Ghiacciai Alpini del futuro

Cosa ci insegna il 2022, annus horribilis per i ghiacciai Alpini?

Ghiacciai Alpini del futuro
(collassi, scomparse e processi non lineari)
di Giovanni Baccolo
(pubblicato su storieminerali.it il 25 ottobre 2022)

L’eccezionalità di quest’ultima estate per i ghiacciai Alpini
I ghiacciai al termine dell’estate dovrebbero mostrare due volti. Uno grigio nella porzione inferiore, dove le lingue si scoprono ed espongono il ghiaccio vivo. Un secondo in quota, dove la candida neve non dovrebbe mai sparire del tutto. Certo, se la parte bianca si riduce il ghiacciaio sarà destinato a ritirarsi perché poca neve residua implica poco nuovo ghiaccio prodotto. Non bisogna dimenticare che il ghiaccio è l’alimento dei ghiacciai. Se però almeno una piccola zona bianca sopravvive, il ghiacciaio allora avrà un futuro perché per quanto con difficoltà continuerà a produrre almeno un poco di ghiaccio.

Questa situazione dovrebbe essere la normalità ma è sempre più rara. L’estate 2022 è stata un massacro per i ghiacciai delle Alpi. La maggior parte di essi già a inizio agosto aveva perso tutta la copertura nevosa. E non solo sulle lingue più basse, anche alle quote più alte. Ovunque ghiaccio vivo esposto al calore pompato sui monti da un pervicace anticiclone africano.

Ghiacciai in condizioni come quello mostrato qui sopra alla fine di agosto 2022 non sono ghiacciai, sono fossili. Un ghiacciaio privo di neve è un fossile perché non produce nuovo ghiaccio e non può trovare un nuovo equilibrio. Può soltanto scomparire. Gli ultimi anni parlano chiaro, il clima non è più adatto ai ghiacciai alpini e il 2022 ce lo ha mostrato brutalmente.

Il ghiacciaio di Kleinfleiss negli Alti Tauri ripreso alla fine dell’estate 2021 e alla fine dell’estate 2022. Quest’anno la neve è completamente sparita dal ghiacciaio, le finestre rocciose si sono allargate e nuove ne sono comparse. La frammentazione del ghiacciaio è imminente. Fonte: https://www.foto-webcam.eu/.

Qualche numero sul ritiro glaciale del 2022
I ghiacciai alpini hanno attraversato l’estate più rovinosa delle ultime migliaia di anni. I tassi di ritiro sono stati talmente elevati da essere statisticamente insensati. In Svizzera, il paese che custodisce la più estesa area glacializzata delle Alpi, l’ultima stagione di fusione ha comportato una perdita di superficie glaciale pari al 6% del totale. Dimenticando la non-linearità del processo (e non si dovrebbe) si può dire che basterebbero 17 estati come quella che abbiamo appena vissuto per cancellare tutti i ghiacciai delle Alpi.

Prima di alimentare evitabili incomprensioni: questo numero, 17, è esagerato perché non tiene conto del fatto che i ghiacciai più in quota sono più resistenti al cambiamento climatico di quelli a bassa quota, oggi epicentro del dissanguamento glaciale. Nonostante sia eccessivo e non troppo accurato da un punto di vista scientifico, è comunque un numero che fa riflettere. Ricorda che la scomparsa dei ghiacciai non è un tema che riguarda un futuro indefinito, è qui e ora.

Perdita di volume di ghiaccio sui ghiacciai svizzeri. Il 2022 è stato talmente estremo da richiedere un adeguamento degli assi del grafico. Fonte: GLAMOS.

Da tempo il 2003 era considerato l’anno nero per i ghiacciai Alpini. Sempre rimanendo sui ghiacciai svizzeri, quell’anno venne perso il 2% della superficie. Il 2022 ha infranto il primato migliorandolo di 4 punti percentuali. La disfatta glaciale del 2022 nasce dalla sovrapposizione dell’incredibile scarsità di neve caduta (fino a -90% in alcuni settori delle Alpi Sud-Occidentali) e delle temperature che si sono mantenute senza interruzione sopra la media da maggio a settembre (e pare che ottobre non stia andando meglio). Queste condizioni hanno provocato la tempesta perfetta per i ghiacciai delle Alpi, determinando perdite di spessore di ghiaccio che oscillano tra i 3 e i 6 metri.

