Lettura: spessore-weight*, impegno-effort**, disimpegno-entertainment***
MiMoFF 2017
A Milano, l’appuntamento annuale con il MiMoFF (Milano Mountain Film Festival) quest’anno si svolge dal 27 al 30 settembre.
Il MiMoFF è organizzato da Associazione Montagna Italia, con il Patrocinio del Comune di Milano, Regione Lombardia e tanti altri: in collaborazione con l’Associazione Edelweiss e con l’affiancamento di diversi partner milanesi tra i quali il CAI Milano, il CAI-SEM, il Premio Meroni, Alt(r)iSpazi e altri ancora.
Alla serata inaugurale di mercoledì 27 settembre presenzierà il Presidente Generale del Club Alpino Italiano, Vincenzo Torti per presentare al pubblico il promo Oltre l’orizzonte , video “emozionale”, destinato a raccontare la montagna vista dal CAI. Saranno pure presenti Nicoletta Favaron e Monica Brenga, rispettivamente regista e sceneggiatrice del film.
Subito dopo Torti presenterà anche il video istituzionale (regia di Michele Radici) per illustrare le molteplici attività svolte dal sodalizio.
Seguirà la proiezione dei primi quattro film in concorso e della pellicola fuori concorso del 1970 Jirishanca, il Cervino delle Ande che vede protagonista Riccardo Cassin (1909-2009). Il film, proiettato per concessione del Centro di Cinematografia e Cineteca del Cai e della Fondazione Cassin, documenta l’ascensione da parte di una spedizione lecchese per una parete vergine.
Sono dieci i film in concorso, scelti tra gli oltre 110 pervenuti da 16 nazioni. Spaziano da un’escursione in bicicletta in Islanda a una performance aerea, dalle scalate nel sud della Sardegna alla scoperta di paesaggi selvaggi nella penisola balcanica, dalla possibilità di salire in vetta nonostante la disabilità alla scoperta della più lunga cascata di ghiaccio sotterranea, dalla storia di Ettore Castiglioni alla spedizione al limite delle possibilità umane a Jakutsk nel nord-est della Siberia.
Dalla vetta di Garibaldi, panorama sul Sàrrabus
Nelle serate verranno pure proiettate le immagini partecipanti al Concorso Fotografico, aperto a tutti coloro che amano la fotografia di montagna, professionisti e amatori. La serata finale, sabato 30 settembre, prevede le premiazioni dei due concorsi e la proiezione del film (fuori concorso) del 1991 Free K2 di Alessandro Ojetti e Carlo Alberto Pinelli (quest’ultimo sarà presente per l’intro al pubblico).
Il film racconta la spedizione del 1990 in cui l’associazione Mountain Wilderness liberò il K2 dalle tonnellate di rifiuti che erano stati abbandonati durante le salite degli anni precedenti. Si racconta l’impresa, ma soprattutto il significato e il valore etico-ambientale che Mountain Wilderness sta diffondendo nel mondo dell’alpinismo.
L’inizio delle serate è sempre previsto per le ore 20,45 presso il Cinema Arca di Corso XXII Marzo, 23/15 – angolo Via Bonvesin De La Riva.
Scarica il programma.
Tra i dieci film in concorso, noi di GognaBlog ci permettiamo di tifare per Garibaldi, scalate d’altri tempi, di Maurizio Oviglia. La sua lunga esperienza di alpinismo, di arrampicata sportiva e di arrampicata trad gli ha permesso una competenza e una sensibilità personali fuori del comune nel raccontare questo genere di cose che, pur appartenendo al passato più classico, avvincono ancora oggi le giovani leve con il fascino dei luoghi e della storia.
Garibaldi, Corrado Pibiri su Chi la fa lo dica (ancora da liberare), 1987. Foto Mattia Vacca.
Garibaldi, scalate d’altri tempi
di Maurizio Oviglia
Il documentario racconta la lunga storia di Punta Garibaldi, una curiosa struttura granitica nascosta nelle foreste, dai primi assalti pioneristici degli anni Settanta alle ultime arrampicate in chiave moderna, una storia sempre romantica e lontana dalle attuali tendenze della scalata sportiva. Essa è stata testimone, in quasi quaranta anni di storia alpinistica, dei cambiamenti avvenuti nell’arrampicata, dall’alpinismo al free climbing, dall’arrampicata sportiva al clean climbing, sino al bouldering.
