Essere maestri di sci

Essere maestri di sci
di Fausto Tatone
dal suo profilo fb, 2 febbraio 2023

Tutto cominciò domenica mattina. Per me il giorno di debutto da maestro di sci a Campo Imperatore dopo 6 anni da direttore di stazione durante i quali avevo quasi dimenticato l’insegnamento.

Di tutto punto partii da casa, a poche centinaia di metri dalla stazione di partenza della funivia del Gran Sasso. Persi la funivia delle 7. Avevo con me Jack che in qualche modo mi procurava alcune ansie.

Negli ultimi sei anni eravamo sempre andati a lavorare insieme in montagna e avevamo sviluppato un bel rapporto di autonomia.

Fausto Tatone con Jack

Si saliva contemporaneamente, in bici o in auto, poi ognuno faceva il proprio dovere. Io mi occupavo del coordinamento dell’intera stazione dalla biglietteria ai rifugi alla sicurezza sulle piste fino a pubblicare puntualmente sui canali web lo stato di apertura delle piste.

Lui invece si occupava dell’accoglienza dei clienti, in particolare modo dei bambini. Passava intere ore vittima della loro spontaneità. L’ho visto fare il cavalluccio con sulla groppa tre infanti senza lamentarsi affatto. Anzi sorrideva.

Ma sapevo che a Campo Imperatore era diverso. Ho pregato fino all’ultimo momento che non prendesse la funivia, malgrado fosse un gesto per lui quotidiano. Troppa gente. Troppo caos. Non sarei mai riuscito a controllare le sue mosse.

Fortunatamente non lo fece, rimase alla base dove sicuramente trovò molte coccole e tanti premi.

Nel mentre, io arrivai in cima cosciente che avrei vissuto quella giornata in maniera diversa.

Non avevo più responsabilità, non dovevo pensare alle piste, ai rifugi, alle biglietterie ma dovevo fare solo il maestro di sci.

Non sapevo cosa mi aspettasse e approfittando della scarsa affluenza dovuta alle prime ore della giornata approfittai per scaldarmi un po’. Era un mese che non uscivo in bike, dieci mesi che non sciavo.

Andai subito a vedere la “Stradina”, l’unica pista che non conoscevo. Mai fatta in 55 anni di sci.

Poi mi buttai per le Fontari. Gli sci giravano da soli, non ricordavo di essere così capace. E tutt’intorno regnava un panorama mozzafiato.

Dopo essere ripassato per la scuola ed aver ricevuto le istruzioni del direttore mi recai al luogo di appuntamento con i clienti.

Sapevo che era uno sci club. Circa 40 persone. Vista la mia esperienza e la mia età il direttore mi diede indicazioni affinché mi fosse affidato un gruppo di medio livello o di esperti.

Accadde il contrario. Per timidezza e per l’elevato rispetto che ho di quella montagna finii per prendere i principianti o poco più. Un gruppo di bambini compresi tra i 5 e i 14 anni.

Malgrado sapessi che alcune età non vanno d’accordo con altre, specialmente dal punto di vista motorio, non mi arresi. Li presi tutti e in qualche modo arrivammo alla fine della discesa.

Presa la seggiovia e arrivati in alto mi trovai davanti un’orda di genitori che chiedevano a chi poter affidare i propri figli. Altri allievi arrivati in ritardo. Senza arrendermi presi tutti con me.

Avevo a quel punto tre livelli diversi con altrettante fasce di età incompatibili tra di loro. Un club scarsamente organizzato.

Continuai per tre ore a fare avanti e indietro per la Stradina, cercando di giocare con i più piccoli e di dialogare razionalmente con i più grandi. Ne è venuta fuori una lezione fantastica.

Ho visto principianti partire da zero fare lo spazzaneve dopo solo 100 metri e le curve dopo 500. Che soddisfazione.

All’imbarco della seggiovia mi ritrovavo accanto i più piccoli. Ricordo Anna, una bambina tra i 5 e 6 anni che non si è mai voluta allontanare da me malgrado fosse in grado di sciare in completa autonomia.

Siamo sempre saliti insieme in seggiovia e lei ha sempre voluto la mia mano appiccicata alla sua.

Emozioni indescrivibili. Sentire quella piccola manina stringersi e allentarsi a seconda del percorso della seggiovia.

Seduti ci siamo raccontati un sacco di cose. Tacere con i bambini è il più grande torto che possiamo fargli.

Gli avrò raccontato mille cazzate, quelle poche che mi venivano in mente, ma lei era sempre concentrata sulla mia voce, forse l’unico rifugio alle sue paure.

Dovevo finire la lezione alle 14 ma alle 15 ero ancora lì ad accertarmi che i bambini avessero reincontrato i loro genitori e che questi ultimi fossero soddisfatti.

