I veri prigionieri

I veri prigionieri
(Papillon dev’essere liberato)
di Chiara Baù
(pubblicato su imperialbulldog.com il 6 maggio 2020)

Agosto, 2019. Un idrovolante mi ha appena depositato nel territorio del Lake Clark National Park, Alaska, uno dei posti più remoti al mondo. Solo 4 tende sono consentite e non più di 8 persone. Un accampamento che viene montato solo due settimane all’anno. L’erba non può essere pressata per più di due settimane dal peso delle tende, tale è il rispetto per la natura. Un filo elettrico circonda il piccolo campo, accorgimento necessario per scoraggiare possibili orsi in avvicinamento.

Sono immersa nella wilderness dell’Alaska, in una zona con la più alta concentrazione di orsi grizzly al mondo. Un vero e proprio santuario. Niente solide pareti di baite in grado di proteggermi. Solo natura. Regole ferree. Alimenti e oggetti che possano attirare gli orsi vengono appesi tramite una carrucola artigianale in cima ad un albero, appena terminato il pranzo. Cinque i partecipanti a questa avventura: due guide, due escursionisti e la sottoscritta. Nessun’altra presenza umana nel raggio di migliaia di chilometri. Niente sentieri, niente vie di fuga, da un lato l’oceano, dall’altro una foresta intricata e impercorribile. L’idrovolante atterra su una striscia di sabbia.

© Chiara Baù

Davanti a noi scorre il fiume, il parco giochi dei grizzly. Ogni giorno abbiamo la possibilità di osservare vari esemplari di orsi, ognuno con una sua spiccata personalità, caratteristica peculiare degli orsi. Così ad ognuno assegniamo un nick name. Ecco che compare una mamma con i cuccioli, poi una giovane femmina inesperta che spreca un sacco di energie per catturare salmoni, quindi è il caso di un giovane maschio provetto che dà filo da torcere alla giovane femmina, depredandole i salmoni pescati. È affascinante constatare come l’indole di ogni orso sia differente da esemplare a esemplare. Nel primo pomeriggio il caldo è soffocante e ne approfitto per una doccia, il che significa appartarsi fuori dal campo tendato, oltre la recinzione elettrica e rovesciarmi sulla testa una tanica d’acqua tiepida, complice il sole che l’ha riscaldata per qualche ora. Nuda sotto il piacevole getto d’acqua, le guide distanti una ventina di metri. Davanti il fiume. Durante le ore più calde gli orsi tendono a rimanere nella foresta per godersi il refrigerio all’ombra degli alberi. Non in quel momento. Mentre inizio a insaponarmi, mi accorgo che una femmina di orso con i suoi cuccioli inizia a costeggiare il fiume, non più distante di una decina di metri.

Si ferma e pare osservarmi, incuriosita probabilmente da quella doccia artificiale che mi sta lavando. Sembra non convinta di quell’acqua che scivola sulla mia testa come una piccola cascata. Mi fermo un attimo, non so cosa pensare, senza niente addosso davanti ad un’orsa che mostra un certo interesse nei miei confronti. Ci scambiamo uno sguardo da donna a orsa, non provo nessuna paura e trovo sorprendente l’incontro. Mi chiedo ancora oggi che cosa abbia attratto quell’orsa, ma è stata certo una delle mie più belle esperienze di vita. Con cautela sono rientrata nella mia tenda, mentre l’orsa dopo avermi fissato ancora qualche istante, ha proseguito il cammino impegnata ad impartire lezioni di pesca ai suoi cuccioli.

Nello stesso periodo, in Italia, M49 soprannominato Papillon, l’orso fuggito dal recinto del Casteller in Val Rendena, stava conquistando l’affetto e l’ammirazione di tanti italiani: la sua fuga verso la libertà, la sua sfrontata e libera indipendenza, nonché la capacità di sfuggire alle autorità di tutto il Trentino Alto Adige ci avevano lasciati interdetti. Esemplare la sua tenacia nell’esplorare il territorio difendendo la sua libertà.

Perché tifiamo per lui? Papillon ha una marcia in più rispetto ad altri orsi. Così come il personaggio di Henri Charrière mirabilmente impersonato da Steve McQueen, Papillon, è riuscito a fuggire. Un temperamento e un coraggio straordinari, un ribelle che per difendere la propria libertà sfida autostrade, ferrovie, vallate, ponti, fiumi. Simboleggia un’indole forte e decisa che ha tanto da insegnare all’uomo schiavo di tecnologie, stupide fobie, dei media e di trascinanti influencer. Sì perché Papillon affronta ogni ostacolo da solo e vince.

