I settanta anni del K2

I settanta anni del K2
Siamo nel 2025, i settanta anni del K2 sono ormai fuori gioco. Questo ci autorizza a fare qualche riflessione sulla ricorrenza appena tramontata.
E’ tipico delle epoche caratterizzate da scarsa creatività indulgere nelle celebrazioni delle ricorrenze. In questi tempi si festeggiano oltre che le quasi ovvie giornate mondiali del papà, della mamma e della pace anche quelle del gatto, della risata, del whisky, del vento, della migrazione dei pesci, del gabinetto, ecc. In tutto le giornate sono 152, codificate dall’ONU e suscettibili di aumentare.
Alcuni giorni addirittura sono dedicati a un doppio qualcosa: tanto per stare nel campo di noi appassionati di montagna, la giornata internazionale della montagna (11 dicembre) è anche la giornata mondiale del tango…

File source: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ardito_Desio_1954b.jpg

Gli alpinisti avrebbero una mostruosa quantità di eventi da festeggiare, ciascuno dei quali declinato numericamente da uno a dieci, ma poi per decenni, fino eccezionalmente ai secoli. La tipologia varia dalla conquista di una vetta particolare, alla nascita o morte di personaggi che in qualche modo si sono imposti all’attenzione: e se considerate la smisurata quantità di libri che in quasi 250 anni di alpinismo sono stati scritti e stampati in tutte le lingue, quantità che di gran lunga non ha uguali nel campo delle attività umane più o meno sportive, avete probabilmente idea di quante ricorrenze in linea teorica siano disponibili ad essere prese in considerazione.

Ma all’atto pratico, e per fortuna, interviene un fatto che impone una selezione e tante censure: la durata della vita umana. Nessuno si sognerebbe di dedicare una solennità ufficiale al ricordo di un evento che si è svolto diciamo cent’anni prima, quando nessuno dei contemporanei è ancora più in vita. Se questo succede (e succede) la responsabilità di ciò non è più la genuina affettività, che di solito accompagna la volontà di celebrare, bensì l’esigenza di un marketing che necessita di qualunque cosa possa caratterizzare la tipologia dell’offerta turistica di una località.

In questo meccanismo gioca la parte più importante l’associazione psichica che l’informazione di massa fa tra la “vittoria” celebrata e il “successo” tanto ricercato da chi promuove l’iniziativa. Chi infatti ha mai festeggiato un tentativo? Nessuno.

Una commemorazione è come erigere un monumento, temporaneo, a volte ripetuto e ciclico, mai concretamente fisico (di marmo o di bronzo).
Francesco De Gregori, nella sua canzone Festival (nell’album Bufalo Bill), afferma però che si fanno monumenti per dimenticare un po’ più in fretta. Indipendentemente se ciò che lui canta sia suo originale o meno, questo ci suggerisce la doppia valenza del monumento. Da una parte l’affetto per l’oggetto, dall’altra l’esigenza di elaborare il lutto per ciò che non è più, quindi l’inconscio desiderio di dimenticare, meglio prima che poi.

I modi, sia per ricordare che per dimenticare, sono molti.

Impressionante nella sua grigia sobrietà è il Monumento alla memoria delle vittime dell’olocausto, a Berlino, poco lontano dalla Porta di Brandeburgo: 2711 blocchi rettangolari di calcestruzzo, sistemati a griglia in modo da sembrare sepolture, su quasi 20.000 mq di superficie.
Il monumento equestre a Saddam Hussein, a Bagdad, simbolo della gloria del dittatore, è stato abbattuto con la caduta dello stesso, non tanto per dimenticare quanto per incapacità di cambiarne il significato. Come se la distruzione del simbolo potesse coincidere con l’impossibile sparizione del passato, in una vicenda che prima o poi mostrerà quanto in una guerra nessuna parte in realtà vinca o perda.
Questa lunga introduzione solo per suggerire la doppia valenza dei monumenti e delle ricorrenze.
A settant’anni dalla conquista del K2, tutti i protagonisti sono scomparsi e ormai relativamente pochi sono i contemporanei che, come me, vi hanno assistito. E la maggioranza, se interrogata, è più in grado di riferire la violenza e la ripetitività delle polemiche che ne sono seguite che non di descrivere la grandiosità di ciò che effettivamente successe. Di fronte a questa constatazione appare evidente come sia in realtà giusto riproporre un evento, a patto che lo si voglia riportare alle sue valenze originali, senza però omettere ciò che di negativo e di troppo umano questo possa aver comportato.

