E’ morto un personaggio di grande spessore nel mondo dell’alpinismo, dell’arrampicata e della cultura.
Era ricoverato all’ospedale di Perugia dopo avere contratto il CoViD-19 mentre soggiornava in un albergo all’Abetone con la moglie Kiyoka, i figli Lea e Alvise e un gruppo di amici/clienti tutti immediatamente messi in quarantena. Kiyoka era vaccinata e non ha contratto il virus, come pure i figli (fonte: Antonio Mariani).
Le straordinarie vie alpinistiche aperte da Gigi Mario sul Gran Sasso, come pure la scoperta storica della scogliera di Gaeta e della falesia di Ferentillo, la sua abilità di scalare ancora con grande agilità (lo si può vedere in Lazio verticale, a ottant’anni) e soprattutto la sua deliziosa autobiografia Lo zen e l’arte di scalare le montagne (Monterosa Edizioni, 2015) lo rendono indimenticabile anche a chi non lo ha mai conosciuto.
Questi afferma giustamente che «La storia di Gigi Mario, se raccontata sottolineando le gag, potrebbe sembrare la sceneggiatura di una serie televisiva o di un film. Invece è una storia di vita autentica, che dimostra come un uomo possa costruirsi una vita seguendo le sue doti naturali e le sue passioni». Sempre Stefano Ardito ricorda che «Nato a Roma in una famiglia modesta, Gigi ha attraversato da bambino, nel quartiere Appio-Latino, accanto alla basilica di San Giovanni, i mesi terribili della guerra e dell’occupazione nazista. Il suo primo contatto con l’arrampicata, a sedici anni, è stato sulle antiche mura del Colosseo, da cui è stato cacciato in malo modo da un pizzardone, un vigile urbano di Roma. Poco dopo il ragazzo, che aveva in testa una gran chioma di capelli rossi, ha scoperto l’arrampicata autentica. E ha iniziato a disegnare sulle pareti del Gran Sasso delle vie di straordinaria difficoltà ed eleganza, dallo Spigolo a destra della Crepa del Corno Piccolo fino al Quarto Pilastro del Paretone del Corno Grande».
Orvieto piange la scomparsa di Gigi Mario
di Monica Riccio
(pubblicato su ilmessaggero.it del 10 novembre 2021)
Luigi Mario, per tutti Gigi, o Engaku Taino, monaco Zen e maestro di alpinismo si è spento martedì 9 novembre 2021 a 83 anni.
Luigi Mario, dagli anni ’70 anni residente a Orvieto, in un casale poi grazie a lui diventato Tempio Zenshinji di Scaramuccia, era nato a Roma, nel quartiere Appio-Latino, nel 1938. Appassionato di montagna fin dagli anni giovanili – la sua entrata nel CAI è del 1954 – è diventato guida alpina nel 1959, maestro qualificato di sci nel 1965 e di arrampicata nel 1985. Nel 1962 abbandona un impiego in banca e diventa gestore del rifugio Franchetti al Gran Sasso. Nel 1965 è in Canada come maestro di sci. Nel 1967 si trasferisce in Giappone alla ricerca di un contatto diretto con la tradizione Zen.
È accettato – tra i primissimi italiani a esserlo – nel Monastero di Shofukuji di Kobe divenendo servitore personale del roshi Yamada Mumon, da cui – l’8 aprile del 1971 – viene ordinato monaco con il nome di Engaku Taino. In Giappone sposa Kiyoka nel 1973 e, nello stesso anno, torna definitivamente in Italia dove, nella campagna orvietana restaura un vecchio casale acquistato precedentemente. Nel 1974 nasce Lea, nel 1976 nasce Alvise.
Nella campagna orvietana, dove si dedica anche ai suoi vigneti, fonda una comunità-scuola di monaci laici. Nel tempio Scaramuccia Bukkosan Zenshinji di Orvieto si praticavano gli insegnamenti buddhisti della scuola Lin Chi di Chan mediante la tradizionale meditazione a gambe incrociate e non solo. La peculiarità della scuola fondata da Luigi Mario consisteva nel mutuare aspetti tipici della cultura d’occidente all’interno della tradizione orientale. L’arrampicata, l’alpinismo, lo sci ed altre attività fisico-sportive convivono e si intersecano con la pratica della meditazione, con lo Yoga ed il Tai Chi.
Accanto alla cura del tempio, Mario ha dedicato il suo tempo anche alle centinaia di allievi che sono passati per la sua scuola di alpinismo, frequentando corsi di arrampicata libera, di alta montagna e di sci e per cinque anni. Dal 1978 al 1985 è stato presidente della commissione tecnica delle guide alpine italiane e direttore dei corsi di formazione. Fino al 2001 ha ricoperto il ruolo di responsabile dell’arrampicata nell’Associazione Guide Alpine Italiane. A lui si deve la riforma che ha cambiato il nome delle guide alpine in “guide alpine-maestri di alpinismo”.
