Flash di alpinismo 6

Flash di alpinismo
Citazioni, impressioni e immagini – parte 06 (6-13)
di Massimo Bursi

Clean climbing
Ricorda la roccia, l’altro scalatore – arrampica pulito (Yvon Chouinard e Tom Frost).

Queste sono le ultime parole dell’articolo che nel 1972 Yvon Chouinard e il suo amico nonché socio in affari, Tom Frost, pubblicarono sul catalogo della Chouinard Equipment. L’articolo, intitolato Una parola, incentivava l’utilizzo dei nut al posto dei chiodi. Tale articolo, vero manifesto, vera origine della rivoluzione del Nuovo Mattino, cambiò le abitudini degli scalatori.
Vale inoltre la pena sottolineare che tale articolo cambiò anche le sorti della azienda Chouinard Equipment che smise di vendere chiodi inquinanti e cominciò a vendere nut verdi.

La parola chiave cui Chouinard e Frost facevano riferimento era clean, cioè pulito.
Nel catalogo subito dopo questo manifesto segue un articolo molto interessante di Doug Robinson che spiega cosa si intenda, bene, per arrampicata pulita.
Clean climbing è arrampicare solo con i nut per proteggersi.
Clean perché la roccia rimane inalterata quando passa lo scalatore.
Clean perché niente è martellato nella roccia o estratto a martellate, lasciando quindi indelebili tracce sulla roccia e un’esperienza meno naturale per il prossimo scalatore.
Clean perché la protezione dello scalatore lascia poche tracce del suo passaggio.
Clean è scalare la roccia senza cambiarla; un passo più vicino alla scalata naturale per l’uomo naturale.
Doug Robinson, Yvon Chouinard e Tom Frost riconoscono una doppia valenza nel clean climbing: ambientale e interiore.

Lascia l’ambiente naturale incontaminato, non inquinare, non rovinare la roccia ma soprattutto lascia spazio all’avventura e non banalizzare l’arrampicata a puro esercizio fisico.

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Yvon Chouinard, uomo-manifesto del clean climbing, ripreso con i suoi exentric e stopper, fotograto da Tom Frost.
Questa fotografia è presa dal catalogo Chouinard del 1972 che segna l’inizio del Nuovo Mattino.

Il Pesce
Abbiamo aperto il Pesce con le scarpe da calcio, levandoci i tacchetti. Erano buone per arrampicare (Igor Koller, durante una conferenza).

In tre giorni consecutivi di arrampicata, il 2, il 3 e il 4 agosto 1981, Igor Koller e Jindrich Sustr salirono Der Weg durch den Fisch lungo la parete d’argento della Marmolada.

La parete d’argento era un obiettivo ambito su cui aveva messo gli occhi anche Heinz Mariacher il quale aveva fatto qualche tentativo usando il suo metodo di percorribilità. Mariacher provava a salire assolutamente in arrampicata libera e senza utilizzare chiodi a pressione, e se non ci riusciva, o per le difficoltà elevate o perché non in giornata, scendeva in doppia o tagliava su un altro itinerario più facile. Questo metodo, utilizzato da Mariacher, spezzava l’unità temporale dell’impresa ma si concentrava sullo stile e sul come veniva aperto un itinerario seguendo un’etica rigorosa in fatto di chiodatura: una somma di tentativi in libera per spingere il limite sempre più in su.

Quell’estate arrivarono Igor Koller e Jindrich Sustr. Koller rappresentava la mente della cordata: lui conosceva la parete, aveva esperienza, era un eccellente scalatore metodico e ben organizzato.

Sustr invece, e qui si entra nella leggenda, era un abilissimo scalatore molto dotato, tutto genio e sregolatezza di appena diciassette anni. Fu lui che percorse da capocordata i tiri più difficili della via e così come entrò nella scena alpinistica, altrettanto velocemente, ne uscì.

Di lui abbiamo poche fotografie d’epoca dove lo vediamo con un’imbragatura cucita a mano secondo la tradizione di allora dei paesi dell’Est e con un casco assai buffo. Poi sembra che si sia dato alla meditazione, forse arrampica ancora o forse no.

Rispetto a Mariacher, l’approccio di Igor Koller con la Parete d’Argento era decisamente diverso: a lui interessava aprire velocemente l’itinerario e non gli importava se doveva fare alcuni passi in artificiale e forse avrebbe piantato anche qualche spit se le difficoltà lo avessero richiesto. Il risultato è che aprirono la via in tre giorni continuativi di arrampicata, senza spezzarne l’unità temporale, effettuando rischiosissimi passaggi di libera e di artificiale sui cliff. Il tutto senza ricorrere allo spit.

