Giulio Giorello – 1 (1-3)
Un ricordo
di Colm ó Floinn (Ambasciatore d’Irlanda in Italia)
(pubblicato su corriere.it del 12 luglio 2020)
La scomparsa del filosofo Giulio Giorello il mese scorso, dopo una lunga battaglia contro il CoViD-19, ha colpito profondamente amici e ammiratori in Italia. Vorrei in modo particolare esprimere il mio cordoglio a sua moglie, Roberta Pelachin.
Giulio Giorello nutriva un profondo interesse per la storia e la letteratura dell’Irlanda e fu un grande ammiratore di James Joyce, che trascorse molti anni della sua vita a Trieste. Questo suo interesse si riflette, in tempi recenti, nel suo contributo in forma di postfazione alla raccolta di versi Il tradimento e altre poesie, del presidente d’Irlanda Michael D. Higgins, tradotto dall’eminente studioso professor Enrico Terrinoni e pubblicato in Italia nel 2014.
Giulio Giorello nutriva un profondo interesse per la storia e la letteratura dell’Irlanda e fu un grande ammiratore di James Joyce, che trascorse molti anni della sua vita a Trieste. Questo suo interesse si riflette, in tempi recenti, nel suo contributo in forma di postfazione alla raccolta di versi Il tradimento e altre poesie, del presidente d’Irlanda Michael D. Higgins, tradotto dall’eminente studioso professor Enrico Terrinoni e pubblicato in Italia nel 2014.
Due anni dopo Giorello, animato dalla sua grande passione per la storia della lotta irlandese per l’indipendenza, pronunciò un discorso all’inaugurazione di una mostra tenutasi alla Biblioteca nazionale centrale di Roma, in occasione del centenario della Rivolta di Pasqua del 1916.
Giorello ci ha lasciati alla vigilia del Bloomsday, il giorno immortalato nell’Ulysses di Joyce. Siamo addolorati per la perdita di questo grande pensatore e amico dell’Irlanda, cosi come per la tragica scomparsa di tante vite a causa del CoViD–19 negli ultimi mesi.
In memoria di Giulio Giorello (1945-2020)
(Un sorriso indagatore e giocoso)
di Antonio Carioti
(pubblicato su la Lettura, 12 luglio 2020)
Il 30 aprile 2006 uscì sul Corriere della Sera un’intervista a Giulio Giorello sulla medicina moderna. Da una parte ne lodava le conquiste, dall’altra ne segnalava gli eccessi, con il rischio di ridurre la vita a «una sequenza di malattie». Per evitarlo, diceva, «bisogna recuperare il gusto della pienezza del vivere, che comprende anche disagi e problemi».
Con quello spirito Giorello aveva affrontato e superato la prova del CoViD-19, ma il fisico ne era uscito debilitato. Ha ceduto il 15 giugno scorso, tre giorni dopo il matrimonio con la compagna Roberta Pelachin. È terminata così una vita davvero piena: di amici, di idee, di curiosità, di interessi raffinati e di passioni vicine a quelle del grande pubblico. La regola di Giulio era spendersi a tutto campo, esplorare nuovi territori del sapere, esercitare fino in fondo la libertà umana, consapevole di dover pagare i prezzi che la nostra fragilità impone.
C’era sempre un confine da varcare per Giorello. Lo testimoniano i contributi che abbiamo raccolto per ricordarlo a un mese dalla scomparsa. In ciascuno troviamo aspetti della personalità poliedrica che lo rendeva tanto prezioso per la Lettura. Capace di esercitarsi sui problemi matematici come sul fumetto o sulla letteratura irlandese. Disposto a dialogare sul senso del mondo e sulla fede, ma anche sugli assilli quotidiani delle nuove generazioni. Era il nostro jolly, nel senso che potevamo affidargli i compiti più vari, ma anche nel senso che con la sua indole indagatrice e al tempo stesso giocosa (che traspare nel commovente scatto di Ferdinando Scianna pubblicato qui accanto) metteva a suo agio qualsiasi interlocutore.
Poi ci sono i suoi libri: il manifesto laico Di nessuna chiesa, ora riproposto da Raffaello Cortina. E quelli che non ha fatto in tempo a terminare: La filosofia di Tex, in uscita per Mimesis; il dialogo tra arte e scienza con Vittorio Sgarbi per La nave di Teseo; quello sulla democrazia che Edoardo Boncinelli annuncia nel suo ricordo. Grazie ad essi il pensiero di Giorello resterà con noi. Ma ci mancherà lui, tantissimo.
