Metadiario – 87 – Il Canalone dell’Insubordinato (AG 1979-008)
In seguito al ritorno in Italia dal Pakistan, più o meno il 10 agosto 1979, sul mio quadernino degli appunti non ho segnato nulla per più di venti giorni. Questo è molto strano… Di sicuro non ho fatto nulla che valesse la pena essere ricordato, però non posso pensare d’essere stato completamente fermo per così tanto tempo. Ho fatto un viaggio? Sono stato al mare? E se sì, dove? Sono stato alle Fate Nere? E lì è sempre stato brutto tempo? Forse ho lavorato tutto il tempo, ma dove?
Insomma, il diario riprende il 3 settembre, quando assieme ai miei colleghi, iscritti al corso di aspiranti guide alpine, salii al rifugio Marinelli. Quella sezione del corso (ghiaccio e misto) prevedeva la salita di qualche mediamente impegnativa via. Anche il giorno dopo era bellissimo, così mi ritrovai al mattino molto presto a salire prima il Canalone Folatti e poi la Cresta est della Cresta Guzza 3869 m. I miei compagni erano il trentino Dino Sottovia, il cortinese Bruno Pompanin, il bormino Silvio Andreola e il sudtirolese Ernst Reinstaller: tutti e cinque sotto l’occhio giustamente vigile del (nientemeno!) direttore del corso, Gigi Mario.
Con la stessa identica squadra il giorno dopo (sempre con tempo disperatamente perfetto) risalimmo velocissimi il Canalone Marinelli del Piz Roseg 3937 mper poi scendere (già al limite di possibili smottamenti di neve) il Canale Zippert, esposto a sud-ovest, affrontando poi una penosa marcia di ritorno a temperatura davvero eccessiva.
Anche se queste salite sono nel gruppo del Bernina, la nostra base fissa di alloggio era il bellissimo hotel dei Bagni di Masino, dove Vera Cenini faceva sentire a proprio agio qualunque alpinista in un suggestivo ambiente da fine Ottocento.
Tornati dunque alla base, tutti gli allievi furono costretti a praticare yoga nel giardino dell’albergo. Aveva appena piovuto nel temporale di fine pomeriggio, la coltre erbosa era fradicia. Ma Gigi Mario, che anche nelle sue vesti di direttore, mai dimenticava d’essere un monaco zen, ci aveva illustrato l’importanza di avvicinarci al mondo dello yoga e della meditazione, in effetti assai complementari all’attività alpinistica e a quelle qualità che una buona guida alpina deve avere.
Non avrei avuto nulla in contrario a questo addendum al già nutrito programma del corso se non avessi riscontrato una pretesa obbligatorietà: la volontà del direttore superava i ben codificati canoni d’insegnamento e imponeva al corso una sua visione personale di come si deve formare una guida alpina. Però, ripeto, non avrei avuto nulla in contrario ad accondiscendere a quell’esperimento se non avessi percepito che quello era un obbligo.
Andammo in giardino, Gigi fece una breve introduzione, poi passò alla pratica illustrando gli esercizi, del tutto incurante del fradicio sul quale dovevamo esercitarci. Fui tra i pochissimi che si rifiutarono, rimanendo a guardare a lato. E, alla domanda di Gigi sul perché della mia disobbedienza, risposi che non mi sembrava il caso di bagnarci come pulcini e di restarlo per tutto il tempo (circa 45 minuti). Non accennai alla forse più vera ragione, cioè alla mia insofferenza agli obblighi militari, all’autorità che oltrepassava i precisi limiti che questa aveva. Non dissi che se mi fosse stato richiesto con gentilezza avrei acconsentito. Forse feci male.
