Metadiario – 114 – Finale e Carbuta – 2 (AG 1983-002)
Nella primavera del 1983 facemmo una bella puntata in Provenza, alle Deux Aiguilles, le montagne così care a Paul Cézanne. Erano le vacanze pasquali e non faceva per nulla caldo. Eravamo particolarmente numerosi, perfino più del solito. Nella era particolarmente preoccupata di dover fare la sguattera alla comitiva, non per gentilezza, né per dovere ma certamente per conservare un minimo di decenza, in quanto assolutamente cosciente che, nel disordine totale, nessuno avrebbe provveduto alle più elementari incombenze domestiche. Il mio pullmino verde era pieno al limite consentito (nove posti), oltre a Ernestino Fabbri e Sergio Fornasari, gli altri “ospiti” erano Giovanni e Paolo Rosti, Luca Crepaldi e le “new entry” Giovanni Crosta e Roberto Vigiani. Fu una vacanza molto divertente, tre giorni pieni di risate e arrampicate. Una sera volli superarmi e preparai per tutti le mie famose frittelle di mele, quelle della ricetta della mia nonna, tanto apprezzate dalle mie truppe. La frittura di tutte quelle mele non era cosa semplice e durò ore, anche perché la padella era una sola e Nella si era molto fermamente opposta che l’operazione si svolgesse all’interno del pullmino.
Fuori era buio e faceva un gran freddo, calmierato solo dalle generose libagioni alcoliche. Comunque le frittelle vennero bene: oltre alla normale dotazione d’olio presente in pullmino, fu fatto fuori anche un altro bidoncino d’olio provenzale comperato nel pomeriggio. Puzzavamo tutti d’olio e di fumo da far schifo, anche perché oltre al cuoco (io) nessuno rinunciava ad assieparsi attorno al fornello sistemato vicino ad un falò di legna secca: sia per il calore, sia per non perdere neppure un turno di mano in mano che le frittelle venivano pronte. La ricetta prevede di tagliare le mele a pezzetti (rigorosamente non tagliate a ciambelle), poi immergerle in una densa pastina di farina stemperata con acqua e vino bianco (in pari quantità), non salata, quindi friggerle in olio di oliva e cospargerle di abbondante zucchero. Ovviamente rutti e scorregge liberi, con vino a fiumi. Dei veri e propri animali, con Nella molto incazzata (anche per altri motivi, assai più gravi). Se fosse passata la gendarmerie, avrebbe potuto procedere a qualche arresto dei più esaltati, per schiamazzi, campeggio non autorizzato e vilipendio alla religione. E, da notare, non girava alcuna sostanza stupefacente.
Le nostre prodezze provenzali erano comunque solo la continuazione di quelle più nostrane che si svolgevano alla Carbuta, l’osteria del Finalese talmente amata da poter dire che noi, ai weekend, non andavamo a Finale, bensì alla Carbuta…
In qualche maniera riuscivamo a risultare simpatici alla giovane padrona, che di ligure, pur essendolo, aveva poco. Pure il marito era simpatico, a dispetto del fatto che la padrona ci piacesse anche da quel punto di vista che permette innumerevoli battute, precise ma rispettose. Se eravamo soli, sapete, quelle serate fredde dove non gira nessuno, finiva sempre tutto in una grande caciara; se c’erano altri ospiti o avventori, eravamo più corretti. Solo una volta trascendemmo. C’era una gran comitiva di locali giovani e abbienti, con numerose macchine costose posteggiate in strada. C’erano anche delle ragazze che non ci destavano alcun interesse, per come erano vestite e per come si ponevano. Con l’innalzamento del tasso alcolico le battute su quella gente si sprecarono. E siccome anche il volume con il quale le pronunciavamo si alzava, in breve si arrivò ad una tensione palpabile.
C’era una ragazza, particolarmente in evidenza, vestita di giallo e nero come una salamandra. La indicavamo come la “giallo-nera”, a un certo punto non ci era più tanto chiaro se le battute erano ad un volume circoscritto alla nostra compagnia o se invece fossero ormai di dominio pubblico. Nei volti della tavolata accanto osservai espressioni perplesse e occhiate allusive: ma pure la padrona incominciava guardarci esprimendo evidente disaccordo. Stanzialmente eravamo al limite della rissa. Per fortuna, riconoscendo che la provocazione era solo nostra responsabilità, alla fine il buon senso prevalse. Ci scusammo con loro e con la padrona. Per annegare il dispiacere di quella bravata finita in fastidioso disonore, aumentammo le dosi di nostralino, a tal punto da essere “cotti” verso le 23 e sentire l’esigenza di andarcene.