Nel 2013 il film maker Alberto Simpliciotti gli ha dedicato un documentario dal titolo Un giorno lungo 50 anni.
Gigi Mario, “il bonzo”
di Gianni Battimelli
Tra le varie linee di salita attrezzate per l’arrampicata sul magnifico calcare del Monte Pellegrino, a Palermo, ce n’è una che si chiama la via del Bonzo. Il “bonzo” era, all’anagrafe, Luigi Mario, universalmente conosciuto come Gigi nel mondo della montagna e dell’arrampicata, ma a cui nel giro più ristretto dei suoi allievi ci si rivolgeva usando il nome buddista di Engaku Taino, che aveva scelto dopo essere stato confermato monaco zen al termine del suo soggiorno in Giappone all’inizio degli anni Settanta. Gigi ci ha lasciato ieri all’età di 83 anni, al termine di un particolarissimo itinerario di vita che ne ha fatto una delle figure più singolari e atipiche, carismatiche e controverse, del piccolo universo dell’alpinismo e delle professionalità che intorno ad esso si sono costruite. Non era facile, circa mezzo secolo fa, definirsi insieme guida alpina comunista e buddista, ma Gigi ha saputo con grande onestà intellettuale e rigore personale tenere insieme queste identità, scontrandosi spesso e volentieri con le chiusure che da parte dei suoi mondi di appartenenza venivano opposte a quello che ai più appariva un ibrido innaturale.
Cresciuto alpinisticamente nell’ambiente borghese della sottosezione universitaria del Club Alpino di Roma, lui che non era né di famiglia borghese né studente, Gigi si è affermato rapidamente come uno degli esponenti di punta dell’alpinismo romano dell’epoca. Le vie nuove da lui tracciate al Gran Sasso tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta sono rimaste a lungo senza ripetizioni, segnando un punto di svolta rispetto agli standard del momento, più ancora per l’originalità della concezione e l’inventività dei mezzi tecnici utilizzati che per le difficoltà intrinseche. Era appena stato costruito il rifugio Franchetti, di fronte alla parete del Corno Piccolo, e per qualche anno Gigi ne prese la gestione, un passo nella direzione di fare dell’alpinismo e della montagna passione e professione insieme. Ma presto, in anticipo sui tempi nel modo di vivere la passione per la scalata, Gigi si rese conto che la concezione dominante della pratica dell’alpinismo gli stava stretta e non lo soddisfaceva; e mentre iniziava il percorso per conseguire il titolo di guida alpina elaborava una sua personale filosofia dell’andare per monti, una versione tutta sua di quella che, qualche anno più tardi, altri avrebbero sotto altre forme teorizzato, sostituendo alla “lotta con l’alpe” la “pace con l’alpe”, o inventando i “nuovi mattini”. Gigi, intanto, già alla fine degli anni Sessanta aveva mollato gli ormeggi, la gestione del Franchetti e il lavoro da cameriere nei bar lussuosi di via Veneto, e se ne era andato in Giappone a campare facendo il maestro di sci e iniziando un percorso di crescita spirituale all’interno di un monastero zen. Tornò in Italia dopo qualche anno, avendo nel frattempo conseguito il diploma di guida alpina, e il nuovo nome di Engaku Taino al termine del percorso di formazione che ne aveva fatto un monaco buddista, nell’aprile del 1971.
Monaco buddista e comunista, due qualifiche non fatte per renderlo particolarmente ben visto negli ambienti più conservatori del mondo dei professionisti della montagna. Ma oltre che monaco buddista e comunista, Gigi Engaku Taino era indiscutibilmente bravo, e indiscutibilmente pieno di iniziativa e idee innovative. E così “il bonzo” si trovò a ricoprire negli anni Ottanta prima il ruolo di direttore dei corsi nazionali e della commissione tecnica dell’AGAI, l’associazione delle guide alpine italiane, e in seguito di responsabile dell’arrampicata, in un’epoca in cui tutto stava cambiando nel mondo della montagna, con l’avvento dell’arrampicata sportiva e delle nuove domande di professionalità che essa richiedeva. Gigi si fece portatore convinto di queste istanze, organizzando quelli che avrebbero dovuto essere i primi corsi per la formazione di una nuova figura professionale, quella del “maestro di arrampicata”, da affiancare a quella tradizionale della guida alpina, sull’esempio di quanto già in Francia era avvenuto con l’istituzione dei “moniteurs d’escalade”. Alla fine, resistenze di varia natura vanificarono il suo progetto, e le aspirazioni di tanti che ci avevano creduto e vi avevano investito un pezzo del proprio futuro. E il fatto che ancora oggi, a oltre trent’anni da quelle vicende, in Italia siamo ancora lontani da una adeguata soluzione del problema la dice lunga, tanto sulla inerzia del nostro mondo alpinistico quanto sulla lungimiranza della visione di Gigi.
