Giù le mani dal Lagorai?
di Giorgio Daidola, docente di Analisi economico-finanziaria per le imprese turistiche, Università di Trento
Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(2)
Ho partecipato all’incontro organizzato l’8 novembre 2018 dalla SAT (Società Alpinisti Trentini) sulla Translagorai, in cui il numero di simpatizzanti e attivisti del movimento “Giù le mani dal Lagorai” (da ora in poi denominato “movimento”) è stato schiacciante. L’impressione che ne ho avuto è che la maggioranza dei presenti abbia partecipato all’incontro solo con l’obiettivo di criticare il progetto SAT-PAT (Provincia Autonoma di Trento), non per correggerlo o cambiare qualcosa nella pratica dell’escursionismo in Lagorai. Ho insomma percepito un rifiuto pressoché totale a qualsiasi idea o progetto di cambiamento. Secondo il “movimento” basterebbe uno, al massimo due bivacchi e tutto sarebbe perfetto. Non bisognerebbe cambiare nulla, il Lagorai andrebbe bene così. Dovrebbe rimanere una specie di riserva indiana, unica in un Trentino devastato dal turismo di massa delle città in montagna. Si direbbe una reazione quasi isterica a un mondo che non piace più, la ricerca esasperata di un ultimo spazio libero da eleggere a proprio terreno di gioco. Gli altri (escursionisti) che non la pensano così vadano pure altrove, sui sentieri affollati delle Dolomiti, “che mi fanno schifo”: cosi si è espressa una delle attiviste del movimento, suscitando un lungo battimani.
Verso la Cima dei Paradisi 2296 m. Foto: Giorgio Daidola
Questa chiusura quasi totale a qualsiasi progetto di sviluppo di un turismo di montagna basato sull’escursionismo, che è lo sport outdoor più sostenibile e più diffuso, oltre che in continua crescita, è davvero preoccupante. Un turismo del genere, distante dalle strade, dagli impianti di risalita, integrato alle attività locali (allevamento, artigianato, ospitalità genuina stile vero rifugio) è adatto a vaste fasce di popolazione e rappresenta, se ben gestito, il modo migliore per dare a chi vuol vivere in montagna, per nascita o per vocazione, un reddito dignitoso, alternativo a quello alienante del turismo di massa. Posso capire un atteggiamento di rifiuto irrazionale ad un turismo del genere, come manifestazione di rabbia nei confronti di un Trentino invaso da una ragnatela di impianti di risalita e di strade, posso capire i dubbi circa un possibile snaturamento del progetto così come è stato presentato ma dicendo solo dei no si rischia davvero di sprofondare in una pericolosa forma di anarchia, con atteggiamenti che non possono non ricordare quelli dei NoTav, dei No Tap, dei No a ogni cambiamento. Atteggiamenti insomma da “decrescita felice”, non importa se proprio felice lo sarà.
Da un punto di vista economico per una regione di montagna come il Trentino rifiutare a priori progetti di sviluppo basati sull’escursionismo per tutti è un po’ come farsi karakiri. Tutti i paesi alpini limitrofi, Svizzera, Austria, Francia, e anche le regioni confinanti, stanno puntando su questo tipo di turismo e ne stanno già cogliendo i benefici in termini di valore aggiunto prodotto e di occupazione in montagna. Hanno infatti capito che si tratta di un turismo intelligente, rispettoso dell’ambiente e della cultura alpina. Si tratta anche dell’unica alternativa alla progressiva devastazione della montagna propria del turismo detto di massa.
Sul versante sud della Cima di Cece, verso la forcella Paradisi 2018 m. Foto: Giorgio Daidola
In quest’ottica le malghe in quota, per essere redditizie e non continuare a sopravvivere grazie ai contributi pubblici, oppure per non rimanere in stato di degrado, devono prevedere un’integrazione dei redditi agricoli con quelli di un turismo consapevole quale quello sopra delineato. Gli escursionisti che effettuano oggi la Translagorai fruendo dei pochi bivacchi fatiscenti (ammesso di trovarvi posto) non portano nulla al territorio, salvo gli escrementi che vi lasciano. A tale proposito i dintorni degli attuali bivacchi, quelli sì, fanno oggi davvero schifo, non le file indiane di escursionisti che salgono sui sentieri del Catinaccio per raggiungere l’ospitale rifugio Preuss.
