Ghiacciai delle Alpi
(scritto nel 1998)
La Barre des Écrins rischiava d’essere la meta più sfortunata del nostro vagabondare franco-piemontese (ma in seguito le Aiguilles d’Arves si rivelarono anche peggio). Ai primi di giugno ero salito con Eugenio Dall’Omo, Gabriele Casarico e la guida francese Bernard Fabre. Il Refuge des Écrins era chiuso per lavori, così pernottammo al Refuge du Glacier Blanc. Il mattino dopo c’inoltrammo nel ghiacciaio verso la Barre des Écrins ma, giunti all’inizio del pendio ripido subito dopo al Col des Écrins, dovemmo constatare che il tempo era pessimo e non valeva la pena di proseguire. A luglio Marco Milani era stato con Andrea Cipriani in vetta alla Roche Faurio senza poter realizzare la foto panoramica per colpa di nuvole dell’ultimo momento. Ed infine, ad agosto, toccava di nuovo a me, da solo, salire questa cima. Non mi è mai piaciuto passeggiare da solo per un ghiacciaio, lo facevo solo perché sapevo che c’era una pista battuta. Il pericolo infatti è l’unica variabile relativa ai ghiacciai che è sopravvissuta inalterata ai grandi mutamenti che essi hanno subito in queste ultime decadi.
Il Großvenediger e il ghiacciaio Schlatenkees, Alti Tauri, Austria
Precipitazioni nevose in diminuzione, temperatura media annuale in lieve ma costante rialzo, creste un tempo di neve che oggi gradualmente si scoprono e mettono a nudo i loro detriti: ed infine ghiacciai che si ritirano. È questa la realtà odierna nell’alta montagna delle Alpi.
Il fenomeno è ben visibile per chi da tanti anni frequenta i luoghi alti e ne ha seguito l’evoluzione con quello sguardo attento di chi non solo è pieno d’interesse per l’evento naturale ma pure è direttamente coinvolto nelle ormai diverse tattiche di percorso degli itinerari storici e classici. Passaggi che prima permettevano un veloce accesso ad un’ascensione oggi sono diventati pericolosi per le scariche di ghiaccio, oppure impraticabili per l’eccessiva fratturazione del manto glaciale. Ed è proprio con grande esperienza che ci si deve accingere al superamento di questi nuovi ostacoli, assolutamente non previsti dalle guide e dalle monografie non aggiornate. Ecco perché ho voluto parlare di tattica di percorso.
Ma di certo chi si avvicina per la prima volta ai ghiacciai ed al mondo dell’alta montagna non è portato a realizzare a prima vista quali cambiamenti ci sono stati, perché la sua attenzione è tutta rivolta alla bellezza comunque ancora ben reale di tali ambienti. E in effetti la differenza è molto più sensibile al cospetto di ghiacciai piccoli, perché sono soprattutto questi ad aver subito in proporzione un colossale smagrimento.
Aletschhorn e Aletschgletscher
I grandi ghiacciai invece mostrano ancora tutta la loro imponenza e solo chi li ha conosciuti vent’anni fa prova una stretta al cuore, come se gli rubassero un patrimonio di inarrivabile valore. E ciò che più fa male è la constatazione che il fenomeno sta continuando, senza che noi possiamo fare nulla per arrestarlo o rallentarlo.
Allorché il turista con famiglia o l’alpinista con piccozza e ramponi si affacciano nella conca di detriti e mammelloni rocciosi sottostante il Glacier Blanc, con alle spalle il selvaggio e minaccioso Pelvoux, si apre loro una visuale ancora oggi stupenda: la seraccata del ghiacciaio piomba dall’alto con grande possanza. Una cascata di torri di ghiaccio che continuamente si creano e si frantumano va a depositarsi su alcune lingue di ghiaccio che a poco a poco si esauriscono nei detriti ed in alcuni rumorosi ruscelli. È una vista bella per i piccoli (che subito ci chiedono perché non abbiamo portato gli sci) e per i grandi (alcuni dei quali pensavano che la neve ci fosse solo d’inverno). Coloro che proseguono perché hanno intenzione di salire qualche cima il giorno dopo, presto vedranno la seraccata da molto vicino e poco dopo sfioreranno con i loro passi il corpo in apparenza dormiente del grande ghiacciaio che scende quasi in piano ed occupa tutta la vasta valle a nord est della Barre des Écrins.