Riscrivi la storia dell’alpinismo considerando solo gli itinerari aperti al primo tentativo: le vie frutto di diversi tentativi non esistono più.

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L’incredibile placconata del Pesce vista dall’alto, da una sosta quando il capocordata recupera il proprio compagno. L’idea di salire in un unico tentativo la parete testimonia l’eccezionale livello fisico e psicologico della cordata dei cechi.

Terreno di gioco infinito
La nostra vita odierna mi sembra come a Nietzsche sommamente pericolosa e il mio compito finora fu sempre fare del male a me stesso e agli altri, in quanto smuovo sotto i nostri piedi il sasso apparentemente sicuro (Eugene Guido Lammer).

Eugene Guido Lammer, cui si è ispirato l’alpinismo eroico germanico di inizio novecento, ha teorizzato che l’uomo vive pienamente nelle condizioni di esaltato pericolo.
Lammer che, con il suo libro Fontana di Giovinezza ha ispirato tanti ragazzi ad affrontare il pericolo a testa alta, è stato responsabile morale di tanti incidenti in montagna.
Lammer che, come era solito dire, ringraziava la montagna di avergli fatto bagnare le labbra al calice della morte, paradossalmente morì di vecchiaia nel proprio letto.
Tutta questa esaltazione del pericolo, che segue i fili conduttori di Nietzsche, Julius Evola, e finendo alle aberrazioni del fascismo e del nazismo, proprio non ci piace.
Preferiamo contrapporre a questo alpinismo eroico fatto di paura e sofferenza la concezione alpinistica proposta dagli inglesi nella seconda metà dell’Ottocento dell’andare in montagna come un’attività sportiva, autonoma e definita.

Sono stati gli inglesi i veri precursori del Nuovo Mattino che hanno introdotto la dimensione del piacere e la concezione delle Alpi come terreno di gioco.
Un terreno di gioco infinito: una volta raggiunte tutte le vette, sarebbe toccato alle creste, poi alle pareti, poi alle invernali, poi agli itinerari, sempre più diretti, sempre più eleganti, infine alle varianti, sempre più difficili.

Tu oggi a cosa giochi?

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Patrick Edlinger gioca così su uno strapiombo del Verdon: un gioco che non prevedeva la corda.
Un gioco pericolosissimo che sarebbe piaciuto al vecchio Lammer!
Quando i terreni di gioco delle Alpi stavano esaurendosi negli anni ‘70 alcuni ragazzi hanno cominciato ad aprire itinerari di placca sempre più arditi nelle gole calcaree del Verdon. Per alcuni anni questa fu la Yosemite dell’Europa.

Il rischio come compagno di gioco
La sicurezza è una birra davanti alla TV (Jerry Moffatt).

Si è ragionato molto sulla sicurezza in montagna e sulle vie con o senza chiodi a pressione e sulla falsa sicurezza che può dare una ferrata.
Jerry Moffatt semplifica il problema: se vuoi essere assolutamente sicuro, devi stare a casa.

Arrampicare è sempre un po’ pericoloso.
Tanti alpinisti più o meno famosi, sono scivolati sulla classica buccia di banana e sono morti su tratti semplici, in ferrata, in discesa o scivolando su un sentiero un po’ esposto.
Per non parlare di neve, crepacci o valanghe.
Se poi usciamo dalle Alpi e consideriamo l’Himalaya, lì la sicurezza non esiste proprio.

E’ forse per questo che molti scalatori, raggiunta la maggiore età, passano da un attivismo sfrenato nell’arrampicata ad altri sport, magari di fatica, dove non ci sia la componente del rischio. A volte ci si abitua al rischio e la troppa confidenza ti porta a sottovalutarlo.

Ricorda sempre che, oltre a te e al tuo compagno, legato con voi c’è sempre, invisibile, il rischio. Cerca di dominarlo.

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Volo in parete: una volta non si poteva fare. Oggi l’imbragatura, la corda elastica e gli ancoraggi a tenuta di bomba consentono di spingere la dimensione del rischio.
Su certi itinerari si prova e si riprova fino a volare: volare è un rischio che fa parte del gioco.

Friend
Iniziare un nuovo business è come avere a disposizione una corda da quaranta metri, nessun rinvio e un movimento di grado 5.10 di fronte a te, e tu puoi sentirti così per settimane (Mark Vallance).