Un bel momento. Tanti complimenti ma soprattutto tanti sorrisi.

Rientrai a scuola. Ero a pezzi. Cercai di togliermi gli scarponi che si erano saldati con la pelle dei miei piedi.

Doloreeeeee. Ma che bello.

In fretta e furia decisi di provare a prendere la prima funivia disponibile.

Il mio pensiero era per Jack. Ci eravamo lasciati alle 7.15 ed erano le 15.15. So benissimo quanto tempo resiste in autonomia senza di me e otto ore vanno oltre la sua e la mia tolleranza.

Presi la funivia all’interno della quale mi ritrovai Alessia col papà, una bambina speciale che pochi minuti prima era una mia allieva.

Senza casco, maschera e scaldacollo ci siamo visti per la prima volta in viso. Era bellissima e contenta, anch’io.

Sceso alla villetta non trovai Jack. Malgrado avessi ricevuto una foto da un amico che lo ritraeva a mangiare un arrosticino qualche minuto prima.

Avevo la giugulare in procinto di fare un backflip.

Un bicchierozzo di birra era l’unica soluzione. Entrai al bar della Villetta.

Era strapieno. In un angolo c’era una goliardica tavolata con presenti tutti gli organizzatori, o quasi, del Festival della Montagna. Era da molto tempo che non li vedevo. Approfittammo subito per brindare.

Tra i tavoli si parlava della giornata appena passata. Chi raccontava della pista come un biliardo, chi dei fuori pista, chi della pellatina o della ciaspolata.

Un ambiente così stimolante non esiste in nessun altro posto al mondo. Belle storie. Su Instagram non renderebbero.

Erano ormai le 17 e tante altre persone si erano aggiunte a quella festa, compresi altri maestri di sci, in primis quelli della scuola sci Assergi Gran Sasso ma anche quelli provenienti da Campo Felice. Whatsapp stava diffondendo la notizia che alla Villetta c’era un sacco di divertimento.

Con Luigi, Gabriella e altri amici ci sedemmo ad un tavolo all’esterno. Una nuova area appena realizzata come fosse un igloo e riscaldata da funghi a gas. Arrostisci a gogo.

Tra quel tavolo esterno e quello all’interno con due diverse compagnie di amici feci un via vai continuo.

Poi notai qualcosa di diverso. Due ragazze vestite alla Julia Roberts e altrettanto belle erano entrate nel locale tra l’indifferenza di tutti. Pensai: non è possibile.

Ai miei tempi sarebbero state assaltate da una manica di arrapati invece non le notò nessuno.

Dopo qualche minuto il deejay diede il via alle danze e le due ragazze, cambiato l’abito, si misero a ballare sul cubo. L’ambiente cominciò a scaldarsi. Ma la pista da ballo rimase vuota. Erano tutti lì quasi impietriti a guardare quelle ballerine, sia donne che uomini.

La scena cambiò radicalmente quando dopo circa 15 minuti le ragazze scesero dal palcoscenico per rinfrescarsi un po’ e cambiarsi d’abito. La pista si riempì. Poco dopo rientrarono in scena nuovamente e la pista si svuotò.

Noi eravamo all’esterno con altri maestri di sci a raccontarci la giornata ma notammo il tutto attraverso le ampie finestre vetrate. Era chiaro: il pubblico era intimidito dalla presenza di quelle due ragazze.

Si rischiava di rovinare una fantastica serata per l’esagerato atteggiamento timido e remissivo che noi montanari spesso assumiamo per difesa contro le novità.

Così ci venne in mente di entrare per cercare di rompere quello sciocco muro. D’altronde la figura del maestro di sci è stata sempre quella di animare qualsiasi forma di divertimento.

Lanciammo l’appello ai presenti ma ci ritrovammo in pista in quattro: due giovani e due vecchi. Gabriella, moglie di Luigi, prese il telefono per farci una foto e ci indicò, come fosse un’esperta regista, la posa da assumere. Le ragazze sul cubo capirono subito la situazione e stettero al gioco fermandosi in una posa provocatoria.

Tempo due minuti uscimmo di scena ricevendo tante pacche sulle spalle dal pubblico presente e di lì a poco partì la vera festa senza più distinzioni tra chi era sopra e chi era sotto al cubo.

Tornai a tavola per mordere altri due arrosticini. Erano le 21.30 e il mio corpo non ce la faceva più.

Uscii salutando chi incontravo compreso uno degli addetti alla sicurezza che mi abbracciò chiedendomi scusa perché secondo lui mi aveva dato una spallata senza motivo. Quella spallata non la avvertii affatto, forse perché avevo tutti i muscoli del corpo doloranti per altri motivi. Ma mi sembrò un gesto stupendo e non esitai a stringere quell’abbraccio come fosse una nuova stupenda amicizia.