La geniale «follia» di Giulio Giorello
(un invito costante a sfidare l’ignoto)
E’ l’intervento del filosofo Massimo Donà in omaggio allo studioso scomparso tenuto il 10 luglio 2020 ad Ascoli Piceno nell’ambito della Milanesiana di Elisabetta Sgarbi.
di Massimo Donà
(pubblicato su corriere.it il 9 luglio 2020)
Mi piace fare il verso a Polonio, e usare, per Giulio Giorello, le stesse parole che il padre di Laerte e Ofelia avrebbe pronunciato a proposito di Amleto: «Sarà pure follia, ma v’è del metodo in essa». Come non riconoscerlo, che proprio questa è la cifra che più di ogni altra ha sempre caratterizzato il suo «genio»?
Capace di muoversi, con la massima disinvoltura dal fumetto(in particolare le saghe Disney e le avventure per lui intrinsecamente filosofiche di Tex Willer) alla meccanica quantistica. Di commentare i versi di Milton o la prosa di Joyce, allo stesso modo in cui avrebbe potuto analizzare i saggi di Feyerabend o quelli di Popper. Studioso di Bruno e Spinoza, ma nello stesso tempo cultore della saga di Gilgamesh. Amante tanto di John Stuart Mill quanto di Andrea Emo. Filosofo della scienza, matematico, ma grande estimatore della metafisica severiniana, che si trovava a suo agio tanto con la successione di Fibonacci quanto con la storia irlandese.
Un vero e proprio pozzo di conoscenza, un’intelligenza sempre acuta e vivace, personalità davvero unica e irripetibile nel panorama della cultura italiana (e non solo); politicamente anarchico, Giulio Giorello è sempre stato profondamente innamorato, e sempre con la medesima intensità, anzitutto della «libertà» – anche perché la vedeva troppo spesso messa pericolosamente in questione. Non a caso a questo concetto avrebbe dedicato non poche delle sue più recenti pubblicazioni; dopo aver curato e tradotto, negli anni Ottanta, peraltro insieme all’amico Marco Mondadori, il saggio di John Stuart Mill Sulla libertà.
A me ha sempre colpito come un’intelligenza naturalmente attrattadalle complesse concatenazioni logiche care alla matematica o alla fisica potesse innamorarsi di un filosofo metafisico come Andrea Emo. E appassionarsi alle sue immaginifiche visioni. Ma proprio questa naturale disposizione polimorfica lo rendeva ai miei occhi irresistibile; un vero e proprio stimolo costante a sfidare l’ignoto, a tentare l’intentato, e a confrontarsi con le questioni apparentemente meno familiari. Ad osare, a prendere il largo come Ismaele, liberamente affidatosi ai demonici propositi del capitano Achab.
Anche Giulio era un grande esploratore; mai pago, mai sazio; che amava arrischiarsi, seguire i sentieri meno battuti, ma più intriganti e per ciò stesso entusiasmanti. Generoso come pochi; amava dialogare con i giovani, infondendo loro il pathos e il gusto per la sfida, senza crogiolarsi nella propria sterminata erudizione. Senza mettere in difficoltà l’interlocutore; anzi facendolo sempre sentire all’altezza, anche quando non lo era affatto.
Lavoratore indefesso, seguiva le sue collane editorialicon cura quasi maniacale; attentissimo ai suoi autori, sapeva farli sentire sempre importanti. Mai avvertendo il bisogno di imporsi, di prevaricare, di far pesare la sua autorevolezza.
Era pazzo; sì, ma come può essere pazzo un genioche mai potrebbe adattarsi a seguire binari indicati da altri. Era matto, come un bambino di dieci anni. Incurante dei galatei ma sempre elegante, pur nella sua infantile innocenza. Capace di stare con tutti, intellettuali, artisti, ma anche musicisti e commercialisti, avvocati, ristoratori o magari semplici dentisti. Amante del whiskey, ma anche del ruhm; adorava il pesce e amava i «carciofuzzi» – come li chiamava lui –, collezionava coccodrilli (di vetro, di stoffa, di metallo, di legno, ecc.), amava i gatti e soprattutto la loro indipendenza, ma soprattutto sapeva trasmettere una gioia di vivere contagiosa e benefica cui non si poteva assolutamente resistere.
