Famolo strano
di Carlo Crovella
E ci risiamo: la creatività umana non ha confini, neppure quando invade lo spazio dell’imbecillità. La società del “No limits” vive di novità adrenaliniche e spesso ricorre al principio “famolo strano”. Il che spesso comporta l’inversione copernicana delle cose “naturali e sensate”. Secondo natura d’inverno si scia e d’estate si percorrono gli stessi terreni camminando oppure pedalando sulla MTB. Siccome non “basta” (perché la nostra è la società del “non basta mai”), occorre incrociare le attività. Mi capita di vedere, d’estate, prati letteralmente arati dai cingoli con i quali si pratica lo sci d’erba (con vere e proprie competizioni, stile paletti da slalom, ecc.) e adesso mi tocca assistere alla proliferazione delle cosiddette fat-bike, le mountain con ruote large per procedere anche sulla neve. Il loro slogan promozionale afferma: “Sui terreni cedevoli è praticamente impossibile scivolare. Da qui nasce tutto il divertimento”. Notare il “tutto”: la dice lunga sull’approccio ideologico. Se poi aggiungiamo che anche le fat-bike possono essere “a pedalata assistita” (volgarmente dette e-bike), allora la disciplina è un ulteriore tassello dell’incontenibile assalto antropico alla montagna, in questa caso innevata. Mi ribello a questo andazzo: non da oggi, sono anni che conduco campagne contrarie a questo trend. Ancora ancora, posso arrivare a “comprendere” (ma non a condividere) le esigenze degli operatori turistici, che si scervellano per attirare nuovi clienti o rinnovare, con delle novità adrenaliniche (?), la presenza dei clienti sistematici.

In tale contesto si collegano le attività sulla neve con il clima da movida del dopo neve (“aperitivi”, ecc.). Comprendo gli operatori turistici, ma non ne condivido la loro azione senza rispetto per i luoghi. Non comprendo, invece, e (manco a dirlo!) non approvo per nulla, l’atteggiamento dei turisti: la natura ha le sue regole, di cui l’alternanza stagionale è una di quelle basilari. D’inverno (o, meglio, con la neve) si scia, d’estate si cammina/arrampica/pedala. Da qualche parte ho visto reportage di un’altra attività di recente introduzione. Mi pare l’abbiamo chiamata “wind ski”: si svolge sulla neve, si sale grazie alla forza del vento utilizzando una vela (come nel wind surf per intenderci) e, una volta arrotolata la vela, si scende con gli attrezzi (ovviamente in un orgasmo di powder, manco a dirlo…). Gli appassionati di tale novità esaltano la fusione fra l’ebbrezza del wind surf e quella dello sci. Anche questa mischietta mi pare innaturale e, quindi, una scemenza senza limiti: ti piace il wind surf? Hai mari e laghi a disposizione, che bisogno c’è di “forzare” le cose?
Perché non prendiamoci in giro: invertire o mescolare le attività significa forzare i ritmi naturali, fenomeno che è l’origine di tutti i mali della attuale società consumistica ed egoista. L’uomo si ritiene legittimato a dominare la natura, anche in risvolti collaterali quali le attività ludiche del tempo libero. Già che ci siamo perché non inventiamo il base jumping con la corda elastica intorno al collo? Forse risolveremmo tutti i problemi.
Due gambe e una fat-bike
di Giulio Masperi
(pubblicato su Corriere della Sera, cronaca di Torino, del 7 marzo 2020)
Se pedalare in sella a una mountain bike è un piacere che non conosce stagioni, più forte delle rigide temperature invernali e della fatica che presenta il conto quando s’approccia una salita tosta, farlo circondati da uno scenario di alta montagna, con pendii e fondovalle ricoperti di neve fresca, magari in una bella giornata di sole, è un’esperienza indimenticabile.
Un’attrazione da provare in Val Formazza, cuore delle Alpi Lepontine, in particolare nella località di Riale (VCO) dove la pista di fondo è stata attrezzata per accogliere anche le fat bike, e itinerari studiati ad hoc conducono in quota insieme alle guide. Il modo ideale per unire le passioni per le ruote «grasse» e la montagna, palestra dello sport outdoor, in sella alle moderne fat bike.