Un luogo fuori dal tempo, con un fascino che ancora oggi riesce ad attrarre sia i giovanissimi, sia gli alpinisti di una certa età. Le rocce di Garibaldi sembrano quindi avere il potere di instaurare un legame tra le varie generazioni di arrampicatori, che ritrovano qui il loro spazio di espressione.
Il Sàrrabus, nel quale spicca la Punta Garibaldi, è un piccolo massiccio di montagne nel sud-est della Sardegna, in gran parte disabitato e occupato da foreste, alcune di esse protette (Foresta dei Sette Fratelli). Il Sàrrabus, per noi che viviamo nel sud dell’isola, è un po’ la nostra piccola Gallura, essendo un massiccio granitico con caratteristiche simili a quello gallurese. Le pareti di quest’area hanno un’importante storia alpinistica e, come in Gallura, attirarono le attenzioni degli scalatori fin dagli anni Settanta. A differenza però di Aggius, San Pantaleo e Valle della Luna, qui furono soprattutto i sardi ad aprire. Oggi le rocce del Sàrrabus sono frequentate solo da un manipolo di scalatori romantici, oltre che dai cercatori di funghi e dai cacciatori. Sebbene l’etica qui non abbia imposto come in Gallura il divieto di chiodare a spit e si sia ragionevolmente più tolleranti (il sud è sempre sud…), ciò non è servito a rilanciare queste arrampicate presso gli scalatori di oggi. Rimangono delle piccole avventure alpinistiche, anche se talvolta ci sono gli spit. Il Garibaldi ha visto molte vie nuove negli ultimi anni ma rimane pochissimo frequentato, anche perché serve un certo bagaglio alpinistico per cavarsela bene.
Scalate di altri tempi è il mio quarto documentario, dopo Blu Trad, The New Quarryman e Altri Cieli, quest’ultimo dedicato al possibile rapporto tra arte e arrampicata in un piccolo villaggio della Sardegna. Nel cinema, mi ritengo un autodidatta assai poco professionale. Nella mia vita ho sempre solo fotografato e al mondo del video mi sono accostato solo di recente. Ho realizzato anche alcuni video di breve durata, perché mi affascinava l’idea di riuscire a comunicare storie ed emozioni nell’arco di pochi minuti. Un po’ come scrivere un twit che significhi qualcosa in 140 caratteri + foto… difficile ma non impossibile. In ogni caso una sfida della comunicazione attuale! Non saprei dire se la scelta di provare a fare qualcosa di più corposo e importante, come i documentari legati all’arrampicata, sia stata una necessità dettata dai tempi o una nuova passione, di certo non è stata una cosa premeditata.
I tre documentari che ho girato non avevano un progetto e una sceneggiatura a monte, sono nati strada facendo, prima fotografando e poi girando brevi sequenze video, sino ad arrivare a una possibile storia da raccontare, unendo le varie immagini realizzate. Il fatto di essere stati dei “work in progress” che si sono protratti per lungo tempo, anche tre anni, ha i suoi pro e contro. Da un lato, trattandosi di opere completamente autofinanziate, non ero obbligato verso terzi a realizzare un prodotto in tempi ristretti e dalle caratteristiche imposte dal committente. Ero totalmente libero di cambiare, togliere o aggiungere, anche all’ultimo momento. Non sono abituato a considerare le mie opere completamente finite e potrei riprenderle in qualsiasi momento. Ciò ha reso i prodotti spontanei, ma sicuramente poco omogenei e professionali, con sessioni video girate in tempi e condizioni molto diverse. Ho coinvolto in tutti e tre i lavori mia figlia Sara, che pur essendo molto giovane, ha una passione per il cinema e a mio avviso un vero talento naturale per la fotografia. Io e lei ci capiamo al volo, e non è stato necessario discutere su ogni cosa, come invece capita quando si lavora con altri. Inoltre, non essendo Sara una vera arrampicatrice, mi ha aiutato a eliminare le parti che potevano annoiare il grande pubblico, in cui noi scalatori spesso indulgiamo.
