Il geologo Mario Tozzi, accreditato di una notevole visibilità mediatica, ha pubblicato (ancora all’inizio della fase critica) una spietata analisi sulle cause strutturali delle “nuove” epidemie. L’uomo ne è responsabile attraverso i suoi comportamenti a monte. La lezione dell’epidemia in corso (fine marzo 2020) è molto semplice: per prenderci cura della nostra salute dobbiamo invertire il nostro modo di comportarci nei confronti del pianeta Terra. Il problema comportamentale è però che, pur condividendo il principio, a livello individuale possiamo anche sentirci inermi: come possiamo, noi singoli individui, fermare i “grandi” problemi che affliggono la Terra per colpa dell’umanità? Beh, lo possiamo fare modificando gli spiccioli comportamenti individuali. Meno richieste consumistiche arresteranno le spinte economiche che determinano lo sfruttamento senza scrupoli della Natura.
Anche noi semplici alpinisti possiamo contribuire in tal senso, optando per un modo più semplice e spartano di andare in montagna. Un piccolo esempio, fra i mille che potrei avanzare: tempo fa mi è capitato di leggere che, fra le attrattive di un rifugio alpino molto frequentato, vi era la cucina stellata. Ebbene un servizio di questo tipo, da hotel di lusso, impone una modello organizzativo consumistico: frequenti rifornimenti di alimenti freschi e magari esotici, quindi frequenti voli dell’elicottero, sovra utilizzo di energie varie per la cucina, quantità di rifiuti in sovrabbondanza ecc ecc. Il modello persiste finché c’è la domanda dei fruitori. Se smettessimo di richiedere la cena completa in rifugio, tutto si acquieterebbe e forse si annullerebbe completamente. Siamo disposti ad aspettarci dal rifugio solo un piatto di minestra la sera e una tazza di tè a colazione? Attenzione: significa che dovremo portarci nello zaino pane e companatico (e riportar giù i nostri rifiuti). Quindi significa che anziché essere veloci come il fulmine e leggeri come il vento, saremo più lenti e pesanti. Quindi significa che, anziché fare una via di VI grado, magari dovremo accontentarci di fare una via di IV grado. Ebbene: siamo disposti a questo “sacrificio”? Chi fra di voi risponde di sì, è sintonizzato sul principio di salvare l’ambiente anche per tutelare la salute di tutti. Gli altri… beh, di loro si può solo dire che non collaborano a evitare il rischio di future epidemie. Ognuno si faccia l’esame di coscienza (Carlo Crovella, 10 marzo 2020).
Deforestazione e allevamenti intensivi
(i danni all’ambiente fanno esplodere i virus)
di Mario Tozzi
(pubblicato su La Stampa del 4 marzo 2020
Se c’è una cosa che oggi non vogliamo proprio sentirci dire è che anche questa epidemia da CoViD-19 dipenda dalle azioni scriteriate dei sapiens ai danni dell’ambiente.
Ma, forse, dobbiamo iniziare a ricrederci, e riconsiderare anche altri casi recenti, come Ebola, Sars e Zika, ma pure H1N1 e Mers.
I ricercatori partono da una semplice considerazione, che il minimo comune denominatore di tutte queste patologie è indubbiamente la trasmissione animale. Il 70% delle Eid (Emerging Infectious Diseases, malattie infettive emergenti) deriva da un’interazione più o meno diretta fra animali selvatici, addomesticati e sapiens.
In questo senso vanno tenuti in conto diversi fattori scatenanti e/o aggravanti. Per primo le alte densità di popolazione delle aree urbane: più sapiens in aree ristrette vuoi dire più rischio di contagi. I nomadi cacciatori-raccoglitori, ovviamente, si ammalavano molto meno dei cittadini e agricoltori e non sviluppavano certo epidemie.
Ed è, peraltro sotto gli occhi di tutti, sebbene non inquadrabile scientificamente, che sia la provincia di Hubei, sia, vorrei dire soprattutto, la Pianura Padana sono regioni estremamente degradate dal punto di vista della qualità ambientale in generale e dell’aria in particolare. In Europa non c’è un’altra area così inquinata come la nostra. Una questione che va presa con le molle, ma che non andrebbe trascurata.
In secondo luogo, i cambiamenti di uso del suolo e l’intensificazione degli allevamenti intensivi, specialmente in regioni cruciali per la biodiversità, sono fattori che intensificano i rapporti sapiens-fauna domestica-fauna selvatica.
