Ground up

Una impresa old school nella Yosemite Valley.

Ground up
(da zero)
di Mikey Schaefer
(pubblicato su The American Alpine Journal, 2013)

Giorno 0. Autunno 2010
La maggior parte degli scalatori che sfogliano la guida di Yosemite dedica a Mother Earth (VI 5.12a A4) solo una rapida occhiata. È una via che potrebbe definire “oscurata” tra quelle della Yosemite Valley, eppure chiunque abbia trascorso giorni su El Capitan ha ammirato Mother Earth per ore e ore. Segue una linea imponente lungo il margine occidentale dei 670 metri della parete nord di Middle Cathedral Rock. Alcuni appartenenti al fior fiore degli scalatori di Yosemite (Mark Chapman, Ron Kauk e John Long) ha aperto quella via l’anno prima della mia nascita, nel 1978. Pensavo che potesse essere una gran bella arrampicata libera, o semplicemente una buona ripetizione, e con poco sforzo ho convinto Jeff Johnson a dare un’occhiata ai tiri più bassi.

La copertina di The American Alpine Journal 2013, dedicata a Mikey Schaefer impegnato su Father time. Foto: Jeff Johnson.

Ci avventurammo su fessure discontinue e pareti verticali. L’arrampicata era splendida ma anche tosta. Di mano in mano che salivamo, la Middle Cathedral continuava a scoprirsi. A ogni sosta scrutavo i massicci fianchi di granito alla mia sinistra e alla mia destra, alla ricerca di altri segni di passaggio. Sulla destra riuscivo a malapena a distinguere l’improbabile linea della Smith-Crawford, un’altra via che ha sempre stuzzicato la mia curiosità. Ma ancora più affascinante era il mare inesplorato di roccia dorata alla mia sinistra.

Ho scoperto l’arte di aprire nuove vie grazie a Jim Yoder, uno dei primi scalatori più attivi dello stato di Washington. Prima ancora di avere l’età per guidare, Jim mi ha insegnato le basi della scelta delle vie e del posizionamento degli spit. Lo accompagnavo mentre lui e una piccola squadra ispezionavano, pulivano e attrezzavano le vie per il divertimento di altri. Spesso trascorrevano l’intero weekend a fare questo, arrampicando a malapena per conto proprio. All’epoca facevo fatica a comprendere questo tipo di motivazione e dedizione. Mi sembrava un gesto strano e ingrato. Ma senza dubbio mi ha lasciato un segno indelebile.

Mikey Schefer nella 16a lunghezza di Father time, l’unica a presentare una vera e propria arrampicata di fessura. Foto: John Dickey.

Giorno 47. Metà settembre 2012
Per fortuna, per una volta, non c’è nessuno qui. Nessuno a testimoniare la mia esplosione di frustrazione. Nessuno a vedermi scalciare e urlare contro il muro. Nessuno a vedermi completamente sconfitto. Le pareti delle Middle e Lower Cathedral sono le uniche a testimoniarlo, e si ergono silenziose come statue di ferro e oro. Sono indifferenti e non offrono alcuna compassione (cosa che comunque non mi sarei mai aspettato da loro). Sono solo in una guerra di logoramento che raramente sento di vincere. La guerra è interiore e posso sconfiggere solo me stesso.

Non sono mai stato uno che si pone obiettivi. I miei progetti più grandi spesso iniziano in modo casuale e innocente, ma poi sembrano crescere senza controllo. Un’idea si evolve in un obiettivo, diventa un’ossessione e finisce come un’afflizione. Questa via, questa guerra, questa afflizione non fanno eccezione. Questa tendenza è forse una delle mie migliori caratteristiche come scalatore, nonché una delle mie più grandi debolezze come persona.

Giorno 14. Giugno 2011
Non era ciò per il quale mi ero impegnato. Il piano non era di fare questa cosa da solo. Mi fanno male i piedi e i polpacci urlano mentre alzo lentamente il martello sopra la testa. Toc. Toc. Toc. La punta rimbalza sul granito. Il cuore mi batte forte nel petto, ma è più come un tonfo. Toc. Toc! Poi mi ritrovo a librarmi in aria, con il trapano a mano nella mano sinistra e il martello nella destra. Dopo una decina di metri la corda si tende e il Gri-Gri attaccato all’imbracatura mi tiene. Non era proprio questo il piano.

