Finale, 3592

Finale, 3592
di Gabriele Canu
(da facebook, 3 aprile 2017)

Tremilacinquecentonovantadue. Il numero di tiri di corda di uno dei più grandi paradisi dell’arrampicata sportiva italiani ed europei. Ma non bastano ancora.

La roccia non basta. Quei pochi tiri rimasti come la storia ce li ha lasciati, quel centinaio, dove tanti anni fa dei personaggi alla ricerca di avventura hanno vissuto giornate folli inseguendo i loro sogni, sono da radere al suolo e ricostruire. Eppure, si potrebbe stupidamente pensare che possano essere una sorta di gioco per chi cerca di uscire un poco dagli schemi, per chi non vuole sentirsi parte dell’appiattimento. Ma la realtà è un’altra, devono essere fruibili a tutti… anche quelli. Che poi, a guardar bene, fruibili a tutti lo sono già… ma richiedono di accettare altre regole del gioco. Regole che non tutti sono disposti ad accettare, quindi ben venga chi le regole le cambia e mi fa trovare un nuovo giochino in barba alla storia. A chi importa della storia se si può barattare con una bella linea su ottima roccia, difficoltà abbordabili e zero stress? E così, ecco altri trentacinque metri di scalata plaisir aggiunti a un elenco che non conosce fine. E tutto in nome di un termine, “messa in sicurezza”, che dice tutto e non dice niente e a me personalmente fa rabbrividire perché spesso nasconde operazioni non proprio dispensatrici di etica… e mica solo nell’arrampicata. Anzi.

Alessandro Gogna apre Scheissegal (Monte Sordo), 11 febbraio 1984. La via è stata completamente richiodata a resinati. Ed è solo uno dei tanti esempi

Il rispetto fa ormai parte del passato. E questo in ogni ambito della vita. La scalata non è esente, in fondo c’è un principio di base, nella filosofia moderna: tutto deve essere accessibile a tutti. Una visione particolare dell’appiattimento culturale e morale dei giorni nostri, per cui non è più importante il “come”, l’importante è il “cosa”. L’importante non è preservare il senso delle cose, la pluralità di pensiero e la storia: l’importante è avere 35 metri di roccia in più da scalare, 35 metri di tacche da stringere… un tiro come tanti altri. Come al supermercato, davanti a duemila dentifrici differenti che alla fine, dietro a mille slogan, fanno tutti la stessa cosa. Come i tiri. Più bello, più brutto, più facile, più difficile… ma in fondo uguale agli altri 3500. Qualcuno ha detto “le vie di oggi non hanno un’anima”. E a mio parere, non c’è miglior modo di rappresentare l’omologazione.

E forse un po’ di rispetto, per chi ha dato inizio alle danze in quello che sarebbe poi diventato, inevitabilmente per la sua bellezza, uno delle mete top per l’arrampicata sportiva… forse sarebbe dovuto. E forse sarebbe il caso di ricordarsi che il rispetto per le persone viene davanti a tutto, prima ancora che dal rispetto per la roccia e per la linea.

E questo è quel che poi succede. Il passato, così facendo, scompare. Scompaiono le storie. Tra vent’anni, piccolo passo dopo piccolo passo, qualcuno arriverà a Finale e troverà 3592 tiri tutti uguali uno all’altro. Le uniche differenze tra uno e l’altro saranno il cartellino alla base della via, il fatidico grado, e il nome. Magari togliamoci anche il nome, cominciamo a chiamarli tutti – come si sta già facendo in alcune falesie – 1, 2, 3, 4. Omologazione, standard.

