Extradiario – 03 – Una settimana al rifugio Zanotti

Extradiario – 03 (3-24) – Una settimana al rifugio Zanotti (AG 1965-013)
(in corsivo appunti scritti nel marzo 1966)

Lettura: spessore-weight(1), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(2)

C’era ancora una via in Bajarda (o Pietralunga, come volete) che Gianni Calcagno e io non avevamo mai fatto. Un po’ la temevamo, perché è del tutto diversa dal resto della nota palestra di roccia vicino a Genova: una via di artificiale, di più tiri, in ambiente abbastanza tetro e aperta nientemeno che da Guido Rossa e Piergiorgio Ravajoni! Il 5 settembre 1965 è la volta buona, in una giornata umida e nebbiosa.

Il 10 settembre 1965 arriviamo a Chiappera, in alta Val Maira, pronti per un bel weekend nel gruppo Castello-Provenzale. Sabato 11, divisi in due cordate, assieme a Piergiorgio Ravajoni, Giorgio Coluccini, Giorgio Vassallo e Alessandro Balestri saliamo in allegria la parete est di Rocca Castello per la via Balzola-Marchese; senza Balestri e un po’ meno in allegria, anzi con momenti anche di forte perplessità, il giorno dopo sulla Ovest della Torre Castello, per la famosa Castiglioni Ovest, la via che Ettore Castiglioni aprì con Vitale Bramani ed Elvezio Bozzoli-Parasacchi, il 10 settembre 1936. In particolare ricordo che ero legato con Vassallo, mentre Ravajoni e Coluccini erano dietro: sulla terza lunghezza, nel bel mezzo di un obliquo a destra, esitai parecchio nel reperire la via giusta.

Il versante settentrionale del Monte Tenibres. A sinistra della vetta è la Quota 3006 m con il suo ben visibile sperone nord, da noi salito il 22 settembre 1965.

Il mattino della domenica 19 settembre 1965, con Gianni Pàstine, Carlo Mongrandi e Giuseppino Grisoni partivamo dal rifugio Zanotti (Alpi Marittime) alla volta della cresta sud-est del Dente del Vallone 2927 m, 3a  ascensione, per una via che Giovanni Guderzo aveva aperto in solitaria il 18 giugno 1951. Un piacevole III, con un passo di IV. Il 20 settembre, soltanto con Giuseppino perché gli altri due dovevano rientrare a Genova, andammo per la 2a ascensione dello spigolo nord della Rocca Rossa, altra via aperta in solitaria da Guderzo e in data imprecisata. Questo itinerario di circa 300 metri è decisamente bello, molto consigliabile, III e IV con un passo di V-.

Ma io avevo anche altre ambizioni, e non feci fatica a convincere Giuseppino, per il giorno dopo 21 settembre, a tentare una prima ascensione. Ci rivolgemmo allo sperone nord-nord-ovest del Becco Alto d’Ischiator 2996 m, completando un vecchio tentativo del 21 agosto 1922 (G. Bartolomei, L. del Grosso e C. Lanfranchi): dalla comba sotto il Passo di Tres Puncias questo sperone di 350 m era davvero evidente. Ne risultò un itinerario assai estetico, con difficoltà dal III al V.

Salendo nela Comba di Schiantalà verso il versante settentrionale del Becco Alto d’Ischiator. Foto dei giorni d’oggi.

Ormai eccitati da questo successo, ci facemmo prendere dalla sete di vie nuove. Il 22 settembre 1965, sempre assistiti da un tempo meraviglioso, andammo allo sperone nord della Quota 3006 m (l’Anticima Nord-est del Monte Tenibres), un’altra via di III e IV, ma questa volta su roccia non così bella. Raggiunta la vetta del Monte Tenibres 3031, e scesi al Passo di Tenibres 2940 m, non contenti salimmo anche la via normale della Testa Rossa 2994 m. Fu solo nella discesa al rifugio Zanotti che cominciammo ad accusare un po’ di stanchezza dopo ormai quattro giorni di su e giù senza requie e cibandoci di schifezze che ci preparavamo al rifugio. Pensate che Giuseppino era noto per essere uno che al mattino alle quattro mangiava con gusto cipolline sottaceto e marmellata assieme!