Il film è stato presentato a Cagliari il 6 giugno 2016. I primi arrampicatori in Sardegna hanno deliziato l’uditorio con gustosi aneddoti, come il lancio di nut oltre uno strapiombo da parte di Alessandro Cattaneo (allora sedicenne o poco più) per riuscire a superare il passaggio chiave della prima via al Garibaldi. Ogni via nuova allora era un atto di coraggio. Da sinistra: Maurizio Oviglia, Corrado Pibiri, Alessandro Cattaneo e Andrea Scano.
Scalate d’altri tempi ha seguito esattamente la prassi e il percorso dei due documentari precedenti. Mano a mano ho aggiunto dei tasselli che alla fine hanno composto una storia, che è quella di una curiosa struttura granitica persa tra le foreste della Sardegna. Inizialmente volevo riportare degli aneddoti legati alle varie vie, realizzate in epoche diverse. E incollarli insieme tipo puzzle. Solo alla fine ho pensato invece di raccontare tutta la storia alpinistica di questa parete e di andare a cercare i protagonisti delle esplorazioni iniziali, avvenute alla fine degli anni Settanta. Alcuni di questi personaggi non li avevo mai conosciuti, avendo smesso l’attività prima che arrivassi in Sardegna, nel 1984. Nel realizzare quest’operazione mi sono accorto che al Garibaldi, in 40 anni di storia alpinistica, molti dei protagonisti erano sempre ritornati, con rinnovato ardore, coinvolgendo nuove persone. Ad un periodo di oblio ed abbandono, ne era sempre seguito un altro di fervente attività. E, a dispetto dello stile di scalata, decisamente particolare e oggi molto distante dall’attuale arrampicata, questo luogo attirava non solo noi, ormai “vecchi” un po’ nostalgici, ma anche giovani arrampicatori provenienti da contesti molto differenti, desiderosi di provare qualcosa di diverso. Ognuno ha un suo rapporto personale con queste rocce, ma tutti sono soggiogati dal loro fascino.
Non so se in futuro realizzerò altri documentari. Sento che, almeno nel mio caso, l’esperienza del cinema è stata solo una (piacevole) parentesi nella mia vita professionale. Continuo a trovarmi più a mio agio con la penna o la macchina fotografica che con la telecamera. Nell’ambito di un film, probabilmente sarei un buon sceneggiatore, oppure fotografo, mentre in questo caso ho dovuto, con l’aiuto di mia figlia, fare (e imparare) tutto dalla A alla Z. In fin di conti, non sono che piccole storie non scritte, tradotte in immagini.
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Ecco i vincitori del concorso cinematografico Milano Mountain Film Festival 2017:
Film vincitore
The white maze (di Matthias Mayr)
Un documentario molto ben riuscito che ci accompagna per mano in un estremo lembo della Siberia orientale per conoscere l’ambiente naturale e umano di una terra sperduta e difficile, raramente ripresa dalle videocamere. L’avventura di un viaggio, anche notturno, nella steppa e nella taiga a temperature proibitive di -50 °C a cui sopravvivono pochi abitanti in villaggi sperduti è solo il preludio per le emozionanti riprese di discesa in sci – prime della storia – nella neve fresca del Monte Pobeda, il più alto della Siberia orientale, vetta che ora grazie al film non è più così sconosciuto, anche se resta inesorabilmente lontano.
Premio della Giuria
Oltre il confine – la storia di Ettore Castiglioni (di Andrea Azzetti e Federico Massa)
Nonostante lo storico mistero che aleggia attorno alla figura del mitico alpinista Ettore Castiglioni, il film è riuscito a ricostruirne, con una ricerca meticolosa e puntuale, la vicenda umana, alpinistica e artistica di un uomo che a pieno titolo è entrato nella storia non solo dell’alpinismo.
In un mix fra l’inchiesta giornalistica e la docufiction, il film riesce a entrare con efficacia nella complicata vicenda storica del tempo attraverso anche inedite testimonianze in modo da offrire allo spettatore, non senza emozioni, un ritratto quanto mai aderente al vero di Ettore Castiglioni.