Un animale che pur avendo scorrazzato per centinaia di chilometri, non ha mai costituito un pericolo per l’uomo. Ha razziato animali, ma teniamo presente, animali non adeguatamente protetti dai proprietari. Nei programmi di reintroduzione in territori antropizzati il primo accorgimento da adottare è quello di predisporre adeguati dispositivi di sicurezza, quali recinzioni elettriche capaci di scoraggiare l’avvicinamento di orsi che del resto non fanno altro che seguire un’indole innata, scevra da atti di crudeltà o ferocia.

© Chiara Baù

Lo spirito di Papillon è entrato in noi, i suoi valori di libertà hanno influenzato i nostri pensieri, perché ha saputo sfuggire a tutti, difendendo fino all’ultimo la sua libertà. Una volta uscito dal letargo ha ripreso il cammino interrotto. Proditoriamente è entrato in qualche baita isolata facendo razzia di riserve di cibo, avanzi, immondizie, raramente qualche capo di bestiame.

Sempre nei programmi di reintroduzione, è importante formare la comunità montana con opportune raccomandazioni sulla conservazione di provviste in luoghi adeguatamente protetti e con involucri antiorso, come avviene nel resto del mondo. E non è colpa di Papillon se per fame ha sfondato la porta di una baita isolata, costretto comunque a ritirarsi, spaventato da una mamma gatta agguerrita per difendere i suoi piccoli, come documentato in un video circolante sui social. Povero Papillon, talmente pericoloso da indietreggiare spaurito di fronte al miagolio di un piccolo felino.

Maggio per l’orso è il tempo degli amori. Nell’ambito del progetto Life Ursus su cui ho svolto la tesi di campo in passato, questo era in assoluto il periodo più impegnativo per il controllo degli spostamenti. Per cercare una femmina, i maschi percorrevano decine di chilometri anche in una sola notte. Il compito assegnatomi consisteva nella localizzazione ogni tot ore della loro posizione tramite il metodo della triangolazione. Notti trascorse insonni prima di poter registrare le diverse dislocazioni. A quel tempo fra l’altro le femmine in circolazione erano solamente due in un territorio molto esteso nella zona del Parco Adamello-Brenta.

© Chiara Baù

Nella sua ingenuità purtroppo Papillon ha commesso un errore imperdonabile e questo perché gli animali dimenticano il male che l’uomo procura loro. Solo l’istinto per la riproduzione, il richiamo più forte in natura, che garantisce la sopravvivenza della specie, lo ha tradito. Probabilmente prima di essere imprigionato nel luglio dell’anno scorso aveva già adocchiato una compagna di suo gusto. Ma la cattura e la successiva fuga dal recinto del Casteller l’avevano distolto dal primo amore. Ultimamente avrebbe potuto dirigersi in Slovenia dove sono numerose le femmine orso, ma forse il ricordo di un lontano primo amore in Val Rendena l’aveva fatto tornare sui suoi passi, distogliendolo da ogni preoccupazione o timore di cattura. E sperando di ritrovare la compagna di allora, è ritornato proprio dove l’uomo era stato con lui più perfido e ignobile, privandolo della libertà e rinchiudendolo una prima volta nel recinto-prigione del Casteller. Ingannato nel momento per lui più debole, la sua cattura di alcuni giorni fa assume i toni di una vigliaccheria.

Perché nei nove mesi di fuga non è mai caduto nelle numerose trappole che gli avevano apprestato? Fiero del suo spirito indomito, obbediente a un istinto superiore, ha difeso la libertà con tutte le forze. Adesso stava cercando la compagna ed era distratto.

In un periodo di emergenza sanitaria in cui tutti restano obbligatoriamente a casa ed escono solo per motivi di estrema necessità, le guardie forestali sono state mobilitate per cacciare e catturare un orso, specie altamente protetta da norme nazionali e internazionali per ragioni di tutela della biodiversità, che interessano la sopravvivenza della stessa specie umana. Ancora una volta mi chiedo se non avessero nient’altro da fare che occuparsi di un orso che non dava segni di pericolosità.

Parlano di danni: qualche capo di bestiame ucciso, qualche baita sfondata, danni riconducibili comunque a inadeguatezza e incompleta informazione da parte della Provincia. Il vero danno è stato fatto in primis a lui, privandolo di una libertà innata che nessuno ha il diritto di togliere. Certo per una politica ottusa può risultare comoda la notizia diffusasi dopo neanche un’ora dalla cattura.

Non esistono ragioni per la detenzione di M49, non esistono in Trentino aree faunistiche adeguate alla detenzione di orsi nati liberi e non esistono ragioni valide per imprigionare Papillon, senza contare che sussistono nella Regione tutti gli strumenti opportuni per ripagare gli operatori di eventuali danni arrecati.

M49 non ha mai manifestato segni di pericolo per gli esseri umani, se ne è sempre tenuto alla larga e li ha sfuggiti con tutte le forze, come ha chiaramente dimostrato con la sua spettacolare fuga dal Casteller il 15 luglio 2019. Per questa sua innata volontà di vivere libero è diventato famoso nel mondo come Papillon, suscitando curiosità e interesse, ma anche ammirazione, insegnamento e rispetto.