Di cosa si tratta? Di bici molto speciali, parenti strette delle mountain bike tradizionali, ma studiate – nelle geometrie del telaio e nelle caratteristiche tecniche – per dare il meglio sulla neve (oppure sulla sabbia). Bici simpatiche, grazie ai copertoni maxi e semisgonfi, ideali per avere più grip, che strizzano l’occhiolino anche ai meno esperti. Strumenti nati in Alaska negli anni Ottanta per ragioni pratiche, spostarsi ogni giorno su strade che d’inverno scompaiono sotto metri di neve, e di recente apparsi anche in Italia conquistando un consenso massiccio.
Sport, fatica, divertimento, piacere di esplorare luoghi sconosciuti senza l’assillo del cronometro e il timore di non arrivare a destinazione. Tutto condensato nelle e-fat bike (la tipologia con pedalata assistita) disponibili a Riale. Ciclisti esperti e neofiti, oppure sciatori a caccia di una giornata alternativa a sci e tavole. Per tutti il mezzo ideale è la bici «grassa» assistita, che grazie a un motorino elettrico (e diversi livelli di assistenza a seconda della necessità) permette di ridurre la fatica, aumentando il divertimento. Da soli, in coppia, in gruppo con gli amici.
«Le Alpi Lepontine d’inverno sono incantevoli, e pedalare osservando la Cima d’Arbola e il Monte Basodino, che superano i 3 mila metri, è uno spettacolo – spiega Gianluca Barp, gestore del centro di fondo di Riale – Proponiamo due tipi di esperienze: la pedalata tranquilla sui 12 chilometri della pista di fondo, oppure l’escursione fino al Rifugio Maria Luisa, 7 chilometri e 500 metri che in bici assistita sono adatti a tutti». In Val Formazza l’offerta spazia dal noleggio delle e-fat bike (mezza giornata, 20 euro) all’escursione con guida e cena in rifugio (50 euro).
In Italia le fat bike sono apparse una decina d’anni fa. Oggi tanti comprensori alpini propongono semplici pedalate ed escursioni più impegnative, di giorno o la sera, con pranzi e cene in rifugio.
In Valle d’Aosta, escursioni in Val Ferret con partenza da Courmayeur e Planpincieux con vista sul Monte Bianco e le Grandes Jorasses; a Torgnon con noleggio a Champs de la Cure Piro Piro per pedalare sui tracciati predisposti anche per le ciaspole; oppure a Cervinia. In Piemonte, in Val di Susa in fat bike assistita al tramonto da Bardonecchia (piazzale della seggiovia di Les Arnauds) per Melezet e la Valle Stretta fino ai rifugi.
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lasciamo perde!!
e meno male che “qualcuno” doveva cambiare la politica italiana. Adesso sono i primi a cercare l’inciucio per salvare le “poltrone” che dovevano far saltare.
sono andato fuori tema, ma mi hai istigato.
Grazie. Mi si è aperto il cuore. Forse posso ancora fare le mie corse solitarie da tapascione senza rischiare la scomunica e sentirmi in colpa per il resto dei miei giorni. Oggi pioveva di brutto. Nonostante la pioggia, davanti a me, a debita distanza, ho incrociato due escursionisti, chiaramente cannibali. Neri, neri, irsuti e grufolanti, con strane appendici appuntite. Facevano un gran casino e bloccavano il passaggio. Ho urlato “Crovella” “Crovella”. Nel silenzio del bosco, sentendo risuonare alto e puro il nome di Terminator, si sono subito eclissati (per mia fortuna. Gloria e riconoscenza al caro Carlo) . Non vi dico in che condizioni hanno lasciato il sentiero. Per di più col fango e in discesa. Una vera vergogna. Nulla ci è risparmiato. Ragazzi usiamo davvero il buon senso. Diamo il buon esempio almeno noi: è una merce così rara in questo nostro amato e disgraziato paese. Questi col biciclettone ogni tanto stanno un po’ sulle palle, è vero, in particolare quando sono in allegra compagnia, ma in fondo sono il male minore. Basta siano educati e non ci facciano secchi. Nella mia esperienza lo sono, tranne il solito 10% circa di buzzurri che troviamo anche in altre attività vintage. Quindi forse possiamo lasciare in sospeso, per tempi migliori, il dilemma se sia nato prima il cannibale o il biciclettone e rilassarci guardando questa sera lo spettacolo del voto in Senato e la nascita del “non c’è due senza il ter”Ciao.
