Europa merkeliana
di Alberto Quadrio Curzio (economista, presidente emerito Accademia dei Lincei)
(pubblicato su huffingtonpost. it il 20 giugno 2020)
Era previsto che il Consiglio Europeo dei Capi di Stato o di Governo del 19 giugno 2020 non avrebbe portato al varo del progetto “Ricostruzione” mentre è chiaro che dal 1 luglio, con la presidenza tedesca della cancelliere Merkel del “semestre europeo” si apre un capitolo storico per l’Europa.
Come ho già scritto, la leadership di due statiste tedesche è un simbolo di speranza per l’ingresso dell’Europa nel XXI secolo. A tal fine ci vuole visione e strategia, tattica e concretezza. A nostro avviso la Presidente della Commissione è ben avviata mentre la cancelliere non dovrà mancare una conclusione storica. Cerchiamo allora di guardare lungo lasciando perdere per un po’ il contrasto tra Paesi del Nord e del Sud Europa.
Ursula von der Leyen e Angela Merkel
La presidente prima di arrivare alla Commissione, era relativamente poco nota ma con il suo programma di mandato 2019-2024 ha dimostrato capacità di visione mentre quella di strategia e concretezza sono emerse, salvo necessarie verifiche, durante la crisi CoViD-19. Concretezza c’è stata nel rapido coordinamento di interventi, diretti e indiretti, con il Sure, il Mes (ristrutturato, anche se l’Italia non ci crede!) e la Bei. Strategia con il Recovery Plan (ispirato anche da Macron e Merkel) e per i Recovery Bond incardinati nel suo Progamma di mandato 2019-2024.
La cancelliere è a tutti nota per il suo lungo corso politico-istituzionale, ma la sua concretezza ha spesso posto in ombra la sua visione strategica offuscata da quella tattica. A me sembra invece che una visione strategica europeista ci sia sempre stata anche se spesso mitigata dalle necessità di combinare le contrapposte forze di una Unione a 27 Stati. Questa combinazione di strategia, tattica e concretezza caratterizzerà il suo semestre di Presidenza europea che, in caso di insuccesso, segnerebbe negativamente 15 anni di cancelliereto e anche il futuro dell’Europa. Questa consapevolezza si coglie chiaramente nel discorso da lei tenuto il 17 giugno 2020 al Bundestag su cui mi soffermo con una lettura personale.
La più grande sfida europea
Merkel ha affermato con un’ammirevole concisione che “L’Europa non è solo un’eredità storica, ma anche un progetto che ci accompagnerà nel futuro. L’Europa ha bisogno della Germania così come la Germania ha bisogno dell’Europa”.
Più concretamente con la presidenza del Consiglio europeo, afferma la Merkel, la Germania ha una grande responsabilità perché la UE fronteggia “la più grande sfida della sua esistenza” e perché la pandemia ha dimostrato che le reazioni nazionali non bastano.
Sono affermazioni di peso che vengono poi declinate in una concretezza apparentemente limitata nel tempo del post-CoViD-19 ma che assume invece carattere durevole quando la Merkel riconferma il programma strategico del presidente Von der Leyen affermando che la presidenza tedesca del semestre europeo, oltre ad affrontare la ripresa post-CoViD-19, terrà ben presenti le altre sfide storiche di questo decennio.
Recovery Plan: urgenza, concretezza e tattica
Dopo aver più volte richiamato l’accordo Franco-Tedesco di inizio maggio per un Recovery plan da 500 miliardi per contrastare gli effetti del CoViD-19 la Merkel ha fissato vari passaggi.
Il primo è l’urgenza di partire subito perché la crisi socio-economica europea è gravissima e se non si contrasta subito diventerà strutturale. Qui dovrebbe anche trovare spazio quel progetto socio-scientifico-sanitario enunciato preliminarmente dal duo Merkel-Macron, di cui non si fa qui però esplicita menzione. Per arrivare presto al risultato il piano “Recovery” dalla pandemia la cancelliere ha detto che lo stesso resterà in vigore per un periodo limitato.
Due sono i passaggi cruciali di questa scansione. Da un lato si afferma chiaramente che la Commissione potrà emettere obbligazioni sul mercato per assegnare sostegni connesse alla crisi con particolare attenzione ai Paesi più colpiti. Da un altro lato si afferma che ci vuole una base giuridica sicura dato il vincolo dell’unanimità del Consiglio europeo (che spesso richiede voti dei parlamenti nazionali).
Credo che per questo Merkel non abbia parlato per ora dell’entità del Recovery Plan e della ripartizione tra prestiti e contributi per investimenti diretti. Ma è chiaro il cambio qualitativo radicale (salvo tempi e quantità) e cioè l’emissione di bond europei garantiti dal bilancio comunitario e collocati sul mercato. In fondo un processo di avvicinamento di questo tipo s’ebbe anche nel caso del Mes, anticipato da un altro fondo e integrato nei trattati europei solo l’1 maggio 2013 essendo nato nel 2012.
Strategia per le sfide globali
La qualità strategica del “semestre Merkel” è netta nel programma presentato al Bundestag che replica, con piccole varianti di sintesi, quello di mandato della Von der Leyen su tre sfide che denomino a mio modo.