Lago Brutto a quota 2207 m verso la forcella di cima Moregna 2397 m. Foto: Giorgio Daidola
Sentiero verso il rifugio Sette Selle. Foto: Giorgio Daidola
A questo punto chi legge pensa che chi scrive concluda con una lode sperticata dell’attuale progetto SAT-PAT, o si limiti a qualche critica più o meno benevola, tanto per non farsi catalogare troppo di parte. Ma non è così. Il progetto SAT-PAT è sbagliato nelle premesse e andrebbe quindi rivoltato come un calzino, ossia completamente rifatto, per poterne garantire, una volta avviato, l’auspicato successo e anche evitare le possibili deviazioni paventate dal “movimento”. Le linee guida da seguire sarebbero tre, tutte piuttosto ovvie ma tutte dimenticate:
1) prima di ristrutturare malghe e rifugi occorre individuare le figure dei gestori delle strutture, attraverso appositi bandi. Deve infatti trattarsi di persone oneste e preparate a gestire veri rifugi di montagna o malghe con servizi di ristoro e pernottamento per escursionisti. Qualcosa di ben diverso dagli alberghi e dai ristoranti, tanto per intenderci. Per le malghe i gestori hanno anche il compito di organizzare le attività agro pastorali e di artigianato connesse, i cui prodotti verranno offerti ai turisti. Devono quindi essere persone capaci di fare impresa, di curare con entusiasmo i rapporti con gli ospiti e, cosa molto importante, devono seguire direttamente i lavori di restauro delle strutture che avranno la responsabilità di far funzionare. Tutto questo vale anche e soprattutto per Malga Lagorai, posta al centro delle critiche. Questo diverso modo di procedere è possibile, basta capirne l’importanza e volerlo. Questo capitale umano è tutt’altro che facile da trovare ma da esso dipende il successo del progetto;
2) le strutture devono poter accogliere i turisti tutto l’anno, sia per soddisfare le caratteristiche della domanda che per permettere una soddisfacente redditività. Ne deriva ad esempio che costosi progetti di ristrutturazione senza adeguati impianti di riscaldamento per l’inverno e quindi funzionanti solo in estate non stanno in piedi economicamente. In inverno e in primavera il Lagorai rappresenta un terreno ideale di traversata con le ciaspole o con gli sci, un terreno ideale per far scoprire a tutti la magia del turismo invernale sostenibile, valida alternativa sia allo sci servito da impianti di risalita che alle gite mordi e fuggi in giornata. Aggiungo che le lamentate salite e discese che secondo gli attivisti del movimento “Giù le mani dal Lagorai” farebbero perdere tempo prezioso (ma le traversate non dovrebbero essere un “elogio della lentezza”, non dovrebbero prevedere tutto il tempo necessario per calarsi il più possibile nell’ambiente?) in inverno diventano motivo di grandi soddisfazione per chi ama il vero sci. Ovviamente questo utilizzo invernale richiede serie riflessioni sull’ubicazione dei posti tappa. Attualmente la traversata invernale del Lagorai puó essere fatta solo da scialpinisti allenati in grado di progredire velocemente per 4/5 giorni con zaini pesanti, la realizzazione di posti tappa gestiti ne potrebbe fare una “haute route” classica di grande richiamo.
Campo q. 2050 sul versante sud della Cima Cece: sullo sfondo la dorsale della Cima dei Paradisi. Foto: Giorgio Daidola
3) un progetto di questa mole può essere valutato seriamente solo sulla base di un business plan, ossia non solo sui preventivi per effettuare le costose ristrutturazioni ma anche su serie previsioni economico finanziare relative alla gestione delle strutture che ne risultano. Il business plan risulta essenziale non solo per valutare l’investimento ma anche e soprattutto per fissare degli obiettivi da raggiungere e per controllarne la realizzazione. Si tratta di un documento davvero essenziale per un progetto ambizioso di queste dimensioni, la cui stesura sembra essere stata del tutto dimenticata.
Si può quindi concludere che nel progetto SAT-PAT per la Translagorai si parte dal tetto anziché dalle fondamenta. Il probabile fallimento di un progetto del genere non potrà che far gioire i fautori del mantenimento del Lagorai come riserva indiana. Ad essi vorrei però ricordare che i bivacchi hanno maggior senso solo in alta montagna, oltre i tremila metri, dove risulta difficile costruire e gestire rifugi e dove possono arrivare in pochi e quindi i 6/8 posti letto possono essere sufficienti. Comunque sia, chi ha fatto del vero backpacking nelle riserve indiane sa che in esse anche i bivacchi sono banditi.
NdR: a questo proposito, il 16 novembre 2018 su L’Adige è apparso questo commento di Carlo Guardini.
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l’ oggetto della determina inizia con la parolina magica :
“VALORIZZAZIONE “
Quando leggo questa parola mi vengono i brividi.
L’associo alla parola “COLTIVAZIONE” che in Apuane viene usate per definire l’attività estrattiva nelle cave di marmo.
Miracoli della Translagorai: Il bivacco con l’acqua calda!