La storia di oggi è la storia affascinante di un processo inventivo maturato per anni nella mente di un ingegnere aerospaziale americano, grande appassionato di scalate, che folgorato dall’idea lanciata da Yvon Chouinard e Tom Frost del clean climbing, cercava un modo di proteggersi adeguatamente sulle regolari fessure granitiche.

Ray Jardine iniziò a pensarci, studiare e a realizzare i prototipi del friend nel 1971, e grazie a questi prototipi riuscì ad aprire nuovi fantastici itinerari oggi classiche vie.
Ray Jardine era molto geloso di questi prototipi che teneva rigorosamente rinchiusi in un sacchetto di nylon blu e che estraeva solo in presenza di fidati amici e di fessure micidiali.

Un giorno Chris Walker stava andando ad arrampicare con Ray Jardine e, nell’avvicinamento, circondati da persone estranee, voleva sapere se Ray avesse con sé le cose preziose dicendo: “ehi Ray, hai con te gli amici?”

Se il nome dell’invenzione era facilmente risolto, la produzione industriale di questa invenzione fu un processo lungo e tormentato.

Nel 1972 Mark Vallance, uno scalatore inglese, incontrò e cominciò ad arrampicare regolarmente con Ray Jardine. Mark Vallance era un piccolo imprenditore, visionario, che si appassionò al progetto di Ray Jardine.
Dopo alcuni tentativi infruttuosi, solo nel 1977 nacque, in Inghilterra la Wild Country di Mark Vallance per la produzione industriale e la commercializzazione dei friend. Ray Jardine cominciò ad occuparsi della vendita in America di questo costoso oggetto del desiderio di ogni scalatore. Era iniziata una nuova era.

Se hai un’idea visionaria e ci credi fermamente, investi il tuo tempo, le tue energie e condividila con un amico.

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Ray Jardine nella seconda ascensione del tetto di Separate Reality in Yosemite nel 1977. Se oggi, nel nostro zaino abbiamo questo costoso attrezzo che chiamiamo friend lo dobbiamo alla sua ingegnosità.
Inoltre questa splendida immagine è stata selezionata come copertina del libro Settimo Grado di Reinhold Messner, autentico punto di riferimento per il nuovo approccio all’arrampicata.

La bravura del divertirsi
Quello di divertirsi in montagna ci è rimasto come un chiodo fisso, ancor oggi, se m’incontro con un mio vecchio compare parlando d’arrampicatori, alpinisti, ci è chiaro che non facciamo un problema morale se sia meglio questo modo di fare o quell’altro, ma veniamo al sodo. Si divertono? Sì. Che bravi. No. Son degli stronzi. L’allegria è uno stato di leggerezza e più sei libero, più lei si lascia tentare (Andrea Gobetti).

Andrea Gobetti, vecchio animatore del Circo Volante – il gruppo di amici torinesi che spinse il Nuovo Mattino – noto più per le uscite goliardiche che per le arrampicate, sintetizza la vera essenza dell’arrampicatore: divertirsi e vivere lo stato di leggerezza causato dalla scalata.

Il resto passa tutto in secondo piano.
E’ questa una lezione del sessantotto – una risata vi seppellirà – che si è persa nel tempo.

Quando vado ad arrampicare, troppi ragazzi sono così presi dall’ansia della prestazione e dall’allenamento intensivo che perdono lo spirito iniziale che si cercava: l’evasione dal mondo ordinario, la fuga dalla fabbrica, la fuga dalla scuola e dai laccioli della società.

Peccato che i nuovi vincoli sportivi sostituiscano i vincoli da cui si stava cercando di scappare.
Allora se l’arrampicata diventa troppo importante, troppo seria, non ci si diverte più.

Nella tua arrampicata, cerca di rimanere il bambino di sempre: non voler crescere e diventare adolescente.

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I Sassisti della Val di Mello negli anni Settanta: loro sì che sapevano divertirsi! La Val di Mello è egualmente distante dal rigoroso e tradizionale spirito conservatore delle Dolomiti e dal pesante, pacato modo di vivere dei piemontesi.

Atlantide
Era incredibile, semplicemente incredibile. C’era quella successione continua di pareti di granito, una più bella e più grande dell’altra, dove era ancora tutto da fare, tutto. Era come scoprire una Yosemite dietro la porta di casa. Per me, abituato alle piccole pareti del Galles e del Derbyshire, sfruttate fino all’ultimo appiglio, era un paradiso in terra. C’era più roccia vergine sul solo Caporal che in tutta Snowdonia. Dovevamo solo decidere dove andare, era assolutamente incredibile che ci fossero ancora posti così (Mike Kosterlitz).