Di particolare gravità è la deforestazione, necessario preludio a queste attività, come dimostra il caso del virus Nipah, comparso in Malesia nel 1998, e probabilmente legato all’intensificarsi degli allevamenti intensivi di maiali al limite della foresta, dove cioè si disboscava per ottenere terreni a spese dei territori di pertinenza dei pipistrelli della frutta, portatori del virus.
E sia Sars che Ebola sono da ricondursi a pipistrelli, sia cacciati che comunque conviventi con i sapiens nelle aree metropolitane, oltre che a scimmie, preda di bracconaggio e vendita illegale.
Lo spillover (il salto di specie) è sempre possibile, ma viene favorito dove ci sono attività umane che impongono grandi modifiche ambientali, per esempio impiantare allevamenti intensivi e monoculture, come le palme da olio, a spese della foresta tropicale, cioè proprio dove la fauna selvatica è più importante per numero di specie e di individui e dove, di conseguenza, i patogeni sono più presenti e importanti.
Quando vediamo arrivare storni e gabbiani nelle nostre città, non ci sorprendiamo forse poi più di tanto, ma bisogna considerare che questi animali portano con loro un corredo di microrganismi che andrebbe conosciuto. E la loro migrazione è dovuta esattamente alle stesse cause: crescita delle aree metropolitane, disboscamenti selvaggi, deserti agricoli, caccia.
Il commercio illegale della fauna selvatica è un terzo motivo di preoccupazione, e non deve essere sottovalutato. Nel caso di Covid-19 è il caso del pangolino cinese, le scaglie della cui “‘corazza” lo rendono ambito dai bracconieri. Fatte di cheratina, come le nostre unghie, secondo diverse superstizioni sarebbero una panacea per molti mali e vengono utilizzate, come le ossa di tigre e il corno di rinoceronte, dalla medicina orientale.
Inoltre la carne di pangolino viene considerata da alcune comunità locali una vera e propria prelibatezza: ecco perché oggi questo mammifero, mite e innocuo, è divenuto l’animale più contrabbandato al mondo. In Cina la sottospecie è declinata del 90% dagli anni Sessanta, proprio a causa del commercio illegale.
Il genoma del virus rinvenuto nei pangolini (che si suppone essersi sviluppato originariamente nei pipistrelli) è quasi identico al Coronavirus 2019-nCoV rinvenuto nelle persone infette. Sembra quindi che il commercio illegale di animali selvatici vivi e di loro parti del corpo sia veicolo per vecchie e nuove zoonosi, aumentando il rischio di pandemie i cui contraccolpi sono sotto gli occhi di tutti.
In particolare, non è la prima volta che si sospetta che l’ospite intermedio di una malattia infettiva sia un animale vivo venduto in un mercato cinese: circa 17 anni fa, la sindrome respiratoria acuta grave (Sars), è comparsa in un mercato cinese che vendeva civette delle palme.
A questo dobbiamo aggiungere la caccia, spinta a livelli insostenibili, e tutta una serie di pratiche tese alla massima resa dei terreni agricoli che impoveriscono la ricchezza della vita e abbattono le difese naturali degli ecosistemi.
Varrà anche la pena di ricordare che il cambiamento climatico è un incubatore perfetto per le uova delle zanzare anofeli, che si riproducono oggi a ritmi impressionanti, colonizzando regioni che mai avevano conosciuto prima i deliri della malaria.
Lo stesso accade con l’Aedes aegypti, la zanzara che trasmette dengue e febbre gialla, che, già da qualche anno, sì spinge fino a oltre i 1300 metri in Costa Rica e, addirittura ai duemila in Colombia, Uganda, Kenya, Etiopia e Ruanda.
Tutto questo sotto la nostra responsabilità. Però, qui c’è anche parte della soluzione del problema: basterebbe infatti ridurre l’intensità e il livello di quelle attività distruttive per gli ecosistemi per ridurre, di conseguenza, i rischi di pandemie e, anzi, irrobustire le nostre difese.
Purtroppo, però, nonostante esistano modelli di previsione dell’insorgenza di epidemie abbastanza precisi, a questi studi non vengono dedicate risorse in tempo di pace, salvo poi rimpiangerlo quando le malattie scoppiano.
Fermare la distruzione degli habitat naturali comporta una revisione del nostro modello di sviluppo, solo che stavolta a indicarla non sono i soliti ambientalisti, ma i medici.
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sono d’accordo con Daidola. Siamo in troppi. Ogni giorno rubiamo sempre di più un pezzo di ambiente naturale. Gioco forza sarà lo scontro.
Quello che forse non capiamo o meglio, non vogliamo capire, che anche noi facciamo parte del ciclo naturale, siamo anche noi un ingranaggio del meccanismo. Stiamo forzando sempre di più questo meccanismo per il nostro tornaconto, nella convinzione che ne siamo al di sopra, che siamo i proprietari dell’orologio. Ma non è così.