La perdita di massa non si è limitata ai settori glaciali inferiori, ha interessato anche aree dove non si era mai osservato un bilancio negativo. Lo si può apprezzare nei due grafici qui sotto, preparati da GLAMOS-Svizzera che cura il monitoraggio dei ghiacciai elvetici. Non sono di lettura immediata, ma se volete capirne meglio il significato trovate le informazioni in didascalia.

Figure 3 I bilanci di massa di due ghiacciai svizzeri. A destra il ghiacciaio dello Jungfraujoch, a 3400 metri di quota, a sinistra il ghiacciaio di Gries. Il bilancio è indicato in metri di acqua equivalente, vale a dire lo spessore di acqua che il ghiacciaio ha guadagnato (valore positivo) o perso (valore negativo) su base annua. Ogni anno è una barra grigia, a parte il 2022 che è mostrato in rosso. La curva blu riporta la distribuzione statistica dei valori di bilancio osservati. I due scenari sono diversi ma ugualmente allarmanti. Il ghiacciaio di Gries negli ultimi 60 anni ha quasi sempre perso massa, con un bilancio medio annuo di circa -1 metro di acqua equivalente (il picco della curva blu). Nel 2022 ha perso invece 4 metri di acqua equivalente. Il ghiacciaio dello Jungfraujoch è stato monitorato in alta quota, dove normalmente guadagna massa su base annua. Difatti il valore di bilancio medio annuo (picco blu) si attesta intorno a +2 metri di acqua equivalente annui. Nel 2022 anche a questa quota il ghiacciaio ha però perso massa (la linea rossa è nella parte negativa dell’asse-x). Fonte: GLAMOS_CHVAW_Glaciology.

Il collasso della Marmolada: un evento che verrà ricordato
L’estate 2022 non sarà soltanto ricordata per l’eccezionale ritirata dei ghiacciai ma anche per la tragedia avvenuta sulla Marmolada domenica 3 luglio 2022. Quel giorno parte di uno dei più noti ghiacciai italiani è crollato uccidendo undici persone. Dopo il cedimento la percezione che abbiamo dei ghiacciai è cambiata. L’evento ha mostrato che al tempo del cambiamento climatico i ghiacciai non si limitano a fondere silenziosamente, possono uccidere senza preavviso. E possono farlo su montagne considerate facili e sicure, frequentate da centinaia di persone nelle belle giornate.

Prima del collasso nessun glaciologo avrebbe indicato quello della Marmolada come un ghiacciaio a rischio. Anzi, questo apparato di modeste dimensioni era considerato anonimo, uno dei tanti piccoli ghiacciai alpini avviato all’estinzione. Dall’inizio delle osservazioni ha perso oltre l’80 % della massa ed è previsto che in pochi decenni sarà scomparso. I ghiacciai che versano in tali condizioni non si contano sulle Alpi ed è stato proprio questo a rendere l’evento così particolare, inaspettato e spaventoso.

La cicatrice aperta sul ghiacciaio della Marmolada dopo il crollo del 3 luglio. Fotografia del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico.

Da anni al termine dell’estate il manto nevoso che riveste il ghiacciaio della Marmolada scompare anche nei settori più in quota, rendendolo a tutti gli effetti uno di quei famosi fossili. La percezione che abbiamo di simili ghiacciai è quella di giganti morenti, agonizzanti e innocui. Tanti ghiacciai stanno seguendo questo copione e molti lo hanno già interpretato fino all’epilogo. Con la Marmolada è però andata diversamente, il gigante sfiancato ha tirato una zampata inaspettata.