Il giorno dopo, 6 settembre, in squadra assai numerosa salimmo al bivacco Oggioni 3151 m. Non ci limitammo al semplice itinerario di accesso, bensì salimmo in dodici la cresta est della Punta Kennedy 3283 m. Già al primo pomeriggio eravamo stipati dentro al bivacco, a chiacchierare e a preparare il tè. Il gruppo, oltre ai già citati Sottovia, Pompanin, Andreola e Reinstaller, era composto da Nicola Molin, Cesare Mauri, Celso Rio, Giampiero Di Federico, Daniele Angeli e Renato Casarotto. Il dodicesimo era Gigi Mario.
Come un fulmine a ciel sereno, durante la permanenza pomeridiana nella ristrettezza del bivacco, ebbi la misura di quanto l’avessi fatta grossa la sera precedente con il mio rifiuto di fare yoga. Gigi, che fino a quel momento nulla aveva commentato al riguardo, si rivolse a me e mi rimproverò che non stavo facendo abbastanza per il benessere comune del gruppo. In particolare si riferiva al fatto che fino a quel momento non avevo neppure accennato a mettermi anch’io al fornello per fare altro tè. Non ribattei, avevo la precisa sensazione che il rimprovero si riferisse a ben altro, dunque non volevo aggravare la situazione. Produssi anche io la mia quota di tè per la comunità, anzi mi diedi da fare anche per la cucina della sommaria cena. Dentro di me pensavo: certo che, per uno come me che ha passato il suo tempo ai campi alti del K2 a far da mangiare e da bere a coloro che erano i miei compagni in quei momenti di attesa, questo rimprovero suona proprio ridicolo!
Ancor prima dell’alba del 7 settembre 1979 ci avviammo tutti verso la salita della Corda Molla, una bellissima e classica ascensione tipicamente adatta ad un cliente. Lo scopo era quello di esercitarsi nella salita di conserva, facendo a turno la parte della guida e del cliente.
Alle primo raggio di sole, fermi sul primo rilievo di cresta, guardavamo la notevole parete nord-orientale della lunga catena sommitale del Disgrazia. Renato Casarotto osservò un canalone che, più ripido degli altri e diritto come una fucilata, la solcava nella parte di sinistra. Quella linea risultava mai percorsa, così Renato lanciò l’idea, invece che salire la Corda Molla, di andare a fare quella linea così attraente. Da dove eravamo, con una breve discesa e una comoda traversata in piano su neve, potevamo arrivare all’attacco davvero facilmente.
Gigi Mario negò il permesso: non era nei programmi fare vie nuove e lo scopo della giornata era di salire una cresta di media difficoltà. Renato ci pensò su un attimo, poi disse (anche se non ricordo le parole esatte):
– Ragazzi, quella via lì è bellissima. Chi viene con me? Chi viene con l’Insubordinato? Non vorrete lasciarmi andare da solo…
Seguì qualche minuto di disagio. Alcuni erano combattuti tra il desiderio di non avere grane con l’autorità di Gigi e la voglia di fare qualcosa di diverso da quella “troppo” semplice Corda Molla.
Io valutavo la mia già difficile posizione. Poi, d’impulso, sbottai:
– Io vengo con te. C’è qualcun altro?
Si fecero avanti altri tre, Giampiero Di Federico, Nicola Molin e Cesare Mauri. E a quel punto Gigi cedette, anzi addirittura annunciò che sarebbe venuto con noi. Gli altri sei furono beffati, perché anche se a quel punto si sarebbero volentieri accodati, fu lo stesso Gigi a dire, giustamente:
– Siamo già in sei in quel canale. Di più non è prudente.
Detto fatto ci buttammo nella discesa e, dopo esserci rilegati all’attacco, salimmo in breve quello che poi fu chiamato il Canalone dell’Insubordinato alla Cima Orientale del Monte Disgrazia 3648 m.
L’8 settembre ci vide salire ancora inspiegabilmente baldanzosi alla Punta Sertori 3195 m. Ero con i compagni Reinstaller, Andreola e Pompanin: e l’istruttore era Alberto Lenatti. Salita integralmente la via Marimonti, continuammo per la cresta est del Pizzo Badile.
