Viaggio lento nei luoghi del sisma del Centro Italia per dare un segno di vicinanza alla gente di questi luoghi dimenticati dalle istituzioni. Da Fabriano a L’Aquila, 14 tappe tra panorami mozzafiato e le cicatrici del terremoto del 2016.
Molto spesso mi sono interrogato su come poter dare una mano ai nostri concittadini che risiedono nella valli appenniniche dove si è registrato il terribile terremoto dell’estate 2016.
Inviare offerte denaro? Le cronache hanno riportato che purtroppo alcuni di questi “tesoretti” hanno poi seguito strade non consone. Offrire giornate di lavoro per ricostruire non dico una casa, ma almeno una strada, un marciapiedi, una scalinata? Ma io sono un intellettuale, a stento cambio le lampadine in casa, figuriamoci cosa combino con calce e cazzuola.
Poi mi sono imbattuto nel sottostante articolo e l’idea mi ha colpito. Perché non prevedere una vacanza da quelle parti? Ovviamente quando sarà del tutto archiviata l’emergenza sanitaria del Coronavirus! Fare un salto in Appennino potrebbe essere l’occasione per conoscere montagne fuori mano per chi risiede al Nord. Si scoprono valli nuove e si alimenta l’inizio di un circuito economico-turistico.
Se molti appassionati di montagne cambiassero, almeno per una volta, le loro puntate nelle Alpi con le vacanze negli Appennini, otterrebbero una maggior conoscenza del territorio italiano e fornirebbero un sostegno per far ripartire l’asfittica economia delle zone terremotate.
In tali zone esistono infinite possibilità, in particolare di traversate a piedi. Quella descritta è una, forse la più nota e codificata, ma l’esperienza e il desiderio di esplorazione permetteranno di elaborare altre ipotesi altrettanto intriganti (Carlo Crovella).
Il cammino è solidale
di Andrea Mattei
(pubblicato su Sportweek del 7 settembre 2019)
Erica, monaca di clausura del monastero benedettino di San Luca a Fabriano, lettrice indefessa della Gazzetta dello Sport e tifosa sfegatata della Juve («Sono innamorata di Dybala. Calcisticamente, s’intende…»), ti mostra l’unica testimonianza sopravvissuta della chiesa del XV secolo: un affresco raffigurante Maria, il bambinello e gli angeli. «Vedi, hanno tutti un grande orecchio. Per questo noi sorelle la chiamiamo la Madonna dell’ascolto». Il Cammino nelle Terre Mutate parte da qui. È un viaggio bellissimo ma doloroso, dai forti contrasti, che regala incontri unici e la possibilità di portare un segno di vicinanza a un territorio dimenticato dalle istituzioni. È, ti spiegano, il primo cammino solidale al mondo. Maurizio, folcloristico titolare dell’hotel che si affaccia sulla piazza principale di Matelica, osserva: «Aho, ‘sto Cammino è meglio di Booking.com!», e capisci che la missione di chi ha pensato di dare un aiuto (anche economico) portando viandanti non è fallita.
Spettrale è Camerino, che resta lì aggrappata con le unghie al suo colle, con le case in precario equilibrio, pezzi di muri venuti via come la pelle di un lebbroso. Due annoiati militari presidiano il borgo antico, zona rossa abbandonata e inaccessibile dal terremoto di tre anni fa. Un’Italia perennemente in bilico come questi palazzi, un territorio appeso tra un passato che non tornerà e un futuro in cui nessuno crede. Quello che vedi è un presente di provvisorietà, come il borgo di Fiastra, appena entrato nel cratere dei sismi. Del vecchio paese restano solo case inagibili, impacchettate tra cavi d’acciaio e assi di legno, e laggiù il lago blu cobalto. Ora la vita si svolge tutta intorno al complesso dei container che ospitano bar, minimarket, pizzeria, farmacia e anche Comune e stazione dei Carabinieri.
Con fatica raggiungi quota 1400 e sei nel cuore del Parco dei Sibillini, pratoni incontaminati, pace totale. Ma poi scendi, con la sagoma imponente del Monte Bove, e ti ritrovi in fretta a fondo valle, quel che resta delle prime case di Ussita, la frazione di Sasso completamente distrutta. Le strutture di accoglienza inagibili, Patrizia ti apre le porte della sua SAE, che sta per Soluzioni Abitative di Emergenza, le casette della Protezione civile che una soluzione non sono. Qui serve ricostruire una comunità e Patrizia, con un manipolo di donne resistenti, ci prova. «Ma il senso di abbandono è forte. Ci sono il terzo settore, Emergency, la Caritas, gli psicologi di Action Aid… ma lo Stato? Dopo l’adrenalina dei primi tempi subentra la depressione, la gente si ammala, i vecchi che sono andati sulla costa sono morti, non si contano i suicidi…».