Il giorno dopo comunque, 23 settembre 1965, eravamo ancora nel Vallone Superiore del Piz, alla base della Testa del Vallone 2970 m, chiamata anche Rocca Gallean. Il breve spigolo sud-ovest del Pilastro sud-sud-ovest ci aveva affascinato per tutta la quasi settimana e ce lo salimmo, mettendo in saccoccia un’altra “prima”, questa volta di V+. Non contenti di questo piccolo successo, traversammo le Guglie Gallean 2950 m c. slegati (è una via di II grado di Giovanni Guderzo e Pippo Abbiati del 7 agosto 1949) e approdammo alla base della via normale della Testa dell’Ubac 2991 m, una facile via di Victor De Cessole, T. Fabre e C. Gallean, 28 giugno 1901). In vetta il tempo si stava guastando, facemmo appena in tempo a scendere al rifugio Zanotti, prendere le nostre robe e scappare, rinunciando a quella che avrebbe dovuto essere la “chicca” della settimana, una via nuova sulla Rocca Rossa, forse la più evidente.

Alessandro Gogna in vetta alla Testa del Vallone, 23 settembre 1965. Foto: Giuseppe Grisoni.

Tornai al rifugio Zanotti con Lino Calcagno già la sera del 25 settembre, ma il tempo era cattivo. Anche il mattino dopo, ma riuscii ugualmente a vincere le resistenze del povero Lino che già prevedeva come sarebbe andata a finire. In un’atmosfera surreale grigio-violacea attaccammo lo sperone nord-nord-est dell’Anticima Nord-est della Rocca Rossa. Tutto andò bene fino più o meno a metà dei 350 metri di dislivello dello sperone, poi le cose precipitarono. Sotto la neve che cadeva riuscii a superare le varie placche una dietro l’altra, sperando di trovare tratti più verticali in modo da avere meno neve! Ma in realtà fu una salita penosa con punti di sosta scarsi e davvero esigui, che concludemmo soltanto dopo sette ore e mezza di lotta. Il che ci insegnò che ancora una chi la dura la vince, ma la testa non dev’essere troppo dura, altrimenti… Lo spigolo, diciamo nord-est, della Rocca Rossa è di sicuro una delle strutture più estetiche delle Alpi Marittime, in seguito percorso da altre due vie, perché costituito da roccia ottimale.

Il 3 ottobre 1965, essendo autunno, ci rivolgemmo ancora alla Grigna. Una delle salite che ci facevano gola era la via Boga alla Corna di Medale. Ero con Gianni Calcagno, e il nostro tempo non fu brillantissimo: 10h25’… Ciò nonostante ebbi il coraggio di scrivere sul mio diario (che ormai non tenevo più regolarmente ma sul quale ogni tanto qualcosa riportavo): “Altra salita data di “sesto” dai grignaioli, che noi ridimensionammo. Infatti molto spesso alcune salite che presentano passi in artificiale, sono date di “sesto”. Eh no! Perché così facendo, una lunghezza fatta in tutta sicurezza sui chiodi sembrerebbe più difficile di una di “quinto”, con pochi chiodi e in libera”. Abbiamo attaccato tardi e senza una relazione scritta. Sic­ché siamo ancora a due tiri dall’uscita e già non vediamo più niente. Il più fresco di noi due, Gianni, approfitta degli ulti­missimi chiaroscuri e conclude il tiro d’artificiale. Notte. Sotto di noi Lecco illuminata è un bel contrasto. Siamo quassù soli, e giù c’è una città. Forse sentiamo la solitudine delle grandi montagne. Abbiamo difficoltà a seguire il sentierino di discesa! Ma poi festeggiammo alla mitica Osteria del Medale tracannando birra e gazosa.