Come spiegare il collasso del ghiacciaio della Marmolada?
Partiamo da quello che non è successo il 3 luglio 2022. NON è crollato un seracco come riportato dai più. I seracchi sono strutture instabili soggette a crolli improvvisi per loro natura. Se sulla Marmolada fosse precipitato un seracco, allora sì che la tragedia sarebbe stata in qualche modo prevedibile. Il mestiere dei seracchi è infatti quello di crollare, non quello delle placche di ghiaccio.

L’ipotesi più condivisa è che un sistema di crepacci abbia drenato in profondità una grande quantità di acqua di fusione. Il giorno del crollo era il ventitreesimo giorno consecutivo che sulla cima della Marmolada si registravano temperature positive. Per oltre tre settimane il ghiacciaio è stato avvolto in una cappa di aria calda che ha provocato una fusione continua, tanto di giorno quanto di notte. L’acqua accumulandosi avrebbe formato una tasca il cui peso avrebbe provocato il cedimento del ghiacciaio in corrispondenza dei crepacci, dove esso era già indebolito. I filmati confermano questo scenario mostrando che insieme al ghiaccio è precipitata una notevole quantità di acqua.

Una ricostruzione che mostra la dinamica del crollo avvenuto il 3 luglio 2022 sul ghiacciaio della Marmolada.

Ci vorrà del tempo per comprendere a fondo cosa è successo ma è chiaro che l’anomalo contesto meteorologico in cui si è trovato il ghiacciaio tra maggio e luglio ha avuto un ruolo fondamentale. La mancanza di neve ha fatto sì che le alte temperature intaccassero già da maggio il ghiaccio e non il manto nevoso come di consueto, indebolendo la struttura del ghiacciaio in modo sempre più profondo. L’assenza di rigelo notturno protratta per settimane ha poi sconvolto la dinamica glaciale estiva. Non più cicli quotidiani di gelo/disgelo, bensì un unico episodio di intensa fusione protratto per quasi un mese.

Lo stato del ghiacciaio a luglio era talmente compromesso da minarne la struttura non soltanto in superficie, dove siamo soliti ritenere si concentri la fusione, ma anche nella sua parte più profonda, invisibile e insidiosa. È questo il punto fondamentale su cui dovremmo soffermarci: nell’epoca del cambiamento climatico i ghiacciai non sono più intaccati soltanto in superficie, ma in tutto il loro spessore. Ciò comporta e comporterà qualcosa di nuovo nell’evoluzione dei ghiaccia ed è un elemento che dobbiamo imparare a gestire.

La distruzione dei ghiacciai ai tempi del cambiamento climatico
La tragedia della Marmolada deve essere un monito: ai tempi del cambiamento climatico i ghiacciai possono essere pericolosi in contesti che tradizionalmente non erano ritenuti tali. Il solco sempre più profondo che separa i ghiacciai dal contesto climatico in cui sono immersi ha creato questa condizione.

I ghiacciai sono sempre in cerca di equilibrio. Se fa caldo si ritirano in quota; nei periodi freschi si espandono verso valle per meglio dissipare gli accumuli nevosi. Oggi cosa accade? Ai tempi del cambiamento climatico non possiamo parlare di semplice ritiro. Oggi i ghiacciai si distruggono sotto ai nostri occhi perché la loro geometria è incredibilmente sbilanciata rispetto al clima contemporaneo. In una manciata di decenni il clima delle Alpi è diventato incompatibile con l’esistenza della maggior parte dei ghiacciai. La fusione estiva li consuma fino alle quote più alte, rendendoli irriconoscibili in pochi anni. I fossili di ghiaccio.

Lo sfacelo del Ghiacciaio Gepatsch in Austria. In tre anni la lingua del secondo ghiacciaio austriaco è andata in pezzi.

In condizioni naturali la fusione e il ritiro di un ghiacciaio sono processi ben approssimati da una relazione lineare. Se fa caldo il ghiacciaio fonde e si ritira, se fa ancora più caldo la fusione si fa più intensa così come il ritiro. Al contrario, se fa freddo la fusione diminuisce e il ghiacciaio diventa stazionario. La linearità è comune in natura: raddoppia la causa raddoppia l’effetto. Allo stesso modo i processi naturali sono però governati dalla non-linearità, solo che con questa abbiamo molto meno dimestichezza.