“In questo senso vanno tenuti in conto diversi fattori scatenanti e/o aggravanti. Per primo le alte densità di popolazione delle aree urbane: più sapiens in aree ristrette vuoi dire più rischio di contagi. I nomadi cacciatori-raccoglitori, ovviamente, si ammalavano molto meno dei cittadini e agricoltori e non sviluppavano certo epidemie” In queste parole sta il vero problema, inutile strapparsi i capelli come fanno gli ambientalisti e i moralisti. Densità della popolazione dei sapiens: questo il vero problema. Un problema che se non si risolve con l’intelligenza saranno le pandemie o le guerre fra formicai a risolvere. Volete o non volete capire che siamo in troppi in questo piccolo mondo e che è da questa consapevolezza che bisogna partire per evitare la catastrofe?
Caro Antonio,
se qualcosa di profondamente drammatico avviene nella nostra esistenza, il salto è repentino. Per lo meno, ciò che si verifica è un arresto della vita precedente che da, nostro malgrado, nuove pieghe a quella futura. Certe abitudini possono mutare velocemente, mentre altre impiegare anni a trasformarsi.
Leggendo le parole di Carlo mi è venuto in mente un passo del libro “Un nuovo mondo” di Eckhart Tolle, che ho il piacere di condividere con chi leggerà:
”L’umanità è pronta per una trasformazione della coscienza, per una fioritura così radicale e profonda che, in confronto, il fiorire delle piante, per quanto bello, è solo un pallido riflesso? Gli esseri umani possono perdere la densità delle strutture condizionate della mente e diventare, per così dire, come cristalli o pietre preziose, trasparenti alla luce della coscienza? Sono in grado di resistere alla sfida dell’attrazione gravitazionale del materialismo e della materialità per innalzarsi al di sopra dell’identificazione con la forma che mantiene l’ego al suo posto e li condanna a essere imprigionati nella loro stessa personalità?”
Quando sento qualcuno dire che dalla pandemia ha imparato questo o quello faccio fatica a credergli. Certo, tutto può essere, a volte si affrontano delle situazioni che ti rivoltano come un calzino ma sono convinto che nella maggioranza dei casi i cambiamenti, qualora si verifichino, abbiano dei tempi lunghi e incerti.
Allo stato attuale non possiamo dire cosa ci abbia insegnato l’esperienza che, peraltro, stiamo ancora vivendo. In ogni caso la durata della clausura non è stata biblica e pertanto non credo ci si possa aspettare chissà quale rivoluzione.
A scuola, per tante ragioni forse anche di tempo, ci hanno fatto studiare una storia fatta di eventi epocali, guerre, carestie, bla bla bla ma quasi mai gli insegnanti si sono soffermati sull’incidenza dei tanti piccoli cambiamenti nella vita quotidiana a seguito di invenzioni, usi, costumi, ecc..
In Italia se avessimo imparato a fare la fila come si deve avremmo già ottenuto un discreto risultato. Potrò essere più preciso a settembre, quando gli uffici pubblici coi quali ho a che fare riceveranno i cittadini a regime.
ogni giorno ripenso ai bellissimi giorni della “clausura” dove in breve tempo tutto è tornato come una volta , vivibile! . Non nascondo che vivo in collina , ma anche qui stiamo da tempo perdendo la nostra identità umana a favore della speculazione pseudo turistica che ci tengo a sottolieneare di matrice politica . In due settimane tutto è tornato anche peggio di prima , ecco cosa ha insegnato alla gente questa pandemia , e tutto ciò nel piccolo lascio all’immaginazione quello che succede nei centri urbani e le nostre mitiche montagne all’insegna delle olimpiadi.
Ma non serve lamentarsi se ognuno non fa tutto il possibile per cambiare .
gigi miele
Già. “Ma io vedo che tutti e tutto stanno facendo il possibile per fare tornare ogni cosa come prima”.
Consumi, mercato, debito, pil, ripresa, miliardi, Europa”.
Sono alcune delle voci che ricorrono senza interruzione come la fine di un vinile dimenticato acceso.
Sono le sole che escono dalle bocche dei politici e degli esperti loro accoliti.
L’ambiente quando è presente lo è per essere strumentalizzato a favore della propria politica, comunque e sempre liberista.
Il disagio sociale quando è gestito, lo è attraverso piccole assistenze bon-bon, come se le persone fossero un dato quantitativo. E certamente solo e soltanto per tenerle buone.