Scrive Henry David Thoreau in Disobbedienza civile: “se una pianta non può vivere secondo la propria natura, muore, e così l’uomo”. Mi permetto di aggiungere “E così l’orso”.

Per avvalorare la reclusione e distrarre i numerosi, accaniti difensori di Papillon, giornali e media sostengono che dopo la cattura l’orso goda di buona salute. Una presa in giro, un’eresia affermare che un orso abituato a girovagare in un home range di migliaia di chilometri possa star bene in un’area dove sono otto all’incirca gli ettari messi a disposizione di plantigradi imputati di pericolosità. Senza contare che, per gli stessi motivi, nella recinzione in questione è imprigionato anche un altro orso: Dj3, figlia di due orsi reintrodotti col Progetto Life Ursus. La ragione: il comportamento da orso di Dj3, che dopo il letargo aveva fatto razzia di alveari e sgozzato alcune pecore. Ma dove erano i recinti elettrificati necessari a proteggere le proprietà e il bestiame di contadini e montanari? Perché attribuirne la colpa agli orsi? I veri danni li sta facendo l’uomo con la disinformazione e l’incapacità di gestire orsi che fanno gli orsi.

Non si può parlare di orsi “problematici”, quando problematiche sono le persone, capaci di prendere decisioni ingiustificate e di provocare danni irreparabili alla natura.

Caro Papillon mi viene da pensare che i veri prigionieri siano coloro che ti hanno catturato, chiusi nell’ignoranza, imprigionati in un concetto sterile di vita che impedisce di comprendere la bellezza di averti nei boschi. Rinserrati in gabbia sono coloro che tutto hanno fatto per volerti rinchiuso. Caro Papillon, da risarcire sei tu per i danni che ti sono stati fatti, per il bene prezioso che è stato tolto a te che sei il simbolo di una natura selvaggia. Sei entrato nei nostri cuori perché ci hai insegnato a combattere per gli ideali in una sfida contro tutti, rivelando anche lati più deboli e sensibili come la ricerca di una compagna. Se ne avessi i mezzi ti libererei, ma tu sarai sempre libero, perché tu sei il mio eroe”.

© Chiara Baù

Si continuano a proporre soluzioni per la collocazione definitiva di M49, discutendo però solo di aree recintate. Perché, mi chiedo, non trasferirlo in Slovenia rilasciandolo in un territorio poco antropizzato e senza recinti? In fondo i nonni di M49 provengono proprio da quell’area, considerato che i primi orsi legati al Progetto Life Ursus sono stati prelevati dalla Slovenia. Papillon non può e non deve diventare un’attrazione turistica, un orso recuperabile da uno zoo, come tanti esemplari osservabili in diverse finte aree faunistiche. Papillon deve rimanere libero, perché nato libero. I bambini stessi non vorrebbero osservarlo in un recinto con occhi tristi e movimenti forzati, ma saperlo libero di correre nei boschi e nelle foreste.

Per l’escursionista, per l’esploratore, può essere un onore poter camminare nel territorio dell’orso, anche solo per quei principi a cui l’orso ci riporta.

Proteggere animali preziosi come gli orsi ci pone nella giusta direzione. Anche l’attuale raccomandazione di distanziamento sociale che tanto ci fa riflettere su molti errori, può essere utile. Il virus non è solo il Covid 19, ma l’ignoranza che ancora dilaga e permette di continuare a far danni alla natura e agli animali.

Un orso come Papillon non è solo un valore aggiunto per il nostro territorio, ma per le riflessioni che instilla nelle nostro menti, perché Papillon fa bene all’animo umano, elimina ogni virus mentale e insegna quanto la libertà di pensiero sia al di sopra di tutto. Papillon deve essere liberato.

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I veri prigionieri ultima modifica: 2020-05-19T05:40:00+02:00 da GognaBlog

14 pensieri su “I veri prigionieri”

  1. Sarà che i custodi del recinto degli orsi assassini hanno avuto un lavoro perché avevano nella PAT qualche conoscenza. In trentino funziona solo così, mi sa.