Prima ancora che io e Jeff avessimo terminato la discesa in corda doppia dalla nostra missione esplorativa su Mother Earth nel 2010, avevamo elaborato un piano per tornare il giorno dopo e avventurarci nell’inesplorato mare di granito a sinistra di Mother Earth e della Smith-Crawford. Chiamarlo piano era un po’ forzato: la maggior parte dei piani prevede ricerca, un risultato desiderato a lungo e la sua esecuzione. Decidemmo di partire dalla base di una parete di 600 metri e iniziare ad arrampicare. Abbastanza semplice, in realtà. Dopo 14 giorni di sforzi, distribuiti in due stagioni, riuscii ad aprire otto tiri. Purtroppo, Jeff si fece male alla spalla all’inizio della seconda stagione, e così mi ritrovai completamente solo.

Mi metto lo zaino in spalla, chiudo la porta del furgone e mi avvio per i 20 minuti di avvicinamento alla base. Ma percorro solo un breve tratto prima di fermarmi. Fatico a trovare la motivazione per lavorare sulla via oggi. Qualcosa mi dice di non andarci. La frustrazione interiore si fa sentire, ma non la combatto. Tornato al furgone, mi dirigo verso Tuolumne, dove mi prendo una meritata pausa e un po’ di socializzazione. Mi concedo tre giorni di vacanza.

Josh Huckaby (a sinistra) e l’autore attrezzano in simultanea la seconda lunghezza di Father time.

Giorno 24. Inizio luglio 2011
Rinvigorito dalla mia breve pausa, mi avvio verso il sentiero. Testa bassa, musica a tutto volume. Quasi non mi accorgo di ciò che mi circonda. Sono determinato a finire un altro tiro oggi, e i miei jumar scorrono agilmente lungo la corda mentre il terreno lentamente si allontana, sempre più basso. Alzo lo sguardo per la prima volta e noto qualcosa di strano: una delle mie corde fisse penzola stranamente dalla sosta più in alto. La corda è stata tagliata a metà. I ​​pensieri si rincorrono: qualcuno ha sabotato le mie corde? È stata una caduta di sassi? Non potendo proseguire, mi ritiro lungo la mia autostrada di nylon, cercando di ricostruire cosa sia successo. Alla base trovo un piccolo blocco dall’aspetto fresco e poi un altro blocco più grande.

La curiosità mi spinge verso est, costeggiando la base della parete. A una quindicina di metri dall’inizio delle mie corde, mi fermo su una piccola altura e vedo il resto della parete nord, completamente devastato. Sassi e blocchi appena franati, grossi come camion, sono sparsi alla base. La vista mi fa venire la nausea. Avrei potuto essere lì ad arrampicare quando è successo. In parete ho quasi 450 metri di corda e un’intera dotazione di attrezzatura, ma mentre scendo lungo il sentiero mi chiedo se mai tornerò.

Giorno 25. Maggio 2012
Quasi un anno dopo la frana, sono pronto a tornare. Pronto potrebbe non essere nemmeno la parola giusta: è più un bisogno. Ho liberato la mia agenda il più possibile, rifiutando lavori che mi avrebbero fatto fare passi avanti in carriera, mi avrebbero fatto lievitare il portafoglio e mi avrebbero portato sull’Everest, in Marocco e in altri luoghi lontani. Invece voglio stare in Yosemite e finire ciò che ho iniziato. Alla base della Middle Cathedral, attacco un Mini Traxion alla mia vecchia corda e ricomincio, aggiungendo circa 240 metri di corda nuova per sostituire quella danneggiata.

Sfinimento. Frustrazione. Pioggia. Foto: John Dickey.

