Franco Perlotto e le sue solitarie
di Alessandro Filippini e Luca Calvi
(pubblicato su alpinistiemontagne.gazzetta.it il 18 febbraio 2021)
Nell’immaginario dell’alpinismo ci sono curiose rimozioni e altrettanto curiose esaltazioni. Si celebrano, cioè, in ogni occasione scalatori che magari hanno avuto un’attività di prim’ordine, ma limitata a una qualche specializzazione — per non parlare di quelli riveriti pur non avendo fatto altro che piste himalayane preparate dagli sherpa — e invece non ne vengono adeguatamente ricordati altri, che invece hanno saputo spaziare su vari terreni, anche completamente diversi. E che hanno la sola colpa di non aver sbandierato ai quattro venti le proprie imprese. Un “vizio” che oggi è inimmaginabile, nell’era dei social e delle dirette da ogni angolo del pianeta. Ma la riservatezza era abbastanza comune in decenni passati, quando le informazioni sulle scalate erano materiale riservato agli specialisti, salvo i grandi exploit e, come sempre, le grandi tragedie. Quelli erano peraltro decenni nei quali l’attività in montagna era molto più intensa rispetto a oggi, visto che i giovani ora preferiscono frequentare le palestre e le falesie.
Franco Perlotto negli anni ’70-’80 è stato uno dei più grandi alpinisti, non soltanto italiani. Ma di larga parte della sua intensa attività di quel periodo resiste scarsa eco soprattutto perché, come potete leggere nel contributo di Luca Calvi, fu fatta spesso in solitaria. Come ha scritto lo stesso alpinista vicentino nel post accompagnato dalle fotografie che potete vedere e che Perlotto pare aver messo insieme senza un ordine preciso. Solamente una carrellata, la quale però ha un effetto davvero strepitoso, mostrando una dopo l’altra le vie di così tante solitarie – molte le prime, alcune anche invernali, altre perfino in discesa – dalle Alpi alla mitica Yosemite e alla Norvegia.
Sono 36 fotografie ma le vie, come vedrete, sono ancora di più, molte di più.
Queste vie, percorse da Perlotto in solitaria – quasi sempre prima solitaria – semplicemente con i loro nomi, che sono quelli di tanti grandi scalatori di diverse epoche, compongono una sorta di storia dell’alpinismo. È un vero piacere sfogliarla così.
Ecco cosa ha scritto Perlotto nel suo post: ”C’è stato un tempo in cui si vagava solitari per i mondi verticali senza far sapere nulla a nessuno. Spesso si veniva visti da qualcuno che lo raccontava. E così che si scopriva di aver fatto prime solitarie. Ma forse erano seconde o terze: chi poteva dirlo con certezza. Nessuno può sapere con precisione oggi come allora se erano delle prime, ma poco importa. Qualche salita è stata citata nelle guide e forse ora fa parte della storia, di altre nemmeno si sa e nemmeno si sapeva se qualcuno l’avesse fatta prima, ma la difficoltà e il gioco con il rischio non cambiavano tra una prima e una seconda solitaria. Sicuramente non c’erano né fotografi né cameramen, perché le solitarie si facevano da soli. Questa raccolta di molte delle mie salite, non tutte… forse aiuta a capirne lo spirito“.
Appunto lo spirito che ci svela Luca Calvi, in fondo alla carrellata (Alessandro Filippini).

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Non si è ancora spenta – né deve spegnersi, sia chiaro – l’eco suscitata da Sean Villanueva O’Driscoll in Patagonia, dove con il Moonwalk Traverse il fortissimo climber belga ha scritto una pagina importantissima di alpinismo solitario d’alto livello. Questa prestazione, che da un lato ha un sapore di altri tempi e dall’altro è incredibilmente avanti, ha fatto sì che nel mondo alpinistico si torni a parlare dell’alpinismo solitario e dei suoi maggiori rappresentanti.