La loro comunicazione gli ha permesso di prendere le misure sulla liquefabilità dei pensieri delle persone. I risultati, chi può negarlo, sono stati ottimi. Attendiamo dunque il passo successivo: l’accettazione, anzi il desiderio, della vaccinazione/i obbligatoria; l’accettazione della smart-life, caspita si riducono i costi e il debito; l’accettazione di infanzie in cattività, per preservare la salute; l’accettazione di categorie sottoproletarie distrutte, caspita è tutto nero che emerge; l’accettazione di una condizione relazionale di diffidenza e separazione, gira al largo, sei potenzialmente infettivo; l’accettazione della censura, bene, tutti ciarlatani disfattisti; l’accettazione di una cultura che mortifica lo spirito creativo e la forza delle persone, e chi l’ha detto?; L’accettazione che altro non sia possibile fare, che altra via non esista proprio.
Più che i politici e i loro accoliti il problema è l’esercito al loro seguito.
Ombre di guerra civile si sarebbe detto al tempo della solidarietà.
Ma se a suon di separazione, individualismo e elargizione di antidepressivi quelle braci faticano a rinfocolarsi, la pressione in qualche modo crescente si farà sentire, magari come già successo alla Columbine High School, 1999; nelle banlieu, dal 2005, all’isola Utøia, 2011, nella redazione di Charlie Habdo, 2015. Quattro esempi lontani tra loro, tutti vincitori del campionato della mortificazione, dell’umiliazione, dell’ingiustizia, del tradimento, dell’abbandono.
Già. “Ma io vedo che tutti e tutto stanno facendo il possibile per fare tornare ogni cosa come prima”.
Concordo che la rivoluzione dovrebbe partire dal basso. Se non ci pensano le famiglie, che dovrebbero essere l’alveo naturale di un’educazione ambientale “sana” (come, per fortuna, è accaduto nella mia famiglia), dovrebbe intervenire la scuola, anche con esperti ad hoc. Mi pare di averlo scritto a più riprese in diversi commenti delle scorse settimane (cacciatori, foca monaca ecc). Portarsi il cibo in rifugio (come sono stato educato io a suo tempo) dovrebbe essere un “valore etico” e non una scelta da pezzenti: bisogna arrivare a ragionare così e allora tutti lo farebbero e lo accetterebbero senza discussioni. A obiettivi come questo occorre giungere, mutuandoli in tutti i milioni di risvolti dell’esistenza di ciascun essere umano, alpinista o non alpinista. Però, in attesa che famiglie e istruzione facciano il loro compito in tale direzione, noi alpinisti “fatti e finiti” (cioè che non siamo certo in età da dover essere ancora da educare) dovremmo dare l’esempio e agire già così di nostra iniziativa. Per esempio: nelle uscite delle scuole CAI se gli allievi vedono costantemente che gli istruttori seguono comportamenti come questo, gli allievi li troveranno naturali e li assimileranno. Dare l’esempio in risvolti come questo ricopre un valore “didattico” (nel caso verso gli allievi delle scuole) molto ma molto più importante che insegnare il nodino come previsto nell’ultimissima versione del manuale tecnico. Temo anche io che purtroppo tutta l’umanità cerchi di tornare il prima possibile a come si era “prima dell’epidemia” e, in questo trend sbagliato, anche la maggioranza degli istruttori spingerà per tornare a comportarsi come ci si comportava “prima”. Non si farà tesoro dell’esperienza, nonostante i guai, i disagi e le vittime.
Nei rifugi troneggiano cartelli che vietano il consumo di cibi e bevande propri. Sono d’accordo a contrastare lo stile consumistico a tutto campo, ma, per esempio, lo sarebbe anche il Cai che gestisce molti rifugi? Meno scelta di cibi = meno guadagno. Sarebbe il Cai disposto a fare una campagna massiccia contro ciò che ora propone? Sarebbero disponibili a farla i gestori che vedrebbero i loro guadagni scendere drasticamente? Anche presso i rifugi privati (dalle mie parti i più numerosi) ve li vedete i turisti che consumano minestrina e che però inzozzano i tavoli con le loro vettovaglie? Il sistema va cambiato dal basso, ovvero a scuola e in famiglia. Bisognerebbe fare passare il messaggio che il consumismo è conseguente all’ignoranza. Se funzionasse, il sistema collasserebbe come sta per fare adesso in era Corona Virus. Ma io vedo che tutti e tutto stanno facendo il possibile per fare tornare ogni cosa come prima.
Attenzione: in italiano si dovrebbe chiamare zibetto, viverride simile alla mangusta,
non civetta per non confonderla con il noto rapace notturno e tantomeno con il Monte , caro agli alpinisti che frequentano il Blog.,