C’era un sindaco visionario a Visso, Giovan Battista Gaola Antinori, che amava la poesia: per questo, a metà dell’800, acquistò il manoscritto originale dell’Infinito di Leopardi e altri capolavori del genio di Recanati, per donarli al suo Comune e dar vita così a un museo invidiato in tutto il mondo. Quel museo è crollato sotto il sisma e oggi Visso ha un sindaco indagato col sospetto di aver dirottato su aziende private donazioni destinate ai terremotati. Questo è un viaggio nell’Italia scomparsa.
Rita aveva un negozio di casalinghi nel cuore di Norcia. Oggi inagibile come buona parte del centro storico. In piazza resiste la statua di San Benedetto, ma della fantastica basilica del XII secolo lì accanto resta solo la facciata, ancora impacchettata dai tubi innocenti. Rita ha riaperto in un container, nella via delocalizzata dedicata allo shopping: «Ma come fai a vendere casalinghi in una città senza più case?». Comunque resiste, e fa sentire importante anche il fugace passaggio di qualche isolato viandante: «Ci fate sentire come il bambino brutto che viene guardato. Siamo diventati brutti, ma il fatto che siate qui è molto più importante dei soldi che portate». Arrivano ancora i turisti della domenica, scattano foto. Nella norcineria lì accanto fanno scorte di prosciutto: «Ma c’è stato un terremoto qui?». Qualcuno si lamenta: «C’è poco campo per i cellulari…».
C’è un dislivello di mille metri tra la piana di Norcia e il Passo di Monte Ventosola, 8 km da salire con passo lento e pazienza. Quando scollini, e la Piana di Castelluccio ti si para davanti, rimani senza fiato. E senza parole. Bisogna sedersi su un masso e fermarsi a osservare questo pezzo di Tibet piantato nel cuore d’Italia, una pianura infinita, perfetta. Il monte Vettore, che domina, porta il segno dell’ultimo sisma: una cicatrice lunga chilometri che corre, sul fianco, parallela alla cresta, la Piana che è scesa e ha spaccato in due la montagna, aperto questa ferita larga 70 cm, profonda. La faglia d’Italia. A sinistra, sul colle, lontano 6-7 km, distingui Castelluccio collassato su se stesso, quasi sgonfiato. Difficile immaginare, in un unico panorama, una sintesi migliore di bellezza e dolore.
«Fate testimonianza, raccontate…», esorta Peppe, l’oste di Castelluccio. Anche la sua trattoria è stata delocalizzata, ma i sapori sono gli stessi: le mitiche lenticchie, la polenta di piselli selvatici, le salsicce e i salumi. Sull’altro versante del Vettore la storia non cambia, ma forse peggiora. Arquata del Tronto è (era?) l’unico comune d’Italia a far parte di due Parchi nazionali. Ma è impossibile godere di pascoli e laghetti, del verde incontaminato a perdita d’occhio dei Monti della Laga, di fronte a questo scempio. Cammini verso Accumoli, epicentro dei sismi del 2016, con la morte nel cuore. Arquata del Tronto è scivolata via insieme alla collina su cui era edificata, sbriciolata lungo il pendio, la metà dei residenti di quel giorno – ragazzi, bambini, famiglie in vacanza – morti sotto le macerie, ricordati ora in un piccolo memoriale che non si può raccontare. “No selfie, no foto” intima un cartello. Al rifugio Alpini, Romolo, che è rimasto, ti parla di quello che fanno per ricreare un tessuto sociale, delle tante iniziative di solidarietà. Ma quando prova a parlare di Pescara si blocca, le parole muoiono in gola. Poi confessa: «Ci raccontiamo un sacco di bugie, parliamo di associazioni, di tante belle cose, ma non ci crediamo più neanche noi. È desolante…».