La mente va subito ad altre figure quali Colin Haley, Jim Reynolds, Leo Houlding o Alex Honnold… Tornando un po’ indietro dovremmo però ricordare personaggi come Krzysztof Wielicki o Jerzy Kukuczka, oppure, sempre in Polonia, Marcin Tomaszewski e soprattutto Marek Raganowicz… Lunga sarebbe la lista di coloro che in una qualche misura del corso della storia alpinistica si sono cimentati con le “solitarie”.
Se però decidiamo di prendere in mano carta e penna e redigere una sorta di “curriculum del solitario” su vie che vanno dalle guglie dolomitiche (anzi, piccolo-dolomitiche) all’alpinismo esplorativo in Norvegia o in Sud-America passando da El Capitan in Yosemite, il nome che balza immediatamente all’occhio e che vince di parecchie lunghezze sul primo degli inseguitori è quello di un ragazzo veneto, nato ai piedi delle colline del vicentino, per la precisione a Trissino: Francesco Angelo, per tutti semplicemente Franco, Perlotto.
Per chi ha vissuto gli anni in cui ci fu la rivoluzione portata dagli ideali del free-climbing il nome Perlotto vuol dire tornare immediatamente con la memoria alle primissime scarpette d’arrampicata in vendita e alla nascita di brand come Think Pink e non solo… Una persona a cui dobbiamo, tra l’altro, la prima italiana sulla Torre del Diavolo, in Wyoming, la prima assoluta della parete sinistra del Salto Angel in Venezuela, le prime italiane di Tangerine Trip e di Lurking Fear a Yosemite, ma anche la prima solitaria del Trollryggen in Norvegia.
Nei circoli alpinistici e di arrampicata queste sono tutte prestazioni grandiose, assolutamente riconosciute, tant’è che pressoché sempre, citando il nome del “bocia da Trissino”, viene posto l’accento sul suo essere stato alla base del free climbing e sulla sua passione per l’alpinismo esplorativo. Viene spesso citato anche per la sua attività di persona impegnata nella cooperazione internazionale, per una laurea honoris causa in scienze ambientali conferitagli alla presenza di grandi personalità della cultura, per la sua attività culturale in favore della preservazione delle aree di wilderness, per essere stato un ottimo e avveniristico sindaco a Recoaro e per essere ora colui che è riuscito a far rinascere il rifugio Boccalatte.
Tra la sua prima salita a 13 anni del Becco di Mezzodì, in Dolomiti, le grandissime imprese degli anni Ottanta e l’attività culturale-alpinistica del XXI secolo che tutti gli riconoscono, però, esiste un mare di realizzazioni note a un numero non eccessivo di appassionati e delle quali lo stesso Perlotto tende a tacere: quella che noi chiameremo per praticità “le solitarie del Franky”. In un lasso di tempo peraltro non eccessivo il “bocia da Trissino” è passato dalle solitarie – spesso senza corda, tra insulti e vituperi dei ”veci” locali – nelle Piccole Dolomiti a solitarie di grandissimo pregio nelle Dolomiti e da lì su tutto l’arco alpino italiano e via via in una costante ricerca del passo successivo in Yosemite, al caldo dell’Equatore o vicino al Polo in Norvegia.
Chiedere a Franco di fare una lista completa delle sue solitarie, anche limitandosi solo alle “prime” in solitaria, è impresa titanica che egli stesso rifiuta a priori, nascondendosi dietro una lunga serie di “non ricordo” o ancor meglio di “questa è meglio non raccontarla”. Di tanto in tanto regala qualche fotografia, qualche mini-raccontino, elargito col bilancino del farmacista: preparati galenici di alpinismo e di vita.