Settant’anni è il numero in bilico tra l’effettivo ricordo e la volontà dell’organizzatore di lustrarsi con i bei tempi della conquista.

Siamo perciò a cavallo di un’epoca che intende servirsi di un ricordo, in realtà banalizzandolo, ma che genuinamente intende anche fare luce, sapere.

Sta a noi cavalcare nel modo equilibrato, senza sfinire l’animale nel tentativo di raggiungere la meta sempre e comunque.

Aver voluto festeggiare i settant’anni del K2 è stata una corsa tra due estremi, entrambi colorati di buona fede. L’impossibile rinverdimento di un’epoca tramite la semplice ripetizione dell’evento, sia pur con la variazione di genere, e l’altrettanto impossibile ritorno affettivo a ciò che non è più, a una fonte che di perenne non ha neppure il ricordo.

Forse se la commemorazione avesse scelto un’altra meta, più descrittiva della parte migliore dei nostri tempi, il compito sarebbe stato meno impossibile. Se si fosse scelto un obiettivo che qualitativamente potesse essere accostato a ciò che era il K2 nel 1954 e che quindi si nutrisse dell’insicurezza e delle scarse probabilità di successo come avviene per esempio nelle tante salite che costituiscono il tessuto connettivo delle annuali premiazioni del Piolet d’Or, forse, dicevo, si sarebbe arrivati allo scopo: dimostrare che anche oggi, volendo, si possono rivivere i tempi del K2.

Invece si è preferito il tentativo di più che addomesticata ripetizione di un itinerario ormai ridotto a via ferrata d’alta quota, dove le corde fisse poste da altri arrivano fino alla vetta e dove, nei tratti senza necessità di corde, c’è una lunga sfilza di bandierine colorate. Nell’illusione che così il successo non potesse non mancare.

Ed è proprio da questo insuccesso che voglio partire per cercare di dimostrare che siamo ancora in grado di imparare la profonda umiltà necessaria per paragonarsi ai bei tempi che furono e per riviverne la grandiosità. Non solo l’umiltà delle parole e degli scritti, ma quella interiore della cultura del limite (basta volerlo, ma non è certo facile). Le prime a trovarsi in questa invidiabile anche se scomoda condizione sono di certo le protagoniste, tutte quante le quali hanno i numeri tecnici e psicologici per farlo.

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I settanta anni del K2 ultima modifica: 2025-01-08T05:49:00+01:00 da GognaBlog

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9 pensieri su “I settanta anni del K2”

  1. “la maggioranza, se interrogata, è più in grado di riferire la violenza e la ripetitività delle polemiche che ne sono seguite che non di descrivere la grandiosità di ciò che effettivamente successe.”
    parole su cui riflettere; ormai appena si parla di K2 sui social, automaticamente scatta la giostra di offese a Desio e Compagnoni, dimenticando o sminuendo  quello che fu un enorme successo alpinistico. L’obiettivo era salire in vetta e si riuscì  dove altri prima non ce la fecero.

  2. A guardare quanto avvenuto da un’altra angolazione si può dire che l’insuccesso della spedizione attuale (in un’ epoca in cui i valori alpinistici maschili e femminili non sono molto distanti) ha fornito una ulteriore attestazione del valore del successo ottenuto nel 1954, mentre la piena riuscita ne avrebbe sottolineato un grande divario.

  3. giusto dire nessuna polemica….se si trattasse di una spedizione “normale”, cosa che questa non è. Errato secondo me pensare ad un anteprima come prova su un altra grande montagna, perché? Perché quando ho salito il K2 nel lontano 1996 con me c’era l’amico Giulio che era alla sua prima esperienza in alta quota ed è arrivato in vetta. Il mio pensiero riguardo la trasmissione sul canale RAI è molto positivo dal punto di vista delle immagini e delle riprese,  la storia costruita non mi è piaciuta, soprattutto il ritrovamento dello zaino e di altri resti dopo un video di una valanga che posso trovare su qualsiasi canale. Anche perché quello zaino e quella scarpa so di chi sono, era con me. La ferrata, come scritto in altri commenti, oramai è nella normalità su queste montagne e a me fa molto schifo, non sei più alpinista o himalaista ma una persona come tante che hanno solo il fisico per seguire una corda fissa. Vergognoso. Una commemorazione del genere fatta in una piazza di qualsiasi paese o città avrebbe avuto più successo, ma è solo il mio pensiero. I fantasmi buoni e cattivi del K2 non si possono raggirare con storie inventate. –

