Il 4 luglio di 43 anni fa Heini Holzer cadeva tragicamente dalla parete nord del Piz Roseg. Soltanto nel 2000 usciva un libro (a cura di Markus Larcher) in lingua tedesca Heini Holzer – Meine Spur, mein Leben (Edition Raetia) che, grazie ai diari di Heini, ne raccontava la vita. Poi ci sono voluti altri 18 anni prima che un editore italiano, Mulatero, ne pubblicasse la traduzione in italiano. Questo libro racconta la storia del mito dello scialpinismo moderno, morto a 32 anni durante l’ennesima discesa estrema. Un piccolo spazzacamino che segnò un’epoca della montagna.
Heini Holzer, l’uomo che sciava sul precipizio
di Giampaolo Visetti
(pubblicato sul Venerdì di Repubblica il 9 marzo 2018)
Sulla cima del Piz Roseg, nel gruppo del Bernina, sono le sette del 4 luglio 1977. Il sole è appena arrivato, non scalda ancora troppo. La neve sembra dura, non c’è vento. Heini Holzer ha salito da solo la parete nord-est, dalla Tschierva Hütte, in quattro ore. Sorride a un conterraneo sud-tirolese, guida a Zermatt: «Ci vediamo al rifugio». E’ la sesta volta che tenta di «chiudere» quel muro, con punte di pendenza a 60 gradi. Un’ossessione. Calza gli sci e va giù. Poche curve, un bastoncino resta sotto la crosta del firn più vecchio. Cade, si gira, ma riesce a rimettersi in piedi. Poco prima del salto di roccia vacilla ancora, non si ferma e vola nell’abisso per seicento metri. Nemmeno un grido. La compagna Sieglinde Walzl raccoglie il corpo ai piedi della parete. A 32 anni Heini Holzer non era il primo e nemmeno il più forte: però è stato il più grande. Il suo amico Reinhold Messner non aveva dubbi: «Nessuno» è la sentenza «scenderà mai con gli sci dove io sono salito con piccozza e ramponi». Lo spazzacamino diventato «spazzamontagne» ci è riuscito. Fino a essere, senza abbandonare mai le Alpi, il più completo sciatore estremo di tutti i tempi: alpinista eccezionale, oltre 500 salite-limite, e discesista ineguagliabile con più di 100 pareti oltre l’impossibile. Per questo il suo mito di outsider non smette di ispirare chi si consegna alle alte quote per provare «l’attimo in cui la morte diventa vita e il terrore gioia» con i piedi ancorati a quei due piccoli ponti che sulla neve collegano alia libertà.
La sua storia, esaurita la fama negli anni Settanta del Novecento, è rimasta a lungo circoscritta nel club internazionale dei fuoriclasse. In Italia emerge oggi grazie alla traduzione dal tedesco di Heini Holzer – La mia traccia, la mia vita del giornalista altoatesino Markus Larcher, esordio della nuova collana Lamine dell’editore Mulatero di Ivrea (pp. 336, euro 21), dedicata agli interpreti dello sci estremo. La bellezza dell’opera, ricca di immagini, appunti, disegni, ricordi di amici e testimonianze importanti, si compie però nel non essere un testo per specialisti, ma il racconto di una vita e di un’epoca della montagna.
Il messaggio è che sulla neve la libertà comincia dove piste, impianti e motori finiscono: e che per aprire strade inesplorate nella natura è necessario prima trovare il coraggio di percorrere le vie estreme dentro di sé. Varianti infinite. Quella di Heini è stata non aver potuto scegliere. Aveva un solo modo per non disegnare una scia tra mille altre e l’ha inseguito con la disperazione necessaria. Lo dice la sua vita, interrotta alia stessa età di quella del suo modello Hermann Buhl. Infanzia e giovinezza in miseria, nei masi della Val Venosta. Non conosce suo padre, morto nel 1945 sul fronte orientale della Seconda guerra mondiale. Subito solo: l’estate fa l’aiuto pastore nelle malghe, sotto l’Ortles e nel gruppo di Tessa. Continua a cambiare casa e paese, subisce un patrigno alcolista, non riesce ad avere amici. Un ritardo della crescita ferma la sua altezza a 153 centimetri, il fisico è quello di uno scricciolo. Non ha ancora quindici anni quando comincia a guadagnarsi il pane: spazzacamino perché riesce a passare in ogni buco.