Già, il racconto… Il racconto per Franco equivale al passaggio, al trasferimento del vissuto e dell’esperienza acquisita, operazione che il vero uomo di cultura dovrebbe sentire come doverosa. Franco è – tra l’altro – anche un bravo pubblicista e scrittore con svariati libri all’attivo. Gli piace raccontarsi così come gli piace l’idea che il suo racconto, unitamente ai fatti, ovvero a ciò che ha realizzato, possa spingere qualcuno a fare altrettanto e di più, non solo in campo alpinistico, ma anche in quello culturale e sociale.
Sì, perché Franco con la sua vita poliedrica, eclettica e multicolore è la più chiara delle dimostrazioni che lo stesso approccio può e deve essere applicato a tutta la sfera delle proprie attività, perché così potrà essere dato alla vita un contributo personale e fruttifero. Le solitarie di Franco Perlotto, così come le sue opere nel lavoro, nella cooperazione, o nell’amministrazione hanno sempre rifuggito i riflettori… Le arrampicate solitarie erano per lui momenti di enorme creatività che coinvolgeva mente e fisico, ma che, per essere tale, doveva nascere lontano da tutto e da tutti e solo dopo poteva essere eventualmente condivisa. Esattamente come le mille realizzazioni di tanti anni di cooperazione, o ciò che è riuscito a fare in Comune a Recoaro o con i suoi libri, Perlotto non ha mai fatto nulla per la fama o per la convenienza (quella men che mai). Per lui la novità e le difficoltà più alte dovevano e devono essere affrontate in prima persona, da solitario, senza fari e senza applausi. Le sensazioni ottenute, l’esperienza maturata e le nozioni apprese dovevano e dovrebbero anche ora essere introiettate e solo dopo condivise. Il Bello, il Piacevole, il Difficile, il Complicato da Risolvere sono le caratteristiche delle sfide che Franco Perlotto ha deciso di affrontare e di vincere da solo, per offrirle poi senza imporle a chi abbia la bontà di ascoltarlo e soprattutto la costanza e la pazienza di capire la reale grandezza della poliedricità di questo solitario free-climber della vita, che, indifferente a qualche problema di salute, è riuscito a fare varie stagioni ai 2800 metri del rifugio Boccalatte spesso da solo (solitaria anche quella…), facendolo così rinascere e che pochissimo tempo fa, da solo, ha affrontato e vinto anche la battaglia contro il CoViD-19 (Luca Calvi).
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Perlotto è stata la mia prima “Guida”, con lui a 13 anni ho fatto la Normale della Grande di Lavaredo. Mi fece un discorso sulla differenza tra “Sicurezza oggettiva” e “Sicurezza soggettiva” (rimarcando il maggior valore della seconda se non ricordo male…): un MAESTRO e ancora ricordo bene la sua disinvoltura e le sue dritte a me bocia, a prescindere dalle info puntuali di questo bel articolo.
Gabriele Boccalatte ebbe un figlio di nome Lorenzo. È lei quel Lorenzo?
A diciotto anni tra i miei idoli c’era pure Boccalatte. Quando fu ripubblicato il suo libro Piccole e grandi ore alpine nella collana I Licheni, lo lessi d’un fiato. Tuttora di tanto in tanto ne rileggo qualche pagina. Mi sembra che, in montagna, quella fosse un’epoca d’incanto.
Curriculum impressionante, persona umile e gentile. Ispira naturale simpatia. Un maestro di vita.
Non ho conosciuto Perlotto ma ho conosciuto Giancarlo Milan proprio nel giugno 1984 al Pordoi quando abbiamo salito insieme, ma slegati, la Pichl alla nord del Sassolungo. In quella occasione mi aveva chiesto notizie sulla Oppio Colnaghi e sulla Biagi Nerli Zucconi alla nord del Pizzo d’Uccello che avevo fatto numerose volte. Ho saputo al mio ritorno dal Perù dell’incidente che lo aveva ucciso. In realtà Giancarlo una prima volta aveva salito da solo la Oppio al ritorno dall’aver accompagnato moglie e prole al traghetto per l’Isola d’Elba ed era andato tutto bene. Quando poi si è trattato di andare a riprenderli a fine vacanza si è fermato prima per salire la Biagi e, complice anche un forte temporale estivo, è precipitato alla base della parete. E’ stata la moglie, se ben ricordo, ad allertare i soccorsi perchè non era arrivato all’appuntamento.