In centodieci anni abbiamo consumato quasi tutta la roccia del mondo.
Con la rivoluzione dell’arrampicata libera, negli ultimi quarant’anni, abbiamo esplorato, piantato chiodi, usato, lisciato e consumato pareti che erano lì da migliaia di anni.

E’ rimasto ancora qualcosa di inesplorato o non salito? Sicuramente sì ma in continenti lontani o con lunghi avvicinamenti o con sezioni di roccia pericolose.
Insomma tutto ciò che era bello e a portata di mano è già stato colonizzato. Il problema, il grosso problema è che alcune meravigliose rocce e vie sono state consumate, lisciate dalla ripetizione.

Difficilmente le nuove generazioni potranno provare il magico stupore provato da Mike Kosterlitz nel 1979, fisico universitario, arrivato in Italia per uno scambio culturale fra università, con la forte passione dell’arrampicata.
Mike Kosterlitz, abituato alle piccole falesie del Galles dove ogni metro quadrato di roccia era stato antropizzato e preservato, rimase letteralmente colpito quando gli amici torinesi del Nuovo Mattino lo portarono in Valle dell’Orco ricca di pareti, placche, fessure, spigoli ancora da salire.

Ancora oggi la soddisfazione più grande per noi malati di roccia è trovare una falesia non salita e provare a salire dove non è mai salito nessuno.
E’ anche bello arrampicare in zone note e vedere fasce rocciose ancora da salire e sognare che queste saranno il banco di prova delle nuove generazioni.
Spesso gli scalatori sono molto gelosi di queste loro scoperte ed ecco che i posti nuovi rimangono segreti per qualche anno.

In ogni dove si sogna l’esistenza di una grande e fantastica parete di roccia compatta e perfetta chiamata Atlantide.

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I fratelli Yves e Claude Remy, pioneri svizzeri dell’arrampicata moderna, si divertono da almeno trent’anni a trovare pareti di roccia meravigliosa in giro per il mondo nei posti meno battuti: dalla Svizzera ai deserti della Giordania. Forse la loro scoperta più celebre è la parete dietro a casa chiamata, non a caso, Eldorado, in Grimsel, caratterizzata da granito monolitico di colore pastello.

Un dattero
Un uomo nel deserto vive tre giorni con un dattero: il primo mastica la pelle, il secondo mangia la polpa e il terzo succhia il nocciolo. Se penso a quante cose ho portato con me, quasi me ne vergogno (Carla Perrotti).

Ora capisco perché i Tuareg siano così asciutti: con questa dieta non ingrassano di certo. Ripenso alla mia fatica per perdere un paio di chili di peso. Tutti noi a quante cose superflue siamo attaccati?

Quante cose siamo costretti ad avere? Quanta carta, plastica, lattine, imballaggi dobbiamo eliminare?

Quando arrampichi in parete hai sulla schiena tutto il necessario per uno o due giorni di sopravvivenza e ti senti ricco.
Ricordi con quanta cura selezioni il materiale alpinistico necessario, le scorte di cibo e di vestiario?

Se ciascuno di noi ponesse la stessa attenzione meticolosa nella vita di tutti i giorni forse ci basterebbe uno zaino un po’ più grande per condurre una serena vita essenziale.

Avete notato che gli scalatori sono tutti uguali? Pochi vestiti ma funzionali, attrezzatura ridotta all’osso, pochi soldi in tasca, quelli necessari per il prossimo viaggio, ma tanta carica ideale, tanta motivazione.

Facciamo il deserto attorno a noi e portiamoci appresso solo lo stretto indispensabile. Liberiamoci dal consumismo, anche in montagna.

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Ad Alain Robert serve veramente poco per scalare il camino di un grattacielo: un paio di scarpette e un sacchetto di magnesite.

Gradini
Tornate sani, tornate amici, arrivate in cima: in questo preciso ordine (Roger Baxter Jones).

La mia chiave di lettura di questa espressione è la seguente: precedenza alla vita, all’amicizia e alla serenità di aver raggiunto l’obiettivo.

Un’altra chiave di lettura potrebbe essere: “Fai quello che devi fare, ma senza rischiare troppo e senza rovinare l’amicizia con il tuo compagno”.

In ogni caso il concetto è chiaro, bisogna stabilire una gerarchia di valori da rispettare e la salute è sul gradino più alto.