Lanciai un ultimo sguardo all’interno. Il cubo era strapieno di ragazzi e ragazze che ballavano, la pista ancor di più. Le due ballerine erano invece a un angolo, appoggiate a una mensola. Guardavano esterrefatte quanto stava accanto, forse deluse per non aver riscosso il successo che si aspettavano ma soddisfatte per aver contribuito a far divertire molte persone.

Pensai di fare una foto a quel quadretto così significante. Come pensai di rientrare e parlare con loro soltanto per farle sentire più importanti.

Ma il mio pensiero era per Jack. Non sapevo dove fosse ed ero preoccupato. Arrivato a casa lo trovai fuori che mi aspettava con la sua solita gioia. Dopo innumerevoli abbracci e coccole finalmente rientrammo. Lui mangiò e bevve acqua fino a svenire nella sua cuccia. Io mi buttai sotto la doccia e ancora umidiccio abbracciai le coperte ripensando a quelle bambine e a quei bambini che tanta gioia mi avevano fatto riscoprire.

Fare il maestro o la maestra di sci è un’esperienza unica. Capisci che il tuo unico scopo non è insegnare una tecnica ma far felice la gente.

Notte.

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Essere maestri di sci ultima modifica: 2023-04-11T05:21:00+02:00 da GognaBlog

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27 pensieri su “Essere maestri di sci”

  1. Marcello, volevo rispondere ad Antonio che invitava ad ascoltare un’altra versione.
     
    Per il significato resto un po’ perplessa, ma non ho ragione di dubitare se ne sei sicuro!

  2. Si. C’ha cantato una mia amica argentina nei primi tempi della band. La canzone è in spagnolo.
     
    Jarabe significa sciroppo e palo in slang vuol dire erezione (estoy al palo, per es), pene, bastone… fai tu.
    ciao
     

  3. Marcello, la canzona mi piace di più in spagnolo!
    Sei sicuro del significato? 

  4. “Jarabe de palo, sapevate che significa sperma!?”
     
    Agh! Marcello, con una parola tu mi hai distrutto un mito!
    P.S. Sto scherzando. 😂😂😂

  5. Per la categoria dei maestri fi sci è più adatta La Flaca.
    Jarabe de palo, sapevate che significa sperma!?

  6. 17 #Fabio bella precisazione ecco un altra super versione :
    Guarda “Nomadi “Dipende” (Jarabe de Palo) – Radio Italia Live 03.04.2009″ su YouTube

  7. Caro Roberto, non conosco rimpianti.
    Purtroppo i fatti che hai elencato hanno accompagnato diverse epoche storiche e quel che conta è sempre e solo il presente!

  8. Caro Fabio,
    per festeggiare il mio avvento a fine gennaio del ‘74 l’Etna diede vita a un’eruzione  che formò il cratere De Fiore.
    Finirà, forse, la vita di Grazia Pitruzzella, ma chissà quante altre realtà ci saranno da vivere e da bere!
    Io mangio, bevo cammino piano, ma so anche correre forte, se mi va 🙂

  9. ERRATA CORRIGE
     
    Il cantante di Depende si chiamava Pau Donés, deceduto nel 2020 per malattia. Jarabe de Palo era il nome del complesso.

  10. Caro Roberto, tu non hai studiato la Teoria della relatività, che dice: “Tutto è relativo”.
     
    Se per te essa risultasse di troppo ardua comprensione, nel seguito te ne illustrerò un valido sostituto, piú a buon mercato. 😉😉😉
     
    Il povero Jarabe de Palo cantava Depende: “Che il bianco sia bianco e che il nero sia nero, dipende. Che qui siamo in prestito, che uno nasce e dopo muore… dipende. Da che dipende? A seconda di come guardi il mondo tutto dipende”.
     
    Io nel 1974 stavo sbocciando nel fiore della vita e guardavo il mondo in modo diverso.
    Depende.

  11. Grazia. La nostalgia gioca brutti scherzi. Il 1974 fu un anno di merda : strage della Loggia e strage dell’Italicus. Sangue, paura e violenza diffusa. Così magari non ti lasci troppo prendere dal rimpianto di non esserci stata, 

  12. @ 11
     
    Come disse Christopher Lambert nel film Highlander-L’ultimo immortale (o quasi…), “il 1974 fu un anno indimenticabile: in Cina vennero scoperte le prime statue di quello che si rivelerà l’Esercito di Terracotta, in maggio in Italia vinse il NO al referendum sul divorzio, il funambolo francese Philipe Petit attraversò sul filo le Torri Gemelle a 400 m d’altezza, Alessandro Gogna aprí due formidabili vie sulle Pale di San Lucano. E un giovanissimo Fabio Bertoncelli – quasi un bimbo – frequentò il Corso Roccia al CAI Modena: lí imparò a volare (in senso metaforico!)”.
     
