I due soli di Renato Casarotto
(se non diversamente indicato, le foto sono di Enrico Ferri)
Vicenza, Teatro Olimpico. C’è un sacrale silenzio nel teatro al coperto più antico al mondo, neppure il più piccolo colpo di tosse: in 470 attendiamo al buio che la scena si accenda, che lo strisciante sottofondo musicale che imita il vento di montagna lasci spazio a un faretto che finalmente investe e illumina l’attore Massimo Nicoli lasciando nell’ombra i musici Francesco Maffeis e Jurij Roncan.
Così inizia, la sera del 26 aprile 2016, lo spettacolo di Umberto Zanoletti, rappresentazione teatrale in atto unico DUE AMORI. Storia di Renato Casarotto, da un’idea di Davide Torri dell’Associazione Gente di Montagna e da una scrittura di Nazareno Marinoni e Gianfranco Ialongo.
La scena è tanto nuda quanto grandiosa. Nicoli è seduto a un tavolino, a destra campeggia una rossa tenda da montagna con accanto uno zaino. Ma palco, gradinate, pubblico e attore sono dominati da un capolavoro di Andrea Palladio, diventato Patrimonio Unesco della Città di Vicenza e tempio universale della cultura.
Buio e attesa sono stati preceduti da una breve presentazione, condotta da Alberto Peruffo (il regista culturale) e da Roberto De Martin, presidente del Trento Film Festival (che ha scelto quest’occasione per aprire la 64a edizione) che introducono l’omaggio a una delle figure più importanti dell’alpinismo del secolo scorso, Renato Casarotto, cittadino benemerito di Vicenza, nel trentennale della sua morte. De Martin legge l’agghiacciante racconto di Gianni Calcagno, colui che fu calato nel fatale crepaccio per recuperare Renato morente.
Il 16 luglio del 1986, ai piedi del K2, moriva infatti Renato Casarotto, alpinista nato ad Arcugnano (Vicenza) il 15 maggio 1948, protagonista tra gli anni ‘70 e ‘80 di imprese ed esperienze che sono diventate, dopo trent’anni, per il loro alto valore esplorativo e umano, patrimonio dell’immaginario collettivo di tutta la comunità alpinistica internazionale.
Questa sera dunque, la montagna e l’alpinismo, con il loro messaggio universale, entrano nel cuore della grande cultura classica occupando una delle scene più ambite e celebrate dagli artisti di tutto il mondo, vetta metaforica dell’Olimpo culturale.
Considerate leggendarie, quasi tutte irripetute, le imprese di Casarotto sono raccontate da Nicoli senza retorica, attingendo a uno straordinario canovaccio basato sulla testimonianza di Nazareno Marinoni, giornalista valdostano della Rai, amico di Renato. Fatti ed episodi, alcuni dei quali sconosciuti, si succedono serrati, trasportando lo spettatore tra le montagne più belle e difficili della Terra, con la sola forza delle parole, dei pensieri e della forte storia d’amore che ha visto come protagonista la moglie di Renato, Goretta Traverso, presente in sala, donna di grande carattere e forza morale, prima italiana a salire una montagna di 8000 metri (il Gasherbrum II).
La narrazione racconta l’alpinismo attraverso l’amore di un uomo verso la sua compagna e verso le montagne che lo hanno accompagnato in ogni giorno della sua vita: «La storia di un uomo e del suo incontro-scontro con il limite universale». I due Amori di Renato Casarotto.
L’alpinismo di Renato Casarotto è stato a tutti gli effetti un’esperienza totalizzante e molto creativa: il racconto, attraverso le parole di Nicoli, valorizza l’azione sulla montagna, ma nel contempo procede aprendoci sprazzi sulle profondità dell’amore per Goretta, quelle riflessioni intime che completano la grandiosità dei progetti e delle imprese. Mentre Renato era in azione sulla parete, Goretta viveva la propria esperienza alla base delle pareti, sapendo dialogare con quel mondo così inospitale, dove l’estraneità glaciale riesce a contagiare le profondità di noi stessi.
Dopo giorni e giorni di solitudine in ambiente repulsivo, l’ordinaria raffigurazione nelle vesti di Goretta che Casarotto fa delle sue pulsioni più intime, vero motore della sua macchina da guerra, non può più reggere la finzione.