Quando hai tutto contro, o molli o punti al massimo. Heini scopre che qualcuno gli ha nascosto nel cuore il bisogno di essere il migliore. La dimensione ce l’ha sopra la testa: le sue montagne, gli spazi infiniti e la solitudine, dentro cui è stato gettato appena venuto al mondo. E’ la malinconia a farlo diventare unico, il non essere fatto per quello che fa. Il pallone ha generato Lionel Messi, la neve Heini Holzer. Avesse continuato ad andare su, con i più grandi del suo tempo, sarebbe rimasto nel gruppo. In parete, per raggiungere gli appigli attrezzati, gli serviva la prolunga: compensava la statura con un cordino in metallo da trenta centimetri. Già a 23 anni aveva una moglie e due figli, impossibile mangiare senza la fuliggine dei camini. I fratelli Messner possono partire per l’Himalaya, lui deve restare tra le Dolomiti e sulle Alpi. Così, per accertarsi di essere qualcuno, invece di limitarsi a salire, capisce che deve scoprire il modo più bello e terribile per scendere. Particolare storicamente cruciale: con gli sci e lungo la via tracciata in ascesa, quasi sempre quella impossibile. Impara a fare da solo anche questo.
Allenamenti spietati, sacrifici costanti, una disciplina da professionista adottata dal più romantico dei dilettanti, capace di rinunciare a sponsor e altre spinte pur di non smettere di sentirsi leale. Per la neve il «Napoleone delle pareti» si trasforma nel proiettile dei precipizi all’inizio degli anni Settanta. A rendergli tutto chiaro, improvvisamente, è il pioniere svizzero Sylvain Saudan che si butta dall’Eiger con gli sci, dopo essere stato calato sulla vetta dall’elicottero. E’ la strada, unica ma totalmente alternativa, che Heini aveva sempre cercato per diventare Holzer: su a braccia e con le gambe, giù con gli sci, con tempi da
primato. Il prodigio totale della completezza. Attorno a lui ogni strapiombo inviolato, mai toccato da due assicelle di legno. Comincia con la Nord della Marmolada, tratti di ghiaccio inclinati fino a 50 gradi. In sette anni oltre cento capolavori di forza, fantasia e velocità: il Bianco, il Lyskamm, l’Aletschhom, il Gran Paradiso, la Presanella, lo Zebru. Si riduce a un microbo nero perduto in tutti gli oceani che fisica e gravità permettono di scendere. Il prezzo da pagare è la famiglia: la moglie, a cinque anni dal sì, lo abbandona assieme ai due figli. Adesso è il più grande, ma ancora una volta e solo, lasciato anche da alcuni tra i compagni decisivi, da Günther Messner a Renato Reali, pretesi dalla montagna.
Scatti, diari autobiografici e testimonianze: Larcher racconta con commozione questa straordinaria esistenza di un montanaro semplice, di un alpinista puro e di uno sciatore perfetto, fusi dalla condanna istintiva all’eccellenza e all’innovazione. Quelli come lui, pur sfondando i confini di universi ignoti, non hanno fatto i soldi. La foto-icona che ci resta è quella di Heini sull’unica auto che ha posseduto, una Fiat 500 battezzata «il camoscetto»: sul tetto ci sono gli sci, sullo sfondo una verticale parete innevata. E’ stato il solo motore «esterno» cui ha mai chiesto un passaggio verso la gloria, per spostarsi tra le vette in tempo per ritornare subito alla sua casa e ai camini altrui. Quattro anni prima dell’ultima mattina sul Piz Roseg lo ha salvato Sieglinde, la compagna che aveva conosciuto da bambino in latteria. Con il suo amore torna la calma, l’ansia si placa, giornali e TV finalmente lo cercano, i compaesani lo assolvono, la «sindrome Messner» smette di consumarlo. Nei rifugi non deve più nemmeno nascondere gli sci, per agguantare le «prime» bruciando i concorrenti.