Grande persona e grande alpinista. Eppure nonostante tutto ai tempi molto contestato. Fortunatamente il tempo è un signore e spesso fa emergere lo spessore degli uomini.
Un palmares impressionante per numero (sicuramente incompleto perché almeno una nel gruppo del Bianco non compare…), per difficoltà e varietà.
Non ricordavo la solitaria di Zodiac sul El Cap (!!!) così come non conoscevo alcune in Dolomiti.
La sua bravura è pari solo alla sua modestia. Una grande dote e Franco una gran bella presenza concreta in questo Alpinismo sempre più patinato e parcellizzato.
Insomma ha lasciato il segno senza proclami e fanfare….c’è da imparare, in tutti i sensi.
si ricordo di questo incidente sulla Oppio.
Lo inviteranno a Kilimangiaro o a Chetempochefa?Non credo.
Qualcuno ricorda Giancarlo Milan che al ritorno della via Oppio salita in solitaria , nel 1984, cadde e perse la vita?
Modesti e speciali per le loro comunita’.
Franco Perlotto è un personaggio che mi ha sempre affascinato, per quel – poco, appunto – che leggevo su di lui… E mi stupivo sempre di come non fosse più citato e famoso negli ambienti alpinistici, per quello che ha fatto
una quarantina d’anni fa ho salito la Oppio in Apuane con l’amico Stefano che, tramite i suoi contatti in Val di Mello, era al corrente che due settimane prima il Perlotto se l’era mangiata in solitaria; per le mie capacità era impressionante solo pensarla in solitaria. Franco è sicuramente uno dei più grandi … L’articolo è davvero meritorio, mi ha svelato una bella fetta della sua attività che ignoravo.
Ho rivisto Franco al Boccalatte la scorsa estate dopo una pausa di un a trentina d’anni abbondante trascorsi dopo un festival di Trento in cui “brindammo” lungamente assieme a Bridwell, Steck e Mc Inness….
Stesso spirito nonostante qualche acciacco e stesse “cazzate” sante e belle.
Razza in estinzione. Purtroppo.
Franco ti auguro tutto il meglio!
“spesso …tra insulti e vituperi dei ”veci” locali”
tanto per dimostrare che alcune posizioni miopi e retrive vengono da lontano e che esistono anche i veneto-sabaudi…
Una vita piena, Franco Perlotto ha ispirato e fatto sognare tanti facendo e scrivendo
Prima ancora che per le imprese, tutte rimarchevoli (a proposito: bellissime foto), ai miei occhi di socio CAI Torino la sua importanza è collegata al pieno recupero del rifugio Boccalatte-Piolti, che, nel periodo dell’abbandono, era purtroppo diventato un immondezzaio e un gabinetto vomitevoli. Complimenti vivissimi per tutto, speriamo che la sua attività da rifugista riprenda in pieno dopo la pandemia. Buona giornata a tutti.
non lo sapevo era era venuto in Apuane fare in solitaria la via Oppio-Colnaghi alla parete nord del Pizzo d’Uccello.
Senza dubbio una persona poliedrica.
Persona bellissima!!
Salito due anni fa al Boccalatte con la mia famiglia, quando il ghiacciaio stava iniziando a scaricare, pochi giorni prima della chiusura della Val Ferret. Ho ancora impresso, più della bellezza dei luoghi e di quel nido d’ aquila, la piacevole sensazione di conversare con una persona totalmente immersa nell’ ambiente che lo circondava, totalmente appagato dalle sue montagne e pieno di vita ed energia..nonostante problemi vari. Un inno alla vita ed un bellissimo sorriso, come quello della prima foto. È una fortuna che ci siano persone cosí!!