Giorno 30. Maggio 2012
Ho imparato a suddividere tutto in sezioni seguendo, quindi, prassi gestibili. Ho scoperto che cronometrare il tempo aiuta la motivazione. Quarantacinque minuti per i primi 300 metri di jumaring. Poi una pausa di 15 minuti. Poi un’ora per i restanti 240 metri di jumaring più ripidi. L’intero processo diventa automatico e cerco di concentrarmi sul compito immediato, senza lasciarmi sopraffare o sentire la solitudine. Oggi è una giornata di lavoro, niente vera arrampicata. Ho piantato a mano quasi 100 spit su questa via. La maggior parte di essi è una fila di spit da 6 mm x 3 mm che devono essere tutti sostituiti da spit da 9 mm per l’arrampicata libera. Con un minimo di 30 minuti a spit, prevedo 50 ore di foratura su questa linea. Spero di sostituire 10 spit oggi stesso.

Giorno 35. Giugno 2012
La progressione è assai lenta. L’arrampicata dal basso, in autoassicurazione, è tutt’altro che veloce. È facile guardarsi alle spalle verso El Cap e mettere in discussione le proprie scelte. Con il suo facile accesso, il sentiero fino alla cima, i segni di passaggio, i campi già prestabiliti, le indicazioni passo dopo passo e i report giornalieri via internet, El Cap si è trasformato nel parco giochi di granito per eccellenza. C’è poca gloria da trovare dall’altra parte della valle e io invece bramo l’ignoto, l’inesplorato e la possibilità di fallire. Middle Cathedral offre abbondanti dosi di tutte e tre queste cose.

Mikey Schaefer studia il “Boulder Problem” (5.13) sulla 13a lunghezza di Father time. Foto: John Dickey.

Quando torno in valle e la gente mi chiede come è la via, capisco che si chiedono cosa me lo faccia fare. Alcuni scherzano dicendo che sto costruendo la scala a spit più lunga di Yosemite. Altri mi chiedono perché mi preoccupi di una roccia così infida. È più facile dar loro ragione che spiegare. Ogni tanto mi chiedono perché mi preoccupi di arrampicare dal basso. Rispondo che, onestamente, non ho mai preso in considerazione un’alternativa. Una delle gioie e delle sfide fondamentali che trovo nell’arrampicata è partire dalla base di una parete e cercare di raggiungere la cima. Se avessi scelto di portare 670 metri di corda fino alla cima della Middle Cathedral e iniziare a calarmi in corda doppia, mi sarei privato di una grande opportunità di fallire. E senza una grande opportunità di fallire, non avrei avuto alcuna possibilità di ottenere un grande successo.

Giorno 40. Autunno 2012
Una trentina di metri di arrampicata moderata portano a cespugli di manzanita, pendii sabbiosi e alla cima. Insieme a Jeff, che è di nuovo in salute ed è tornato in squadra, arrampico verso la sommità. Ci sono stati così tanti giorni in cui ho dubitato profondamente che ciò sarebbe accaduto, e ora la cima è più un sollievo che un motivo di festa. Indipendentemente da ciò che accadrà in seguito, la via è in fase di completamento. Ma il progetto è ancora lontano dall’essere concluso. Numerosi tiri hanno richiesto l’arrampicata artificiale e l’obiettivo finale è salirli tutti in libera, alcuni dei quali potrebbero essere al di là delle mie capacità. Non sono sicuro di esserci effettivamente vicino.

Giorno 50. Tardo autunno 2012
C’è stato un tempo in cui detestavo l’arrampicata su progetti, soprattutto perché non la capivo. Inizialmente, il processo sembra essere fatto di semplificazione e ristrettezza mentale, con l’unico obiettivo di inseguire gradi più alti. Senza dubbio questa mentalità esiste, ma non è l’unico aspetto della rotpunkt. In ogni avvicinamento sul sentiero, in ogni salita sulle corde fisse e in ogni tentativo di salire da capocordata i tiri chiave, la mia esperienza cresce e si affina. Ho imparato ad apprezzare la conoscenza così intima della via. Cose semplici come sapere quale roccia rotolerà sotto il mio piede durante l’avvicinamento, o leggere l’ora dall’ombra che la Middle Cathedral proietta su El Cap Meadow. O sapere che se i miei fianchi si spostano leggermente a sinistra e il mio tallone destro ruota troppo all’interno, non riesco a tenere la presa della mano destra abbastanza a lungo da muovere la mano sinistra. Queste cose non si possono comprendere senza un investimento di tempo e impegno. E più investo, più guadagno.