BUON SENSO…hai detto nulla.
Averlo!!
Quello che invece abbonda è l’egoismo di voler fare quello che ci pare, sempre e comunque, per soddisfare il nostro egoismo, il nostro diritto divino di possesso e sfruttamento dell’ambiente naturale. Fosse per lavoro o per divertimento non cambia nulla, voglio fare quello che mi pare, dove mi pare e come mi pare.
Voi andare in moto? Bene vai per strada, vai in pista, vai su un circuito predisposto. Mica ti mancano le opportunità.
Ma perchè vuoi andare su e giù per un sentiero, per un prato, per un bosco ?!?!?
Non ti rendi conto del danno che fai? Al terreno, al bosco, agli animali che si spaventano.
Si te ne rendi conto benissimo, ma te ne sbatti. Se qualcuno te lo fa notare, rispondi che tutti abbiamo uguali diritti, che ami e difendi la natura e le sue fragilità (ridicolo), che anche gli escursionisti e gli alpinisti sporcano (vero!).
Ma che vuol dire questo? E’ una risposta di buon senso?!?!
Io da escursionista non posso camminare su una pista da motocross. Anche anch’io ho detto la mia cazzata.
La chiave di lettura sarebbe: buon senso. Il buon senso però si dissolve nell’interpretazione del suo stesso significato. Pertanto o si forma e si preserva un buon senso collettivo o se no ciascuno se lo aggiusterà a suo uso e consumo.
Lo sviluppo tecnologico trasforma il mondo, ne abbatte le difficoltà creandone di nuove. Dal punto di vista fisico semplifica e offre nuove opportunità. Tutto questo ha però un prezzo che si manifesta nell’allontanamento dell’essere umano dalla natura. Lo sviluppo tecnologico avvicina fisicamente ma allontana mentalmente, abbassando la soglia del rispetto ed il senso del limite. Non solo, incide negativamente sulle nostre intrinseche capacità facendoci perdere abilità innate.
C’è chi queste cose le comprende e chi no, chi le dovrebbe comprendere, tutelare e tramandare fa spallucce a fronte di un ritorno economico che contribuisce a perpetrare la spirale (perché questi soldi come vengono poi spesi?). Ma non voglio dare colpe a destra e a manca, ciascuno di noi è figlio del suo tempo.
Il dibattitto e’ finito nel solito batti e ribatti fra gli estremi. In mezzo ci sarebbe il buon senso. Il tema posto dall’articolo e’ un tema che puo’ essere posto ed avere riscontri diversi. Dire invece che sui sentieri ci possono andare anche le moto e’ piu’ difficilmente sostenibile o perlomeno suscita reazioni piu’ grandi, ovviamente. Le vedete bene le moto anche su una spiaggia? Perche’ allora non usarle in spiaggia se si parte dal principio che una moto la posso usare ovunque. Suvvia, tutti coloro che sono dotati di buon senso capiscono con che mezzo di trasporto devono muoversi o non devono muoversi rispetto all’ambiente che intendono visitare. Detto questo credo che il fine dell’articolo fosse anche quello di sensibilizzare sui fenomeni indotti da alcuni modi di frequentare la montagna, fenomeni indotti potenzialmente dannosi. A tal proposito io ho sempre dichiarato, per esempio, che non si puo’ far di tutta un’erba un fascio e condannare i runner dei quali riconosco ed apprezzo voglia di impegnarsi e faticare. Ma le moto sui sentieri, perdonatemi, no… almeno non credo che sia questo cio’ che in questa sede di commenti intendiamo per andare in montagna…
poi io ho cari amici che vanno in moto sui sentieri, ma dico loro la stessa cosa che dico qui.
Cari saluti a tutti.
Siamo al delirio. Prossimo step l’attacco a chi va in montagna con scarpe con suole diverse dal Vibram e anziché usare borracce in alluminio ricoperte di feltro nasconde nello zaino contenitori di plastica. Mi attendo infine una aspra critica a chi corre in montagna perché la montagna è fatta per essere vissuta “lentamente” e la corsa ne tradisce i naturali ritmi.
Segnalo che mentre qui si fanno fantomatiche gare di purezza culturale, al Tonale hanno annunciato due nuove cabinovie.
