Fragile = diversamente forte

Fragile = diversamente forte
di Vesna Roccon
(da montagneinrete.it)

Lettura: spessore-weight***, impegno-effort*, disimpegno-entertainment**

Rispondere alla fragilità attraverso la poesia. Mettere in campo una iniziativa d’eccellenza, raccogliendo nel breve spazio di una settimana un susseguirsi continuo di appuntamenti, laboratori, suite musicali e letture coinvolgenti con artisti riconosciuti e studiosi di rilievo internazionale. Questo è ciò che è accaduto a Smerillo (Fermo, Marche) grazie all’impegno degli organizzatori del festival Le parole della montagna (16-23 luglio 2017). Un gruppo di volontari che ha trasformato la debolezza di questo territorio in una fessura, una frattura dalla quale far entrare la luce dell’incontro, del dialogo, della contaminazione amicale e feconda.

Le parole del poeta Filippo Davoli – ospite fisso del festival – esprimono al meglio lo spirito della manifestazione:
«Il tema della cura e dell’amore non riduce la fragilità a uno scarto, a un errore, a un qualcosa da buttare. C’è un elemento che torna sempre nella mia vita e mi fa capire come non si possa giocare troppo con la parola fragilità. Perché il rapporto con la fragilità è durissimo, avere a che fare con le persone fragili, con i territori fragili, non è semplice, è faticoso.
Ci vuole qualcosa che ci faccia guardare alla fragilità in un modo altrettanto forte della repulsione che essa suscita, perché altrimenti la si chiama “sfiga”.
Perché la fragilità non è chiamata “sbaglio”? Perché alla fragilità non diamo un’altra colorazione? Perché di un pacco si dice che è fragile per indicare che il suo contenuto è prezioso e le parole, per essere capite, vanno messe accanto ad altre. Allora ecco arrivare “cura” e “amore”, perché la fragilità le implica entrambe, indicandoci che l’oggetto in questione va trattato con cura. Io credo che il problema stia tutto, di fronte alla fragilità, nello scoprire dove si prende la forza per guardare a una cosa ferita, terribile, fessurata, dura, con amore. Dove si trova, nel rapporto con la fragilità, quel qualcosa che ce la rende amabile?».

L’esperienza cocentissima vissuta dalla popolazione delle montagne marchigiane, con il sisma dello scorso anno, ha dato loro l’occasione di interrogarsi profondamente su una caratteristica tipica di queste aree, un tratto che non gode certo di buona fama. Una condizione persistente di vulnerabilità, comune non solo ai territori montani e agli oggetti delicati ma anche a tutte le persone che hanno fatto esperienza di alcune emozioni piuttosto imbarazzanti come lo sconforto, la tristezza, il dolore, la speranza, la timidezza, la rabbia… Emozioni fragili per antonomasia, da nascondere come meglio si può.

Il filosofo Luigi Zoja parla della “fragilità maschile”

Fragile, infatti, è detto di cosa che si può rompere facilmente, che necessita per essere preservata di una maggiore attenzione. Fragile è detto di chi viene ferito senza troppa fatica. Una condizione scomoda, precaria, esposta. In questo senso anche gli ecosistemi sono fragili, la bellezza dei paesaggi è fragile, legata com’è al rapporto che l’uomo instaura con sé stesso e con ciò che sta fuori di sé.

La parola stessa è fragile e la nostra stessa attitudine alla relazione deriva proprio dalla nostra innata fragilità: una notevole necessità di cura che si protrae nel tempo ma che è ben presente fin dalle prime ore di vita, facendo degli esseri umani una delle specie più vulnerabili. Una prolungata condizione di dipendenza che proprio attraverso le parole e la loro condivisone è stata investigata ininterrottamente nelle piazze del piccolo borgo delle Marche.

Simonetta Paradisi, madrina e direttrice artistica della manifestazione, ci spiega nel dettaglio il posto d’onore riservato alla poesia:
«La poesia ha il potere di aprire le porte, in tutti i sensi: ogni nuova giornata del festival è accolta da una introduzione poetica perché siamo convinti che la parola in versi aiuti la percezione di quello che poi andremo a vivere ed ascoltare. Qui a Smerillo la parola con la P maiuscola è al centro del discorso, il programma stesso di ogni edizione ruota attorno a un singolo concetto, declinato in una varietà sorprendente di intuizioni alternative. Quest’anno parliamo di “fragilità”, una parola suggeritaci dalla montagna stessa. Si tratta di una parola che riempiamo di contenuti proprio per non rischiare che si svuoti di senso».

Il team di volontari del festival Le Parole della Montagna con al centro Neri Marcorè

Il programma (che qui potete leggere in versione pdf) è stato diviso in sezioni distinte: parole, immaginario, esperienza, poesia e così via: un format che propone contributi selezionati, di pregio, indagandoli sotto le lenti dell’arte, della psicologia, del dialogo interreligioso e della filosofia. Un taglio singolare nel quale la montagna viene vissuta come luogo di incontro con il sacro, alla luce del fatto che tutte le tradizioni culturali e religiose ce lo insegnano fin dalle origini. Uno spazio dove all’uomo è concessa la possibilità di intraprendere un viaggio di conoscenza e discernimento interiore. Le parole della montagna è un testimone di eccellenza della plurivocità semantica delle tematiche proprie delle terre alte; un momento di “deformità cromatica” del significante montano destinato a produrre una realtà densissima attraverso lo studio e la scannerizzazione delle parole: vetta e abisso, varco e silenzio, vuoto, vertigine, fragilità… Molteplici luoghi simbolici in cui essa si manifesta pienamente così com’è: diversamente forte.

«Le manifestazioni come questa – ha ribadito Neri Marcorè nel corso della serata conclusiva – rafforzano l’idea che un luogo vale per la sua cultura, la sua storia, le sue tradizioni. Questi incontri possono trasformarsi in un volano per tutto ciò che verrà dopo. Gli eventi che seminano paura, dolore e lutto – come il recente terremoto – non si cancellano, però non si deve restare ancorati al passato ma bisogna rivolgere lo sguardo al futuro, alle nuove generazioni, a questi posti magnifici, investendo nel patrimonio culturale, sociale e artistico in essi custodito. Una sostanza attraverso la quale tutti noi ci nutriamo, l’unica in grado di far vivere solidalmente una comunità cambiandole la vita ogni giorno. Servizi che funzionano, rispetto reciproco e accettazione degli altri sono cose che si costruiscono solo attraverso la cultura. La chiusura, l’isolamento non portano a nulla, tanto vale aprirsi al mondo e alle sfide mettendo in conto, possibilmente, anche il fallimento, perché solo sbagliando si cresce».

La fragilità – questo sembra suggerirci nel 2017 il piccolo festival di Smerillo – va incorporata nella cultura della società contemporanea, sdoganando finalmente la nostra stessa imperfezione.

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Fragile = diversamente forte ultima modifica: 2017-10-16T04:57:51+02:00 da GognaBlog

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