Marco Marantonio in una delle prime ripetizioni dell’Arco dei Guaitechi, solo con i chiodi originali

Contro la falesia e chi la frequenta? Assolutamente no. E’ bello che esista. Ho un sacco di amici falesisti, e non ho niente contro un bel tiro se rispetta certi criteri di semplice buonsenso. Lo faccio volentieri, ne godo, e torno a casa contento. Ma allo stesso modo credo nella diversità e nel rispetto delle forme d’arte differenti. Non ho niente da eccepire contro la stragrande maggioranza dei tiri sportivi su cui non riuscirei a salire neanche con un’autogru di Vernazza. Ma, in parallelo, per quale ragione qualcuno si arroga il diritto di definire un tiro non più salibile solo perché non c’è il resinato a mezzo metro e si prende la briga di riattrezzarlo “per la mia sicurezza”?

Votiamo a maggioranza per la richiodatura delle vie aperte in stile tradizionale? Allo stato attuale, sarebbe una causa persa. E non per questione di reali idee in merito, quanto per una sorta di mancanza di cultura. Alpinistica, storica: sia chiaro. Lungi da me definirmi come il depositario, di quella cultura: non lo sono, e me ne guardo bene dall’esserlo. Ma molte persone che ho conosciuto in quest’ultimo periodo, mi sono reso conto, semplicemente non conoscono. Non sanno cosa c’è stato prima. D’altra parte, è abbastanza naturale, ed è tutto dovuto a questo processo di “modernizzazione” delle cose, iniziato ormai tanti anni fa. Quanti hanno scalato l’Arco dei Guaitechi senza neanche sapere che quella è la prima via di Monte Sordo, aperta nel lontano 1973 con quattro chiodi da fessura lungo l’intero primo tiro? Quella via non è solo “un 5c duro e untissimo”, ma è semplicemente un pezzo di storia. Perché non si sa? Perché sono una marea di anni che su quella via ci sono gli spit, dal giorno in cui qualcuno ha deciso che tutti potessero scalarla, semplicemente cambiando le regole e rendendolo una prestazione sportiva, decidendo che l’Arco, un giorno, dovesse diventare “uno dei 3592”. Ma così facendo, ha distrutto un piccolo pezzo di una storia che ormai risale a quasi cinquant’anni fa.

La parete del Bric Grigio, dove l’itinerario originale Spitfobia (4 marzo 1984) è stato “cancellato” da altre linee chiodate a spit. Un esempio tra i tanti.

Ma la chiamano evoluzione. Forse sono io quello strano, forse non mi è ancora ben chiaro il significato del termine evoluzione. Plasmarle perché tutto sia accessibile a tutti, è evoluzione? Abbassarne l’impegno mentale, è evoluzione? Ignorare che esistano altri modi di vedere le cose oltre al proprio, è evoluzione? Stabilire cosa è giusto per gli altri, è evoluzione? Cancellare la storia, è evoluzione?

Qualcuno dice che la mia, la nostra (non sono solo io a credere in questo, fortunatamente!) è una lotta contro i mulini a vento, una causa persa. Probabilmente è vero. Quanti saremo, dieci? venti? cinquanta? Non lo so. So che essere pro o contro a priori, senza conoscere minimamente l’argomento di cui si tratta, è una scelta stupida. So che se manca la conoscenza, si è portati a seguire quello che dice e fa la massa, e quello che ci fa più comodo. So che se si conosce, si è più consapevoli di qual è la parte da cui si vuole stare. La cosa è semplice: vogliamo provare a preservare quel che resta della storia di questo posto incantato, o vogliamo altri 35 metri di roccia su cui distruggerci i polpastrelli? Io ho scelto la prima. Nel caso che prima o poi si riesca ad ottenere un seppur minimo risultato, un po’ spiace, ma già so che quando andrò in falesia per passare una giornata con gli amici a divertirmi, mi toccherà accontentarmi degli altri tremilacinquecentonovantuno tiri. Io speriamo che me la cavo.

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Finale, 3592 ultima modifica: 2017-05-26T08:38:38+02:00 da GognaBlog

20 pensieri su “Finale, 3592”

  1. 20
    Giovanni Massari says:

    Alberto: ???

  2. 19
    Alberto Benassi says:

    “Provare per credere”
    Giovanni questo è un ottimo suggerimento. A Finale ancora non ho provato, ma in altre falesie si. E’ stato un ottimo modo di RICREARE… invece che RIPETERE.