Adesso ha 32 anni, e nella storia dello sci che l’estremo ha elevato, per sempre, ad alpinismo. Oltre il limite ha inventato lo scialpinismo moderno, l’onestà sulla neve. Dalla primavera dice: «Ancora qualcuna e poi basta». Anche sci e attacchi stanno cambiando. Poi un’altra, quella, una piccola folla a seguirlo incredula e atterrita dal basso. Sotto il Piz Roseg e la vigilia del 4 luglio 1977 gli chiedono: «Heini, perché ci vai?». Ha risposto: «Io so perché». E non ha detto altro.
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Stavo scalando in Rozes uno degli spigoli. Dopo un tiro duro mi raggiunse in sosta prima di un traverso. Ci siamo presentati , lui per primo, e fatto due chiacchiere; non sapevo chi fosse. La sensazione la ricordo ancora bene, fu piacevole. Una persona educata e positiva e da come si approcciava mai avrei pensato ad un fuoriclasse. Date le sue capacità avrebbe potuto “passeggiare” il difficile tiro successivo; invece attese pazientemente il suo turno. Anni dopo andai a fare il Roseg e lessi della sua morte; ne fui davvero dispiaciuto.
QUANDO SI PARLA DI “GRANDI PERSONAGGI” È INEVITABILE DIMENTICARNE, SENZA CHE VE NE SIA L’INTENZIONE, QUALCUNO. CERCHERÒ, IN PARTE DI PORVI RIMEDIO. A PROPOSITO DI SCI ALPINISMO VORREI CITARE ,DOVEROSAMENTE, HANS KAMMERLANDER, TONI VALERUZ, STEFANO DE BENEDETTI. NON ME NE VOGLIANO ALTRI ILLUSTRI,DIMENTICATI SOLO TEMPORANEAMENTE.
cresciuto alpinisticamente e non solo in valmalenco ed avendo frequentato per anni quelle montagne sia dal versante italiano che quello elvetico non posso che ricordare questo personaggio fantastico di nome Holzer.
certo al momento del tragico incidente di Holzer avevo solo 14 anni,anche se girovagavo già tra quelle pareti innevate, e non c’era l’informazione istantanea come ora per cui ne sono venuto a conoscenza qualche anno dopo….non molti però perché mi ero appassionato anch’io allo sci estremo e documentandomi a riguardo avevo creato dei mie miti come Vallencant, Boivin e Holzer appunto
La sua statura si eleva con la sua onestà! A.sampaoli
HEINI HOLZER È STATO UN GRANDE PIONIERE DELLO SCI ALPINISMO, COME LO FURONO PATRIK VALLECANT E JEAN MARC BOIVIN (MORTO SCENDENDO COL PARAPENDIO DAL SALTO ANGEL).
NON POSSIAMO, PERÒ, DIMENTICARE QUEL FANTASTICO RAGAZZO CHE SI CHIAMAVA MARCO SIFFREDI, MORTO SCENDENDO COL SURF IL COULOUR HORNBEIN (NORD DELL’EVEREST). L’ANNO PRIMA ERA SCESO DAL COLOUR NORTON (NORD DELL’EVEREST).
PER RESTARE AI TEMPI ATTUALI, QUALCUNO SI GUARDI IL FILMATO DELLA DISCESA INTEGRALE, DAL K2, DALLA VETTA AL CAMPO BASE, DEL POLACCO ANDRZEJ BARGIEL E SPALANCHI CHI OCCHI!!!!!!!!!!!!
Gran personaggio. Dimostrazione che la “grandezza” di una persona non corrisponde alla sua altezza fisica. Peccato non averlo conosciuto di persona.
Io le HOLZER in roccia, le ho trovate sempre delle belle “legnate”.