Metadiario – 186 – I custodi del tempio (AG 1994-014)
All’inizio del terzo millennio siamo ben lontani da una gestione razionale delle vacanze. Le Alpi si affacciano su paesi che in modo vario hanno affrontato, ma mai risolto, il problema dell’affollamento. È da parecchi anni che week end e ferie concentrano grandi numeri di persone nelle valli alpine, e non soltanto d’estate come è per il mare, ma ancor di più in inverno.
Cascata del Rutor
Lo sviluppo sociale non ha favorito dappertutto lo scaglionamento e, dove è progredito, questo non è sufficiente ad alleggerire la pressione sulle montagne; per sgravarle almeno parzialmente dall’impatto e in attesa di scaglionamenti dei tempi di ferie coordinati a livello europeo, occorrerebbe diversificare le mete. Invece alcune famose località da sempre esercitano attrazione sui grandi numeri del turismo: quelle mete non sono scelte per curiosità personale o per conoscenza diretta del territorio, ma in ossequio a mondanità, fama o quantità di divertimenti offerti.
Pur con la miglior buona volontà, la concentrazione di umani in un luogo naturale tende a deturparlo ineluttabilmente. Con ancora maggior puntiglio quindi le stesse norme che regolano la nostra vita civile devono essere osservate in montagna e nei luoghi naturali.
Un ruolo essenziale lo assumono qui le strutture preposte all’invasione, più o meno pacifica, della montagna. La buona volontà del singolo a volte si scontra con la grande offerta turistica, per la volontà di colonizzare che ha caratterizzato il periodo tra il dopoguerra e gli anni ’70 e per la necessità di proporre sconti quantità quando la località registra un calo di presenze. Il singolo in genere s’adegua volentieri: se ha a disposizione il bel rifugio, quasi albergo, con tanti servizi e centinaia di posti letto, lo usa senza farsi domande. Se un rifugio del genere non c’è, ne fa a meno.
Se non lo fanno le amministrazioni, ciascuno di noi deve caricarsi del problema. Si può contribuire a non sovraccaricare i rifugi rinunciando alla propria presenza, non confondendoli con ristoranti per ghiottoni, evitando i pernottamenti inutili, risparmiando. L’aggiungere sempre più scelta e quindi sempre più esigenze comporta maggior quantità di rifiuti e dispendio d’energia per smaltirli; ed è inevitabile che ciò che prima rimaneva sul posto ad inquinare oggi abbia uno smaltimento totale a costi che non tutti giudicano ragionevoli. Un piccolo esempio era il lavaggio quotidiano delle lenzuola che richiedeva grande consumo di energia e con il detersivo provocava inquinamento alle acque circostanti. Era molto comodo non dover portare con noi il lenzuolino, ma tali sono le conseguenze dell’agio.
Il nostro benestare a “lussi” e affollamento favorisce ulteriori progetti di ampliamento dei rifugi, degli alberghi in quota, dell’indotto e degli impianti meccanici in generale, se non di ricostruzione su scala più vasta, con docce calde e altri agi superflui.
Così i rifugi diventano le cittadelle di un consumismo in alta quota ben distante dallo spirito con cui la montagna e la natura dovrebbero esser conosciute e apprezzate.
Ghiacciaio del Rutor. In primo piano, da sinistra, Lago Verde, Lago Superiore e Lago del Rutor; alla sommità della distesa glaciale, da sinistra, Monte Doravidi, Chateau Blanc, Testa del Rutor, Punta Loydon e Grand Assaly
I più giovani, i più squattrinati e i fanatici della vacanza spartana adottano la tenda. E’ la soluzione perfetta con piccoli numeri ben distribuiti in numerose località, perché invece i grandi numeri provocano grossi danni. Dormire sistematicamente in tenda o all’addiaccio alla lunga lascia tracce evidenti. I posti scelti tendono ad essere tradizionalmente gli stessi, dove c’è l’acqua, al riparo dai venti, su terreno erboso: e l’esperienza dice che dopo non molto questi si degradano, perdono la loro dignità di luoghi ospitali. È lo stesso perfido meccanismo che contamina i rifugi.