L’aria fresca della notte non riuscì a snebbiarci la mente, pisciammo tutti sulle BMW posteggiate, ridendo sgangheratamente. Poi salimmo sul pullmino che con molti rischi doveva condurci a dormire da qualche parte. I tornanti non fecero bene a qualcuno di noi. Ci fermammo per permettere loro di vomitare e poi, per il freddo preso, quasi svenire all’interno del pullmino.
Insomma, un disastro tale che la mattina dopo non avevamo la forza di scalare.
Questo episodio non rappresentava comunque l’ordinario. In genere tenevamo il livello abbastanza contenuto. E la mattina dopo scalavamo con vigore, come quella volta che con Franco Salino, Anne-Lise e Giovanni Crosta ci mettemmo in testa di chiodare una nuova via a Monte Cucco, che chiamammo Davide e Golia. In quel periodo ho anche un vago ricordo di una via che invece dovrei ricordare, se non altro per il suo valore storico, la via della Rivoluzione al Caporal.
E venne anche il momento del Corso guida. Erano passati tre anni da quando avevo conseguito il diploma di aspirante guida. E adesso iniziava il corso di scialpinismo valido per conseguire il titolo di Guida. Anche quell’anno si teneva a Bormio. Le gite fatte furono molto belle: al Gran Zebrù seguì la Cima Miniera. Il 26 aprile 1983 salimmo al Monte Cevedale e poi continuammo fino al bivacco Colombo: da lì scendemmo verso ovest per pendii e canalini assai complessi. L’ultimo giorno salimmo al colle tra il Pizzo Tresero e la Cima San Giacomo.
Purtroppo il direttore del corso era ancora Gigi Mario, con il quale, ricorderete, non correva più tanto buon sangue. Praticamente ci ignorammo per tutta la durata del corso: e alla fine ebbi la sorpresa di essere stato bocciato. Gli istruttori mi giurarono che la responsabilità di questa decisione era stata unicamente di Gigi. Rispetto a tre anni prima le mie capacità sciatorie non erano certo peggiorate, anzi erano migliorate, sia pur di poco. Ma evidentemente anche per un monaco zen la vendetta è un piatto da gustare freddo.
L’amico Stefano Ardito, giornalista free lance, mi propose di fare un servizio fotografico sulle arrampicate possibili nel Mezzogiorno. Il committente era la rivista Sport Capital. E, dato il nome, dove poteva essere ambientato tale reportage se non nell’isola più esclusiva? Capri, naturalmente.
L’esperienza fotografica in arrampicata m’impose di pretendere una squadra di quattro arrampicatori, per potere avere immagini degne di questo nome e non soltanto raffiguranti il sedere del capocordata. Mi fu concesso, pertanto con Stefano approntammo un team che comprendeva Luca Santini, Giuseppe Popi Miotti e Cristiano Delisi.
Arrivammo a Capri il 9 maggio 1983 e subito ci fiondammo alla base del Faraglione di Terra per fare le prime immagini. Cristiano e Stefano ci seguivano e, sul viottolo di discesa al mare, incontrarono una vipera che, ben eretta in posizione di attacco e a bocca minacciosamente aperta, gli impediva il passaggio. Si dice che nelle isole non ci dovrebbero essere vipere e che comunque queste alla vista dell’uomo tendono a scappare… ebbene, quella faceva eccezione! Dopo aver esitato un po’ i due riuscirono a passare stando il più possibile a bordo sentiero (verso il vuoto, ovvio).
Ma quel giorno le condizioni del mare impedivano l’uso della barca, così ci limitammo a traversare la scogliera del Faraglione fino alla base dello spigolo sud-ovest (via Castellano) e da lì salimmo alla cima. Ma la via non era soddisfacente, così il mattino dopo una barca ci accompagnò all’attacco dello spigolo sud del Torrione Comici. Il barcaiolo non si trattenne dal dire che eravamo dei pazzi. La giornata era stupenda e noi non vedevamo l’ora di arrampicare. Attaccammo dal mare per la variante di Antonio De Crescenzo (1947) per poi salire alla Torre Comici per la via Castellano-De Crescenzo-Ruffini del 1946. Eravamo all’ultimo tiro difficile per raggiungere la vetta del Torrione Comici, dal quale saremmo poi scesi a corda doppia per poter salire verso la cima: Luca Santini stava complimentandosi con Popi per come io e lui eravamo affiatati, quand’ecco che fummo aggrediti dai gabbiani che intendevano difendere i loro nidi. In effetti stavamo scalando in mezzo a tanti nidi, tra pulcini e uova non sapevamo più bene cosa calpestare…
Fu un momento di paura, ci sembrava che il preoccupante numero dei gabbiani aumentasse la loro aggressività.