Non ci sono più chiese per pregare, né cimiteri dove piangere i morti. Ad Amatrice le macerie sono state rimosse e resta il vuoto. E non sai se è peggio. Di Campotosto si parlò poco, perché la terra tremò lo stesso giorno di Rigopiano, e lo spazio nei telegiornali si esaurì tutto con la tragedia dell’hotel sommerso. Ma questo paese, affacciato sul Gran Sasso e sul lago formato da tre dighe sotto le quali la faglia corre pronta – ti dicono – a esplodere da un momento all’altro, è distrutto all’80%. Assunta, la tessitrice di Campotosto, è riuscita a riaprire la bottega in una casetta di legno acquistata con l’aiuto degli amici. «Ho recuperato i pezzi del telaio da sotto le macerie e sto provando a ripartire. Ma qui non c’è più niente, lo spopolamento era già iniziato da tempo, il terremoto ci ha dato l’ultima botta. Siamo soli».
La burocrazia rende impossibile la ricostruzione, in ogni paese ti raccontano la stessa storia: tra presentare i progetti, farli approvare e aprire i cantieri passano 5 o 6 anni. Nel frattempo le comunità si sfaldano, i giovani se ne vanno. È evidente a L’Aquila, al termine di questo viaggio, dove i cantieri hanno rimesso in piedi palazzi storici e vie centrali, ma non sono stati capaci di riportarci la vita.
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che poi siano bei posti non c’è dubbio visto che ci abitavo dal 2007 e visto che sono rimasto sotto le macerie della mia casa…quindi ok a farsi trekking, visite ecc, ma senza la retorica dell’aiutare gli altri poveri colpiti dal sisma che sono stati colpiti poverini…se non cambiamo noi tutti, dentro, e non capiamo che dobbiamo cambiare il nostro stile di vita e la nostra organizzazione sociale e economica non vedremo nulla di diverso da quello che abbiamo sino ra visto ovunque, Friuli compreso (VENZONE= 20 anni per la ricostruzione!!!)
venendo a percorrere questo itinerario NON SI DA ALCUN TIPO DI AIUTO ALLE PERSONE CHE SONO STATE COINVOLTE, residenti e NON …..cerchiamo di capirlo senza bisogno di fare tutta questa retorica da 4 soldi…grazie, Pietro
non credo che la burocrazia sia solo un mezzo che ha il potere per dare lavoro a chi non sa fare nulla.
La burocrazia è molto di più, è un sistema di controllo, è come una spada di damocle che il potere mette su tutti.
Timbro si , timbro no, e vai o non vai! La tua pratica sale o scompare tra le scartoffie.
Marcello Cominetti, sintesi chiara, perfetta, assolutamente vera.
Niente altro da aggiungere.
La burocrazia serve a dare lavoro a chi non saprebbe fare niente, e purtroppo di persone che, nonostante a volte abbiano studiato, non sanno fare niente, ce ne sono sempre di più. Il potere una delle cose che più fa, gonfiando pure il petto, è quella di “creare” (bontà sua) posti di lavoro e per farlo deve inventarsi lavori inutili. La burocrazia è perfettamente al servizio di ciò.
La confusione, la più potente ed efficace arma per la distrazione e distruzione di massa.
come giustamente scrive Massimo, la burocrazia è funzionale al potere.
Assisti a dichiarazioni dei politici (TUTTI) che bisogna semplificare, ridurre la burocrazia e puntalmente il giorno dopo c’è un’ adempimento in più.
Una autentica presa per i fondelli.
@gallese: condivido, la burocrazia sta uccidendo (rectius, ha già ucciso) questo paese non solo nella ricostruzione e sta dimostrando tutta la sua distruttività anche nell’emergenza covid.
ma è funzionale al potere e, spesso, allo sviamento dell’interesse pubblico.
riguardo a quelle terre consiglio un libro che io ho trovato bellissimo: https://www.einaudi.it/autori/marco-scolastici/
fa venir voglia di andare di persona, e da la misura della forza dell’uomo.
Quello segnalato dal n. 2 è un problema oggettivo e ben più grave del divieto di arrampicare dei mesi scorsi
La burocrazia rende impossibile ogni azione virtuosa. Alla casa di mia nonna non possiamo neppure avvicinarci, l’avremmo già riparata per conto nostro.
Quelle terre moriranno di abitanti locali e arriveranno solo facoltosi anglosassoni.
L’ho fatto questo trekking, molto bello, lo suggerisco. Mi è piaciuto leggere l’articolo.