Buona parte dei regimi naturali lineari diventano non lineari quando alcune variabili superano una soglia. Tipping points o punti di non ritorno, così sono chiamati i punti di transizione a un regime non lineare. I sistemi naturali ne sono costellati e il motivo è semplice: energia. Quando le energie in gioco superano dei valori critici essi si riorganizzano per dissipare gli eccessi energetici, assumendo dinamiche profondamente diverse da quelle precedenti.

Il crollo della Marmolada può essere interpretato con questo schema. Il 3 luglio il ghiacciaio ha superato una soglia che in pochi secondi lo ha trasformato da corpo di ghiaccio immobile a sistema altamente instabile. Lo stress indotto dall’accumulo di acqua e dall’indebolimento del ghiacciaio ha passato il punto di non ritorno. Il sistema, attraverso il crollo, ha assunto una nuova geometria e liberato l’energia in eccesso.

La Marmolada ci ha mostrato che in alcuni casi i ghiacciai non si limitano a ritirarsi fino a scomparire, possono essere soggetti a dinamiche non-lineari e a cedimenti poco prevedibili. Questi temi sono estraneamente attuali in ambito glaciologico e gli studi pubblicati a riguardo si contano sulle dita di una mano. Tuttavia la maggior parte di essi è concorde nel sottolineare l’importanza di ciò che accade sotto alla superficie del ghiaccio per spiegare queste dinamiche.

Guardare dentro ai ghiacciai per comprendere collassi e cedimenti
Normalmente i ghiacciai perdono massa attraverso la fusione del ghiaccio superficiale, quello esposto al calore dell’atmosfera. Il cambiamento climatico e il rapido deterioramento della condizione di molti ghiacciai hanno però cambiato le cose. Ora i ghiacciai sempre più spesso perdono massa anche dall’interno, a causa dell’interazione tra il ritiro stesso del ghiacciaio, le temperature sempre più alte e la circolazione interna dell’acqua di fusione.

Un recente studio pubblicato da Egli e colleghi (2021) ha dimostrato che a partire dagli anni 2000 i ghiacciai svizzeri sono sempre più interessati da fenomeni di crollo e cedimento. Ciò accade soprattutto sulle lingue terminali, le porzioni dei ghiacciai a più bassa pendenza, quelle solitamente ritenute più stabili e sicure da approcciare.

Grazie a una minuziosa campagna di rilevamento, gli studiosi hanno identificato su molti ghiacciai delle formazioni particolari chiamate crepacci concentrici o calderoni di ghiaccio. Come suggerito dal nome, si tratta di fenditure circolari che si aprono seguendo traiettorie concentriche in specifici punti del ghiacciaio. La loro presenza indica le fasi iniziali di un collasso provocato dalla presenza di un “vuoto” nella massa glaciale. Quando una cavità endoglaciale creata dalla circolazione interna dell’acqua di fusione diventa troppo grande, il soffitto cede formando queste strutture. Nell’immagine qui sotto ne sono mostrati diversi esempi.

Una rassegna di crepacci concentrici (calderoni di ghiaccio) osservati sulle lingue di alcuni celebri ghiacciai svizzeri. Queste forme indicano l’imminente collasso di ampie porzioni di ghiacciaio provocate dalla fusione avvenuta internamente al ghiacciaio. Da Egli et al., 2022.

Le ricerche hanno determinato che queste strutture si formano nelle regioni terminali dei ghiacciai, specie dove le lingue hanno pendenze dolci, quasi pianeggianti. In queste zone la fusione è intensa e il ghiaccio, sempre più sottile, rimane isolato dal flusso in arrivo da monte. Una tale situazione fa sì che i condotti sotterranei scavati dall’acqua di fusione non possano sigillarsi durante l’inverno. Il flusso di ghiaccio è talmente debole da lasciare le cavità aperte, redendole di anno in anno sempre più grandi.