Intanto aveva messo su famiglia, e la casa diroccata di Scaramuccia, in Umbria, si era gradualmente trasformata in un autentico tempio buddista, in cui si trasmettevano insieme, agli allievi che la frequentavano, le nozioni di base dell’arrampicata e gli insegnamenti della pratica zen Rinzai. L’Unione Buddista Italiana ha ricordato Engaku Taino come uno dei suoi Maestri fondatori; e, in un periodo in cui dirsi zen era diventato un abito diffuso quanto poco conosciuto, Gigi era un vero monaco zen, passato attraverso un lungo percorso di iniziazione e arrivato ad essere riconosciuto come un Maestro dai numerosi giovani (e non solo giovani) che sono passati per Scaramuccia. Per i tantissimi che magari alla dimensione della pratica zen erano indifferenti, Gigi rimane affettuosamente “er bonzo”, quello che a partire dalle pareti di Ferentillo ha saputo creare dal nulla in una valle dell’Umbria una realtà centrata intorno all’arrampicata; se non il primo in assoluto, certo uno dei primi, e tuttora rari, casi in cui la sinergia tra professionisti del verticale e amministrazioni locali sensibili ha funzionato efficacemente.
Così lo ricorda Stefano Ardito
Come prima di lui Fosco Maraini, e John Lennon qualche anno più tardi, in Giappone Gigi ha trovato la donna della sua vita.
Tra i suoi allievi sono stati dei ragazzi del Gran Sasso destinati a diventare famosi, come Paolo Caruso, Giampiero Di Federico e i fratelli Cristiano e Fabio Delisi, ma anche decine di forti alpinisti del Nord, che restavano a bocca aperta di fronte ai capelli rasati a zero e all’accento romanesco di “Giggi er bonzo”, che scalava come un treno in scarpette, strumento che molti di loro non conoscevano ancora. E che, nei momenti di riposo, insegnava loro a praticare il Tai Chi.
Merita di essere ricordata l’invenzione della falesia di Ferentillo, allo sbocco della Valnerina, dove Gigi Mario, che aveva in tasca la tessera del Partito Comunista Italiano, ha coinvolto il sindaco del Movimento Sociale Italiano. Il luogo, anche grazie alla spittatura a regola d’arte delle vie, è diventato ed è ancora la parete più frequentata dell’Umbria.
Così lo ricorda Paolo De Luca
Gigi Mario, avendo vissuto a Pietracamela per tanti anni, era carissimo amico del mio indimenticabile papà Antonio.
Ecco cosa disse Gigi a mio padre, un giorno a casa mia a Pietracamela: “Mi porti i viveri al rifugio Franchetti con il tuo asino?”.
Gli rispose mio papà: “Gigi, l’asino non resiste a portare un carico partendo dal piazzale dei Prati di Tivo fino al rifugio Franchetti…”.
Ricordo che in estate saliva al rifugio e, per “ripararsi ” dal sole, usava l’ombrello aperto (però non pioveva)
“Antonio, domani vado al Franchetti e rimango al rifugio per 10 giorni. Se non mi vedi in giro per Pietracamela questo è il motivo”. Ecco cosa diceva Gigi a mio padre nei mesi non turistici (Gigi andava al rifugio a novembre, dicembre, gennaio, febbraio, marzo, aprile da solo).
Caro Gigi, ora potrai sciare e scalare le montagne del Paradiso.
Così lo ricorda Geri Steve
(da una mail di Geri Steve a Giuseppe Bonifazio)
Ieri è stata una pessima giornata. Nel pomeriggio un amico mi ha telefonato comunicandomi che era morto un nostro carissimo amico comune: Gigi Mario.
Esattamente sessant’anni fa ero occasionalmente in cordata con lui in Brenta, sulla stupenda via in parete di Paul Preuss al Campanil Basso.
Lui era già un alpinista affermatissimo, io cominciavo.
Al passaggio chiave della via sono salito rapidamente, probabilmente ci tenevo a far vedere che io ero all’altezza. Gigi non ha apprezzato e mi ha detto: Geri, che peccato, un così bel passaggio lo hai superato di forza!
Io ho capito, sono sceso, poi risalito, e ho dichiarato: Gigi, avevi ragione:
adesso lo ho salito in eleganza; è molto bello.
Gigi non era solo uno che saliva e apriva vie di alto livello: era un esteta, ed aveva una volontà ferrea nel perseguire ciò che lo attraeva.
Abbiamo perso i contatti, lui è stato anni all’estero, io ho smesso di arrampicare, ma ogni volta che ci rivedevamo sembrava che fossimo stati sempre insieme. E’ anche quello che proprio lui mi ha scritto, nella dedica su un suo libro sui suoi nuovi Koan Zen, i primi Koan dopo secoli di silenzio Zen.