Siamo al trionfo delle generalizzazioni e delle etichette. Mi torna in mente quando Rehinold Messner subì attacchi (italiani) quando, candidato locale nelle liste dei Verdi, fece unao spot per la Beretta. Sì, quella dei fucili da caccia. Lui, di cultura tedesca, non capiva dove fosse il problema, la contraddizione. Perché sì, i cacciatori in Italia sono i ‘cattivi’, gli ambientalisti ‘i buoni’. Cone i biker, gli enduristi, e via così. Tutto ciò che è altro da sé. Ok, prendo atto. Ma invito a guardare oltre quell’arco alpino che ci divide dal resto dell’Europa, dove le regole in montagna ci sono e sono fatte rispettare senza per questo trasformare la montagna in qualcosa di blindato, per pochi (auto)eletti.
Ma vogliamo parlare delle racchette da neve (volgarmente ciaspole) o del nordic walking? Soprattutto per l’uso che ne viene fatto, AIUTO!!!
gli enduristi rispettano e amano la natura quanto gli alpinisti amano la montagna; non è un ossimoro.
Non è il mezzo che fa danni ma chi lo usa, e questo vale sia per gli enduristi che per gli alpinisti che per tutti le categorie in qualsiasi ambito.
Un endurista che fa il giro per i boschi di bassa valle, negli anfratti dove gli alpinisti non vanno perchè non sono luoghi che elevano l’anima e il corpo, trovano piacere nell’esplorare e mantenere aperti vecchi tratturi in disuso, facendo sentire il bosco non abbandonato. L’endurista maleducato è quello che invece sale in quota dove si sa essere zona di chi passeggia e cerca la quiete. In questo senso, ci sono i “vecchi enduristi” o piloti di regolarità, che cercano di educare i giovani, purtroppo le mele marce esistono sempre (purtroppo una mela marcia col motore a scoppio fa tanto rumore). Ma chiuderei qui la parentesi dato che le moto non sono oggetto del contendere, e comunque ribadisco, non è il mezzo che fa danni, altrimenti la birra al rifugio la prossima volta ce la portate nello zaino.
@Filippo Petrocelli. Si può discutere di tutto ma: “Enduristi che amano e rispettano le fragilità della montagna” è un ossimoro.
Senza volontà polemica, ci tengo a precisare che l’autore dell’intervento 20 mi dà l’impressione che non conosca nulla del mio lungo “attivismo” ideologico sul tema della montagna “protetta” né che sia al corrente del pregresso nei dibattiti passati sul Blog. Si tratta di prese di posizioni che “sono agli atti” e tocca a chi è interessato andarsele a rileggere a ritroso: non è possibile che ogni volta io debba riprendere i concetti da Adamo ed Eva in poi. E’ ovvio che si parla di sci in termini di sci senza impianti. Ma mi pare che continuino ad emergere individui che non focalizzano un concetto chiave: io non sono contrario alla MTB invernale in quanto tale, bensì all’uso cannibalesco che se ne fa: non a caso l’articolo è intitolato “Famolo strano“, problematica che affligge molte discipline anche estive che si praticano in montagna. Buona giornata a tutti!
Quando si dice l’evoluzione del dibattito e l’importanza del confronto, già siamo arrivati agli “enduristi che amano e rispettano regole e fragilità della montagna” poi seguiranno i quaddisti ecologici ed i fuoristradisti green.
ora, con un motore a scoppio che fa rumore e produce puzzolenti fumi e gas di scarico, andando su è giù per un bosco o un pendio, come si possa rispettare la fagilità della montagna, sinceramente me lo domando ???
Personalmente non sono un talebano, ma ritengo che in montagna al di fuori delle strade asfaltate e (poche) strade bianche qualunque motore debba essere disincentivato; elicottero, motoslitta, moto da trial, quad inclusi i servizi navetta ai rifugi-ristorante.
Senza snobismo alcuno, la e-bike dovrebbe semplicemente essere considerata per quello che è: un mezzo a motore, la cui caratteristica è puzzare un po’ meno.
Una posizione, questa di Crovella, che odora di telebanismo dove ci sono solo alcune discipline ufficiali praticabili in inverno e altre solo in estate, tutto il resto non è permesso.