Nessuna cima, nessuna parete vale un tuo dito. Senza il tuo dito non potrai più accarezzare la tua ragazza. Senza il tuo dito non potrai fare boulder. Senza il tuo dito tuo figlio non potrà prenderti per mano.

Su un altro gradino valoriale si trova l’amicizia con il tuo compagno di cordata.
C’è sottinteso un concetto forte e non scontato: il compagno con cui ti leghi diventa o è già un tuo amico.
Non è un semplice socio o partner che ha un obiettivo in comune con te. E’ un amico.
L’amicizia vale più della cima da raggiungere.

Infine, solo se è possibile, allora potrai anche raggiungere la cima. La cima è fredda, non ha vita. La cima sarà lì anche l’anno prossimo. La cima ti aspetta sempre.

Amico guarda dentro te stesso e non barare. Se finora ti è andata bene, non andarne fiero, ricordati che non è stato solo merito tuo. Semplicemente non era il tuo Momento.

Quante volte ti sei legato con un compagno solo per l’ambizione di “fare la via” e quel compagno era l’unica persona libera che potesse venire con te? Quante volte hai rischiato troppo e stupidamente?

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Estate 1961. Monte Bianco, Pilone Centrale del Freney, cordata francese al bivacco prima della salita: Antoine Vieille, Pierre Kohlman, Robert Guillaume e Pierre Mazeaud.

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Estate 1961. Monte Bianco, Pilone Centrale del Freney: dopo la disperata impresa, Pierre Mazeaud unico sopravissuto francese in stato di evidente shock. Assieme ai francesi c’era anche la cordata italiana di Walter Bonatti, Andrea Oggioni e Roberto Gallieni.

Una nuova via
Partiti in due siamo andati all’arrembaggio della fantasia, filibustieri del tempo contro il nulla (Chantal Mauduit).

L’ignoto. Che cosa è l’ignoto per uno scalatore?
Molto spesso l’ignoto è trovarsi su un muro di roccia e non sapere come fare a scalarlo, se si possa salirlo e una volta in alto se si potrà mai piantare un chiodo per far arrampicare il proprio compagno.
L’ignoto è forzare con la fantasia una linea che esiste solo nella tua testa e che cerchi inutilmente di spiegare al tuo compagno, che proprio non riesce a comprendere.

Aprire una via è il vero sforzo creativo dello scalatore che getta il cuore oltre l’ostacolo e che con una manciata di chiodi crea la via.

La via avrà un nome, una relazione, un tracciato, forse alcune ripetizioni, ma da quel momento quella non via non ti apparterrà più, apparterrà al popolo dei climber.

Magari un giorno qualcuno dirà che ci sono pochi chiodi e che è troppo pericoloso o forse ci sono troppi chiodi e la via così tracciata è diventata una ”scala per galline”.

Infine la tua via cambierà i connotati, di te rimarrà solo un nome e una data su un libro, a te quella via ricorderà per sempre un momento unico, un giorno particolarmente creativo e in cui non avevi paura di salire il muro dell’ignoto barbaramente attaccato a piccoli appigli.

Aprire una via è liberare la fantasia del bambino scalatore.

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Yosemite, uscita dalla via Pacific Wall da parte di Jim Bridwell e compagni nel 1975. Un grande sforzo creativo coronato dal successo. Forse a loro del successo non gliene fregava niente. Sapevano che lì c’era uno spazio ed una linea naturale che bisognava percorrere.

continua

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Flash di alpinismo 6 ultima modifica: 2014-09-29T07:30:09+02:00 da GognaBlog

2 pensieri su “Flash di alpinismo 6”

  1. Mi è piaciuta molto l’idea di riscrivere la storia dell’alpinismo dopo l’introduzione del concetto di “clean”.
    Anni fa incontrai Alain Robert che convinsi a “interpretare” una mia idea che diventò poi il film “Buildering” per la serie TV No Limits. Buildering fu il film che cambiò la sua vita facendolo diventare negli anni seguenti il “French Spiderman” di fama mondiale. L’ambiente mondiale dell’alpinismo lo ha sempre snobbato non considerando forse che nel 1987 Alain Robert aveva salito, primo al mondo, un 8b slegato… anticipando di trent’anni gli exploit di molti climber odierni. Forse una piccola riscrittura sarebbe utile (So bene che gli exploit di Alain sono solo una goccia nel mare delle salite non considerate o addirittura sconosciute al grande pubblico)
    Michele Radici

  2. Leggo sempre con molto piacere i tuoi articoli e le tue ricerche, ti ringrazio per il lavoro che fai e per tener sempre viva la passione per l’Alpinismo

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