Sì, perché lui, che quando era gestore del rifugio Franchetti si studiava il giapponese sui nastri (allora le cassette non c’erano) di un registratore Geloso collegato con batteria d’auto, portata a spalla per oltre mille metri di dislivello, poi in Giappone c’è andato davvero e ci è pure diventato monaco Zen: il suo maestro l’ha chiamato Engaku Tanu.
L’ultima volta che l’ho visto era un anno fa, a Scaramuccia, dove ha fondato il suo monastero Zen, adesso chiuso perché lui si è pensionato. Lavorava come agricoltore, insegnava Zen e arrampicata, ma non ha mai voluto fare il prete professionista.
Ieri l’orribile CoViD-19 mi ha portato via un caro amico.
La sua non è stata una dolce e comprensiva fine, come dovrebbe essere per tutti noi. Non so i dettagli, ma immagino che fosse intubato in ospedale senza nessuno vicino (reparto covid, no visite), mentre i suoi stavano lontano in quarantena.
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E’ vero che c’è anche una componente “sociale” nella decisione di chi ci crede e si fa vaccinare anche se onestamente penso prevalga quella individualista (sia per evitare il contagio sia per potere andare in pizzeria…).
Peraltro chi teme che il contagio da COVID sia più rischioso del vaccino si è sicuramente fatto vaccinare senza contare troppo sulla collaborazione e sul vaccino degli altri.
P.S.: sono vaccinato.
Mah …. è vero, c’è poco da dire, le scelte personali si rispettano e non si discutono. Oggi però, in questo periodo infame, non funziona così e con certe scelte tutte tue, alla fine rischi di portarti dietro chi non ha la tua età e la tua consapevolezza del vivere e del morire, e che di seguirti dal Creatore non ha proprio la minima intenzione.
mi pare anche plausibile che un monaco zen ultraottantenne non tema particolarmente la morte o se ne preoccupi più di tanto.
non c’è altro da aggiungere.
La seconda moglie di Fosco Maraini era giapponese. Si separò dalla prima dopo il periodo passato in Giappone. Di quel periodo scrisse in Ore giapponesi che è un bel libro.
In quanto alla già vexata questio della sua morte e al fatto che non fosse vaccinato a me pare plausibile che una persona della sua età abbia delle controindicazioni. Come mi pare anche plausibile che un monaco zen ultraottantenne non tema particolarmente la morte o se ne preoccupi più di tanto.
Detto questo da parte di persone che lo consideravano un maestro e che probabilmente gli volevano bene mi sarei aspettato più sensatezza e cautela. Sensatezza che purtroppo è assai poco diffusa.
…e ultimo Bonatti, il quale, con la sua proverbiale diplomazia, disse che aveva fatto poco la guida alpina però aveva subito capito che di quel mestiere non si poteva vivere.
E pensare che proprio il sentire da molti che di guida alpina non ci si poteva vivere è stato per me forse la motivazione più grande per provare a viverci. Due cugini di mio padre, un conoscente di mia madre, tutti guide alpine che facevano altro, e qui nel racconto di Paleari, addirittura Bonatti. Se è per quello, mia madre diceva che avere in famiglia uno come Bonatti sarebbe stata una disgrazia e questo pure servì ad avvicinarmi all’alpinismo. Non Bonatti, ma quello che diceva mia madre.Altro aneddoto su Gigi è quando un giorno del 1983 a Pietracamela incontrò un’anziana signora che gli disse che suo figlio, che Gigi aveva conosciuto quand’era un bambino, era diventato così grande che aveva dovuto cambiare la 500 perché non ci stava più dentro. Gigi guardandola le disse ‘mmazza che sfortuna.
Gigi Mario era così, spontaneo e senza filtri, ma ce ne fossero…
Se c’è qualcosa di inopportuno, nei commenti, anzi di veramente intollerabile, è la ferocia di certe offese a sangue. Per evitare di dar di fuori è buona regola dormirci su e poi rileggersi, prima di postare.
Primi anni novanta, istruttore ai corsi guida, S.Vito di Cadore, modulo roccia. Gigi in quegli anni non era più direttore dei corsi, passati a Cesare Cesabianchi, ma continuava a fare l’istruttore (e che istruttore!). Era anche apparso diverse volte in tv in programmi sul buddismo e la gente lo riconosceva per strada. Una sera andammo, io e lui, a mangiarci un buon gelato da Fiori quando un turista lo riconobbe e gli chiese se fosse davvero lui. Gigi annuì mentre affondava il cucchiaino nella coppa di gelato. “Ma lei è un monaco buddista e sta qui normalmente a mangiarsi un gelato?!” gli disse meravigliato.