Alla fine intere porzioni di ghiacciaio crollano a causa dell’indebolimento indotto dalle cavità endoglaciali. Quando si verificano tali crolli il ritiro subisce un’accelerata. A seguito di un collasso un ghiacciaio può perdere decine di metri di lunghezza in una singola stagione. Il ritiro passa da lineare a non lineare.

Evoluzione di un collasso subglaciale sul ghiacciaio d’Otemma, ripreso tra luglio 2018 e luglio 2019. Da Egli et al., 2022.

Lo studio conclude indicando che i collassi sono diventati più frequenti a partire dal 2000 e in modo particolare dal 2016. Da allora si osservano circa 4 collassi all’anno sui 22 ghiacciai monitorati ai fini del lavoro. Questa situazione è causata dalla temperatura dell’aria estiva sempre più alta, che induce tassi di fusione e ritiro non compatibili con dinamiche puramente lineari. I ghiacciai per smaltire gli eccessi di acqua di fusione modificano radicalmente il loro funzionamento, indebolendosi e perdendo interi settori in lassi di tempo sempre più brevi.

Ambienti glaciali al tempo del cambiamento climatico: è necessaria una nuova consapevolezza?
Il crollo della Marmolada e i collassi di cui sopra sono eventi diversi ma accomunati da alcuni fattori. I ghiacciai alpini, specie quelli che si sviluppano al di sotto dei 3500 metri -e sono la maggior parte- sono immersi in un clima incompatibile con la loro esistenza. Durante i mesi estivi sono soggetti a fusione continua per mesi, comprese le ore notturne. Per dissipare l’acqua di fusione sempre più abbondante i ghiacciai sviluppano complessi sistemi di circolazione sotterranea che possono portare all’accumulo di tasche d’acqua interne e al collasso di ampie porzioni glaciali.

Considerato tutto ciò la domanda da un milione di euro rimane «Sarà possibile prevedere eventi di questo tipo in futuro?». Dal crollo in Marmolada questo quesito attraversa il mondo della glaciologia con crescente insistenza. Sicuramente in futuro potremo conoscere meglio le dinamiche non-lineari di ritiro e collasso, ma arrivare a prevedere questi eventi puntualmente rimarrà molto difficile.

I ghiacciai sono tanti e hanno caratteristiche diverse; difficile creare degli strumenti predittivi che identifichino i singoli ghiacciai da monitorare e ancor più difficle monitorarli tutti. Le dinamiche di crollo nascono all’interno dei ghiacciai, dove è assai difficile riuscire ad accedere e ottenere informazioni.

La sequenza di tre foto illustra cavità sublgaciali sul ghiacciaio di Lares (Gruppo dell’Adamello) esplorate a Settembre 2022 dai membri della Commissione Glaciologica della SAT. Fotografie: Cristian Ferrari.

Più realisticamente è auspicabile un’evoluzione della nostra percezione degli ambienti glaciali. Siamo abituati a seguire regole definite da consuetudini alpinistiche sviluppate sotto il segno di un clima che non c’è più. Le montagne e il clima si trasformano, deve evolversi anche il nostro modo di andare in montagna. Sono personalmente contrario ai divieti. La montagna è un ambiente per definizione pericoloso e annullare i rischi che comporta la sua frequentazione è impossibile ed educativamente sbagliato.

L’unica strada percorribile è quella della cultura e della consapevolezza. Chi frequenta un ghiacciaio al tempo del cambiamento climatico deve conoscere i rischi a cui si espone e avere consapevolezza delle nuove dinamiche che governano quegli ambienti. Invece di imporre divieti non sarebbe più legittimo battere il chiodo della divulgazione e della conoscenza del cambiamento climatico in montagna?

Il crollo provocato dal collasso della volta superiore di un canale intraglaciale (ghiacciaio d’Otemma). Nel cerchio rosso l’operatore che governa il drone che ha scattato la fotografia. Da Egli et al., 2022.