Al di là della menzione specifica sulla dimensione delle ruote delle fat bike che possono essere paragonate alla larghezza degli sci, ora sempre maggiore, per galleggiare maggiormente su ogni tipo di neve incrementando il controllo e il divertimento (una nota va anche detta sul suo snobbismo riferito al sistema di pedalata assistita), la mia idea di montagna non riguarda tanto con quale mezzo la si affronta (sempre escludendo tutti gli approcci non sostenibili per l’ambiente) ma come, quindi ancora una volta dipende fortemente dal fruitore dalla sua cultura e dalla sua educazione.
Visto che Crovella parla di sci forse doveva anche precisare che solo con lo sci alpinismo e lo sci di fondo permettono una fruizione della montagna in maniera sostenibile…. Vogliamo parlare dell’impatto degli impianti sciistici sull’ambiente? Non credo ci siano molti sport che abbiano impattato così tanto come lo sci alpino, neanche il calcio, visto che solitamente la costruzione degli stadi riguarda centri urbani solitamente già compromessi. Per non parlare di eli-sci di cui lascio a te l’argomentare la questione.
Forse Crovella si riferiva a qualche banda di ragazzi un po’ rumorosi che sono andati a farsi un giro “turistico” con le fat bike nel classico circuito preparato appositamente da qualche noleggiatore locale, forse non sa quante belle avventure ed esplorazioni in pieno silenzio e rispetto dell’ambiente si possono fare e, indipendentemente dall’assistenza elettrica o meno, quanta fatica bisogna metterci dentro.
E’ inutile, come accaduto in altre occasioni anche qui sul Blog, che ci poniamo da zero obiettivi particolarmente ambiziosi, come “estirpare gli impianti da sci” e/o “riportare il CAI ad essere un club di soli alpinisti” e/o “togliere le corde fisse dal Cervino”… ecc ec ecc ecc ecc.
Iniziamo invece dalle piccole cose, se siamo allineati all’idea di protezione della montagna: rendiamo la montagna più “scomoda” e, in automatico, i cannibali si indirizzeranno altrove (i cannibali non amano la scomodità, la fuggono).
Il concetto di scomodità va inteso in senso lato, cioè non solo in termini diretti (mano rifugi, meno strade, meno indicazioni, ecc), ma anche sul piano metaforico. Iniziamo quindi da piccole cose: ostracizziamo e/o rendiamo complicate quelle attività commerciali stile “mordi e fuggi” che attirano i cannibali come mosche. Non è un male che attanaglia le sole MTB (siano esse estive o invernali), ma moltissime discipline che si praticano in montagna: agiamo nei confronti di tutte le occasioni di “cannibalismo”.
Io credo fermamente in questa linea e di conseguenza prendo posizione in tal senso. Liberissimi di avere opinioni anche diametralmente opposte, ma allora non comprendo perché vi lamentate del degrado (sia diretto che metaforico) cui è sottoposta da decenni la montagna: tale degrado è la fisiologica conseguenza di una mentalità “liberi tutti”…
Il “liberi tutti” porta solo del male alle montagne, siamo arrivati ad un limite cui non si può andare oltre, non è più procrastinabile l’intervento, cioè occorre che i genuini appassionati di montagna prendano posizione e agiscano, anche se ciò risulta antipatico e scortese…
Articolo senza capo nè coda. Già il concetto di “secondo natura” è visto da un’angolazione assolutamente personale e di convenienza. Poi che gli sport siano quelli che piacciono a Crovella e tutti gli altri vanno eliminati è un concetto che ha più volte ribadito, ma non è che diventi più plausibile solo per questo. Ma a proposito delle fat-bike, ha mai pensato Crovella che anche località normalmente dimenticate dal turismo invernale, possono ampliare in questo modo l’offerta che spesso si limita alle sole ciaspole o allo sci di fondo? Infine non capisco quale sarebbe l’assalto antropico, dal momento che le bici non lasciano alcun residuo se non una traccia sulla neve, si muovono in ambienti già modificati ed esistenti e non necessitano di ulteriori interventi, appunto, antropici.