“‘mmazza, eccosì bbono…” fu la risposta. E continuammo i nostri discorsi.
Primi anni Ottanta, istruttore delle guide da poco: non proprio una matricola ma comunque uno dei più giovani. Eravamo a Courmayeur per il periodo di alta montagna. Direttore del corso Gigi Mario.
Credo fosse il pranzo di fine corso, c’erano le autorità: alcune guide valdostane, il presidente delle guide italiane Germagnoli e Walter Bonatti. Noi istruttori eravamo seduti alla tavola delle autorità, gli allievi sugli altri tavoli. Gigi era seduto vicino ai personaggi più importanti, io, dall’altra parte del tavolo ma quasi alla sua altezza, lo potevo vedere bene. Al momento del dolce si alzarono a parlare in tre o quattro: Germagnoli, un assessore, Gigi, e ultimo Bonatti, il quale, con la sua proverbiale diplomazia, disse che aveva fatto poco la guida alpina però aveva subito capito che di quel mestiere non si poteva vivere.
Restammo tutti di sasso: davanti a trenta giovani che stavano diventando guida la sua affermazione era incredibile. Ma Bonatti era fatto così.
Nessuno ribatté, però, appena Bonatti si sedette, una mosca cominciò a ronzargli intorno. Lui, che era seduto vicino a Gigi Mario, cominciò a sventolare le mani per scacciarla. Gigi allora si girò verso il grande alpinista, mise le mani davanti al viso, come per applaudire, e con un colpo secco le sbatté una contro l’altra. Quando le aprì, sulla tovaglia bianca, vicino al piatto di Bonatti cadde una mosca. Gigi la prese delicatamente per le ali e la buttò per terra, poi, imperturbabile, finì di mangiare il tiramisù.
stavolta l’osteria non è stata svuotata cacciando gli avventori troppo ubriachi come nel caso mio ?
no problem
rispetto per Gigi Mario e per la sua famiglia
(seconda parte)
Ma è alle Gole del Melfa che è accaduto qualcosa che mi è rimasto impresso. Tu eri con il tuo solito gruppo di allievi. Ad un certo punto si è liberata una via che io avevo già salito alcune volte e che conoscevo bene. Mi sono avvicinato a te dicendoti che la via 225 Terza fermata era libera e che, se volevi, potevamo scalarla insieme. Quando ci siamo trovati all’attacco della via, ti ho chiesto se volevi che la montassi io o se preferivi salirla tu per primo. Mi hai risposto che avresti voluto montarla tu e così è stato. Quel grado lo padroneggiavi piuttosto bene, anche a vista. In quell’occasione, però, non ti riuscì al primo giro. Quando fu il mio turno, salii concentrato e veloce, con il tuo sguardo attento e la tua sicura. Sono riuscito a salirla senza resting, forse perché conoscevo bene le sequenze e non avevo l’ulteriore difficoltà di montare i rinvii. Appena sceso, mi hai fatto i complimenti e io mi sono sentito profondamente grato e in sintonia con te. Non avevo né il tuo livello tecnico, né la tua fluidità. Eppure ero riuscito, grazie a te e ad Ulisse, uno dei tuoi allievi, a trovare la forza, il tempo e la motivazione per coltivare quella mia passione per l’arrampicata che proprio nell’estate del 2006 avevo riscoperto e che è ancora viva in me.
Ti ricorderò con affetto e profonda stima, perché sei riuscito ad essere un maestro non solo di arrampicata. Ti saluto con le parole che ci hai lasciato: “Si va in montagna non per conquistare ad ogni costo una vetta, ma per imparare a diventare l’arrampicare stesso; non per il primato della discesa più ripida, ma per disegnare curve con il cuore oltre che con gli sci. Per sentire il proprio respiro mescolarsi e perdersi in quello della Montagna.”
Ciao Gigi.
(prima parte)
Gigi,
ci siamo conosciuti 15 anni fa quando stavo muovendo i primi passi in arrampicata. Ti ho cercato perché avevo sentito parlare di te, guida alpina e maestro zen, e desideravo apprendere come muovermi in montagna. Avevi organizzato un’uscita in Dolomiti della tua Scuola della montagna, insieme ai tuoi allievi, amici e familiari. L’obiettivo era stare in gruppo e scalare alcune vie tra Cinque torri, Falzarego e Lagazuoi. E’ stato in quell’occasione che ho scoperto il piacere di scalare in montagna. Il pomeriggio ci si riuniva nella casa presa in affitto: c’era chi meditava con te, chi leggeva e chi riposava.
Di ritorno dalle Dolomiti mi sono unito nuovamente al tuo gruppo quando hai organizzato l’uscita di arrampicata a Piobbico. Tu arrampicavi sempre in modo leggero, fluido, usando il minimo di forza necessaria per superare i passaggi di roccia. Ricordo che in falesia ti chiedevo sempre dove secondo te io stessi sbagliando e come avrei potuto migliorare.