    Grazia, bevi il succo della vita: prima o poi finirà. 

  13. Fabio, sono nata un po’ in ritardo, nel ’74, e mi sarebbe piaciuto vivere quell’epoca con qualche anno in più.

  14. Bene, significa che, se si vuole, si può fare una politica turistica diversa rispetto ai mega caroselli sciistici…

  15. In Austria e nel nord slovenia ancora oggi tutti i paesi piccoli (quelli con tre lettere sulla targa) sono come descritto per Prali: piccoli impianti dove anche nelle ore scolastiche si insegna a sciare ai bambini. Piccoli gancetti, a volta corte seggiovie dove nonni e nipoti interagiscono su piste poco/per nulla battute e senza autorità di controllo e prevenzione, senza discoteche o “”aprèski”” e, udite udite, persino senza casco!!!! Altro mondo seppur vicino 

  16. 7. Crovella. No, c’entra eccome.
    Prali è la dimostrazione che una stazione sciistica può essere fondamentale per la comunità montana che vi risiede. E che atteggiamenti oltranzisti su questo aspetto non tengono mai conto di questo. I pralini sono stati lungimiranti e continuano ad esserlo. Piuttosto l’articolo non cita, e questo mi spiace, un altro aspetto di questa capacità di promuovere il proprio territorio anche al di fuori dei confini nazionali. In era pre-covid Prali puntò molto sul free ride e come stazione friendly-sci alpinisti ingaggiando come testimonial operativo il compianto Cala Cimenti che lì approdò dopo la deludente esperienza a Pragelato.
    A Prali sono molto legato,  ho avuto casa per molti anni e lì mi sono sposato nel Tempio Valdese. Poi molti motivi mi hanno portato a prendere casa in Alta Val Chisone, ma un pezzo del mio cuore è rimasto lì.
    Andateci. E’ una bellissima valle per sciare, camminare o arrampicare su roccia o su ghiaccio.
     
     

  17. Giorgio, io cerco di non pensarci. Ma per me è una spada di Damocle, senza pietà. 

  18. Fabio, la vecchiaia arriva per tutti, belli e brutti, non rimangono che i bei ricordi delle proprie ingenuità giovanili, ovviamente solo per chi ha avuto la fortuna di viverle. Tutti, ben ammaestrati, stiamo ora attraversando “Il ponte” di Lorenzo Merlo.

  19. Non sono mai stato un habitué delle discoteche, neppure nei favolosi anni ’70 (tra l’altro erano i mei anni da scuole medie e superiori…), ma delle piste in sci allora sì. Le piste “vere”, quelle gobbute e con neve naturale. E soprattutto tanto fuoripista, che allora era un paradiso a un palmo dalla piste (oggi mi sa che ci sono così tante piste e così poca neve che il fuoripista invernale nei boschetti fra gli impianti è sparito quasi del tutto). Ho imparato a sciare a Bardonecchia, i miei maestri sono stati Ezio La Boria e soprattutto Gianni Bersezio. Mi hanno lasciato un “segno” nell’anima che me li ricordo fulgidamente ancora oggi. E’ un mondo che non esiste più, spazzato via dalle piste lisce come biliardi, dagli sci sciancrati, dall’importante è andar giù velocissimi…

  20. favolosi anni Settanta sono passati da mezzo secolo.
     
    Non vi sentite schiacciati dall’inesorabile trascorrere del tempo?

  21. Non ho mai avuto un cane ma questo pezzo mi ricorda con molta nostalgia le mie esperienze di maestro di sci a Sauze d’Oulx, nei per me favolosi Anni Settanta. Insegnavo ai bambini per otto ore al giorno, un po’ sul campetto ma appena potevo scappavo e li portavo fuori pista, prendendomi non poche responsabilità. Ma che soddisfazioni! Imparavano in un amen, soprattutto quelli più piccoli che non avevano mai messo gli sci. Si affezionavano senza alcun freno al “maestro”, diventavano orgogliosi di quel modo di vivere lo sci così diverso e trasgressivo. Poi, alla sera, c’era ovviamente la discoteca e noi maestri che facevamo  a gara per conquistare le tante belle ragazze. C’era anche una classifica…Oggi questo modo di vivere disimpegnato fa quasi ribrezzo, risulta difficile confessare le proprie superficialità in un mondo impregnato da tante nuove moralità. Quando racconto queste cose a mio figlio mi guarda schifato, direi che si vergogna di avere un padre che è stato capace di tanto.

  22. Mah, tra cani usati come cavallucci, maestri di sci usati come animatori turistici e montagne come sfondo per sale da ballo mi pare descriva bene il turismo tanto ricercato dalle comunità alpine. Non mi riconosco

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