Non è forse meglio affrontare lunghi trekking scartando a priori i pernottamenti in quota e approfittando dell’ospitalità di fondo valle? Ostelli, vecchie baite, piccole pensioni, ex-conventi sono spesso convenzionati con itinerari precisi e offrono un trattamento migliore dei rifugi e a tariffe più economiche. Ogni zona ha le sue usanze, ma “gasthof”, “zimmer”, “ferme”, “gîte d’étape”, aziende di agriturismo offrono una vastissima alternativa a “rifugio”, “cabanne” e “hütte”. Lasciamo i rifugi e gli albergoni a chi non ha mai tempo per un po’ di fantasia, a chi è incapace di avere contatti con la gente del luogo, a chi crede che le tessere servano solo per avere sconti: a chi, insomma, vede le associazioni alpinistiche o ambientali solo come società di servizi.
Un tempo nei rifugi si stava meglio di oggi. Le associazioni proprietarie disponevano di molti più volontari per la manutenzione e la pulizia delle capanne incustodite. I custodi erano una casta a parte, di solito guide alpine, e la conduzione del tempio era familiare. Oggi questi fenomeni tendono a scomparire: la conduzione, anche se familiare, assomiglia sempre più a quella di un albergo.
Ci sono stati (ma ci sono ancora adesso) custodi che hanno saputo, con il loro calore e con tanto senso dell’ospitalità, guadagnarsi la simpatia e la stima di tanti appassionati che, alla soddisfazione di fare una gita in montagna, aggiungevano il piacere di andare a salutare degli amici.
Ma è giunto il momento di giustificare il titolo del mio articolo, “I custodi del tempio”. Reduci dall’escursione fotografica del giorno prima alla Croix de Culet 1963 m da Champéry, prima di quel 16 agosto 1994 Popi ed io non eravamo mai stati al rifugio Deffeyes, però ne avevamo sentito tanto parlare. Per un po’ di anni infatti la gestione era stata affidata alla guida alpina Ivan Negro, che aveva saputo in breve tempo fare del Deffeyes una meta ambita da molti. Eppure due ore e mezza di marcia non sono poche e scoraggiavano tanti. Il rifugio era tenuto come un gioiello, i rifiuti smaltiti correttamente, i prezzi modici. L’equipe che lavorava in cucina era fatta di amici ben coordinati, Ivan aveva anche attrezzato una graziosa palestra di roccia nei pressi del lago, il piccolo Tommaso giocava col cane. Tutto filava per il meglio e l’investimento di tante fatiche cominciava a rendere. Prima il Deffeyes era un rifugio quasi sconosciuto.
Ma nel 1994 l’associazione proprietaria non ha rinnovato il contratto, preferendo una gestione in proprio. Una decisione che ha lasciato perplessi molti, ma alla quale non c’era rimedio.
Così, quando arrivammo al rifugio, eravamo un po’ tristi, era come se ci avessero portato via una fetta di Rutor, la montagna che con i suoi laghi e ghiacciai fa l’incanto di questo luogo pacifico. I nostri saranno stati pregiudizi, ma sapevamo che lì non sarebbe stato mai più come prima. I custodi del tempio sono stati allontanati, realismo miope e piccole convenienze hanno ancora una volta avuto ragione dei sentimenti. Ma il sole era così tiepido… i ghiacciai scintillavano, i colori dell’erba e dei laghi erano vivi. Dalla sommità della Quota 2680 m lì attorno era così meraviglioso che la tristezza a poco a poco svanì: come se i custodi del tempio ci avessero fatto l’ultimo regalo andandosene discreti, suggerendoci di dare fiducia al futuro e di non avere inutili nostalgie.
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