In seguito a queste uscite, ci siamo visti più di rado. E’ capitato a Ferentillo durante qualche corso di arrampicata che hai tenuto. Quando ti vedevo, ti salutavo e ti chiedevo se potevo rendermi utile. Allora mi suggerivi di salire qualche via in modo da poter lasciare la corda e permettere a qualche allievo di cimentarsi con l’arrampicata. Ci siamo rivisti alcune volte al Gran Sasso. In quelle montagne ho ripetuto alcune tue bellissime vie sulla seconda e prima spalla, sulla est del Corno piccolo, sulla vetta Occidentale, sul Monolito o sulla parete est dell’Anticima Nord della vetta Orientale.
Aver frequentato Gigi Mario, i suoi corsi di alpinismo e le bellissime, spartane, settimane di sci a Chamonix mi ha arricchito enormemente. La differenza di età non è mai stata un ostacolo, perché Gigi era giovanissimo dentro, molto più di me che ho diciassette anni di meno. Ho condiviso con lui momenti che mi hanno segnato: illuminato no, a causa dello scetticismo congenito che mi ha sempre limitato nel rapporto con le discipline legate in qualche modo all’astrazione. Però Gigi Mario non era un asceta, girava con L’Unità sotto il braccio e praticava (e predicava) una vita attiva e ispirata al miglioramento di se stessi in rapporto con il mondo. Non mi manca, perché ha dato tutto il meglio di sé e di più non avrebbe potuto. Grande uomo, questo sì, che ricorderò sempre con affetto e rispetto, per le scelte di vita difficili e la semplicità con cui viveva la sua vita. Era apprezzato da tutti i suoi allievi, perché sapeva insegnare senza spiegare.
Per me è solo un enorme dispiacere perché era una persona che mi trasmetteva gioia e fiducia quando lo incontravo, in falesia. La speranza che abbiamo di durare non è misurabile, non è logica, non rientra nel buon senso. Ha fatto la sua vita. Non la nostra. Fino alla fine.
Pubblicare caso particolare di decesso con nome e cognome e professione e causa covid e vaccinato o non vaccinato: lo fanno in molti articoli di cronaca di giornali nazionali e locali..non si sa se per fare notizia o dare moniti utili.Invece salvando l’anonimato, meglio le stastiche asettiche che seguono l’evoluzione dei fenomeni e cure, senza differenziare il cordoglio tra famosi o umili cittadini anonimi. Stessa ansia di pubblicizzare le vaccinazioni di Vip ;meno male che qualcuno si e’rifiutato di annunciarlo Urbi et Orbi ,lasciando con un palmo di naso qualche anchor man o woman che campano di share, spot e scoop..Le decisioni del singolo, se personaggio pubblico,(sportivo , politico, alpinista, canottiere o bobbista o tennista o gran chef) sono controproducenti..convincono magari i fans ma parimenti allontano quelli che provano antipatia…e non entrano faticosamente nel difficile merito specifico dell’informazione di esperti medici. Oggi ho sentito un commento appropriato allo slogan cantato da gente da stadio “la gente come noi non molla mai”-Un medico di Trieste ha commentato”Vale ed e’valso da prima e varrà soprattuto per noi medici e infermieri e autisti di ambulanze e volontari che da due anni non abbiamo mai mollato, altri dopo le adunate di protesta senza precauzioni tornano a casa …ed alcuni dopo giorni finiscono in ricovero ospedaliero o terapia intensiva (e non e’ un nesso temporale ma di causa effetto in quanto gli assistiti dichiarano di aver partecipato alle proteste senza precauzioni, ma ormai il virus e’entrato e non si cura di pentimenti a posteriori )
Sig.Albert, il Sig.Max di certo non voleva interagire con i dati sensibili del deceduto, ha espresso solo una considerazione che tutti fanno a pari situazione in questa epoca pandemica , non tutti possono vaccinarsi a fronte di alcune esposizioni cliniche, ma questo è irrilevante a fronte di 83 anni nel nostro caso ben vissuti e ben spesi e ricchi di contenuti che la persona in questione certamente ha reso tali grazie a se e a coloro chi erano a lui vicino. Quello che è indisponente e l’approccio povero e offensivo che spesso traspare tra i fruitori del sito. L’aver fatto exploit alpinistici più o meno difficili amatoriali o professionali non rende gli autori più elevati o utili agli altri di molte altre persone che hanno attività più terra terra ma certamente meno proiettate eppure molto utili ed essenziali, Il Sig.Max ne ha citate 3500 decedute. Ecco è questo il difetto dell’alpestre circuito, pensare solo a se pensando che tutto il resto sia niente altro che il contorno della propria proiezione.