Concordiamo tutti che non è lo strumento sotto inchiesta, ma la qualità delle persone, cioè i cosiddetti cannibali. Perfino gli sci, che io considero una diretta creazione divina, possono essere utilizzati in modo estremamente cannibalismo. È contro questi approcci che io mi scagliò, non contro gli attrezzi in quanto tali. Però e’ vero che ci sono attrezzi che, senza volerlo, sono più accessibili di altri ai cannibali e si prestano più facilmente (loro malgrado) a usi cannibaleschi. Nel caso di specie le mie strane si indirizzano sui pacchetti commerciali “mordi e fuggi” che coinvolgono le MTB: gruppi di persone, che spesso non sono degli appassionati genuini di montagna, affittano bici e relativo accompagnatore e infestano i boschi con quell’approccio che io definisco “alla Briatore”. Non mi dilungo sulle negatività di questo modello. La novità degli ultimi anni collegata alle fat-bike e’ che, purtroppo, permettono di estendere questo approccio (gia’ intensissimo nei mesi estivi) anche all’inverno, tra l’altro in una fase dell’anno in cui la fauna è molto fragile per evidenti motivi. I cannibali non sono esclusivi delle sole fat-bike commerciali, ma li troviamo ovunque e in tutte le discipline. Pero’, se ci teniamo davvero alla montagna, da qualche parte dobbiamo iniziare a porre dei freni e delle dighe. Se vi scandalizza questa conclusione, ravviso non poche contraddizioni nelle posizioni di molti di voi. Pochi gg fa vi lamentavate perché la Rivista CAI non è più “alpinistica”. Beh è la naturale conseguenza del problema che c’è alla radice di tutto: se accettiamo il “liberi tutti”, è chiaro che gli alpinisti genuini diventano una minoranza numerica rispetto al totale dei frequentatori della montagna. Di conseguenza il CAI non è più un club di soli alpinisti, ma un club di persone che praticano infinite discipline e, quindi, la rivista riflette questa realtà. Bisogna quindi scegliere o una via o l’altra: tertium non datur. Io esprimo una visione intellettualmente snob, elitaria (sempre intesa sul piano ideologico, non economico) e restrittiva, ma ho una coerenza inappuntabile. Il problema è alla radice: creare le condizioni che non piacciono ai cannibali (oppure smontare le condizioni che piacciono ai cannibali) per disincentivarli e far sì che si dirigono altrove. Nulla osta invece se una bicicletta (o un paio di sci, o le ciaspole o gli scarponi) viene usata da un appassionato genuino della montagna, cioè da un “non cannibale”. Buona notte a tutti.
Buongiorno
Diversi anni fa con la neve dal lago di Anterselva ero salito al passo Stalle con una semplice bicicletta muscolare, ricordo uno sci alpinista inorridito non credeva ai suoi occhi. Gli anni sono passati, in bici vado sulle strade senza neve, mi accontento delle ciaspole, gli sci purtroppo ho dovuto abbandonarli. Ho molto rispetto per chi pratica lo sport, ognuno la pensa e lo pratica come meglio crede, magari arriccio il naso davanti a certe pratiche sportive ma se fatte rispettando l’ambiente e l’altrui pace e tranquillità non mi sentirei certo di vietarle. Sorrido e penso a quello sul Monviso che era salito in bici, bella età!! . Grazie dello spazio e Buon anno a tutti.
Mai letto in un articolo con tante banalità, nate da preconcetti arcaici personali, la montagna è di tutti e tutti con rispetto ed educazione, indipendentemente dal modo in cui ne vuol usufruire, la devono e possono frequentare.
Inutile lamentare per le varie attività che si posson fare, se c è chi vuol viverla come nell 800 se ne stia isolato con 2 vacche seguendo i ritmi della natura senza alcuna tecnologia al seguito, si ritiri da buon eremita e non venga a far il santone a valle, senza considerare che chi frequenta la montagna porta alla comunità montana denaro e a quello non ci sputa su nessuno, come mai??
Vado e continuerò ad andarci, lo faccio da 30 anni, sia a piedi, in bici, in arrampicata e scendendo nelle sue viscere, sempre con rispetto e continuerò a farlo fino a che avrò forza di farlo.