La Rocca Rossa (Alpi Marittime) con il suo evidente sperone nord-est (tra luce e ombra)

Il 13 ottobre 1965 con l’amico Vittorio Pescia, che era rimasto sbalordito dalla mia solitaria sulla via Oppio al Pizzo d’Uccello (vedi https://gognablog.sherpa-gate.com/una-casuale-solitaria/) effettuata quasi un mese prima, ritornai sulla stessa via che Pescia non aveva mai fatto e che costituiva uno dei suoi sogni. Con la sua signorile Wauxhall andammo a dormire mi pare a Ugliancaldo come dei veri signori. Della salita ricordo solo che io tendevo ad arrampicare come fossi da solo (mi pareva di volare senza quello zainaccio della prima volta), perciò Vittorio (detto Luci) alla prima mi riprese bonariamente; alla seconda si slegò platealmente e fece finta di scendere. Non volevo litigare, anche perché sapevo che aveva ragione lui, così da quel momento passai tutti i chiodi e spuntoni che vedevo, fino in cima.

Il 17 ottobre sono con Gianni Calcagno sulle rocce del Monte Pennone (è la quarta volta), poi nel pieno di una bella estate di San Martino tornai al Corno Stella, con i fratelli Eugenio e Gianluigi Vaccari, Giulio Costa e Giorgio Vassallo. Era il 24 ottobre 1965 e ci facemmo in allegria la via Allain-Leininger.

Per le feste dei Santi, andai con Gianni e Lino Calcagno in Grignetta, sempre facendo base al rifugio SEM, mi pare già non più gestito dalla vedova di Romano Merendi, bensì da Luciano Tenderini e dalla moglie Mirella. Era ancora bel tempo, così il 31 ottobre mettemmo facilmente in saccoccia lo spigolo Boga del Fungo seguito dalla Accademici del Torrione Lancia (“Bel pasticcio! Ci siamo cacciati in una variante d’attacco della Boga, l’abbiamo capito solo a metà di essa e ci ostiniamo a non usare altri chiodi oltre a quelli che troviamo. Ne risulta un bel VI. Forza, ancora questo piccolo pendolo e poi raggiungerai i com­pagni. Non preoccuparti del chiodo che si sta staccando, dei cordini per Prusik che non hai! Tanto sei ad appena venti metri da terra. Tant’è il pendolo arriva ed io affondo sempre più…”).
Poi, il 1° novembre, la Gandin al Torrione del Cinquantenario:
– Ohe, là. Dove andate voi, alla Marimonti?
Noi ci guardiamo in faccia: la Marimonti? e cos’è? Una via di terzo e quarto? No, no, andiamo alla Gandini.
– Ooh, allora…
Nell’aria si sente odor di inchini, ri­spetto e ammirazione. I quattro duri partono baldanzosi per at­taccare. La folla segue rispettosamente a distanza.
– Duretta, eh?

– Eh, sì sì.
Va bene, andiamo. Metro dopo metro ci mangiamo la Gan­din. In lontananza il luccichio del lago. In vicinanza il brusio della gente. Omero immagina la fama come un grande uccello dotato di ampie ali, velocissimo, più veloce di ogni altra cosa. Infatti appena appena arrivati al rifugio tutti sanno che «quat­tro di Genova» hanno fatto la Gandini. Forza Genova!”.
Sulla Gandin eravamo in quattro, si era aggiunto il mio amico milanese Maurizio Cappellari. Costui era il tramite tra me e una sua amica, Roberta Brivio. Tramite nel senso che l’avevo conosciuta a Milano in una delle serate con Maurizio e suoi amici. Ricordo bene che non la trattavano con grande rispetto, anzi. Indimenticabile l’episodio nel quale eravamo in auto (in tre) nel pieno centro cittadino e in un traffico porco. L’impegno era di andare in via Procaccini a prendere la Roberta. Eravamo già in ritardo sull’orario previsto di circa una quarantina di minuti e tutto sommato ancora abbastanza lontano da via Procaccini. Ai telefonini mancavano ancora 25 anni circa, ma non avevamo voglia di fermarci in una cabina pubblica. L’autista era un amico di Maurizio, che a un certo punto disse: – Bisognerebbe trovare una strada alternativa, o andar più veloci, altrimenti non so a che ora arriviamo dalla Roberta…

E Maurizio sarcastico e calcando sul verbo: – No, no… rallenta pure!