  3. 18
    Alberto Benassi says:

    Caro Bruno, ti sembra poco il nulla ?

    A me fa un pò paura. Ma allo stesso tempo mi attrae.

    Ciao e buon Muzzerone.

  4. 17

    It’s only rock ‘n roll, but I like it.

  5. 16
    Paolo panzeri says:

    Conquistatori del nulla, uomini da nulla, nullità che cercano di non essere nullità, nullità che perpetuano altre nullità per non sentirsi nullità……
    O è la vita di chiunque un nulla buio con una piccolissima e brevissima luce.
    Ora però c’è la frenesia dell’apparire e dell’immortalità.
    Tutto è pura illusione?
    C’è solo la possibilità di riprodurre qualcosa modificandola leggermente.
    Ma di solito solo i grandi geni sanno fare questo, il resto è massa in movimento caotico.

  6. 15

    propongo come per altri versi è già stato fatto x Garibaldi e Napoleone di apporre alla base delle vie” storiche ” ,una targa commemorativa in bronzo cosi da rendere più reverente la memoria storica…cosi da accontentare i..conquistatori del nulla….

  7. 14
    Giovanni Massari says:

    Infine per chi vuole rivivere le emozioni dei pionieri c’è un sistema semplice semplice, direi quasi banale: può semplicemente prendere con se un bel mazzo di friends e stoppers e ripercorrere le belle classiche finalesi e non solo facendo finta che gli spit non esistano.
    Provare per credere?

  8. 13
    Piero says:

    Concordo con Massari su tutto, che esistano vie di serie a e b è un dato di fatto e questo deriva dalla storia di apertura e caratteristica della via. Ciascun onesto apritore lo sa e lo riconosce. L’ambito di Finale e delle falesie è orientato interamente all’arrampicata sportiva, la storia dei tiri e delle piccole imprese in apertura rimane e resta patrimonio di chi la vuole conoscere. Altri luoghi, anche in riva al mare, sono invece storicamente evoluti verso l’approccio più alpinistico, con pochissima o nessuna attrezzatura in loco. Coloro i quali non leggono e non si informano, e a cui non piace approfondire, probabilmente non la notano nemmeno la presenza di una via con vecchi chiodi malfermi e densi di leggenda.

  9. 12
    Alberto Benassi says:

    “Dal mio punto di vista a Finale esistono certamente vie di serie A e di serie B come credo un po’ ovunque.”

    Se è per questo, per qualcuno, esistono anche montagne di sere A e altre di sirie B.
    Ma le seconde , secondo me, non sono da meno. Perchè spesso e volentieri fanno dei regali inattesi.
    Anni fa un mio amico cercò di ripetere un certa via sul monte Corchia, in Apuane.
    A metà del primo tiro rinuncia perchè per lui la chiodatura era troppo lunga e quindi il tiro pericoloso.
    Mi disse non siamo in Marmolada ma in Apuane e non ne valeva la pena.
    Quindi a suo dire, il Marmolada ti puoi anche ammazzare , in Apuane invece è da bischeri.

    Cosa voglio dire: il problema non è se sei a Finale oppure sul Cerro Torre. Non è la montagna o la parete che fa la differenza . Secondo me è lo stile con il quale sali un via che conta. E questo stile, a mio avviso va rispettato, mantenuto, non cancellato. Tu sia a Finale, a Vecchiano, come sul Cervino.
    Poi se un chiodo è marcio lo si cambia, ci mancherebbe altro. Ma stravolgere il tutto per rendere tutto fruibile, comodo e omologato, non lo trovo giusto.

  10. 11
    paolo panzeri says:

    Vedete, se non si perde “l’onestà e l’eleganza” tutto va magnificamente.
    Perché ora non le difendiamo?
    Perché lasciamo che vengano “corrotte”?
    Perché non le insegniamo continuamente?