Considerato quello che ho cercato di raccontare con questo interminabile articolo (grazie se siete arrivati fin qui), i consigli che mi sento di dare a chi frequenta i ghiacciai al tempo del cambiamento climatico sono questi:

Le tradizionali regole per la frequentazione dei ghiacciai non sono più attuali. Le condizioni climatiche sono cambiate, allo stesso modo devono cambiare le consuetudini alpinistiche.

Un tempo si consigliava di frequentare i ghiacciai d’estate nelle prime ore del giorno, quando l’effetto del rigelo notturno comportava il massimo consolidamento. Oggi i ghiacciai posti sotto ai 3500 metri spesso non sono soggetti a rigelo notturno nei mesi estivi.

Prima di frequentare un ghiacciaio bisognerebbe consultare la quota dello zero termico, e non soltanto nel singolo giorno d’interesse ma anche in quelli precedenti e nelle ore notturne.

Quando lo zero termico si mantiene per lunghi periodi al di sopra della quota del ghiacciaio considerato, è plausibile che l’apparato in questione abbia subito forti stress prodotti dalla fusione ininterrotta. Sono queste le situazioni potenzialmente a maggior rischio di crolli e cedimenti.

Se si verificano le condizioni del punto precedente bisognerebbe prendere in considerazione la scelta di un momento più fresco per accedere al tal ghiacciaio.

Quello che sappiamo dei processi non-lineari di cedimento è che essi sono frequenti sulle lingue terminali pianeggianti, quelle maggiormente frequentate. Questi ambienti, solitamente percepiti come relativamente sicuri, sono quelli che nascondono le maggiori insidie. Per ridurre il rischio sarebbe saggio evitare la loro frequentazioni nei periodi più caldi dell’estate.

In conclusione
Questo è sicuramente tra gli articoli di Storie Minerali che mi hanno richiesto più energie. Affronta un tema poco noto che stiamo imparando a conoscere solo ora. Ci sono volute undici esistenze spezzate per accorgersi dell’urgenza di questi argomenti. La tristezza e la disperazione che il crollo della Marmolada hanno provocato da una parte rendono gravoso trattare questi temi, ma allo stesso tempo ci obbligano a farlo. Quelle morti devono spingerci a una maggiore consapevolezza degli stravolgimenti provocati dal cambiamento climatico sulle Alpi.

Ho cercato di essere chiaro e conciso ma probabilmente non ci sono riuscito. C’è poi la possibilità che alcuni di voi abbiano idee diverse dalle mie, specie riguardo ai rischi derivanti dalla frequentazione dei ghiacciai. Sono temi inevitabilmente affetti da una buona dose di soggettività. Se la pensate in modo diverso fatemelo sapere, confrontarsi su questi temi è fondamentale e sono sicuro che i punti elencati qui sopra hanno ampio margine di miglioramento.

Per approfondire
Avanzi et al. (2022) Case study: The 2021-2022 snow deficit in Italy, EUMETSAT Satellite Application Facility on Support to Operational Hydrology and Water Management.

Berthier & Gascoin (2022) Estimation of Marmolada glacier collapse volume using Pléiades imagery, Centre d’Etudes Spatiales de la Biosphère

Egli et al. (2021) Subglacial Channels, Climate Warming, and Increasing Frequency of Alpine Glacier Snout CollapseGeophysical Research Letters 48:e2021GL096031

Mercalli et al. (2022) “Tre Luglio 2022: crollo e valanga di ghiaccio al ghiacciaio della Marmolada (Dolomiti), evento imprevedibile innescato da un periodo anomalo di caldo e intensa fusione nivo-glaciale”, NIMBUS.

Santin et al. (2019) Recent evolution of Marmolada glacier (Dolomites, Italy) by means of ground and airborne GPR surveysRemote Sensing of the Environment 235:111442.Worse than 2003: Swiss glaciers are melting more than ever before, Swiss Federal Institute for Forest, Snow and Landscape Research WSL (2022).