Grazie Giulio, per tutto quello che mi hai insegnato; e anzitutto per avermi insegnato a vivere da uomo libero. Facendomi costantemente capire che non sarebbe stato serio cedere alla tentazione di prendersi troppo seriamente e solamente sul serio.
Un illuminista che amava le dispute scientifiche
di Jean Petitot (il matematico)
(pubblicato su la Lettura del 12 luglio 2020)
Giulio Giorello era un vecchio amico con il quale ho condiviso molti momenti della mia vita scientifica. Ci siamo conosciuti negli anni Settanta nel contesto dell’Enciclopedia Einaudi curata da Ruggiero Romano, per la quale mi occupavo delle voci di matematica. È stata una bella avventura, vissuta anche con Fernando Gil e Marco Mondadori. Ho ricordi commoventi del convegno Le frontiere del tempo a Fermo nel 1980, dove Ruggiero ci aveva invitato con Umberto Eco e il matematico René Thom. È del resto nel contesto eccezionale dei seminari di Thom che ho anche collaborato con Giulio alla fine degli anni Settanta. Da dieci anni lavoravo con Thom sulle applicazioni della «teoria delle catastrofi» e Giulio era appassionato di queste idee. Ha invitato Thom in Italia e ha organizzato con lui l’importante discussione Parabole e catastrofi nel 1980.
Ho anche seguito il lavoro di Giulio sulla storia e la filosofia della matematica, e abbiamo partecipato a diverse conferenze congiunte. Ho un ricordo speciale del convegno Razionalità e obiettività che organizzò presso il Centro di Cerisy nel 1988. Il suo libro Lo spettro e il libertino sulla storia del calcolo infinitesimale mi ha insegnato molto, soprattutto per quanto riguarda la controversia tra Gottfried Wilhelm von Leibniz e Bernhard Nieuwentijt che inventò la concezione «nilpotente» degli infinitesimali.
Peraltro, le grandi controversie scientifiche sono affascinanti argomenti di studio perché rivelano le profonde antinomie che gli scienziati devono superare. Giulio aveva elaborato con Fernando Gil un notevole progetto editoriale su di esse. Uno dei miei ricordi più cari rimane il grande convegno internazionale che abbiamo organizzato con Giulio a Parigi nel novembre 1987 in onore del suo maestro Ludovico Geymonat (di cui era diventato il successore all’Università Statale di Milano) in luoghi storici come l’Istituto Henri Poincaré.
Ero anche molto vicino a Giulio nella sua difesa dell’umanesimo liberale dall’Europa illuminista. Ed è con emozione che ricordo la sua visita alla mia casa di famiglia valdese a Torre Pellice, quando venne a presentare in quella cittadina il suo libro Senza Dio. Sono stato grato che abbia partecipato con Umberto Eco e Fulvio Papi alla presentazione del mio libro Per un nuovo illuminismo organizzata da Fabio Minazzi nel 2009.
Quando, dopo la scomparsa di Fernando Gil nel 2006, il ministro della Ricerca del Portogallo ha istituito un premio internazionale per la filosofia della scienza, Giulio è stato naturalmente uno dei primi colleghi contattati. I suoi interventi sono anche ricordi commoventi. È un onore per me ricordare l’amico, il collega, il grande spirito scientificamente innovativo, culturalmente erudito, politicamente illuminista.
Estraneo a ogni Chiesa ma vicino a noi credenti
di Dario Antiseri (lo storico del pensiero)
(pubblicato su la Lettura del 12 luglio 2020)
Conoscenza e libertà: due temi fondamentali della riflessione filosofica di Giulio Giorello. Da qui l’attenzione da lui posta sul fallibilismo quale nevralgico presupposto (anche se non l’unico) della libertà. «Il fallibilismo — afferma Giorello sulla scia di Charles S. Peirce — consiste nella franca ammissione che “ci sono tre cose che non possiamo raggiungere con il ragionamento, ovvero la certezza assoluta, l’esattezza assoluta, l’universalità assoluta (…). E tutto ciò sarà negato da chi ne teme le conseguenze nella scienza, nella religione e nella moralità”». Con John Stuart Mill: «La fonte di quanto vi è di rispettabile nell’uomo, sia come essere intellettuale sia come essere morale, è la capacità di correggersi». «Tutta la nostra conoscenza rimane fallibile, congetturale», dirà Karl Popper, secondo il quale razionale non è un uomo che vuole avere ragione, ma un uomo che vuole imparare: imparare dai propri errori e da quelli altrui. Ma esattamente questo nega chi pensa di essere immune da errori, di essere in possesso dell’unica giusta visione del mondo e della società, per cui costui sarà divorato dallo zelo di imporre queste sue Verità, predicate come paradisi in terra e realizzate come inferni. La presunta società perfetta è la soppressione violenta della società aperta.