E lo spettacolo non è ancora finito, perché i crepacci, questi solchi verdastri che spaccano lo scorrere uniforme della massa glaciale, non finiscono mai di stupirci. L’iconografia dei secoli passati parlava di caverne terribili, mostri pronti a divorare lo sfortunato viandante: la cronaca di oggi purtroppo riferisce spesso di incidenti, ponti che crollano e tragedie. Il rapporto che abbiamo con i crepacci è assai complesso, anche se ci riteniamo capaci di affrontarli, anche se prendiamo le misure di sicurezza necessarie. Per saltarli occorre un passo sicuro, ma uno sguardo alle scure profondità è sempre abbastanza raggelante per tutti. I crepacci sono una meravigliosa fonte di mistero.
Un giovane stambecco di fronte al ghiacciaio del Rodano ricoperto da teli bianchi per proteggerlo dallo scioglimento, 19 luglio 2016. Foto: Epa/Urs Flueeler.
Ma dove la potenza della montagna si rivela in pieno è nelle seraccate che ingombrano i versanti delle montagne, là dove sarebbe pura follia avventurarsi, anche di notte e d’inverno, quando si presume che tutto ma proprio tutto sia impietrito dal gelo più stabile. E qui sulla Barre des Écrins ne abbiamo un esempio grandioso.
Volendo avere un’idea dei ghiacciai delle Alpi si può studiare un percorso ideale, nel quale naturalmente sia possibile scegliere differenti formule di percorso o di contemplazione, a seconda dell’esperienza e della curiosità di ciascuno. Di certo la lista non è esauriente, ma basta appunto per avere un’idea generale.
Anzitutto ci si può recare da Chamonix al Montenvers con il trenino e da lì ci si aprirà alla vista il fiume ghiacciato della Mer de Glace, tra i Dru e le Grandes Jorasses, tra le Aiguilles de Chamonix ed il Dente del Gigante. In primavera sarà bianco, mentre d’estate il grigio ed il nero del ghiaccio avranno il sopravvento e la visione sarà ancora più impressionante.
Anche se da Zermatt saliamo in trenino al Gornergrat avremo lo stesso tipo di emozioni, di fronte al Gornergletscher, altrettanto immenso, ed alle sue montagne, dal Monte Rosa ai Lyskamm ed ai Breithorn. Oltre il Colle del Lys c’è l’Italia con un tipico ghiacciaio “meridionale”, cioè rivolto a sud: molto meno esteso, ma di una grandiosità diversa, che fa a meno dell’effetto “fiume” così tipico dei ghiacciai “settentrionali” o extraalpini.
Il Glacier du Trient è un gioiello già più difficile da conquistare perché non v’è alcuna funivia che lo avvicini più di tanto. Esso occupa una vasta conca orizzontale, in questo abbastanza simile al Pian di Neve del nostrano Adamello. Nelle nostre Alpi non sono molti i bacini ghiacciati di questo tipo, nuclei centrali dai quali derivano ripide colate.
Infine il percorso non può non includere l’Aletschgletscher, il più vasto ed imponente di tutti, che scorre tra i colossi della Jungfrau e dell’Aletschhorn. Alcuni numeri ne descrivono l’eccezionalità: superficie: 86,7 kmq (80,8 kmq senza detriti); lunghezza massima attuale: 24,7 km; larghezza media: 3,8 km; velocità massima di scorrimento: 53 cm/giorno. L’Aletschgletscher è un vero e proprio fossile dell’era glaciale. Al Konkordiaplatz è alimentato da quattro rami confluenti la cui pressione ha provocato una tale escavazione sulle rocce di fondo che lo spessore del ghiaccio arriva a 890 m, il massimo per un ghiacciaio alpino.
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