  11. 10
    Giovanni Massari says:

    Marcello, la via Futura è stupenda e mi ricordo chiaramente Il giorno che la salii sui chiodi originali e voi che gentilmente mi avete atteso in sosta per non ostacolare la mia salita con una corda doppia sulla mia testa.
    Quella via è e resta una magnifica linea per come è stata aperta e concepita: questo resterà per sempre e chi non si interessa della storia vivrà solo parzialmente le emozioni che essa può dare.
    Ma tu hai ragionevolmente dato il tuo assenso per farne il magnifico monotiro che è ora.
    La storia resta comunque, il resto e’ solo inutile nostalgia.

  12. 9

    Ei Raga, l’arco dei guaitechi è la parte superiore della antica “via della marcia” oggi però chiamata “arco dei guaitechi”.
    Nell’83 con Ornella Calza avevamo aperto Fitzcarraldo a Monte Cucco, dal basso con i chiodi (anche da ghiaccio). Fu vero alpinismo in riva al mare…
    Qualche anno dopo Luca Biondi richiodò a spit la linea e la chiamò Coconut.
    Io per vendetta gli infilai un topo morto in una scarpetta che lui spiaccicò poco dopo infilandosela, incazzandosi da morire.
    Oggi quando salgo Coconut incontro un vecchio chiodo che ricordo esattamente come avevo fatto a mettere e mi sembra di incontrare un vecchio amico, mi fa piacere, insomma. La storia me la rivivo per conto mio.
    Giova, ti ricordi quando hai salito in libera la via Futura a Montesordo? C’ero anch’io e l’avevo aperta da solo pochi giorni prima. Tu eri un asso! Avevi detto: sarà sei ci.
    Era una via di due tiri splendidi. Ma non perché l’abbia apertta io. La roccia era già lì bell’e pronta.
    Poi i decenni passarono e Gerri la raddrizzò e richiodò, ma prima me lo chiese e io diedi il mio assenso.
    Ora è un tiro di 40 m, il passo chiave è lo stesso e…. è ancora protetto dal mio chiodo a lama. Gerri mi ha poi detto: la storia non si deve cancellare del tutto.
    Son soddisfazioni.
    Ciao

  13. 8
    Giandomenico Foresti says:

    Secondo me 3592 tiri sarebbero un’esagerazione anche se fossero tutti di serie A. Tutto questo per me si chiama “chiodatura compulsiva”.

  14. 7
    Giovanni Massari says:

    Il tuo è un punto di vista del tutto rispettabile quanto il mio.
    Dal mio punto di vista a Finale esistono certamente vie di serie A e di serie B come credo un po’ ovunque.
    Diverso è un discorso sui siti in generale dove il tuo punto di vista ha un’indubbia valenza ma dato che parliamo di Finale…
    Ripeto che a Finale è impensabile non tenere conto della sicurezza e quindi di uno “standard” di sicurezza e trovo ingiustificato invocare chiodature classiche e quindi più rischiose senza tenere conto della gran quantità di persone che frequentano queste falesie.
    Il discorso sarebbe diverso in terreni d’avventura sui quali non avrei niente da eccepire su quello che dice Gabriele.
    Ogni zona di arrampicata ha caratteristiche e prerogative: a Finale si pratica lo sport climbing come in altri siti, e sono tanti, si può praticare un’arrampicata diversa dallo sport climbing. Luogo che vai usanza che trovi e credo sia bello adattarsi ai vari stili nei luoghi adatti a ciascuno di essi.

  15. 6
    Alberto Benassi says:

    “Altre vie e di ben altro spessore sono state invece, dal mio punto di vista,…”

    Scusa, ma su questo è stato fatto uno scempio e sulle altre invece è giusto?

    Quindi per te ci sono vie di serie A e vie di serie B solo perchè sono state aperte con dell’artif. come dire che chi le ha aperte non aveva la capacità ?

    Non sono d’accordo . Ogni via va inquadrata nel suo tempo e sopratutto è la manifestazione dell’ interpretazione e delle capacità di chi le ha aperte.
    Quindi ha il diritto di essere rispettata nella sua originalità.