n2)Forse non si e’ vaccinato perche’ non POTEVA per suoi motivi di salute , facile sparare sentenze..vorreste entrare nella sua cartella clinica ? O leggere la sua anamnesi se esiste nel fascicolo del medico di base , o volete craccare il suo file sanitario se esiste la cartella clinica informatica nella sua Assl?? qualcuno sa gia’ quale fosse la sua ? siete agenzie assicurative o giudici? adesso vogliamo entrare pure nelle discussioniavute in famiglia o cercare chi gli ha passato eventualmente il virus??”Non c’è vitache almeno per un attimo non sia stata immortale.”Per un alpinista poi tali attimi sono stati parecchi. http://blog.petiteplaisance.it/wislawa-szymborska-sulla-morte-senza-esagerare-non-ce-vita-che-almeno-per-un-attimo-non-sia-stata-immortale-la-morte-e-sempre-in-ritardo-di-quellattimo/
Grazie Marcello per averci racc9ntato di Gigi.
Sig, Max lasci perdere (ragazzi) molti di questi hanno passato una certa età e non è l’astio Lei in quanti persona e nemmeno per gli operatori deceduti e che l’anagrafe bloccandogli (termine arrampicatorio) altre disponibilità vogliono usare il loro giocattolo sino anche a romperlo, poi vi sta una dialettica (?) di chi ha speso troppo tempo a schivar pietre e pericoli……
Ragazzi, va bene idiota, testa di c., inopportuno… ma in realtà sento tutta questa vostra intelligenza, astio e rancore non tanto nei miei confronti quanto una vera e propria mancanza di rispetto verso i 3500 sanitari che sono morti in Italia per arginare questa pandemia.
A parte l’idiozia..termine in uso ad un noto divulgatore scientifico immaginiamo, testa di…. ah di certo un gran ricercatore e letterato, per il era meglio se si vaccinava beh certo se ne conviene,ma ache pro? E’ deceduto a 83 anni una vita ben spesa e longeva, Lao Tsu affermava che di finestre e porte è fatta una casa ma è nel suo vuoto che vi è il fine…poi i tiramenti del 8+++ dello spigolino ben temperato di alpestre memoria ha ha ha ,l’onanismo del pan e pera..P.S era comunista ( non è un pregio semai..)
Con certa Poesia Geri, non è troppo chiudersi nell’illuminismo?
Forse è Mieko Namiki la moglie di Fosco, o una eventuale seconda.
GIGI
Forse il più bel ricordo che ho di Gigi è quello di una volta che arrampicavavo per conto mio sulle Fiamme di pietra al Gran sasso. Stavo vagando a zonzo sulle pareti di splendido calcare del Campanile Livia quando ho capito di non essere solo.
Nelle nebbie si intravedeva un’altra figura, solitaria anch’essa. Niente di stupefacente che fosse Gigi. Ci siamo appena salutati, per non disturbare quel meraviglioso silenzio nebbioso.
Abbiamo danzato insieme, uscendo per la fessura della via Valeria. Una arrampicata insieme, un bel dialogo in parete, senza parole, senza cordata. Noi due, nella montagna.
Poi sono comparsi altri, fra cui Lino D’Angelo, e abbiamo combinato un paio di cordate super-sociali e anomale sulla Punta dei Due. Anomale e supersociali perchè c’erano poche corde, credo solo due, e ci siamo legati in almeno sei facendo mini tiri, in vicina e allegra compagnia di tutti.
Bello, ma il momento magico è stato quello prima.
Ci ha uniti per tutta la vita, senza che ci fosse alcuna corda a legarci.
Non posso dire che non mi manchi Gigi, però mi ci sento ancora insieme anche se non lo vedo, per la nebbia o per la morte. Vedo il suo volto insieme pensoso e sorridente, come in quella foto. Gliela ho scattata un anno fa a Scaramuccia. Ma quando eravamo insieme in montagna quel suo sorriso era ancor più disteso.
Geri
Solo un dubbio, che non riguarda Gigi Mario ma un altro grande, citato nell’articolo: Fosco Maraini. Non mi risulta che avesse, come si dice, una moglie giapponese. Andatevi a leggere lo stupendo “Love Holidays”, quaderni d’amore e di viaggi insieme dei due, con introduzione della figlia Dacia Maraini. La moglie e donna per la vita si chiamava Topazia Alliata, italianissima, bella, siciliana, artista straordinaria.
Ho conosciuto brevemente Gigi Mario durante una giornata a Ripa Majala due anni fa. Era ancora fortissimo e l’ho ammirato salire su gradi che a me saranno preclusi per tutta la vita, a 80 anni. Era un grande uomo, ed ora si appresta a diventare leggenda. Spero almeno di riuscire a ripetere qualche sua via, prima o poi. Penso che mancherà a tantissimi. Ancora un abbraccio alla sua famiglia, per cui è stato sicuramente un grandissimo esempio.