Giorno 55. Tardo autunno 2012
È il quinto giorno del mio tentativo in libera e il tempo stringe. Ho un volo da Fresno e un lavoro di una settimana che inizia tra due giorni, e subito dopo un mese di lavoro in Medio Oriente. È difficile rimanere positivi. Non sono riuscito a liberare nessuno dei tre tiri chiave, e nessun impegno o desiderio potrà cambiare la situazione. Due dei tiri chiave, “The Index 11d” e “The Athletic 12c”, sono entro limiti ragionevoli, ma “The Boulder Problem” sembra ancora lontano dalla mia portata. Ci ho fatto ben più di 50 tentativi negli ultimi due mesi e non mi sorprenderei se me ne servissero altri 50 per riuscirci.

L’amico James Lucas è stato il mio assicuratore fisso durante i miei tentativi in libera, e fa del suo meglio per impedirmi di impazzire con battute di cattivo gusto e tanta allegria. Mentre cado ripetutamente dal Boulder Problem, mi incita: “Dai, Mikey, dai!”. Crede in me molto di più di quanto ci creda io. Un altro tentativo. Poi un altro. Mi avvicino lentamente, ma non ci riesco ancora. Ci dirigiamo verso l’ultimo tiro chiave, l’Index 11d, una sequenza di aderenze precarie, passi indietro discreti e sottili fessure in Dülfer. Me la cavo molto meglio su questo tiro e riesco quasi a salire in modo pulito. Il mio secondo tentativo è ancora migliore. Il pensiero di riuscire a salirlo aiuta il morale.

Tornato alla portaledge, valuto le mie opzioni. Dovrei calarmi in corda doppia domani e dare l’addio, ma temo che se non finisco la via entro questa stagione, potrei non riuscirci mai. La scalata ha già messo a dura prova il mio rapporto fino al punto di rottura, e ignorare la mia carriera di fotografo non è saggio. La scelta, però, è ovvia. Chiamo il mio cliente e annullo il prossimo servizio fotografico. Per fortuna il produttore è un arrampicatore e capisce le mie necessità. Mi sono appena guadagnato un’altra settimana.

Mikey Schaefer afferra la presa finale del “Boulder Problem”, 13a lunghezza di Father time.

Giorno 57
Il successo nell’arrampicata è una complessa rete di molte variabili: le proprietà della roccia, le condizioni atmosferiche, l’attrezzatura, la preparazione, la conoscenza, la forza, la motivazione e la convinzione. Ora, a 480 metri dal fondovalle e a sette giorni dall’inizio della mia scalata programmata di cinque giorni, ho poca capacità di controllare nulla se non la mia motivazione e la mia convinzione, e di queste non ne rimane quasi traccia. Ma finché non sarò del tutto a zero, devo continuare a provare. Cercando di far aderire il piede, credendo di poter raggiungere l’appiglio successivo. Sforzo dopo sforzo, sto ormai esplodendo all’uscita del diedro dell’Index 11d. Di nuovo allineo i piedi, passo indietro, striscio la spalla sul diedro, allineo di nuovo i piedi, spingo più forte – e questa volta mi allungo di più. Riesco a stare su e guadagno così convinzione.

Giorno 58
Rimane un unico movimento difficile. Una merdosa presina laterale che non riesco a tenere. Sono già caduto da questo movimento più di 100 volte. In quello che è sicuramente un ultimo movimento disperato, cambio leggermente la mia sequenza. Un minimo spostamento della mano sblocca il movimento, e di nuovo mi allungo ancora di più. Gioia e soddisfazione mi travolgono completamente. Il Boulder Problem è messo a tacere. Le cose vanno a posto e mi sbrigo velocemente sull’Athletic 12c. Domani, tutto ciò che devo fare è lottare sugli ultimi tiri, e so che ci riuscirò.