  4. La storia della scalata al k2, ha espresso come sempre un po’, i pregi e i difetti che contraddistingue il pensiero comune e l indole del pensiero italiano. Come al solito, abbiamo voluto dare l impressione di essere bravi e forti organizzati. Ricordando un po’ le nostre imprese militari degli anni precedenti. Mentre i fatti storici hanno evidenziato che era tutta facciata. E nei momenti di difficoltà, improvvisamente sono emerse le eccellenze e l indole dei migliori che hanno saputo esprimere le loro capacità. Non abbiamo ammesso serenamente le mancanze, riconoscendo i meriti, e questo alone di polemiche, ha messo in secondo piano l impresa. Perché di questo si tratta, di un evento epocale. Ma noi in  polemiche non siamo secondi a nessuno. Questa nuova esperienza, che doveva essere la commermazione di allora non ha raggiunto il suo obbiettivo, come può succedere, ma finiamola li. Hanno tentato, la montagna non da sconti a nessuno. Brave lo stesso e nessuna polemica.

  5. Sul K2 e le sue vicende A. penso sia stato scritto e fatto di tutto;cartoline ,francobolli, poster,film,libri libretti, negozi,brand e ondate di polemiche dove in mezzo a tanto vi si poteva anche trovare tanta Italia (nel bene e nel male)e anche una Verità, disponibile quest ultima a realizzare un film celebrativo  il più coerente con i fatti accaduti lassù. Ma…ma è tardi i testimoni e protagonisti sono tutti di là e a noi restano celebrazioni istituzionali da calendario e niente più ,assieme ad un tentativo pregevole nelle intenzioni meno per i ricordi, la giusta storia e come dovrebbe essere raccontata rimane ancora inviolata.

  6. Sono totalmente d’accordo con Carlo Crovella: la spedizione è stata organizzata con fortissimo ritardo, nessuna delle protagoniste si era mai cimentata su un ottomila, credo le le possbilità di un successo fossero pari a zero…

  7. C’è da celebrare la menzogna che Lacedelli e Compagnoni si son portati nella tomba???….anche no, grazie

  8. Senza la vetta vuol dire senza traguardo,puoi essere il più forte maratoneta al mondo ma se ti ritiri la maratona è più forte di te. Anche se ferrata la salita è impegnativa…viene da pensare a Nives e marito che per i fatti loro e in solitudine hanno raggiunto la vetta del K2 senza celebrazioni, certo non erano passati 70 anni ma Nives è una donna italiana che ha raggiunto il traguardo sulla vetta. Le nostre del 2024 hanno fatto un tentativo nient’altro.

  9. A tavolino l’idea della spedizione al femminile la trovo non male come spunto per celebrare l’evento in una ricorrenza tonda: mixa il tradizionale con i nuovi tempi, pur con tutti i limiti della ferrata d’alta quota (giustissimo sottolinearlo, ma questo “difetto” lo capiscono solo gli appassionati di montagna, mentre il grande pubblico – cui sono rivolti sia il “messaggio” istituzionale sia gli input promozionali degli sponsor – non distingue minimamente questi risvolti). E’ però evidentissima una cosa: con questo progetto si è partiti troppo tardi, col senno di poi ci si doveva muovere almeno un anno prima (forse perfino di più) e già nell’estate 2023 fare una spedizione di prova (su un’altra cima himalayana, anche solo un 7000), con la stessa squadra, per testare sia l’adattamento alla quota delle protagoniste (che mi sembra sia stato il grosso limite della spedizione 2024) sia l’amalgama della squadra nel suo complesso. L’ipotetica “prova” nell’estate 2023 avrebbe permesso di apportare i “correttivi” per farsi trovare adeguatamente pronti all’appuntamento dell’estate 2004 sul K2. Proprio nei gg scorsi ho visionato il filmato RAI sulla spedizione 2024 (si trova in rete): si tratta di un prodotto “televisivo”, da cui non si può pretendere che abbia le stimmate del capolavoro, ma non lo trovo malaccio e merita quell’oretta e mezza circa che richiede la sua visione. Cmq a me è stato molto utile per comprendere le specifiche dinamiche della spedizione, anche nei day by day. A fine visione, è uscita rafforzata la mia impressione di fondo, quella che ho sintetizzata sopra.

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