A dispetto di questi retroscena, a me la Roberta piacque e fui ben contento che arrivasse in serata, quando noi eravamo di ritorno dal Torrione del Cinquantenario. Non mi ricordo se riuscii a dormire da solo con lei in tenda, ma tendo a propendere per il no, timido come ero. Il 2 novembre con lei e Maurizio salimmo la via Mary alla parete est della Guglia Angelina, un itinerario di polso del grande Riccardo Cassin.
Altro connubio Genova con Milano. Con me sono Maurizio e Roberta. Ancora una volta sono dimostrate valide le leggi di gravità. E ancora una volta le corde dimo­strano la verità delle loro reclames. Il « traverso » Cassin ci vede piuttosto impegnati, ma alla fine la spuntiamo. Anche oggi la fama ci precede, ma non è più gloria…“.
Conclusa la Mary, nella nebbia, andai a spararmi anche una solitaria sul Campaniletto. Gli altri ne avevano abbastanza ma mi aspettarono.

Alessandro Gogna in vetta al Monte Tenibres (vista sui laghi omonimi), Alpi Marittime, 22 settembre 1965. Foto: Giuseppe Grisoni.

Il giorno dopo, visto il tempo, Maurizio mi riportò a Genova, assieme a Roberta: facemmo anche in tempo a scalare la parete nord della Pietragrande.

Tecnicamente mi ero iscritto a ingegneria, ma in realtà non seguivo alcun corso. Trascorrevo le mie giornate a copiare guide e relazioni teniche. Ma ero il solo a essere in quella condizioni, pochi potevano accompagnarmi. L’8 novembre, per la nona volta al Roccione di Cravasco con Giovanni Scabbia. Il 14 novembre, con Gianni e Lino Calcagno, eccoci ancora in Grigna, ma il tempo ci permise solo la via Cassin e la via Campione, entrambe al Nibbio. Il tutto senza la presenza di Roberta…
Gran brutta giornata oggi! Ha nevicato di notte, persino il Nibbio è bianco. Ma a noi genovesi non importa e andiamo all’attacco. Stranamente, di solito così frequentato, oggi il Nib­bio è disertato dalla massa e chi fa buoni affari è invece la Fortunata al rifugio SEM.
Mentre stiamo appesi alla parete come prosciutti in frigo, verso le due del pomeriggio arrivano i primi sporadici e infred­doliti commenti dal basso. Eh, ma perché ci mette tanto! Ma lì è facile! Io son troppo impegnato a battere i denti per impre­care. Nessuno risponde. La Campione vede i genovesi uscire in notturna stile Nord Eiger dopo aver staffato senza misericordia. Al rifugio cominciano a conoscerci: «Sì sì, i due fratelli grandi e magri, i due gemelli, sì, e quell’altro riccioluto, sì, sono loro»”.

2 dicembre 1965: ancora una volta (la decima) a timbrare il cartellino al Roccione di Cravasco (con Scabbia), poi ancora lì con Gianni e Lino Calcagno, il 5 dicembre (undicesima).

Disperato nella mia solitudine, mi rivolsi all’escursionismo “estremo”: l’11 dicembre salii al Forte del Diamante in due ore da casa mia, tutto a piedi. Il 12 dicembre, con Gianni e Lino Calcagno, andammo al Monte Mondolé (Alpi Liguri), dove riuscimmo a salire la parete nord (con variante d’attacco diretta) in terza invernale. Ancora quello che oggi si chiamerebbe trailrunning sul Monte Alpesisa 989 m, con Chicco De Bernardinis, in due ore da Ge-Prato.

Il giorno di Natale, con partenza tipo alle due di notte da Genova, assieme a Gianni e Lino Calcagno andammo a Fornovolasco in Garfagnana, per tentare la prima invernale del pilastro sud-est della Pania Secca 1711 m. Arrivammo a malapena all’attacco, in condizioni di neve del tutto proibitive. Solo tre anni dopo sarei riuscito a salire quel pilastro d’inverno, ma certo non potevo saperlo. Il giorno dopo, Santo Stefano, implacabile, ero con Alessandro Balestri sulle Rocche del Reopasso a ripetere sulla parete ovest della Biurca la Fessura di Destra (naturalmente prima invernale…).