Concordo con Simone: “la questione sta nell’educazione e nel rispetto, non nel tipo di mezzo che si usa”. Da anni il CAI promuove corsi di “cicloescursionismo” per un uso corretto e non invasivo della MTB, nel rispetto dell’ambiente e dei fruitori dei sentieri di montagna e per tale motivo sono stati formati numerosi accompagnatori alla stregua degli istruttori di scialpinismo, alpinismo o escursionismo. Le biciclette, con o senza “e”, con ruote più o meno grasse, sono mezzi ecologici che non arrecano danni se usati correttamente, cosa che non si può dire di moto e quad, non abbastanza vietati da numerose amministrazioni comunali. Purtroppo la diffusione di questa pratica, come in tutti gli sport, porta a degli eccessi e non tutti si comportano responsabilmente, ma questo purtroppo sta nell’educazione dei frequentatori della montagna che devono essere correttamente indirizzati.
Credo che la montagna appatenga a tutti lo dico non perche’ vivo in citta’ e per me e’ un privilegio passare giornate in montagana a caccia in bici ed anche in moto . In mertito alle ebike ben vengano , hanno avvicinato tante persone alla bicicletta ed alla montagna. Non siate integralisti ma godetevi la giornata e vivrete meglio !
Concordo pienamente con l’articolo di Carlo Crovella. Non aggiungo altro in quanto le sue considerazioni esprimono esattamente il mio pensiero in merito.
Concordo sul condannare motori e batterie sui sentieri, sia perchè inquinante, sia perchè toglie la possibilità a chi ama la natura di poterne godere, sia perchè diseducativo. Non condanno le biciclette in se’, in versione estiva o invernale. E non sono un ciclista.
Se solo si togliesse la “E” dalla bike, la “fat” scomparirebbe in un amen.
Riguardo alle contaminazioni o al “forzare i ritmi naturali” la penso come Cominetti: giusto ieri pomeriggio ho visto due scialpinisti che rientravano in mountain bike (non “E”) verso Lecco con sci e scarponi in spalla dalla Valsassina…li ho ammirati tantissimo!
Certo che i quad e le motoslitte sono peggio ancora! Al peggio non c’è fine! Ma non è l’attrezzo in sé ad essere positivo o negativo (questo concetto e’ gia’stato ampiamente focalizzato nei mesi scorsi), bensì l’approccio consumistico che certi attrezzi rendono possibile. Nessun cannibale, o pochissimi, si impegnerebbe nelle scalate invernali di pareti impegnative. Inoltre non è il singolo che disturba ma la massa che attività del genere si portano dietro. Oltre a una questione numerica è soprattuto una questione di qualità esistenziale, di approccio.si luoghi montani. Il figlio di Cominetti, terminato il giro in bici, immagino non vada ad alimentare la folla dello struscio in centro a Cortina all’ora dell’ aperitivo…
Se non ostracizziamo queste ed altre attività “ludiche” e consumistiche (invernali come estive), è inutile che ci mettiamo a dibattere sul numero chiuso in montagna. Il primo modo per fare selezione è evitare tutte queste forme di inquinamento comportamentale. Basta togliere giochini come questo (a maggior ragione se quad e motoslitte) e si fa immediatamente selezione naturale sull’accesso antropico alle montagne. Senza giochini di questa natura, una bella fetta dei cannibali (per non dire la quasi totalita’ degli stessi) si indirizza verso altri luoghi.
D’accordo, ma ci sono anche aspetti oggettivi. Se molti sentieri qui in Liguria sono diventati impraticabili a piedi per via di bici ( e moto) a causa dei solchi che esse creano ( solchi che poi sprofondano con la pioggia e via di questo passo in un circolo vizioso) effettivamente parliamo di rispetto. Chi decide che certi sentieri, molti ormai, sono delle schifezze in cui non si riesce piu’ a mettere un piede avanti all’altro solo perche’ qualcuno ha deciso di percorrerli anche con bici e moto? A piedi non si consuma nulla. E quelli che vanno in bici o in moto sanno smettere quando stanno danneggiando l’attivita’ altrui? Non mi sembra. Per non parlare del fatto che le velocita’ a cui scendono le bici su sentieri creano spesso situazioni pericoloso nei confronti di chi sta camminando. Fa tutto parte della attuale visione egoistica e arruffona dell’andare in montagna, e non solo. Il rispetto e’ spesso concetto sconosciuto. Tema gia’ qui ampiamente dibattutto.
Crovella mi pare poco coerente: scrive “La natura ha le sue regole, di cui l’alternanza stagionale è una di quelle basilari. D’inverno (o, meglio, con la neve) si scia, d’estate si cammina/arrampica/pedala”.
