Michele Fanni e Gabriele Canu stanno portando avanti un progetto che prevede la realizzazione di un film e di un diario di viaggio alla ricerca della dimensione alpinistica nel territorio finalese. Il loro intento è quello di fare in modo che la storia alpinistica e l’alpinismo stesso (in senso pratico), lì sul “loro” territorio, non vengano completamente cancellati dall’imperante arrampicata sportiva.
Lettura: spessore-weight***, impegno-effort*, disimpegno-entertainment***
Finale ’68, tre istantanee da un viaggio nel tempo
di Lorenzo Fanni
22 ottobre 2017, ore 00.15, Auditorium di Santa Caterina, Finalborgo. La serata animata da Alessandro Gogna è appena conclusa. Alessandro ha risvegliato lo spirito anarchico che ha ispirato le imprese del gruppo centonuovimattini: il menaggio continuo tra Manolo e il sedicente vendicatore di Napoleone (Bonelli), la scala di difficoltà “chiusa” del Bernardi, la tanica di Cannonau sempre pronta nel furgone…
E poi le diatribe tra le varie tribù di apritori, le linee rubate e quelle cancellate… Gira che si rigira si finisce sempre sull’eterno scontro spit sì, spit no. Quelli che lo spit io mai, quelli che io chiodo per gli altri, quindi…, quelli che lo faccio per la vostra sicurezza e quelli che schiodiamo tutto.
Abbiamo ascoltato molto, e adesso, mentre gli altri si dirigono verso i caldi lettucci, a noi tocca metterci in cammino. Zaino in spalla e cinepresa alla mano prendiamo congedo dal Borgo per scoprire se l’eco delle prime martellate made in anni ’70 aleggi ancora in qualche anfratto dimenticato della Pietra del Finale…
Dal 22 al 25 ottobre scorso, un gruppo di amici ha camminato in lungo e in largo per gli altopiani attraversando tredici pareti “storiche” del finalese. Obiettivo dichiarato: dimostrare che l’avventura si può ancora scovare anche dietro casa. Per trovarla è sufficiente non farsi ammaliare dalle file di spit che, è vero hanno reso Finale famosa nel mondo, ma in alcuni casi hanno cancellato la storia, ingarbugliato la logica, e ridotto la fantasia e la libertà. Insomma, il drago sarà ancora vivo? E Sigfrido, tanto più in tempo di crisi, disoccupato?
Per questo motivo alle linee di spit abbiamo preferito le tracce dei pionieri, meno evidenti ma più profonde. Per riuscirci ci è toccato lasciare brandelli di pantaloni e magliette sulle sciancabraghe della macchia, ingaggiare corpo a corpo con cespi di rovi appollaiati in fessure e, talvolta, risalire qualche tratto di roccia non proprio saldissima. L’intento era: ripercorrere la prima via di ognuna delle tredici maggiori pareti del finalese senza mai usare fittoni (aggiunti nel corso delle successive riattrezzature), utilizzando quindi solo chiodi già presenti in antichità o protezioni veloci. Abbiamo fallito (ma come abbiamo fallito bene!). Una delle tredici ci ha beffato e costretto all’uso di qualche seducente fittone (la sfida è aperta a chi avrà la passione di raccoglierla), ma poco importa dopotutto, come sostiene il poeta:
“Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?“
La nostra Itaca si chiama Finalborgo, i tesori che il nostro viaggio ci ha dato sono tiri bellissimi (a Bric del Frate chiedete di Francesca) ma soprattutto la sorpresa continua per l’incredibile selvaticità dei luoghi attraversati.
Per raccontare il nostro viaggio nella storia, iniziato incontrando i Pionieri in carne ed ossa (Alessandro Grillo, Gianluigi ed Eugenio Vaccari, Roberto Titomanlio e tanti altri abitanti dell’Olimpo) vorremmo realizzare un film e scrivere un diario di viaggio. Ma per farlo, si sa, la passione da sola non basta servono un po’ di palanche… Abbiamo da poco lanciato un “craufondin” (che suona molto più cool di raccolta fondi) i cui dettagli potrete trovare sul nostro sito (alla voce “Sostienici”): http://www.finale68.it/
E con la speranza di farvi venire voglia non solo di sostenerci, ma anche di ripercorrere voi stessi qualcuna delle mitiche vie, vi anticipo tre “istantanee” del nostro viaggio e relative riflessioni.
Rocca degli Uccelli. Michele Fanni, in lotta contro la fifa, affronta la lama sul secondo tiro della Vaccari
Negli scarponi dell’apritore
La placca per raggiungere la grande scaglia rovescia è breve ma verticale e liscia. Michele la guarda titubante. Ha già percorso questa via, sa che a sinistra un muro ben manigliato porta con una variante ad una zona più articolata e quindi in sosta. Recentemente ha scoperto (ahi lui!) che la via originale risale questa scaglia che gli si para davanti maestosa e strapiombante. E si chiede come mai Gianluigi ed Eugenio Vaccari – primi su questa parete – non abbiano condiviso la filosofia del Detassis e, proprio qui, abbiano optato per l’acrobazia.
