Evoluzione delle scarpette e dell’arrampicata

Tra la fine dell’’800 e fino a quasi tutti gli anni ’30 sulle Prealpi Calcaree del Nord, in Dolomiti e in Grignetta si arrampicava calzando ai piedi scarpette morbide. Le suole erano di stoffa, canapa, feltro (a volte rinforzato con pece greca).

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Suola di canapa

La tecnica di arrampicata che ne risultava è ben descritta dalle innumerevoli fotografie di azione scattate in quegli anni: valgano per tutte quelle di Severino Casara a Emilio Comici. Corpo elegantemente distaccato dalla roccia, in modo da accentuare la pressione globale degli arti inferiori sulla roccia.

Poi d’improvviso irrompe sulla scena la suola Vibram con relativo scarpone rigido: le nuove calzature spazzano il campo, vengono usate dai migliori, si veda Riccardo Cassin sulla parete nord delle Grandes Jorasses.

Sulle Alpi, dobbiamo arrivare a metà degli anni 70′ per ritrovare le scarpette morbide, in gomma a suola liscia, sostanzialmente non dissimili da quelle di fine 800′, ma di certo assai più evolute.

L’evoluzione c’era stata, ma non in Italia, dove Vibram spadroneggiò per tutti gli anni ’50 e ’60.

A partire dagli anni ‘30 il francese Pierre Allain inventa e perfeziona le prime scarpette da arrampicata a suola liscia, denominate “PA” dalle sue iniziali, e le inizia a produrre dal 1947. Dal 1950 lo sviluppo delle scarpette continua da parte di Edouard Bourdonneau, che fonderà l’azienda EB.

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Suola di feltro

Le scarpette EB erano assai usate anche dai britannici e naturalmente dagli americani. E’ rimasto giustamente famoso il commento di Renato Casarotto allorché, nella seconda metà degli anni ’70, fu invitato assieme ad altri alpinisti italiani in Gran Bretagna: “i xe’ superiori”. Tutti noi a quel tempo eravamo infatti dotati di rigidissimi modelli di scarponi, tipo “Desmaison” o “Supercalcaire” della Galibier. Scarponi fatti apposta per ottemperare al famoso motto di Cesare Maestri: “lo scarpone dev’essere la naturale prosecuzione dell’appoggio”.

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Suola Vibram

In Italia (subito dopo diffusa in tutta Europa, paesi tedescofoni compresi), la prima scarpetta a suola liscia di gomma fu il modello “Canyon” (1976) della Asolo Sport, studiato da Yvon Chouinard e Alessandro Gogna.
Tutti i modelli utilizzati al giorno d’oggi sono evoluzioni di queste prime calzature, sia nella tomaia (sempre più fasciante) che nella suola, sempre più capace di aderenza.

Gli anni ’40, ’50 e ’60 sono stati dunque dominati dalla Vibram, ma escludendo Gran Bretagna, palestre francesi e arrampicata americana. Qui l’evoluzione trovava il suo corso, ripreso da noi solo nel 1976.

La Vibram (che comunque dopo il 1976 studiò e produsse sempre nuovi modelli di suola) è dunque la responsabile dell’evoluzione dell’arrampicata artificiale. Ancora oggi, i virtuosi dell’A5 e dell’A5+ preferiscono calzare scarponcini semirigidi per le lunghe ore di arrampicata artificiale.

Non si può parlare di “arresto dell’evoluzione”, si deve guardare con un’ottica europea a ciò che è successo.

Chi ipotizza che l’articolo “L’assassinio dell’Impossibile”, o il libro “Settimo Grado” o anche le temerarie imprese di Enzo Cozzolino, in caso di assenza di artificiale e direttissime a goccia d’acqua, avrebbero potuto essere scritti o fatte molti anni prima, non tiene in considerazione la necessità del meccanismo di evoluzione: grandi picchi in positivo seguono solo a grandi picchi in negativo.

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Evoluzione delle scarpette e dell’arrampicata ultima modifica: 2014-01-07T13:57:40+01:00 da GognaBlog

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8 pensieri su “Evoluzione delle scarpette e dell’arrampicata”

  1. Non credo che Bonatti sulla nord del Cervino o sulla nord della Whymper avrebbe potuto usare le scarpette lisce. Magari se avesse avuto scarponi come quelli di adesso, più leggeri ma allo stesso tempo belli caldi, sarebbe stato più avvantaggiato. Comunque pur avendo usato scarponacci pesanti come zavorre, non mi sembra che abbia fatto un brutto lavoro . L’impegno che ancora oggi, gli alpinisti moderni, nonostante il miglioramento delle attrezzature, incontrano su itinerari del genere lo dimostra.
    Inoltre Bonatti si è sempre vantato di fare il suo alpinismo con attrezzatura tradizionale. Anche perchè a lui non credo interessase più di tanto la gestualità nell’arrampicata. Interessava soprattutto la dimensione avventurosa e l’arrampicata era solo un mezzo per viverla.