Il giorno dopo era un po’ incerto, quindi ci limitammo a un’uscita in Val di Mello dove finalmente potei assaporare la salita di Luna nascente, il gioiello dello Scoglio delle Metamorfosi. Compagno d’eccezione, Renato Casarotto.
Il 10 settembre salimmo in orario antelucano al rifugio Omio: con me i soliti Andreola, Pompanin e Reinstaller. Ma questa volta l’istruttore era l’amico Claudio Schranz. Attaccammo la via dei Morbegnesi alla Punta della Sfinge 2802 m: dopo qualche lunghezza di corda fummo costretti a scendere dalla pioggia.
Il tempo era ormai compromesso, ci limitammo perciò, nei giorni 11 e 12 settembre, a esercitazioni molto proficue sul Ghiacciaio del Ventina: cadute nei crepacci, recupero dell’infortunato, ecc.
Ma nel pomeriggio del 12, ultimo giorno del corso, Renato ed io tornammo in Val di Mello. Volevamo provare le “gioie” dell’aderenza estrema. Sul Trapezio d’Argento c’era quella via della Nuova Dimensione che tanto aveva fatto parlare di sé. Ne facemmo una delle prime ripetizioni, trovando abbastanza “lungo”. Praticamente una via con le stesse difficoltà di Mixomiceto, ma distribuite in un numero di metri assai maggiore e con protezione ancora poù aleatoria. Alla nostra cordata si accodarono anche Ermanno Salvaterra, Claudio Schranz, Marco Preti e Cesare Mauri.
Tutti i partecipanti al corso furono “promossi”.
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9 grazie Rampik.
E’ rincuorante sapere che ricordo bene, nonostante che siano passati molti anni da Nuova Dimensione. Sarà che quando la feci, mi rimase assai impressa…
https://www.tesionline.it/appunti/non-classificati/manuale-di-psicologia-dei-consumi/apprendimento-per-imitazione/289/43
un contributo, non sempre funziona. vale fuori scuola per qualsiasi apprendimento.. sci, arrampicata…salute..
Poi.https://lamenteemeravigliosa.it/la-motivazione-allapprendimento/
e per finire https://www.ordinepsicologilazio.it/blog/psico-strumenti-di-classe/comportamenti-problematici-premi-e-punizioni-come-strategia-educativa/
@benassi Ricordi giusto del primo tiro di Nuova Dimensione, ma nelle due foto si tratta di un altro tiro che sale dalla placca di sinistra e arriva alla stessa sosta 1, chiamato Ombelico dello Stomaco peloso. La foto di Casarotto è anche su Cento nuovi mattini.Ai tempi era un primo tiro quasi tutto sprotetto, meno proteggibile del primo tiro originale di ND. Ora ci sono linee spittate in quella fascia della placca.
In effetti trovare la motivazione “giusta” fa ottenere gli scopi , ma chi impartisce istruzioni perchè esegue alla lettera un programma tutto suo, deve mettere in conto gli spiriti critici. Si nota oggi nello stile delle campagne vaccinali che non hanno convinto tutti.Non si improvvisa tale capacita di motivare’, bisogna pensarci e poi far finta che sia spontanea e naturale, come per un attore…pronto anche ad improvvisare se stabilisce un feeling col pubblico. Da mettere in conto che a volte si fallisce, in altre e’ l’allievo che motiva l’istruttore.. Esempio cinematografico:l’allenamento di Clint in “assassinio sull’Eiger”,dapprima riottoso nel salire ma poi scattante a molla quando l’allenatrice ricorre all’escamotage allettante.Invece lo stile direttivo ed autoritario non è del tutto da scartare ,serve se si ha poco tempo o si e’ un ingranaggio nella ruotine addestrativa stile reclute del car.Giova rileggere le dinamiche di gruppo della prima al k2 e poi delle spedizioni in genere. Puo’succedere che a volte un istruttore per riuscire accettato e simpatico, sia approssimativo nei dettagli e nella pedanteria istruttive.Meglio saper alternare i due stili..e ricorrere all’uno o all’altro consapevolmente.Un mio conoscente ha affrontato per la prima volta una lezione di sci fondo:gli e’sembrato di ascoltare un disco e allo scadere dell’ultimo secondo e’ stato piantato in asso…per un altro neofita cui e’ stato impartito lo stesso disco. Gli ho consigliato di cambiare maestro e di andare anche con amici gia’ esperti …i compagni di “scuola”servono .