Che domande Michi? Perché è più bella!
Siamo solo alla seconda via di questo pellegrinaggio verticale sulle tracce dei pionieri e sarebbe un peccato dover gettare la spugna per un banale attacco di coniglite! Dalla sosta – come al solito – le prese sembrano buone e inoltre la linea è così invitante, ineccepibile. Alé Michi!
Ancora qualche minuto di esitazione, poi eccolo che parte, raggiunge la lama alla sua radice, piazza un tranquillizzante BD rosso all’estremità sinistra e si lancia nell’atletica risalita. Segue la lama verso destra poggiando con accortezza i piedi sulla placca liscia. A metà lama un BD giallo entra rassicurante, alé Michi!
Qualche sbuffo per liberarsi dalla tensione accumulata, poi una bella dülfer e un elegante ristabilimento gli permettono di riposare su un gradinetto in cima alla lama. Il pianoro sommitale appare più vicino adesso. Ben fatto Michi!
Uno dei sottili piaceri insito nel ripercorrere le orme dei pionieri è proprio questa interazione con la parete ma, allo stesso tempo, con l’apritore della via. Contestualizzare le difficoltà rispetto all’anno d’apertura. Considerare l’audacia e la logicità della linea ponendola in un dialogo immaginario con quello che fantastico potesse essere il carattere degli apritori.
In effetti è proprio quando davanti a noi mancano i chiodi che viene naturale chiedersi “cosa avrei fatto qui al loro posto?” Diedro dopo diedro, fessura dopo fessura, la salita si trasforma così in un anacronistico confronto con l’apritore attraverso il quiz a risposta multipla che la parete ci offre. Questo approccio amplia di molto la varietà dell’esercizio dell’arrampicare: al concatenamento di (più o meno) eleganti gesti atletici si aggiunge l’osservazione del mondo circostante, la scelta di una tra le possibilità intuite. Se a questo aggiungiamo l’utilizzo delle protezioni veloci, il gioco richiede anche strategia, la scelta oculata del friend più opportuno per arrivare in sosta evitando di far scontrare i nostri già fragili neuroni con i sempre fastidiosi runout…
Monte Sordo. Lorenzo si gode felice il secondo tiro dell’Arco dei Guaitechi ancora inconsapevole di cosa lo aspetta a breve…
Novelli Brancaleone (o la gioia della condivisione)
È già una decina di minuti che il sole è sceso dietro a Rocca di Perti. Michele ed io, invece, siamo ancora impegnati alla ricerca di una via d’uscita dalla parete di Monte Sordo. In effetti, per rimanere sulle tracce dei pionieri abbiamo evitato di uscire dall’Arco dei Guaitechi per la variante Ivaldo e adesso navighiamo “a vista” (finché la luce residua ce lo permette) per raggiungere il bosco sommitale. Lassù Richy e Alessandra, da buoni amici, ci aspettano un po’ inquieti. Michele ha scalato il tiro precedente e tocca a me trovare la linea d’uscita in questa confusione di arbusti, muretti verticali, e diedrini strapiombanti. Traverso una decina di metri a sinistra fino ad un bombé alla cui base scorgo un vecchio chiodo. Lo passo e lo rinforzo con un friend davvero piccolo. Il bombé è poco generoso di prese, e la luce è sempre più flebile. Mi ci vuole poco a decidere di infilare una fettuccia nel made in anni ‘70 e caricarlo con cautela (l’ultima protezione buona è una decina di metri sotto di me). Aggrappo un cospicuo (!) ciuffo d’erba e mi ristabilisco sulla placca soprastante. Le voci di Alessandra e Richy mi giungono sempre più chiare, penso manchino ormai meno di una decina di metri. Salgo una placchetta e un altro piccolo bombé, ma al momento di ristabilirmi una grande scaglia di roccia decide di venirmi incontro emozionata… In un primo tempo ricambio l’affetto abbracciandola come meglio posso! Purtroppo la mia posizione al momento non è affatto stabile, non ho altra soluzione che lasciarla. Ogni lasciata è persa ama ripetere mio padre. Il rimbombo che disturba la quiete (ormai) notturna in Valle Urta conferma, una volta di più, la saggezza del mio vecchio. Eccomi al bosco. Gli amici mi accolgono pieni di gioia. E’ un piacere incredibile poter condividere il ritorno alla dimensione orizzontale con loro. Michele ci raggiunge svelto. Ci abbracciamo tutti e quattro, Richy e Alessandra ci hanno aspettato più di un’ora e non sono minimamente infastiditi, anzi ci festeggiano come degli Harding in uscita dal Nose!