  2. Sempre bello affrontare argomenti storici, un po’ filosofici e quasi “inutili” per dirla alla Terray
    faccio fatica a resistere e proprio perchè inutili (anche se dei soldi ne viaggiano parecchi, quindi proprio inutili non sono) dico anche io la mia.
    Mi piace l’analisi di Alessandro ma trovo “pericoloso” addebitare la mancanza di evoluzione unicamente alla tecnica e al periodo del momento.
    Si arrampicava con gli scarponi rigidi perchè Maestri che era fortissimo, veniva imitato, (Aste, Livanos, Bull…)
    Proprio Messner che non ha mai “aspettato” la tecnica ma che ha sempre spostato in avanti il limite (primo uomo insieme ad Habler a salire la montagna più alta del mondo senza ossigeno, andando contro il parere del medico “medio”) a 20 anni scelse gli scarponi rigidi per esaltare le sue potenzialità in dolomiti ed abbattere il 6 grado.
    Non è solo questione di tecnica. I limiti sono anche fisici (medicina, allenamento, alimentazione) e mentali.
    Le novità ci sono anche oggi, ma non tutti gli alpinisti e/o scalatori/arrampicatori le usano. (basta pensare alle decine di modelli di sistemi di assicurazione)
    Come sono convinto che anche Alessandro quando scelse di salire il cervino o la Jorasse, scelse il meglio che riteneva esaltare le sue potenzialità, e già sapeva che in giro c’era gente con le scarpette lisce…
    Bramanti ha dato all’alpinismo una grande opportunità con l’utilizzo della gomma vulcanizzata e c’è chi ne ha approfittato, ma azzardarne la colpa/causa della diffusione dell’artificiale non mi sembra intellettualmente onesto.
    Per me il limite è nella testa degli alpinisti; nel loro coraggio o forza, preparazione, tanto è vero che le scarpette , mi sembra si siano moltiplicate una volta che la mentalità “purista” anglosassone si è imposta, come i blocchetti ad incastro o i friends.
    Poi va anche detto che non c’era più incertezza nell’alpinismo artificiale e che “cambiare” modo, ha di nuovo reso interessante l’impossibile, la sfida, il cambiamento.
    Per me in sintesi è stata la tecnica a servizio dell’uomo, non l’uomo schiavo della tecnica.

  3. Carissimo Alessandro,
    Buhl, Desmaison, Cassin, Bonatti, Maestri, Messner…. meravigliosi alpinisti – scarpati male: chissà come avrebbero danzato senza la rigidezza dello scarpone
    ciao

  4. Caro Jacopo, come sempre apprezzo il tuo pungente umorismo che sdrammatizza giustamente ogni affermazione riportandola nei binari dell’opinione. Sarei solo attento a definire “tragedia umana” un periodo storico che ha visto agire personaggi come Buhl, Desmaison, Bonatti e Messner. Tutti palombari ineleganti?

  5. Non so se il mio contributo possa aggiungere qualcosa agli ottimi interventi che mi hanno preceduto ma spesso mi sono chiesto come stato possibile passare dall’arrampicata dinamica di Comici con pedule morbide a quella rigida e statica dello scarpone: qual’è stata la tragedia umana che ha trasformato l’eleganza (in parete) di una scimmia in un palombaro?
    Lo scarpone arrivato come residuato bellico degli alpini?

    Per quanto riguarda le suole Vibram, fino agli anni ’80 note per essere dure e scivolose, la spiegazione è molto semplice: l’esercito italiano era il più importante acquirente Vibram
    Suole rigide e di durata infinita era l’unica garanzia richiesta
    cordialità