La parete nord della Middle Cathedral Rock con il tracciato di Father time. Foto: Mikey Schaefer.

Giorno 59
Dopo aver raggiunto la vetta, provo uno strano vuoto emotivo. Negli ultimi due anni, la Middle Cathedral è stata la mia musa ispiratrice e la mia nemica. Mi ha offerto una sfida e un impegno che faccio fatica a trovare in altri ambiti della mia vita. Ho imparato a prosperare grazie alla pressione e alla possibilità di fallire. E ora, mentre mi sdraio qui per l’ultima notte nel mio portaledge, è difficile non desiderare che l’esperienza possa continuare.

Poco prima di dormire ricevo un messaggio da Tommy Caldwell, che si congratula e chiede informazioni sul percorso. È interessato a provarlo con Jonathan Siegrest. Non so nemmeno come rispondere.

Quando arrivo a valle, passo al loro campeggio per dare loro i dettagli, e rimango sinceramente scioccato quando dicono che vogliono salire subito. L’unico problema è che non ho ancora pulito la via. Gran parte delle mie corde fisse e degli ancoraggi direzionali per la buona conservazione delle corde sono ancora al loro posto, quindi metto la sveglia e mi organizzo per saltare davanti a loro, smantellando prima che loro salgano. Vado a letto preoccupato di cosa penseranno quei ragazzi. Sarà una passeggiata per loro? O sarà valsa la pena aver lottato così duramente?

Giorno 61
Attaccato alle corde fisse, ho una visuale a volo d’uccello di Tommy che sale a scatti sulle piccole prese perfettamente scolpite del primo tiro difficile della placca inferiore. Quando mi raggiunge alla sosta, ha un sorriso da un orecchio all’altro. Lui e Jonathan affrontano velocemente i tiri successivi, poi rallentano mentre la parete si alza verso il passaggio chiave a due terzi d’altezza. Jonathan lotta per la salita a vista sul Boulder Problem, ma cade dopo aver sbagliato sequenza. Mentre finisco la discesa in corda doppia, alzo lo sguardo e vedo le lampade frontali di Tommy e Jonathan accendersi. Stanno lottando sul passaggio chiave finale, dando il massimo. Mi rende felice sapere che la mia musa-nemica potrebbe continuare a vivere.

Sommario
Prima ascensione di Father Time (VI 5.13b) sulla Middle Cathedral Rock, Yosemite Valley, California, da parte di Mikey Schaefer. Dopo una salita dal basso durata 60 giorni in tre anni, Schaefer ha completato la rotpunkt di tutti i 20 tiri il 18 ottobre 2012.

Informazioni sull’autore
Cresciuto nello stato di Washington ma ora residente nell’Oregon centrale, Mikey Schaefer è un fotografo professionista e un alpinista di grande esperienza. Nel 2013 ha completato un altro obiettivo di lunga data: aprire nuove vie su ciascuna delle sette principali vette del massiccio del Fitz Roy in Patagonia. Nel 2009 aveva aperto un’altra nuova via sulla Middle Cathedral, Border Country (IV 5.12), con Jeremy Collins e Dana Drummond.

Ground up ultima modifica: 2025-04-15T05:05:00+02:00 da GognaBlog

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2 pensieri su “Ground up”

  1. 🙂 Marcello stavo per scriverti la stessa cosa… ma ricordo anche Kate con Mickey (o forse ero in un altro viaggio). Donini mi aveva fatto impressione, così datato e ancora così ligio a pensare alle etiche estreme da rispettare. Mi sono detto: “non voglio invecchiare così!”.

  2. Rampik, ti ricordi le giornate alla Piedra del Fraile a giocare all’argolla con Mickey e Dana mentre fuori pioveva per giorni, giorni e giorni…e Jim Donini ci prestava il suo pickup per andare in paese.
    Sul racconto: che palle, ma che volontà!

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