Il progetto avanza con la ristrutturazione del bivacco a Malga Miesnotta e la realizzazione del nuovo sentiero Malacarne, in area protetta ZSC! Dalla determina si evince che il bivacco, credo caso unico in Trentino, avrà l’acqua calda in bagno e in cucina! Somiglia molto a un’altra furberia del servizio Aree Protette che lascia sbalorditi: dopo le malghe che diventano ristoranti, ecco i “bivacchi” con le docce calde e la cucina attrezzata! Che cosa si sta architettando di soppiatto?
Nella mia ingenuità credevo poi che i parchi servissero anzitutto a tutelare l’ambiente, invece sono diventati enti di promozione e sviluppo turistico. Il nuovo sentiero andrà ad aumentare notevolmente il carico antropico in un’area protetta, che finora era frequentata pochissimo, quasi deserta. E anche qui c’è lo zampino degli impianti di sci: il percorso infatti è stato concepito per essere collegato con l’impianto di Punta Ces da S. Martino di Castrozza. Insomma si apre un’altra bella e comoda porta di accesso e sfruttamento del Lagorai in prossimità degli impianti di sci. Ma il Servizio Aree Protette non dovrebbe occuparsi di tutelare le aree protette? Da quando fa promozione e sviluppo del turismo? Tutto questo va oltre le sue funzioni istituzionali. Resta anche lo sgomento su come SAT possa essersi imbarcata in questa impresa che contrasta con gli scopi del suo statuto, che ha tra i primi obiettivi la tutela dell’ambiente.
Qui la determina: https://drive.google.com/file/d/1S4WepLF_hEyui9F6rK9yobTmAgGRIbe_/view?fbclid=IwAR3BLJ0nuWubyB2P_LaGKsafuS6dYqAD1LYgafuSOlUBBGQtEFuYU2wmM9c
“Per finire. Fare un “business plan” come ragiona Daidola non significa volere ristoranti, motoslitte e alberghi stellati”.
Sono certo che Daidola è il primo a volere il rispetto ambientale di queste zona. Di questo non ne ho MAI avuto il minimo dubbio.
Il problema è che la fame vien mangiando. E non ci si accontenta. Non vorrei che tutto questo poi sarà il trampolino di lancio per richiesta di ulteriori interventi per nuove e più ampie strutture.
Per fare quello che per adesso fanno in Val Maira e il Val Germanasca, ci vuole tanta apertura mentale per andare oltre ai guadagni immediati.
Siamo pronti?
Non so.
Non conosco, non essendoci mai stato la realtà del Lagorai, la mia vuole essere pertanto una riflessione più ampia.
Ma spesso, e alcuni post qui sotto rafforzano la mia opinione, ho l’impressione che il nostro desiderio di Wilderness o di “intonsité” di cittadini ben pasciuti e con un lavoro che ci garantisce un onesto guadagno a fine mese, vada a scontrarsi con chi invece in montagna ci vive e ci deve campare.
Nelle valli qui a ovest vi sono realtà diverse. Comprensori-mostro come la via lattea fra la Val Chisone e la Val di Susa che come una gigantesca idrovora consuma territorio e risorse per un turismo sempre più elitario e poco consapevole, ma anche realtà come la Val Maira che ha fatto una scelta di turismo molto più slow di sentieri estivi e percorsi scialpinistici o come la Val Germanasca dove una comunità è riuscita a garantirsi la sopravvivenza e un minimo di tranquillità economica con un turismo fatto di impianti sciistici a dimensione umana e di percorsi estivi fra cultura e storia.
Insomma se in queste valli andassimo ora a proporre di smantellare impianti, rifugi, bivacchi a famiglie che da generazioni lottano in un ambiente non semplice forse qualche mazzata in testa la prenderemmo. E forse ce lo meriteremmo anche.
Chi, in quelle zone ci vive e deve mangiare cosa dice?
Per finire. Fare un “business plan” come ragiona Daidola non significa volere ristoranti, motoslitte e alberghi stellati.
Solo in apparenza il gruppo del Lagorai appare intatto, ma in realtà è devastato da una ragnatela di strade costruite con il pretesto della cura forestale e utilizzate dagli indigeni per fini privati con i più svariati permessi comunali e provinciali. Ciononostante è vero: le cime sono troppo lontane e il viandante viene spesso sopraffatto dalla fatica. Restaurare qualche malga in rovina e qualche baita sarebbe utile per sostenere i viaggi del silenzio e della bellezza!
“Attualmente la traversata invernale del Lagorai puó essere fatta solo da scialpinisti allenati in grado di progredire velocemente per 4/5 giorni con zaini pesanti, la realizzazione di posti tappa gestiti ne potrebbe fare una “haute route” classica di grande richiamo”.
Avere nelle Dolomiti, inflazionate di turismo, un luogo del genere dove si può stare da soli per 4/5 giorni.
Non è già questa una caratteristica di grande richiamo?!?!!