  6. mi permetto di fare un’aggiunta:
    negli anni ’30 il bisogno di trovare calzature più idonee all’arrampicata, che permettessero quindi di alzare il livello, era come già evidenziato dall’articolo, piuttosto sentito.
    A dare vita ad una possibile rivoluzione in tal senso fu Emilio Comici, che per primo testò e poi usò nelle sue salite le scarpette con la suola di gomma.
    Lo si può desumere molto bene dalle foto che lo ritraggono sulla nord di Lavaredo, sui filmati a scopo didattico fatti in val Rosandra e su molteplici altre foto, oltre che leggerlo su “Alpinismo Eroico”.
    Sembra, se si osserva un attimo, che abbia ai piedi una scarpa molto simile a quelle apparse poi negli anni ’80.
    Usò all’epoca, le scarpette da pallacanestro, le quali avevano una suola liscia di gomma pura capace di aderire al parquet.
    Unico neo la relativa brevità di vita della gomma pura sfregata sulla roccia.
    Ciò che mi son sempre chiesto è come mai all’epoca un’innovazione che poteva essere estremamente importante e apportata da uno dei nomi più di spicco dell’alpinismo mondiale non sia stata presa in considerazione preferendo tornare indietro di decenni, con conseguente arretramento dell’alpinismo stesso…

  7. Riguardo ai grandi itinerari in alta montagna con forti difficoltà di roccia, ghiaccio e misto, il discorso sulle calzature si fa più complesso. Non siamo più abituati alla tecnica di arrampicata con scarponi rigidi ed è scomodo cambiare calzature durante un’ascensione lunga ( come del resto facevano i vari Gervasutti, ecc.). Inoltre è fastidioso e faticoso portare nello zaino gli scarponi rigidi nei tratti in roccia. La conclusione è che alcune grandi vie sono state progressivamente abbandonate o vengono percorse solo in parte, scendendo poi in doppia fino alla base ( dove sono stati depositati gli scarponi). Oggettivamente è un peccato. Sarebbe assurdo ipotizzare un ritorno alla scarpa rigida, ma è sempre saggio rendersi conto che ogni progresso umano porta con sé anche la perdita di qualcosa.

  8. Un argomento di nicchia, ma non per chi ama la scalata su roccia. Gogna ha ben illustrato quel periodo di 20/30 anni in cui le calzature da arrampicata su roccia, alla luce delle aumentate difficoltà tecniche affrontate dagli alpinisti, si sono evolute in altri Paesi ma non nel nostro. La teoria dello sviluppo a dente di sega quì trova una conferma. Nel link che segue in fondo potrete ottimamente leggere i tratti essenziali e la grande importanza del personaggio Vitale Bramani, nel CAI di Milano, come Guida Alpina e alpinista, come uomo e come imprenditore. Certamente la messa a punto da parte sua di quella suola con relativo scarpone ha rappresentato in quel momento storico ( 1935/36 ) un bel passo avanti rispetto ai vecchi scarponi, ma rispetto alla pedula forse si è buttata vial’acqua con il bambino: la pedula appunto che anzichè essere sviluppata è stata ritenuta “il passato”. L’importanza e e la vitalità del personaggio hanno poi fatto il resto, addirittura come potete leggere gli scarponi rigidi con suole Vibram venivano “contrabbandati” sul Col de Midi da illustri nomi. Ma poi gli anni sono passati e gli ambienti più abituati a ragionare stando nel merito, liberi da conformismi vari, si sono posti il problema di calzature più adatte alle nuove sfide. Così i Paesi che circondano le Alpi i cui scalatori di punta portavano già dagli inizi del 900′ fino appunto agli anni 30′ pedule di varia foggia, hanno lasciato a partire del dopoguerra l’onore della”riscoperta” delle pedule in chiave moderna ad Inglesi ed americani.
    Esprimo un mio parere: spesso si fanno non le cose che si vorrebbero fare ma quelle che lo stato dell’arte oltre alle convenzioni e i conformismi quasi ci obbligano a fare. Bene, io penso che proprio in quel periodo di ritardo ben individuato da Gogna, anni 50′ e 60′, lo sviluppo dell’artificiale a suon di chiodi non sia stata una filosofia, ma in gran parte la conseguenza di calzature inadatte ad andare oltre nelle difficoltà.
    Poi la modernità e le contaminazioni hanno travolto tutto in pochissimi anni. Alla fine degli anni 60′ tra gli avanguardisti e a metà degli anni 70′ nelle Istituzioni, l’ondata ha travolto tutto e ha riallineato i cavalli. A qualcuno che come me appassionandosi alla storia dell’ Alpinismo ha letto e visto foto di Preuss, Dibona, Comici con pedule morbide, poi Messner, Casarotto e tanti altri fortissimi 40 anni dopo con gli scarponi rigidi, spero questi pensieri possano chiarire il perchè dell’apparente mistero. Buona lettura.
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    DOCUMENTO PDF NON SCARICABILE DA LEGGERE SUL SITO WEB CAI-SEM MILANO
    http://www.caisem.org/pdf/120Passi_W.pdf
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    grazie.

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