Il giorno dopo ancora Popi, Luca e io ci portammo alla base del Monte Solaro per tentare un evidente pilastro che ci risultava ancora da salire: ma per la difficoltà di protezione non andammo oltre la metà della seconda lunghezza. Preferimmo chiudere la giornata in una bella pizzeria di Marina di Capri dove ci facemmo una mangiata di pesce storica.
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E’ quello che avevo cercato di dire nel mio intervento n. 6.
Anche come una forma di difesa del direttore Gigi Mario che non può più dire la sua. Chi era un desposta dittatore??
Ma sono stato caziato!
Caro Alessandro, abbiamo fatto assieme parte del corso per aspirante guida, poi diventai guida alpina e infine nel 1983 venni nominato Istruttore Nazionale guide, carica ed attività che feci nei 15 anni successivi. Posso dire la mia rispetto al problema che hai sollevato? Non mi dilungo ma devo dire che è così, hai ragione.
Avendo conosciuto Gigi Mario, conoscendo Alessandro e l’ambiente degli istruttori ai corsi guida, avendolo fatto anch’io per 12 anni, sono portato a una versione diversa. La promozione o la bocciatura di un un allievo ai corsi sono sempre il risultato di una consulta tra tutti gli istruttori. Nessuno, neppure il direttore, può decidere da solo tale esito.
Sono più portato a pensare che la bocciatura di Alessandro quella volta sia stata il risultato di una votazione tra tutto il corpo docente. Solo che quell’istruttore che ha detto a Alessandro che la decisione era stata presa unicamente da Gigi Mario, non aveva probabilmente il coraggio di dirgli la verità e ha dato la responsabilità al solo direttore. Cosa, ripeto, abbastanza improbabile.
Comunque, quando Gigi era direttore dei corsi guida, aveva estimatori ma anche detrattori perché era romano e perché aveva smontato parecchi feudi valligiani portando una forte ventata di novità e apertura, cosa che a certi non piaceva.
Spero che questa mia versione possa contribuire modestamente a mettere tutti d’accordo.
Luigi, ritengo che non sia scorretto parlare dei defunti.
Gigi Mario, Walter Bonatti, Emilio Comici e tutti gli altri fanno parte di ciò che è stato, in questo caso della storia dell’alpinismo. Non possiamo ignorare la storia.
Naturalmente bisogna parlarne in modo obiettivo e con rispetto. Io per esempio ho letto cose faziose su Emilio Comici, scritte da chi si è dimostrato del tutto privo di senso della storia e desideroso di suscitare scalpore nel lettore per aumentare le vendite del suo libro. Costui ha sfruttato episodi tutto sommato poco importanti di Comici, trascurando volutamente il resto, allo scopo di porlo sotto una luce negativa. In tal modo, in malafede, ne è stata falsata la figura storica.
Emilio Comici NON fu un gerarca ottuso e dittatoriale. Al contrario, fu un uomo retto e modesto, buono, generoso e altruista. Per tacer dell’alpinista…
Ci sono molti motivi che determinano una bocciatura o una promozione durante un percorso formativo; anche il corso per guida alpina non è esente da cause personali. Non credo tuttavia sia “da signori” citare Gigi Mario ora….
Che sorpresa,sulla foto del caporal oltre bonelli ci siamo noi zanet Guido e sartore Vincenzo , bei tempi grazie
Volendo spiegarmi meglio, consideriamo Walter Bonatti.
Oltre che alpinista eccezionale, fu anche uomo retto, il che è confermato da tutti quanti lo conobbero. Però era un “duce”: o si faceva come ordinava lui o si faceva come ordinava lui. Non c’era possibilità di dialettica. Per come sono fatto io, non mi sarebbe piaciuto averlo come compagno di cordata.
Inoltre nei suoi libri di memorie non scrisse mai di essere stato seguito e poi accompagnato dal gruppo concorrente nel corso della prima traversata sciistica delle Alpi. Non fu omissione da poco! Gli altri non esistevano? In quelle pagine fu scorretto.
Detto questo, ribadisco che Bonatti è stato uno dei piú grandi alpinisti della storia e soprattutto un uomo di rare virtú. Però era pur sempre un uomo, con qualche difetto. Che però diventa assolutamente trascurabile a paragone dei suoi pregi.
… … …
E poi, se vogliamo dirla tutta, prima di giudicare un essere umano bisogna domandarsi: “Al suo posto, nel suo contesto, io sarei stato capace di fare meglio?”.
Emilio Comici è a volte accusato di essere stato un fascista, addirittura commissario prefettizio.