Albert. Mi sembra da alcuni accenni che hai fatto nel corso del tempo che tu abbia esperienza come educatore. Tu ben sai che chiunque svolga compiti di guida si trova costantemente di fronte al dilemma ben rappresentato dai due personaggi del film “L’Attimo fuggente”: il professore e il preside. È convinto in buona fede che alcuni comportamenti siano utili per le persone che gli sono affidate e sa che mettendoli in atto se ne renderanno conto e gli saranno grati. Fino a che punto usare l’autorità per farli adottare e sperimentare? Perché spesso come ho già detto la convinzione segue il comportamento e non viceversa. Se forza troppo usando la leva dell’autorità rischia il rifiuto e genera passività, se usa la leva della maieutica e della scoperta e individuale e punta tutto sulla sua autorevolezza personale ha bisogno di tempo e rischia che qualcuno si perda per strada durante la sua ricerca. Questo è esattamente la sfida di fronte alla quale si trova chiunque eserciti la leadership. Va tuttavia giudicato alla fine, perché l’armonia non si realizza nell’attimo fuggente ma nell’insieme del processo che a volte richiede forzature di qua o di la’. Come accade ad un genitore. Alla fine capisci alcune cose e valuti. Non durante, soprattutto nella fase adolescenziale della rivolta. Ciao
grande Casarotto , della corda molla gli fregava ben poco, come al K2 della normale.
ho l’impressione che la prima foto di Nuova Dimensione sia alla rovescia.
Dovrebbe essere il primo tiro che se non ricordo male e da dx verso sx.
L’istruttore fassano , maestro di sci e scalatore, poi ci spiego’ che per un alpinista lo Yoga serviva prima di tutto ad acquisire una padronanza della respirazione. Poi a sciogliere il corpo nelle varie ” diramazioni”, ad acquistare padronanza e controllo..specie in situazioni critiche…anche nel corso di una arrampicata…a meditare con calma su una mossa da prendere per procedere. Da questo punto di vita fare esercizi sotto la pioggia aveva una sua ragione.. solo che andava proposta e non imposta da un’autorità-direttore di corso”
L’insubordinazione all’autorita’ da un lato, l’uso dell’autorità a fin di bene dall’altro, sono tratti di personalità. Prescindono dalle situazioni, dai contenuti e dagli orientamenti ideali. Racconto istruttivo ed esemplare. Molto attuale.
Io ai corsi guida con Gigi Mario direttore, ricordo le lezioni di yoga con Gianantonio Moles che commentava tutto il tempo con tono di protesta. Siccome lo faceva in camuno, non lo capiva quasi nessuno.
Moles era istruttore di soccorso e durante una lezione gli chiesi se poteva parlare italiano perché non capivo niente. La risposta fu: genovese, se vuoi diventare guida alpina devi imparare i dialetti delle Alpi.
Oltre alla filosofia Yoga, esiste Eraclito che enunciò la legge segreta del mondo . Essa risiede “nel rapporto tra due concetti opposti (fame-sazietà, pace-guerra, amore-odio ecc.) che, in quanto tali, lottano fra di loro ma, nello stesso tempo, non possono fare a meno l’uno dell’altro, poiché vivono solo l’uno in virtù dell’altro.”Inquesto racconto c’e’un ottimo esempio…di oppositore che poi ha convinto il contrario.