14) ormai c’e’sovrabbondanza di cause ed effetti ,informazioni statistiche ecc., anche nel campo incidenti ormai e’difficilissimo trovare casi nuovi..sempre ormai ripetute le precauzioni da adottare in vita e montagna..son talmente tante che per prevenire bisognerebbe non vivere piu’ liberamente, sempre sotto spada di Damocle. Ocio a questo, ocio a quello, fatti il check up..alla fine non rimarrebbe piu’ budget e tempo per quel che si vorrebbe veramente fare.Il nuovo e’la “cura”risolutiva..la piu’lontana e costosa, da validare. Anche l’ansia salutistica fa i suoi danni…si arriva all’ipocondria. Qualunque sia la causa di dipartita, si vuol sempre affibiare una mancanza , una trascuratezza , un “te l’ avevo detto di…metterti la maglietta, non mangiare l’ovo sodo freddo..farti una risonanz a totale e 200 esami di laboratorio..”
Ripassa “analisi”.
francamente non ci vedo nulla di male nell’ analizzare le cause di morte. È ‘come quando succede un incidente in montagna… è buona cosa chiedersi cosa si poteva fare per impedire l’incidente.
Cio’ non diminuisce affatto il mio rispetto verso un grande uomo e l’evento tragico della sua morte.
non ho conosciuto Gigi mario ma ho avuto la fortuna di poter ripetere le sue belle vie al Gran Sasso.
Grazie Gigi.
questa te le potevi risparmiare testa di cazzo.
Purtroppo so poco di Gigi Mario. Perciò ne leggo, per imparare chi fu, e taccio. Taccio anche di fronte alla sua morte.
Che uomo!
Che mutazioni!
Dalla banca alla terra da coltivare .
Che quest ultima ti sia lieve…
Piccola contraddizione?
L’insopprimibile desiderio di marcare il territorio con le proprie deiezioni. Come i cani. State zitti perdio. Almeno di fronte alla morte. Chiudete i computer per un giorno e andate nella natura se potete. Le persone si ricordano in silenzio, con dignità e rispetto.
no 5.
E perché?
E’ morto un grande uomo e alpinista. Doppio dolore perchè la causa della sua morte scatenerà inevitabilmente altre polemiche…
Il commento di Max è sicuramente inopportuno, ma altrettanto sicuramente non idiota…
Nuova preghiera per Gigi.
[Il no 2 è la temibile risultante. Più forte del Drago, dell’assenteismo cerebro-parlamentare, dei dictat europei, di Davos e compagnia. Siamo dentro un grande, soffocante no 2. Ne ho paura].
A parte l’idiozia inopportuna del commento precedente, mi ritengo tra i fortunati che hanno conosciuto e frequentato Gigi e l’hanno avuto come Maestro. Si perché Gigi era un Maestro anche quando non parlava e restava a lungo con gli occhi chiusi. Ti veniva spontaneo spiare ogni sua mossa. E poi aveva un senso dell’ironia gigantesco, caratteristica che nel ristretto ambiente delle guide alpine non era spesso compresa. Probabilmente è stato il più grande innovatore della nostra professione da quando esiste, tanto da poterla definire dell’era ante e post Gigi Mario.
Prima del Giappone fece l’esperienza di maestro di sci in Canada in compagnia del suo amico Maurizio Roveri, romano anche lui e di 2 anni più grande. I due non avevano nessun titolo ma riuscirono a convincere il responsabile di una scuola di sci che li assunse a lavorare. Grazie all’amicizia con Maurizio Roveri, che ebbe una vita molto simile a quella di Gigi e si trasferì a vivere a Corvara dove lo conobbi, frequentai Gigi anche dopo i corsi guida. È stata una delle persone con cui discutevo meglio e con cui ci facevamo grandi risate. Come istruttore era molto esigente ma avevendo la dote innata del Maestro sapeva trasmetterti sempre gli strumenti per farti sentire all’altezza della situazione da affrontare.
Durante un corso guide si fece da primo, a vista, ovviamente in libera tutti i tiri più duri della via Hasse Brandler alla nord della Cima Grande di Lavaredo che aveva più di 50 anni, stupendo i suoi allievi e guadagnandosi la stima dei più chiusi e diffidenti.
Non lo dico perché è morto ma Gigi era un uomo come ne ho conosciuti pochi e il vuoto che lascia resterà tale a immortale insegnamento.
Se si fosse vaccinato, molto probabilmente sarebbe ancora vivo.
Meglio sarebbe non dire che patologia si porta via una persona.Imperversa nel gergo della comunicazione lo”stroncamento”da infarto , pari a “morsa “del gelo.Oppure la critica postuma allo stile di vita e scelte della persona “andata avanti”.