Ebbene, Comici fu soprattutto uomo buono, altruista e generoso. Chi lo critica ora, cresciuto nella Repubblica Italiana, che avrebbe saputo fare durante il Ventennio? Forse sarebbe diventato un gerarca in orbace, ottuso e fanatico.
In tutta Italia furono soltanto una quindicina, su un totale di 1251, i docenti universitari che rifiutarono di prestare giuramento di fedeltà al fascismo. Onore a loro! Però non mi sento di denigrare quanti, pur contrari al fascismo, non ebbero lo stesso coraggio. Per certe cose bisogna essere fatti d’acciaio.
P.S. Scusate la divagazione.
Caro Fabio, ognuno è influenzato dalla sua esperienza. Se nel mio lavoro fossi partito dal giudizio morale non avrei potuto aiutare nessuno a superare i conflitti personali in ambito lavorativo, che spesso hanno radici ben più profonde di quanto può emergere superficialmente. Ovviamente quando ci sei dentro non è facile alzare il tiro e poi le ferite narcisistiche lasciano strascichi spesso incancellabili. Siamo uomini e ha volte vediamo solo la celebre pagliuzza. Comunque la consapevolezza dovrebbe aiutare e in ogni caso io la finisco qui. Quel che mi sembrava giusto dire, per rispetto, prima che si scatenasse lo stadio e la tifoseria l’ho detto, anche se non ho certo salvato la mia anima dannata. Ciao.
E poi, volendo finire con un sorriso, la questione è:
“Ma ‘sto Gogna, sa sciare oppure no?”. 😉😉😉
Roberto, è vero. È molto difficile giudicare gli esseri umani, a maggior ragione se non li si è conosciuti di persona in modo approfondito e ci si basa solo su opinioni di terzi.
Dal poco che sapevo di Gigi Mario, mi era parsa una persona integerrima e assai severa nell’applicare i suoi princípi morali. Oggi ho imparato la faccenda dell’esame, il che mi ha sbalordito.
E dunque, chi era Engaku Taino? Mah… Io conosco a malapena me stesso.
In passato non mi permettevo quasi mai di giudicare il prossimo. Mi domandavo: “Per giudicare conosco tutti i fatti oppure no? In particolare, esistono attenuanti sulle colpe attribuite?”.
Poi sono un po’ cambiato: sono diventato piú insofferente. Da che cosa è dipeso questo cambiamento? Dalle cattiverie di cui leggiamo tutti i giorni? Dai ciarlatani e dai disonesti che imperversano? Dal fatto che non ne posso piú? Dall’età?
Non lo so, ma cosí è.
Non volevo ne ravanare ne giudicare.
Ma visto che qualcuno ha parlato di “carognata” era solo un ragionamento che facevo perchè mi pare strano che tutto dipenda dal solo direttore.
Comunque hai ragione!!
La chiudo li.
Benassi. Non mi pare di buon gusto continuare a “ravanare” su questa faccenda nello specifico, per rispetto di chi non c’è più. Meglio lasciare la polvere posata dove deve stare. RIP.
Ma il direttore del corso aveva un potere così assoluto?
Non so come funzionava il giudizio finale. Ma gli altri istruttori non contavano nulla?
Bertoncelli. Miseria e Nobiltà. Convivono spesso. Poi è vero che la vendetta è un piatto freddo. Scagli la famosa pietra….Gigi Mario non può replicare. Anche tu hai preso per buona la meschina malevolenza come motivazione del suo comportamento, cosa che forse i suoi fedeli seguaci probabilmente non condividono e apprezzano. Chissà, magari c’era in lui un certo modo tutto suo di concepire il mestiere di guida e lo applicava come criterio di giudizio, come emerso da un precende articolo. Queste faccende sono complicate e spesso molto sfaccettate. Non sempre i protagonisti le percepiscono completanente, scevri dal coinvolgimento emotivo, anche a distanza di anni. La butto lì come discorso generale sui conflitti personali in ambito professionale, senza conoscere i fatti specifici, che peraltro interessano poco.
Pare di capire che anche i monaci buddisti non siano imperturbabili di fronte alle cose del mondo. Pure loro soggiacciono ai moti dell’animo, tra i quali la malevolenza, e cosí bocciano per dispetto.
Ragazzi, non c’è piú religione…
Non solo per il valore storico, ma perchè è una gran bella via .
Ciao Alessandro, in quel corso c’ero anch’io, svolgevo la parte aspiranti. Mi ricordo del disappunto di tutti, quando abbiamo saputo della tua bocciatura… in molti si era d’accordo a pensare che a volte è meglio esser “nessuno”. Era stata recepita come una carognata.
Finalmente!