    Salire in artif. in maniera precaria, assumendosi dei rischi, quindi raffinata, senza sforacchiare la roccia è un capacità e un pregio. NON un difetto.

    Non si può cancellare la storia con richiodature dove magari i primi salitori sono passati senza, ancora modificando i tracciati perchè la zolletta d’erba da noia, oppure per facilitare i moschetonaggi.

    Non mi sembra affatto che lo scritto di Raffaele Canu sia superficiale. Credo invece che metta in evidenza un problema che è in atto: quello della costante tendenza alla “omologazione” degli itinerari.

  16. 5
    Giovanni Massari says:

    Guaitechi= guaiti e coseguenti echi nel vallone dei cani allevati nella casa sotto la falesia. Me lo raccontò Alessandro (Grillo).
    Dove c’è una tale e tanta frequentazione la sicurezza è primaria, pena gravi incidenti e conseguente chiusura dei siti.
    Finale è grande e ci sono zone dove non va nessuno e si può ancora praticare un alpinismo classico.
    C’è spazio per tutti.

  17. 4
    Alberto Benassi says:

    Purtroppo della storia interessa poco e nulla. Quello che conta è il chiappa e tira.

    “messa in sicurezza” , “riqualificazione” .
    A me queste parole, oltre che rabbrividere, fanno incazzare! Alla mia sicurezza ci voglio pensare da me.
    Riqualificare cosa? Caso mai omologare, svilire.

    L’arco dei “Guaiti – Echi” ,sarà che son vecchio, me lo son fatto con 4 chiodacci . Qualcuno sa perchè la via si chiama così?
    Va be ma che importa…

  18. 3
    lorenzo nobile says:

    Al Gran Sasso c’è una via, la Zarathustra, con passaggi credo oggi valutati 6a, cioè alla portata di tutti, la cui ripetizione negli anni ’80 comportava un certo impegno psicologico sia per il grado, all’epoca non così banale come oggi, sia per le protezioni, veramente molto distanti ed alcune malsicure. Inoltre, essendo una via su placca, la mancanza di una chiodatura ravvicinata poneva anche qualche piccolo problema nello scegliere la direzione in cui procedere.
    Un altro arrampicatore, con capacità di arrampicata superiori alle mie, mi chiese come avessi trovato la chiodatura e gli risposi quel che ho descritto sopra. Lui si espresse a favore di una chiodatura sicura a spit dicendo: ” Ma perché io non posso salire in tutta sicurezza, magari accompagnandoci mia figlia, in una bella giornata di sole ?” . A questa proposta sarebbe del tutto inutile rispondere che non sarebbe la stessa via, che la spittatura ravvicinata toglierebbe ogni difficoltà ecc. ecc. E’ una lotta impari. Non ne sono sicuro, ma credo che in seguito la via sia stata spittata…Aggiungo, a scanso di equivoci, che sono stato un arrampicatore più che prudente, convinto che non c’è via che valga la vita e non parliamo poi di una ripetizione, che ho iniziato ad arrampicare all’epoca in cui il volo del capocordata doveva essere considerato una possibilità remotissima e che di conseguenza anche lo spit non mi ha tranquillizzato più di tanto. Ho affidato la mia sicurezza alla preparazione: quando la luce interiore passava dal verde al giallo, per tacer del rosso, ho rinunciato. Ho rischiato solo quando non potevo fare altrimenti, trovandomi in mezzo a qualche passaggio più duro del previsto, senza la possibilità di tornare indietro. Non sono del tutto contrario alla spittatura, però credo che si sia esagerato. Infine sono contrario alla spittatura delle vie altrui.