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Ghiacciai Alpini del futuro ultima modifica: 2023-02-10T05:32:00+01:00 da GognaBlog

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9 pensieri su “Ghiacciai Alpini del futuro”

  1. Infatti si vedono, e sentono, tutti i giorni i risultati dei 100 che si fanno il mazzo. Forse sono proprio solamente 100.

  2. Mi permetto di suggerire che le conclusioni in corsivo dovrebbero essere stampate ed affisse in tutte le sedi CAI, ma anche presso le GA, che, per quanto possano essere considerate al top per l’esperienza sulla progressione (soprattutto escursionistica) su ghiaccio, dovranno aggiornare le loro conoscenze senza dare nulla per scontato.
    Quanto a 6. Commento al top per generalizzazione. Fa più notizia un insegnante incapace, che 100 che si fanno il mazzo nel tentativo di sostituirsi a quanto dovrebbero fare e in molti casi non fanno, i genitori, cioè educare. 

  3. Grazie. Da mandare in prima serata al posto del festival della canzone italiana.

  4. Paolo Gallese:
    Educazione ambientale nella scuola dell’obbligo?
    Sarebbe già abbastanza sperare che la scuola EDUCHI. Semplice educazione normale. Ma per fare questo ci vorrebbero insegnanti educati e invece li vedi piparsi la sigaretta e buttare il mozzicone a terra, cosa vuoi educare con sti tamarri. L’educazione ambientale verrà dopo, o di conseguenza

  5. @  4
     
    È il principio dei vasi comunicanti applicato all’umanità.
     
    Pertanto, chi vola in aereo una volta al mese inizi a diradare: non piú di una volta ogni due anni. Chi naviga in panfilo passi a una barca a remi o a un gommone. Chi scia si scordi gli impianti di risalita. I ricchi e potenti della Terra col ditino alzato incomincino a darci l’esempio!
     
    È la “transizione verde”, bellezza!
    E io – senza ironia – su questi punti sono del tutto d’accordo.
     

  6.  rinunciare alla parola chiave “crescita economica” mettendo al primo posto l’ecologia integrata.
     
    Facile parlare con a pancia piena. 
    Se siamo 8 miliardi, ma gli ESPERTI dicono che la terra potrebbe tenere al piu’ 2 o 3 miliardi. Nei paesi occidentali pero’ consumiamo molte piu’ risorse di quelli poveri dove vi è maggiore popolazione. Quindi se tutti devono contrarre i consumi l’occidente deve contrarne tantissimo. Poniamo che e non credo di essere fuori piu’ di tanto che un occidentale consumi 5 o 8 volte un povero africano ma anche di piu’. Ora costui dobbiamo elevarli la qualita’ di vita (aggiungo dovrebbe elevarsela da se, ma lasciamo stare). All’occidentale invece andiamo a togliere il 70% dei consumi per portarlo alla pari degli altri (che nel frattempo abbiamo migliorato). 
    Ora voglio vedere quanti di voi sono disposti a rinunciare all’80% dei consumi. Quindi consumare il 65% in meno di mangiare per esempio, niente smart, niente auto o se ne fai 20k km all’anno ne fai al piu’ 4k, riduzione riscaldamento del 70%. 
    Beh ovviamente niente scarponi da cambiare ogni 5 anni ma te li rattoppi e tiri avanti 12 o 15 anni, Ramponi si rompono, non ne compri piu’, etc. 
    Qno mi dira’, beh c’è anche la tecnologia che ci permette di usare meno risorse per unita’ di prodotto. Si no. E’ un po’ come la macchina elettrica, i pannelli fotovoltaici etc… alla fine se prendi il ciclo di vita del prodotto non ottieni sti gran risparmi di risorse… anzi. 
    Tutto facile parlare con la pancia piena ripeto… è la persistenza degli aggregati che ben spiega Pareto. 

  7. Concordo Ines. E alla luce delle tue considerazioni, insisto sulla necessità di un ripensamento alle attuali modalità di educazione ambientale nella scuola dell’obbligo.

