Giudici vs Alpinismo
di Carlo Bonardi, giurista.
Tra la concezione/prassi tradizionale alpinistica e quella di molti giudici c’è una fondamentale diversità d’approccio, della quale gli alpinisti farebbero molto bene a preoccuparsi e verso la quale dovrebbero prendere pubblica, chiara e decisa posizione, anche dal punto di vista tecnico giuridico (sempre che non vada loro bene la prospettiva di trovarsi poi, singolarmente, nei guai).
In Italia esiste un ente (CAI) che è stato (ri)costituito per legge dello Stato (n. 91 del 1963) come ente pubblico ed ha come scopo l’alpinismo, fin dal primo articolo del suo Statuto (” Costituzione e finalità.1. Il Club alpino italiano (C.A.I.), fondato in Torino nell’anno 1863 per iniziativa di Quintino Sella, libera associazione nazionale, ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne,specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale“).
Poichè tutti sanno che l’alpinismo è di sua essenza pericoloso (non parlo nel senso di cui all’art. 2050 codice civile), ne deriva che correre questi pericoli è attività in sè lecita/di diritto e voluta dallo Stato stesso (per cui opera la magistratura).
Tant’è che una volta (tempi andati?) la Corte di Cassazione penale (Sezione II, 27 novembre 1957, Cambiaso) riteneva: “Gli infortuni verificatisi nell’esercizio di attività sportive lecite, siano esse riconosciute dal diritto, siano esse consacrate dalla consuetudine, non sono punibili. In particolare, per quanto concerne l’attività sportiva in montagna, è la consuetudine che esclude la responsabilità solidale dei compartecipi di un’azione richiesta [n.d.r., presumo: rischiosa], in quanto – se da una parte giuoca, come fattore pscicologico comune, la cosidetta induzione reciproca – dall’altra rimangono pur sempre personali e libere la volontà e l’iniziativa del cimento”.
V’è da dire che, all’epoca, su queste cose si era impegnato Renato Chabod, e che è normale che i tempi cambino: ma dobbiamo lasciar fare, tutto?
Si potrebbe dire altro, ad esempio sul tema ormai sempre più evocato della responsabilità legale nei confronti dei soccorritori: su ciò, un’alta volta.
Carlo Bonardi, 18-11-2013
Alba sull’Aiguille du Midi (Monte Bianco). Foto: Federico Raiser/K3
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BRAVO CARLO,
ANCHE SE UN PO’ IN RITARDO… VOGLIO PRENDERE DECISA E CHIARA POSIZIONE SULL’ARGOMENTO DELLA RESPONSABILITA’ IN MONTAGNA E CONDIVIDO APPIENO L’ARGOMENTAZIONE ANCOR ATTUALE E VALIDA DELLA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA DELLA CASSAZIONE (DEL 27 NOVEMBRE 1957 SEZ.II CAMBIASO) DI NON PUNIBILITA’ DEGLI INFORTUNI VERIFICATISI ALLE PERSONE CHE ESERCITANO ATTIVITA’ SPORTIVE LECITE COME SUCCEDE IN MONTAGNA QUANDO CI SI CIMENTA IN QUALUNQUE ATTIVITA’ CHE, COME SI SA, E’ DI SUA ESSENZA PERICOLOSA,
E INVITO LE PERSONE LUNGIMIRANTI CHE ABBIANO A CUORE LA PROPRIA “INCOLUMITA'” GIURIDICA (CIOE’ EVITARE DEI GUAI), A ESPRIMERSI E PRENDERE POSIZIONE SU QUESTO ARGOMENTO CHE IN FUTURO TEMO DIVENTERA’ DI ATTUALITA’.
VALTER BONTEMPI