  19. 2
    Giovanni Massari says:

    Le istanze espresse da Gabriele Canu hanno sicuramente una loro ragion d’essere ma trovo che siano espresse in modo profondamente superficiale.
    Sono d’accordo sul fatto che certe vie debbano essere in qualche misura preservate dall’omologazione ma non sono certo le vie citate nel testo e nelle fotografie che lo dovrebbero essere.
    In qualche modo Finale è vittima del suo successo e della qualità della roccia, particolarmente tenera, che contraddistingue la sua conformazione geologica.
    Sarebbe impensabile lasciare chiodate con chiodi normali tante vie storiche. infatti la super frequentazione e la loro conseguente sovra sollecitazione li renderebbe presto “ballerini” e destinati a fuoriuscire dalla loro sede.
    Sul fatto poi che l’arco dei Guaitechi sia ora considerato un 5c difficile e unto non credo sia tanto per la sua richiodatura a fix quanto piuttosto per l’ignoranza di chi parla a sproposito senza conoscere la storia…
    Come proteggere quindi alcuni itinerari “storici” e che veramente hanno segnato un’evoluzione?
    Semplicemente discriminando finalmente “come” sono stati aperti senza fare, come troppo spesso accade, di ogni erba un fascio.
    È proprio questa la tappa fondamentale; le vie citate nel teso e nelle foto sono state aperte quasi integralmente in artificiale, immediatamente liberate a vista e successivamente, solo dopo alcuni anni, e giustamente richiodate a fix dato che dopo alcuni passaggi e già durante la prima libera i chiodi rimanevano spesso in mano.
    Se la frequenza su di essi fosse bassa non si sarebbe certo sentita l’esigenza della richiodatura e sarebbero facilmente percorribili come in origine dato che si tratta di itinerari che non superano il 6b+…
    Altre vie e di ben altro spessore sono state invece, dal mio punto di vista, richiodate o reinterpretate commettendo un vero scempio e sono quelle che sono state aperte direttamente in libera dal basso con sistemi tradizionali o ripetute “clean” successivamente; sono proprio quelle che rappresentano a Finale dei veri e propri monumenti di crescita umana e di livello che si sarebbero dovute preservare e mantenere come delle piccole opere d’arte da salire assumendosi (perchè no) i rischi del primo salitore.
    Alcuni esempi? Ombre blu (1980) di Nico Ivaldo, Ghenaelle (1979) di Marco Bernardi, Il pilastro Marantonio salito “clean” (1983); è fondamentale ricordare queste vie aperte in modo tradizionale erano anche al limite della difficoltà tecnica del periodo.
    Sul fatto poi dell’apparente omologazione degli itinerari sono solo parzialmente d’accordo perché ci sono a Finale vie di arrampicata sportiva che non conosceranno mai omologazione come Hyaena (uno dei primi 8b+ al mondo), Viaggio nel Futuro, Radical chic e numerose altre che oltre ad essere linee da sogno rappresentano anch’esse un’epoca di fermento creativo ed evoluzione.
    Trovo in generale un grosso errore sminuire la difficoltà tecnica dei tiri riducendola ad un numero; in realtà allenarsi per poi vedere la linea, chiodarla e poi riuscirla in arrampicata libera estrema equivale ad acquisire competenze per realizzare, in arrampicata, opere d’arte intramontabili come quelle che ho citato.
    Arrampicare è un linguaggio e una disciplina come qualunque altra espressione artistica (musica, scrittura, pittura) e l’alto livello non è solo sport come comunemente si pensa (quello semmai è relegato al mondo delle gare) ma è la chiave per produrre arte che durerà nel tempo e per acquisire la sensibilità per riconoscerla…

  20. 1
    Paolo panzeri says:

    Cavoli se scrivi bene!
    Se tutti leggessero anche solo “Entusiasmo e lucidità” di Gastone Rèbuffat, nel suo libro delle 100 al Bianco a pagina 18, forse subito capirebbero che l’ignoranza illude soltanto.
    Lui poi dice: i chiodi non dovre bbero servire che in due casi ben precisi… assicurazione e impossibilità di procedere in libera…
    E poi già allora sottolineava quello che dici e aggiungeva: è bene che ogni cosa sia fatta con onestà e eleganza.
    Ma la storia a chi interessa?

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