La naturalezza con cui abbiamo condiviso gioie e momenti difficili all’interno della nostra Armata Brancaleone è stata una delle costanti che più mi ha sorpreso! Alcuni di noi nemmeno si conoscevano prima di questa quattro giorni, ma hanno saputo interpretare al meglio il ruolo che gli era stato assegnato senza (quasi) mai mugugnare. A dire il vero i ritmi alla Stakanov imposti da Ga (Brancaleone) alle tre squadre dedicate alle riprese hanno portato ad un bonario ammutinamento la sera del terzo giorno. Tutto si è risolto in una sveglia del quarto giorno da veri “finaleros” che ha contribuito non poco al ritorno al clima del gioioso casino dei giorni precedenti.
In effetti la frugalità del nomadismo, il trascorrere molte ore in attesa “a far niente” ma immersi in una natura bellissima hanno amplificato gli scambi tra di noi. Ognuno ha messo a disposizione degli altri le proprie qualità e conoscenze. Gli esperti in manovre di corda hanno permesso ai cameramen meno esperti, di raggiungere il posto ideale per la ripresa (non penso solo ad Andrea e Alessandra, ma piuttosto a Pietro e Ga (Gabriele)!). Le cuoche (entrambe vegetariane!) hanno saputo proporre ogni sera un menu differente (abbiamo gustato probabilmente la prima zuppa di fagioli della Grotta dell’Edera). Insomma la gioia della condivisione!
Abbraccio notturno in cima al Bric Pianarella. Poco prima di una lunga sfacchinata al buio, condita da profonde elucubrazioni sul senso della vita…
Lo diceva Neruda che di giorno si suda…
Questa sera, Michele ed io (i cosiddetti climber), ci siamo concessi l’unica cena a casa della troupe, seduti su sedie, illuminati da luce elettrica, abbiamo persino approfittato del lusso di un bagno con relativo bidet! Adesso però arriva la parte difficile, lasciare le comodità e raggiungere, come previsto da Brancaleone, la chiesa di S. Antonino.
Sono circa le 23 quando, alla luce delle frontali, attraversiamo il ponte di Ca’ di Alice. É qualche anno che non passo da queste parti, ma anche Michele che ci bazzica più spesso ha problemi a trovare la fascia giusta per traversare a sinistra e raggiungere i Tre Frati. Chiacchieriamo liberamente del più e del meno. Superiamo un bivio e continuiamo a salire, fino a quando attorno a noi c’è solo bosco senza tracce… Siamo persi (cosa non sorprendente per due Fanni).
Con zero voglia facciamo dietrofront fino all’ultimo bivio dove, fortuna vuole, ci aspetta il “doppio rombo rosso” e ricominciamo a salire. La caviglia che mi sono storto oggi nel trasferimento tra Cucco e Spaventaggi duole ancora parecchio e procedo lentamente nonostante sia Michele ad avere il grosso del materiale sulla schiena. Ancora qualche rampa ripida ed ecco i Frati alla nostra sinistra. Il sentiero è adesso più piacevole, ci perdiamo ancora, ma ormai ci siamo scaldati (e soprattutto siamo in piano!) e la notte rende gli errori meno pesanti. Anzi, ci permette di chiacchierare un po’ più a lungo (e poi, a quest’ora della notte un quarto d’ora in più o in meno non fa molta differenza). Costeggiato Scimarco, eccoci attraversare la breccia di Castrum Perticae ed infine entrare in chiesa. La betoniera esposta sull’altare e il buco nel pavimento (un richiamo alla caducità della vita terrena?) ci turbano un po’. Usciamo nuovamente all’aperto, e (anche senza verificare la chiarezza della legge morale in noi) la stellata ci basta per dormire il sonno dei giusti. L’alba del giorno dopo con vista su Corsica ed Elba ripagherà la scelta!
Ripercorrere di notte sentieri (più o meno) battuti mi ha permesso di chiacchierare a briglia sciolta con mio fratello Michele. Già di per sé l’atto del camminare scioglie la lingua e favorisce il dialogo. Una volta fissata la meta comune, bisogna impegnare la mente per evitare di pensare a tutto il cammino che ci resta da fare, ed ecco che le frasi escono libere. Di notte, ignari dello scorrere del tempo (da sempre il metronomo per il camminatore è il sole che attraversa il cielo) un sacco di confessioni e condivisioni che di giorno sarebbero apparse fuori luogo o eccessive trovano spazio alleviando la fatica e creando una sorta di legame esclusivo tra i viandanti.
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In questi giorni ho visto questo film, bellissimo! Bello in tutto e per tutto. Non sono un conoscitore del finalese, eppure è sembrato di entrarci dentro per un’Avventura bellissima. Un universo parallelo a due passi dalla civiltà. Bravi.
A seguire ho visto altri filmati di Gabriele, altrettanto belli per le fotografie ma ancor più per i messaggi che invia.