Ma una volta lo sci non esisteva: in inverno si stava a fondovalle, e quei pochi che avevano necessità di salire in quota (cacciatori, boscaioli etc) usavano ciaspole rudimentali di legno e spago, fine. Nessuno si sognava la “powder”. L’assalto alla montagna si è già compiuto da un pezzo con gli impianti di sci. E gli impiantisti hanno capito, vista la crescente incertezza degli inverni recenti e i costi altissimi di gestione, che conviene far lavorare gli impianti tutto l’anno. E allora ci si è inventati la panzana della “mobilità alternativa” e sostenibile, gli impianti “green” con cui obbligare la gente a pagare il biglietto per le montagne che una volta erano gratis. Quindi gli impianti sono diventati parte integrante di tutte le attività estive, vecchie e nuove. E allora perché fat bike no, e lo sci d’inverno sì? Che importanza ha se le ruote sono grosse o sottili, se c’è il motorino elettrico o no? Forse bisognerebbe cominciare a considerare il nostro assalto alla natura più complessivamente. Tra l’altro ci conviene, perché se non lo impariamo da soli ce lo insegnerà la natura stessa: con le buone col cambio climatico, con le cattive col coronavirus. Ma l’uomo ha sempre dimostrato notevole durezza di comprendonio.
L’ uomo non è nato dotato di arti a forma di piccozza e ramponi, ne’ a forma di sci….Non capisco chi giudica il proprio divertimento migliore e più giusto di quello altrui.
La questione sta nell’ educazione e nel rispetto non nel tipo di mezzo che si usa.
Ho seguito l’invito e visitato i siti..appunto..come volevasi dimostrare .Un conto e’fare la scoperta, ma poi..bisogna postare, divulgare , estendere. Anzi sorge il sospetto che si tenti l’ itinerario solo per postarlo.Comunque una bicicletta è pur sempre un mezzo di trasporto ed a volte la bici giusta consente di andare a fare la spesa tra contrade di montagna ,con fondo stradale innevato .In val di Fiemme e Fassa pero’ la ciclabile e’adesso percorso sci fondo..speriamo che serva solo a questo.
Crovella, secondo il tuo ragionamento, che vede le stagioni a decidere cosa si può fare in montagna, allora ripetere una via in inverno sulle Dolomiti o al Bianco rappresenterebbe un inutile forzatura?
Vedo mio figlio uscire la mattina presto per andare a correre prima del lavoro o andare in mtb e poche mattine fa il termometro segnava meno 18. Ovviamente su percorsi innevati, nel bosco dietro casa. Io non lo farei ma non condanno di certo chi lo fa.
Quanto alla bici assistita, ci siamo già ammazzati di pareri su questo stesso blog, tempo fa. Piuttosto vedrei un problema serio nella mancanza di spazi se le bici vanno su percorsi dedicati al fondo o alle passeggiate, ma quest’anno direi che non si pone. Approfittiamone.
Infine, preferisco i rifugisti o operatori di fondovalle che noleggiano le fatbike piuttosto a quelli, purtroppo numerosi, che offrono quad e motoslitte.
Se una parte del danno lo fa il mezzo invenzione di turno, poi il resto lo fa la divulgazione e la relazione dell’ entusiasta.Non basta il divertimento individuale, bisogna diffonderlo ,anzi “postarlo”come un virus attraverso riviste, social e filmetti. Si parla poco di incidenti relativi.Per esempio la pedalata assistita aiuta ma poi molti non riescono a gestire la frenata in discesa.Escursioni di nicchia un tempo praticate con gli sci di fondo..che dopo alcuni passaggi si ricavavano artigianalmente le tracce parallele dette “binari” con grato pensiero di altri sopravvenuti..ora vedono la medesima pista contesa tra sciatori-fondo, skialper, ciaspolisti, motoslitte, sleddog e slittoni a cavallo, motoquad autorizzati e fat bikes chiodate..addio binari..e continuo farsi da parte!.Gl itinerari classici persino consultabili e percorribili virtualmente con noto sito e ovviamente le persone e i “mezzi “che il giorno della ripresa erano in azione.
Per non fermarti subito allo stigma di CC e per farti un’idea di cosa alcuni riescono a fare con le fat dai un’occhiata a ciclodisagio.com e a bikewanderer.com