“Atteggiamenti insomma da “decrescita felice”, non importa se proprio felice lo sarà”.
Cosa ha che fare la “decrescita felice” con il desiderio, l’auspicio di difendere la natura di una delle ultime, rare zone rimaste integre?
Per quanto mi riguarda non sono contrario all’incontro tra uomo e natura. Il problema è che tra i due ce ne uno (l’uomo) che non è sincero fino in fondo e non rispetterà i termini dell’accordo. Prima o poi si farà prendere dal suo naturale egoismo e verrà fuori con altre esigenze. E’ nell’indole dell’uomo.
Anche a me lascia piuttosto perplesso l’accenno piuttosto generico e semplicistico ai “no TAV no TAP no tutto”. Come spesso accade, si mettono nello stesso calderone cose del tutto diverse senza entrare minimamente nel merito delle questioni. Mi sembra che temi di questa rilevanza meriterebbero un approccio più ragionato e articolato.
“Non bisognerebbe cambiare nulla, il Lagorai andrebbe bene così. Dovrebbe rimanere una specie di riserva indiana…”.
Paragonate questo rifiuto a una riserva indiana, mi spiace dirlo, ma è una nrutta lscivolata di tono.
Una riserca indiana è un luogo dove si rinchiudono delle persone per poterle eliminare. Insomma una specie di campo di concentramento. Nelle riserve i fieri guerrieri pellirosse sono diventati degli ebeti alcolizzati.
Che c’è di male a cercare di lasciare un luogo il più naturale possibile come mamma natura l’ha fatto in modo da poterlo trasmettere alle generazioni future?
Rispondo all’intervento n. 1, agli altri nei prossimi giorni, appena avrò un po’ di tempo!
Il business plan non ha nulla a che fare con le “analisi costi e benefici”.
Sul Business Plan ci sono anche in internet ottimi manuali ed esempi per capire di cosa si tratta e perchè qualsiasi progetto dovrebbe prevederlo, e non solo in un ottica economico finanziaria. Io ci dedico un’intero corso.
Con riferimento all’analisi costi e benefici consiglio un’attenta lettura di articoli come:
Why is cost-benefit analysis so controversial? di Robert H. Frank
The stupidity of Cost-Benefit Standard, di Henry S. Richardson
Solo gli stolti o i disonesti possono ancora credere a questo tipo di analisi che arrivano puntualmente a dimostrare le decisioni di chi le richiede. È sufficiente leggere le interviste ai responsabili di tale analisi per i casi italiani per capire che si tratta di consulenti di parte. Quindi non è proprio il caso di far fare una costosa ed inutile analisi del genere per il caso Translagorai. Occorre invece ragionare su di un business plan.
A quanto sembra Giorgio Daidola non ha compreso, o voluto comprendere cosa nasconda il progetto Translagorai. E’ la porta d’entrata di una grande speculazione nella montagna più intonsa del Trentino (per modo di dire). Un cuneo offerto alle funivie del Cermis, alla Magnifica Comunità di Fiemme che non sapeva dove prendere soldi pubblici per trasformare le sue malghe in ristoranti e punti sosta a pagamento. La SAT è stata solo giocata, purtroppo, guarda caso ilo tema è stato portato in discussione solo a maggio 2018 quando ormai Comuni di Predazzo, di Telve e Magnifica avevano già deciso come avviare la speculazione senza coinvolgere gli “sciocchi” della SAT. E poi chiedetevi: cosa a a che fare un simile progetto di ristorazione dlele alte quote con lo sviluppo sostenibile e con la lotta ai cambiamenti climatici? Si, perchè l’80 % dei fondi pubblici a disposizione per questa speculazione sono presi da questo fondo. perchè non da un fondo del turismo più becero? Se Giorgio si fosse informato meglio avrebbe evitato certe semplificazioni e errori. Ma probabilmente non era questo il suo obiettivo.
Il “Progetto Translagorai” non ha nessun business plan, né complessivo né per le singole strutture. Peggio: non ha neppure una valutazione di impatto ambientale. Per essere un progetto promosso dal Sevizio Aree Protette della Provincia, e non da un privato, è decisamente sbalorditivo. Il Servizio Aree Protette che promuove ristoranti nelle Aree Protette…
Ma la ragione forse è perché paga Pantalone: se sono i suoi soldi a essere gettati dalla finestra, chi se ne importa? Ma il problema è che a essere gettati dalla finestra non sono solo soldi pubblici, ma anche l’ambiente. E comunque: perché tutto deve essere sempre ricondotto, come fa Daidola, ad una logica meramente mercantile?
“un progetto di questa mole può essere valutato seriamente solo sulla base di un business plan…”
E allora perché critica il Movimento Notav che di analisi costi benefici ne ha fatte a iosa?