  8. Grazie Giovanni Baccolo, mi associo al commento di Paolo Gallese, è un articolo perfetto che meriterebbe una diffusione molto ampia sulla stampa sociale del CAI. Ho avuto modo ieri l’altro di fare una breve comunicazione didattica presso l’Università della Tuscia sull’indagine che mi appresto a compiere, il campionamento di microplastiche sulla neve oltre i 2000 m di quota in Appennino, per la precisione su alcune vette dell’Appennino. Ovviamente ho parlato anche del tema delle coperture geotessili sui ghiacciai molto criticate in ambiente scientifico ANCHE per questo motivo. La cosa che mi ha sbalordito di più? I giovani miei colleghi Dottorandi con il docente di Green Chemistry non ne sapevano nulla, tutta l’attenzione è rivolta ai mari, ai fiumi, agli oceani. E mi è venuta una riflessione lapalissiana. Si sa di un fenomeno se c’è il cataclisma, se c’è il morto (nella Marmolada è stata tragedia). Eppure anche all’Università, che dovrebbe essere il tempio della ricerca a braccetto con l’etica,  troppi studi applicativi sono legati o a obiettivi aziendali o a ricerca pura su microsistemi, i cui esiti sono difficilmente comunicabili e divulgabili. A chi può interessare su larga scala?  Penso che sia ora che il mondo accademico scenda tra noi e soprattutto tiri con forza le giacchette dei politici. Gli investimenti privati per la crescita del PIL in montagna devono essere rivisti con una scala diversa secondo me perché viviamo in un’epoca storica in cui tutti parlano di emergenza ecologica e di cambiamento climatico ma gli interventi virtuosi – se ci sono – restano puntiformi e mai sistematizzati. Lasciare alla decisione del singolo è davvero aspettare la catastrofe annunciata, gli enti finanziatori dovrebbero avere proprio un altro occhio e rinunciare alla parola chiave “crescita economica” mettendo al primo posto l’ecologia integrata.

  9. Grazie per aver pubblicato questo breve saggio (articolo sarebbe riduttivo). E grazie per la preziosa mini bibliografia finale.
    Il tema che a me sta a cuore è naturalmente la divulgazione, soprattutto con i bambini, futuri turisti, sciatori, escursionisti, magari alpinisti. In particolare con i bambini di grandi aree metropolitane, i meno consapevoli per ovvie ragioni, ma anche i minori destinatari di buone iniziative di sensibilizzazione.
    Un problema che riscontriamo, come impresa sociale impegnata sul fronte dell’educazione ambientale, di cui sono uno dei responsabili, è la mancanza di bandi ad hoc. Parlo di bandi perché sono l’unica fonte di finanziamento per operazioni di questo genere. Ma l’attenzione degli enti che erogano questi fondi è concentrata quasi esclusivamente su forme di coinvolgimento dei bambini su esperienze urbane, sui comportamenti da insegnare per una cittadinanza responsabile. Insomma forme di educazione ambientale che replicano un modello teso a meccanicizzare comportamenti cittadini. Cosa assolutamente utile e necessaria, ma alla quale manca un pezzo fondamentale: la comprensione dei meccanismi naturali che si stanno insinuando nel nostro quotidiano. Meccanismi complessi e lontani soprattutto, poco legati in apparenza alla nostra percezione del vivere cittadino.
    Ritengo che la comprensione di questi meccanismi, di ciò che sta accadendo nel contesto di stagioni ormai diverse da quelle che hanno caratterizzato la nostra infanzia, possa offrire un senso, uno scopo, un obiettivo al virtuoso agire “ecologico” che viene chiesto di “insegnare” quasi acriticamente.
    Purtroppo è molto difficile attirare l’attenzione degli enti finanziatori su questi più raffinati obiettivi, come pure è difficile coinvolgere il mondo della scuola (nelle città) su questi problemi.
    L’imperativo “facciamo fare esperienza ai bambini” si risolve in un comodo agire nei parchi urbani, che Natura non sono, semmai solo giardini progettati e ordinati.

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