord-est (con la Escher).
28 giugno 1934 – Mitka (olimpo), spigolo nord-ovest (con la Escher).
19 luglio 1934 – Guglia Giuliana (GUF) (Cristallo), parete sud-ovest (con Fabjan, Vittorio Cottafavi, D. Cavallini, Gianfranco Pompei.
26 luglio 1934 – Torre Grande di Falzarego, parete sud (con Dal Torso e Jane Tutino Steel), V.
2 agosto 1934 – Punta di Frida 2792 m (Lavaredo) (con Fabjan, Cottafavi e Pompei), 250 m, VI.
10 agosto 1934 – Torre Piccola di Falzarego, spigolo sud (con la Varale e Del Torso), 230 m, V.
1 settembre 1934 – Punta Col de Varda 2504 m (Cadini), parete nord-ovest (con Del Torso), IV.
26 aprile 1935 – Torrione Gemelli ai Denti della Vecchia (Canton Ticino), 1a ascensione (con Tita Calvi).
14 giugno 1936 – Gran Galayo 2215 m (Ávila, Spagna), parete ovest (con Anna Escher, Jože Lipovec e Ida Mally), IV+.
16 giugno 1936 – Torreone de Galayos, 1a ascensione (con Anna Escher, Jože Lipovec e Ida Mally).
4 luglio 1936 – Los Encantados (Pirenei), 1a ascensione del Canal Central.
13 luglio 1936 – Torrione Comici (Torrione di Cima Guerra) 2200 m (gruppo Pramaggiore), diretta da Est (con Del Torso e Zanutti), 300 m, V e VI.
agosto 1936 – Campanile Basso 2883 m, via Fehrmann, 1a solitaria (74’) e via Preuss, 2a solitaria (20’).
17-18 agosto 1936 – Cima Piccola di Lavaredo, spigolo nord-ovest (con Piero Mazzorana), 350 m, V e VI, 1 passo di VI+ e 1 di A1 (oggi VII).
8-9 settembre 1936 – Dito di Dio (Sorapiss), parete nord (con Mazzorana e Del Torso), 600 m, VI.
1 aprile 1937 – Cima presso Gebel Karib (Sinai), 1a ascensione (con la Escher, Jože Lipovec e Othmar Gizmann).
4 aprile 1937 – Torre dell’Abu Harba (Sinai), 1a ascensione e Cima Innominata Nord-est, 1a ascensione (con gli stessi).
5 aprile 1937 – Cima Sud-ovest dell’Abu Harba (Sinai), 1a ascensione (con gli stessi).
7-8 aprile 1937 – Gebel Kattar (Sinai), parete nord-ovest e traversata, 1a ascensione (con gli stessi).
12 aprile 1937 – Terza Torre del Kattar (Sinai), 1a ascensione (con gli stessi).
13 aprile 1937 – Seconda Cima del Kattar (Sinai), 1a ascensione (con gli stessi).
29 aprile 1937 – Um Shomer (Sinai), 1a ascensione (con gli stessi).
1 maggio 1937 – Gebel Musei (Sinai), 1a ascensione (con gli stessi).
2 maggio 1937 – Monte del Cipresso (Sinai), 1a ascensione (con gli stessi).
28 giugno 1937 – Cima d’Auronzo 2921 m, parete sud (con Casara).
2 settembre 1937 – Cima Grande di Lavaredo – prima ripetizione in solitaria della sua via alla parete nord in 3 ore e ¾.
4 settembre 1937 – Guglia Giuliana (GUF) (Cristallo), parete nord (con Pompei), IV.
16 ottobre 1937 – Il Mulo (Lavaredo), spigolo sud-est (con Cottafavi e Pompei), V.
24 agosto 1939 – Secondo Campanile di Popera 2657 m, parete nord-est (con Arturo Dalmartello), IV e V.
28-29 agosto 1940 – Salame del Sassolungo 2844 m, parete nord (con Casara), 400 m, V+, VI-, A0 (oggi VI+).
7
Il nylon 6 fu prodotto per la prima volta da Paul Schlack nei laboratori IG Farben nel 1938a partire dalcaprolattame come reagente . Fu brevettato nel 1941 e commercializzato sotto il nome di “Perlon”, troppo tardi per entrare nelle corde in uso in Italia e solo 1 anno dopo la morte di Comici.In quegli anni le corde di canapa vennero per lo piu’ impiegate in pratiche contro il genere umano e forse si usano ancora per scopi piu’ o meno nobili..Almeno le prime suole di gomma Vibram risalgono al 1937,ma entrarono in piena produzione e diffusione piu’ tardi. Comunque tutto il sistema di corda doppia regge sul primo vincolo, l’ancoraggio.
Ripetendo nel mio piccolo la sua via al dito di Dio ebbi chiaro quanto fosse grande…e avanti! arrampicata in aderenza e chiodatura lunga, il giusto compromesso tra la non-protezione o chiodo sopra chiodo.L ‘autarchia dei cordini in canapa hanno spento un vero precursore ,moderno anche nelle pose fotografiche.
Di conoscere Comici non ci si stufa mai, è amato un personaggio meraviglioso .
Sono lieto, nel mio piccolo, di aver salito quattro volte la sua via sul Col de Varda, la cui prima ripetizione appartiene ad un grande della letteratura, Dino Buzzati.
Mi piacerebbe leggere qualcosa anche sui compagni di Emilio, da Fabjan ad Anna Escher.
Grazie, Alessandro!
Peccato per quell’ultimo cordino, e che allora non andasse di moda il casco e che i materiali comunque non fossero di elevato standard di sicurezza. Forse anche l’allegra compagnia indusse ( e ancora induce ) a distrarsi. Comunque lo sgancio dell’ancoraggio nella discesa in doppia , si e’verificato tante altre volte anche con materiali progrediti.Esiste una “scuola”di allenamento alla dis-arrampicata, magari per vie piu’ facili???Nei Filmati addestramento web non se ne trova traccia , ma di tecnica discesa in doppia parecchie.
Alessandro, continua su questa strada.
Trovo le storie dei fatti e dei personaggi sempre affascinanti. Soprattutto quando sono raccontate, come in questo caso, senza retorica e senza esaltazione celebrativa nella ricerca, per quanto possibile, della verità storica.
Non sono certo un conservatore ed apprezzo la modernità rispettosa anche nell’alpinismo e nell’arrampicata ma sono convinto che l’alpinismo, che mi ha conquistato tanti anni fa, ha sempre bisogno della sua storia per continuare ad affascinare chi ad esso si avvicina.
Nel poco che riesco a fare oggi mi capita ancora di discutere di alpinismo con ragazze e ragazzi giovani pieni di entusiasmo. Conoscono poco della storia dell’alpinismo ma quando ti metti a raccontare noto in essi un grande interesse. Ben vengano allora scritti come quello che abbiamo appena letto.