Fermare la valanga
di Markus Feldenkirchen
(già pubblicato il 7 settembre 2018 su internazionale.it)
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La crescita dell’estremismo è anche colpa dell’apatia della società tedesca. Ora c’è bisogno di una risposta concreta.
Chemnitz è un punto di svolta. La caccia allo straniero, la spudoratezza con cui i neonazisti e i loro simpatizzanti borghesi hanno conquistato la piazza scatenando un clima da pogrom, mentre la polizia stava a guardare: tutto questo è la conseguenza di uno strisciante riavvicinamento della Germania al suo passato più nero. Tra le tante piccole fratture di civiltà che si sono aperte negli ultimi anni, Chemnitz è stata la più violenta. Episodi simili c’erano già stati, ma a differenza dei primi anni Novanta oggi i neonazisti hanno il sostegno di una parte della classe media e della politica. La leadership del partito di destra Alternative für Deutschland ha definito “autodifesa” la violenza razzista, legittimandola.
Oggi la situazione è molto più pericolosa. Può darsi che ci siano ragioni culturali e storiche che fanno della Sassonia un terreno fertile per l’estrema destra. Ma il revival delle camicie brune non è un fenomeno sassone. Sotto la cenere una Chemnitz cova ovunque.
È cruciale capire se questa sia la conclusione di una virata verso l’immoralità, cominciata con il libro di Thilo Sarrazin Deutschland schafft sich ab (La Gemiania si abolisce). O se non sia piuttosto l’inizio di un’epoca illiberale. Se sarà il segnale che risveglierà la politica e i cittadini, spingendoli a reagire. O se chi potrebbe opporsi continuerà a cullarsi nell’apatia.
La politica e le istituzioni hanno fallito. Le loro colpe vanno ben oltre la gestione dell’ordine pubblico. La Cdu locale continua a minimizzare il problema dell’estrema destra, e la Csu ha ripreso il lessico e i temi degli estremisti, sdoganando le loro rivendicazioni. Anche la maggioranza silenziosa ha fallito, dall’alta borghesia alla classe media. Ha dato per scontata la democrazia e quando si è trattato di difenderla si è fatta trovare addormentata. È rimasta a osservare i cambiamenti della società con indifferenza. Questa apatia si deve anche a un nuovo perbenismo, al ripiegamento in un confortevole privato, in cui ciò che conta sono le condizioni del prato da golf, la qualità dei corsi di yoga o la percentuale di omega 3 negli alimenti. Sono i problemi di un universo parallelo e autoreferenziale, in cui i migranti non sono il problema perché si vedono solo da lontano. Anche nella Repubblica di Weimar una maggioranza apatica lasciò le piazze a chi faceva più rumore, finché non diventò una minoranza.
Una parte di quella maggioranza silenziosa ha cancellato la distanza che separava i conservatori dall’estrema destra. Questi cittadini non sanno più dare il giusto valore alle cose: esercitano una critica legittima alle politiche migratorie, ma trascurano la difesa della democrazia. Invece di tracciare un confine netto tra il dissenso e la distinzione sono complici degli estremisti. Per lo più tacitamente, ma sempre più spesso in modo attivo.
Un’alternativa
Ora c’è bisogno di una rivolta delle persone oneste ma apatiche. Servono fiaccolate, manifestazioni, appelli pubblici, concerti, qualunque cosa, purché si senta, purché si veda. I cinici e i disillusi storceranno il naso. Ma in tempi come questi disillusione e cinismo sono nemici della democrazia liberale. Le manifestazioni non possono trasformare i nazisti in sostenitori della democrazia, ma possono mostrare a tutti gli indecisi che c’è un’alternativa ai prepotenti. Lo scrittore Erich Kastner diceva che i tedeschi avrebbero dovuto cominciare a combattere il nazismo nel 1928, quando tutto sembrava ancora stabile, quando c’erano esplosioni d’odio, come oggi a Chemnitz, ma si poteva ancora fingere che si trattasse di episodi isolati. “Non si può aspettare che la palla di neve diventi una valanga. La valanga non la ferma più nessuno. Si ferma solo quando ha ormai sepolto ogni cosa”.
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