  2. Il recinto di M49 non è ampio “8 ettari”, una favola che circola da tempo grazie alle veline Pat, ma bensì 0,7 ettari (circa un campo da calcio), a sua volta suddiviso in 3 settori chiusi, per cui M49 si trova carcerato, imbottito di sedativi e forse già castrato, in un terzo di ettaro circa. Un abominio considerando che un orso può compiere anche 50 km in un giorno. Ma questo è normale per i valorizzatori del Trentino a suon di orsi. Nel medesimo recinto-lager è rinchiusa da anni l’orsa DJ3, imprigionata a vita per aver predato una (!) pecora. https://www.facebook.com/groups/1537222989633537/permalink/3071585709530583/ 

  3. Caro Michele, come potevo capire che dietro a quell’astruso nome c’eri tu? Visto che fai il regista, il paragone con la Wertmueller è stato fortuitamente azzeccato e non lo trovo assolutamente denigratorio nei tuoi confronti, anzi…
    Sul concetto di parco naturale degli americani però non mi trovi d’accordo. Ci ho girato abbastanza anch’io, tanto da accorgermi che noi e loro non avremo mai modo di vedere le cose in modo neppure lontanamente simile.Giuro che preferisco trovare la spazzatura sotto i sassi nei nostri parchi piuttosto che tutti quelli sceriffi severissimi e convinti.
    The Bird l’ho letto e avevo letto anche il primo libro di Jim (che avevo preso a Yosemite) mai tradotto in italiano di cui ora non ricordo il titolo. E lui lo conoscevo abbastanza, avendoci “convissuto” per sei mesi durante la lavorazione di Cliffhanger. Ciao

  4. niente condono.La pagammo subito.
    Mi ricordo che il Ranger assieme alla multa ci consegnò una busta da lettera predisposta, dove scrivemmo alcuni dati della multa,  ci mettemmo i soldi in contanti  dell’importo della  multa che poi spedimmo dall’ufficio postale del parco con semplice francobollo.
    Mica sono dei burocrati come noi.
     

  5. Caro Marcello Jean Bridwell è un errore del mio smartphone che ho corretto subito dopo. Mi spiace che tu ti riferisca al mio lavoro come a uno che si vanta di avere un palmares degno della Wermuller. Ho firmato con nome e cognome e per sbaglio Jim è diventato Jean. Vorrei che tu comperassi il libro “ the Bird” di versante sud che ho tradotto dal l’originale di Bridwell dell 87 aggiungendo con Giovanni Groaz metà del testo. Forse capiresti il livello di rispetto e d’amicizia e che ci legava È il sistema parchi americano che nel caso di Yosemite ospita 4 milioni di visitatori annui. È vero in Italia non si paga in compenso nel Gran paradiso ho trovato immondizia sotto a ogni sassone a fianco della strada… e il limite di caccia è a 30 metri dalla statale per Cogne per cui in inverno i « cacciatori » sparano dalla macchina agli animali che scendono in cerca di cibo: splendido parco gratuito.

  6. Qui si passa da chi si da nomi inventati o incompleti per restare anonimo a chi, per ottenere lo stesso risultato, se ne da di degni di titolo di film di Lina Wertmuller…
    Comunque, Jean nonsochecosa, gli USA: davvero un posto del cazzo.
     

  7. che i ranger siano severi lo so. Noi a Yosemite nel 1988 prendemmo  un multone per aver superato (di poco)  i limiti di velocità.

  8. Imitato Jean Bridwell nel suo rubare diciamo così l’elettricità dal gabinetti per alimentare il suo sistema di sound nella tenda ha detto:

    Certo Alberto Benassi i parchi sono sfruttati economicamente. La mia esperienza maggiore risale a circa 10 viaggi in Yosemite ( ma anche nel Wild River Range, molte aree di Wilderness in  Utah Etc). In Yosemite appena ti allontani dai sentieri più battuti trovi solo animali e Ranger. E questi ultimi sono molto severi. Chi ha provato a fare il furbo si è beccato multe salatissime o la galera. Scott Burke ( seconda salita in libera del Nose) che era il capo dello YOSAR è andato in prigione e ha perso il posto per aver Imitato Jim Bridwell nel suo rubare, diciamo così, l’elettricità dal gabinetti per alimentare il suo sistema di sound nella tenda. È un reato federale: arriva l’FBI  e ti trovi in prigione in un batter d’occhio. Non parliamo se ferisci o uccidi un animale del parco… se lasci cibo in auto e un orso te la sfonda per mangiarlo ( oltre 150.000 casi annui) sei colpevole e paghi tutte le spese e i danni.

  9. ho visitato diversi parchi nazionali americani. Non mi sembra che non siano sfruttati turisticamente ed economicamente.
     
     

  10. Michele (ciao), negli USA l’uomo è ospite a pagamento nei parchi. 
    A parte il caso dell’orso, che Chiara ha ben descritto anche altre volte essendo esperta dell’argomento, nei parchi italiani non ci si sente di “entrare” in un un recinto e la sensazione, almeno io, la preferisco.

  11. in Italia non esiste una cultura della Wilderness ( in effetti non esiste una traduzione corretta e del senso corretto della parola . In America, nei Parchi Nazionali l’uomo è ospite e i padroni sono gli animali: intoccabili e protetti dai Ranger. (Esperienza personale con un orso)

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