Eco-rinnovamento. È il Green Deal della presidente Von der Leyen che fissa ”linee guida centrali e un’enorme opportunità″ per la ripresa dell’economia europea. L’obiettivo è quello di riaggiornare gli obiettivi già individuati dal Programma Quadro UE 2030 per il clima e l’energia, che già prevedono per quella data l’impegno minimo a ridurre del 40% le emissioni di CO2, di aumentare al 32% la produzione di energia rinnovabile e di migliorare del 32,5% l’efficienza energetica. Inoltre raggiungere un’intesa vincolante per conseguire la neutralità climatica in Europa entro il 2050.
Iper-ingegneria. L’Europa deve diventare sovrana in termini tecno-scientifici e digitali. Intelligenza artificiale e internet delle cose sono tutte categorie evocate da Von der Leyen. La pandemia, ha affermato la cancelliere, ha chiaramente illustrato la dipendenza digitale dell’Europa ed ha fornito l’esempio della urgente creazione di un’infrastruttura di dati europea sicura e affidabile. Merkel afferma che l’Europa deve ”essere in grado di decidere autonomamente dove è richiesta l’indipendenza europea e come vogliamo realizzarla″.
Euro-democrazia. Merkel afferma che il mondo ha bisogno ”della voce forte dell’Europa per proteggere la dignità umana, la democrazia e la libertà″. L’Africa sarà una priorità di politica estera durante la presidenza tedesca del Consiglio UE perché trattasi di un continente “del futuro” con il quale ci vogliono relazioni di partenariato. Per quanto riguarda la Cina, la cancelliere è favorevole a un ”dialogo aperto″ sui temi che vanno dal clima allo stato di diritto e dei diritti umani.
Per concludere: declino o Sviluppo
Nel programma strategico di Von der Leyen c’è il fulcro di questa visione di lungo periodo nella “economia sociale di mercato” europea da rafforzare e aggiornare al futuro. Questo è il modello che distingue la Ue e la Uem da altre democrazie e significa valorizzare il partenariato pubblico-privato europeo che rifugge dallo statalismo e dal mercatismo, che privilegia l’economia reale e l’equità sociale che sono da preservare innestando però sulle stesse un solidarismo liberale serio e innovativo. Merkel afferma che la crisi del CoViD-19 esige più “coesione e solidarietà” la cui alternativa per me è solo declino e frammentazione. Forse l’Olanda non lo capisce ma anche l’Italia non brilla.
Il sogno di dominare tutta l’Europa è vecchio come il mondo. L’impero romano ci riuscì, almeno secondo i criteri geopolitici del tempo, poi alcuni (ma non tutti) gli Imperatori del Sacro Romano Impero. Napoleone ci arrivò molto vicino. La Germania ha dato inizio a due guerre mondiali per tale scopo, pagando in termini di vite e di successive crisi economiche. L’Europa come la intendiamo oggi è un sottile compromesso ipocrita fra due esigenze: da un lato quella di stare insieme perché nel clima mondiale dominato dalla globalizzazione i “gusti di noce” si perderebbero di fronte ai giganti come Cina, India e USA; dall’altro l’ambizione tedesca di avere un territorio (economico prima ancora che geografico) di sostegno, cioè un mercato di consumatori decisamente più ampio di quello strettamente interno (i beni e servizi venduti all’interno dell’UE sono contabilizzati come esportazioni e la Germania è una dei principali esportatori mondiali). In pratica l’obiettivo della Germania è alimentare un ampio mercato di “para sudditi-consumatori”. Per fare ciò deve però garantire che i Paesi sopravvivano e anzi che mantengano una significativa capacità di acquisto. Il tutto viene ottenuti (almeno in alcuni casi) con i contributi comunitari che, a monte di tutto, vengono prelevati dalla ricchezza dei cittadini tedeschi. I politici tedeschi sono quindi stretti fra due variabili contrapposte: se non garantiscono consoni flussi finanziari a tutti i Paesi, rischiano di non avere il giusto numero di consumatori per far crescere sempre più l’export tedesco. Se però tali flussi sono eccessivamente pesanti per i cittadini tedeschi, questi ultimi (che sono anche elettori dei loro politici) esprimeranno dissenso. Morale: tutta la dinamica dell’austerità è la cartina di tornasole di questa problematica (si cerca cioè di limitare il prelievo a carico dei cittadini tedeschi grazie ai conti “in ordine” dei Paesi collaterali). In genere l’asse Franco-tedesco fa strillare gli altri Paesi (a volte l’Olanda, altre volte la Svezia, ecc) sugli eventuali sprechi dei cugini mediterranei. Oggi come oggi la situazione è ulteriormente complicata dalla più profonda recessione dei tempi moderni, conseguente all’epidemia. Riusciranno le due “generalesse” teutoniche in questo gioco di equilibrio? A priori è impossibile dirlo con assoluta certezza. A me pare strano che il Recovery Fund uscirà come è stato annunciato (ipocritamente) dalla Presidente della Commissione UE: mi aspetto una trattativa al ribasso, specie per la parte a fondo perduto. Pochi soldi, tempi lunghi e molte regole da rispettare (attenzione a non confondere il MES con il Recovery Fund). Meglio se iniziamo a ragionare puntando sul fatto che dobbiamo tirarci su le maniche noi e toglierci dalla crisi pressoché da soli. Ci saranno pochi soldi pubblici, pochi se confrontati con tutto quello che ci sarò da fare, per cui la prima cosa da fare è accettare di ridimensionare il nostro stile di vita: meno soldi ha bisogno il singolo e meno soldi saranno necessari a livello cumulato.