Aspettavo con emozione il momento in cui sarebbe stata raccontata la salita della Ridge of no return. Finalmente le calde parole del dramma pronunciano i due Soli che scorse Renato, i due se stessi affiancati, quello noto e quello sconosciuto, perché proiettato fino ad allora su Goretta, che si scopre altrettanto luminoso. Quello che lo aveva accompagnato e protetto, amico molto discreto, per tutta la sua vita leggendaria, quando tanto più il sole vero era cancellato dalle buie e violente bufere in quota, tanto più brillava nero e invisibile il sole della sua anima.
I due Soli appaiono dopo giorni e giorni, quando il viaggio di Renato è al culmine dell’intensità, nel climax delle atrocità fisiche e psichiche di un ambiente disumano, una visione cui Renato non può resistere, una spaventosa rivelazione di potenza che porta al ripudio di quella che egli stesso qualifica come “zavorra”, perché cerca di impedire quell’insana scissione psicologica che invece lo smisurato ego di Renato a quel punto vuole, pensando sia la soluzione.
In effetti di soluzione si tratta, la recisione di quel patto intimo che aveva per tanti anni fornito l’energia necessaria a cotanta volontà e concentrazione. Una soluzione di contratto purtroppo “no return”.
Massimo Nicoli
Roberto Mantovani e Alberto Peruffo
Filippo Zanetti, Roberto Mantovani, Alberto Peruffo e Alessandro Gogna chiudono l’evento
Gli applausi, dopo 100 minuti, sono quasi liberatori, sembrano non smettere più. Alla fine della serata, dopo la voce dell’amministrazione comunale (Filippo Zanetti, Assessore alla Semplificazione e Innovazione), sono state ascoltate due testimonianze, in quanto amici di Renato, quella dello storico dell’alpinismo Roberto Mantovani e quella mia.
In teatro erano presenti moltissimi tra gli amici di Renato Casarotto, nonché alcune personalità dell’alpinismo e della cultura della montagna italiana. Con il pericolo di dimenticare molti: Giacomo Albiero, Carlo Claus, Lorenzino Cosson, Agostino Da Polenza, Kurt Diemberger, Ivo Ferrari, Davide Ferro, Maurizio Giarolli, Luca Giupponi, Rolando Larcher, Umberto Martini (presidente generale del CAI), Franco Michieli, Giuseppe Popi Miotti, Elio Orlandi, Cecilia e Maurizio Oviglia, Piero Radin, Vincenzo Torti, Adriana Valdo, Maurizio Manolo Zanolla.
Il ricavo della serata, detratte le spese, sarà donato in beneficenza dal Gruppo di Lavoro Olimpico CAI, SAV, GM, GAV per le adozioni a distanza di giovani nepalesi e peruviani bisognosi.
Goretta Traverso raccontò vita e imprese di Renato nel volume Una vita tra le montagne. Qui è con Nazareno Marinoni ai cui scritti è ispirato lo spettacolo. Foto: Roberto Serafin/MountCity.
Immenso Renato.
Mi SONO GUARDATO ATTORNO L’ALTRA SERA, UN TEATRO BELLISSIMO, OPERA D’ARTE CHE MOLTI( IO COMPRESO) NEMMENO CONOSCONO … CHE STRANI GLI ITALIANI ….MI SONO GUARDATO ATTORNO è HO VISTO VISI ATTENTI, OCCHI PUNTATI, ORECCHIE IN ASCOLTO, UN MERAVIGLIOSO VIAGGIO NEL RICORDO, UN RICORDO DI CHI PUO’ RICORDARE E DI CHI PUO’ SOLO IMMAGINARE. ROBERTO (auguri) e ALESSANDRO HANNO DETTO “IN ANTICIPO”, “POCO CAPITO”, VERO, VERISSIMO, MA I VISIONARI SONO SEMPRE IN ANTICIPO E DIFFICILMENTE CAPIBILI, PERO’ è ANCHE VERO CHE A DISTANZA DI ANNI, LA STRADA INDICATA DA RENATO, ANCHE SE “DIVERSAMENTE” NON è ANDATA PERDUTA, L’ALPINISMO CORRE VELOCE, MA QUEL TIPO DI LENTEZZA è DENTRO IN MOLTI DI NOI … E CHI CONOSCE LA STORIA NON DIMENTICA. UN GRAZIE ANCHE AD ALBERTO, CHE NON CAMBIA MAI, A VOLTE DIFFICILMENTE CAPIBILE MA SEMPRE ATTENTO A “RICORDARE” E, AD AIUTARCI A NON DIMENTICARE. buona montagna ivo
Due grazie.