Per fine anno andammo in numerosa compagnia a Courmayeur, dove non avevo mai ancora messo piede. Tempo assolutamente proibitivo, con Eugenio e Gianluigi Vaccari, più il Balestri, riuscimmo solo l’ultimo dell’anno a sgranchirci un po’ sul tetto Bonatti al Becco dell’Aquila (raggiunto penosamente nella neve profonda).

Consuntivo 1965
A fine anno ritrovai un po’ di voglia nello scrivere il diario. Feci uno stentato “consuntivo 1965” che qui riporto, abbondantemente purgato delle peggiori e maniacali statistiche:
Questo è stato l’anno prettamente alpinistico, senza tanta scorza sopra. Ho sciolto molti vincoli con le tradizioni, e ne sono contento. Per esempio non ho svolto alcuna attività turistica: se ho visitato qualche valle o qualche gruppo è sempre stato a scopo alpinistico. Ho abolito il record dei passi, colli, forcelle, ecc., dandolo per “inutile”, nonché quello dei km su treno.
Il record di altezza è rimasto invariato, il numero dei monti si è innalzato a 333 (59 solo nel 1965); il tempo trascorso al di sopra dei 4000 m è invariato; quello sopra i 3000 è aumentato di 12 ore, raggiungendo quota 39h30’.
Quattro notti all’addiaccio (3 nel 1965). Abolito il conto delle notti in rifugio. 12 notti in tenda (2 nel 1965). Invariati i pochi record di atletica, abolito il record delle ore di arrampicata, ma calcolato il numero di ore passate su via, in salita: nel 1965, 203h15’. Migliorato il record della posizione massima a Ovest di Genova: 400 m a ovest della Colla Sautron, 4 aprile 1965. Vie di alpinismo: 159 (71 nel 1965). All’inizio della stagione ho partecipato in qualità di allievo al corso di scialpinismo. Non sono stato diplomato per via di alcune meschinità che non voglio ricordare. Poi, l’esame di maturità ha troncato ogni attività. La settimana al Questa mi ha ridato l’allenamento e finalmente, in Dolomiti, ho bruciato alcune tappe fondamentali. Fantastica in settembre la salita solitaria alla via Oppio-Colnaghi del Pizzo d’Uccello, della quale tutti, in sede CAI, hanno parlato. Nel 1965 ho compiuto: 10 prime ascensioni, 3 prime (o seconde) ripetizioni; 3 prime invernali, 2 prime solitarie, 3 solitarie, 1 ripetizione invernale.
I progetti per il futuro sono tanti e vari, specialmente nelle Occidentali. Probabilmente mi assegneranno la Coppa Hacker e farò da istruttore al corso di Alpinismo
”.

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Extradiario – 03 – Una settimana al rifugio Zanotti ultima modifica: 2018-04-08T05:49:06+02:00 da GognaBlog

3 pensieri su “Extradiario – 03 – Una settimana al rifugio Zanotti”

  1. 3
    LUIGI GALLY says:

    Non sono piu’ in grado di scrivere in italiano.

    Quanto ha scritto e quanto ha fatto!!!!!!!!!!!

    LUIGI

  2. 2
    LUIGI GALLY says:

    Quanto a scritto e quanto a fatto in montagna Sandro continua a stupirmi. Il tutto sempre con molta professionalità e anche se posso dirlo con un po di fortuna. Ricordo il suo amico Gianni Calcagno che conobbi a Fressinière nel Briançonnais. Eravamo su due vie parallele io con Suzy Péguy 75 anni, lui con un giovane compagno nell’autunno del ’91. Ci disse che partiva per le Colombiadi, non torno’ piu’.

    Un caro saluto da , LUIGI GALLY

     

     

  3. 1
    Giancarlo Venturini says:

    La tua “Storia..Alpinistica, che seguo con interesse , in questi racconti , fantastici ci fa capire un periodo ,un epoca , forse ! sicuramente fra le più belle dell’ arrampicata in Montagna…!! Grazie…e saluti Alessandro…G.C.

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