Bene si comprende, allora, la presa di posizione di Giulio a difesa di quella versione del fallibilismo costituita dal relativismo. «Il relativismo — a differenza dello stereotipo popolare, peraltro fatto proprio anche da qualche schizzinoso erudito — non coincide affatto con la notte in cui “tutte le vacche (ovvero tutte le credenze) sono nere”. Piuttosto è l’atteggiamento che contesta che una qualche credenza o forma di vita si arroghi il monopolio della verità o della giustizia».
Libero, diceva Giulio di sé, perché «di nessuna Chiesa». Ed «essere di nessuna Chiesa significa tollerare ogni Chiesa, riconoscendone il diritto all’espressione anche nel libero atto di prenderne le distanze». La mia domanda a Giulio: perché mai chi liberamente abbraccia la fede cattolica dovrebbe sentirsi non libero ovvero essere intollerante nei confronti di altre Chiese? Di seguito la conclusione del suo saggio nel nostro libro (Libertà: un manifesto per credenti e non credenti, Bompiani, 2008): «Agli amici dotati di specchiata sensibilità per la fede mi sento vicino, perché anch’io cerco — come loro — una scintilla nella cenere; ma gli spiriti religiosamente orientati devono aver chiaro, anche nel loro interesse, che qualsiasi imposizione di strutture — anche di strutture di senso — va combattuta, costi quel che costi». Ancora, e senza tregua, una difesa della libertà di scelta e di impegno dell’individuo, nella lucida consapevolezza che il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza.
(continua in https://gognablog.sherpa-gate.com/giulio-giorello-2/)
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ad Arioti 4: non sono certo Io ad aver coniato il termine “realtà oggettiva”. Già kierkegaard parlava di “verità oggettiva”.La percezione della realtà è stata argomento di ampio dibattito.Per la Gestalt la percezione umana determina la costruzione della realtà.Per i cognitivisti la realtà è un dato oggettivo.Nella mia accezione ho usato il termine per differenziarla dalla realtà soggettiva e cioè non riferita alla percezione dell’esistenza di Dio da parte del singolo individuo bensì rigidamente ancorata alla razionalità oggettiva nella quale non esistono percezioni emotive o sensibili,le idee non sono guidate nè condizionate da una ortodossia religiosa ma svolgono un’analisi fredda e lucida della realtà.Nel Medioevo era convinzione comune che la ragione umana riuscisse ad argomentare in maniera esaustiva l’esistenza di un Essere infinito e creatore. A tal uopo depongono le notevoli dissertazioni di San’Anselmo sulle “prove a priori” e poi “le cinque vie” di San Tommaso.Personalmente non la penso così e ritengo che la razionalità umana sia in grado di pervenire alla dimostrazione dell’assoluta inesistenza di Dio.
Ok, mettiamo da parte il pensiero illuminista che conta quello che conta (ci sono altri pensieri aventi pari dignità che dicono cose diverse).
Quando parli di realtà oggettiva stai riportando un pensiero altrui o ne sei convinto?
ad Arioti 2. La critica alle idea innata di Dio ha radici lontane.Inizia con Locke e prosegue con i filosofi illuministi per poi approdare ad Hegel,di cui cito il seguente pensiero: “tutto ciò che è reale è razionale,tutto ciò che è razionale è reale”.La razionalità esclude l’esistenza di Dio,conseguentemente la realtà esclude l’esistenza di Dio.
Scusa ma dov’è la realtà oggettiva?
a mio modestissimo avviso,da studente di Lettere che ha appena sostenuto l’esame di Storia della Filosofia, il razionalismo illuminista non può non condurre all’ateismo più assoluto senza se e senza ma.Seguendo la filosofia degli illustrissimi Leibniz e Locke ed il loro condivisibile materialismo, la credenza religiosa è ridotta al rango di opinione o se vogliamo di abitudine.E’ un’idea, peraltro abilmente inculcata sin dalla nascita da figure religiose preposte a seguire l’uomo fino alla morte.Ma l’idea non ha nulla a che vedere con la realtà oggettiva e cioè con l'(in)esistenza di qualsivoglia entità esterna alle nostre percezioni sensibili ed alla nostra ragione.