Il cielo di Kabul

Il cielo di Kabul

«Confesso che se smettessi di andare in montagna, mi impegnerei di più nel coltivare la terra. Ma sono guida alpina da oltre vent’anni e ora, in Afghanistan, faccio questo bellissimo lavoro per clienti non molto diversi da quelli che ho sulle Alpi e per ragazzini afghani perché possano sperare in un futuro migliore sulle loro montagne (Ferdinando Rollando)».

Lettura: spessore-weight**, impegno-effort*, disimpegno-entertainment***

Martedì 13 febbraio alle 18.30, presso la Libreria della Natura a Milano, è stato presentato il libro Il Cielo di Kabul, una collezione dei diari di Ferdinando Rollando sulla sua esperienza in Afghanistan dal 2010 al 2014.
Erano presenti il curatore del libro, Antonio Bettanini, il figlio Ernesto Rollando, Maurizio Garofalo e Livia Pomodoro, presidente Accademia Belle Arti di Brera.

Il 9 luglio 2014 la guida alpina Ferdinando (detto Nando) Rollando viene inghiottita dai ghiacciai del Monte Bianco. Con lui è Jassim Mazoun, 16 anni, l’allievo che stravedeva per il maestro. I corpi dei due sfortunati non sono ancora stati ritrovati (vedi https://gognablog.sherpa-gate.com/ferdinando-rollando/).

Così Antonio Bozzo ne scrive: “Nando, a differenza della maggior parte delle guide, era uomo marino: nato a Sestri Levante («lì, con la schiena al caldo di Portobello ho letto i libri necessari»), si fece grande sulle barche o lavorando la terra difficile sopra Vernazza. Poi si trasferì a Ollomont, Val d’Aosta. Il suo mestiere, oltre che architetto e fotografo, diventò quello di guida alpina. Amato e apprezzato, per la sapienza e il coraggio con cui affrontava i giganti di roccia (e le divinità che ospitano), Rollando venne chiamato dalla fondazione dell’Aga Khan per un progetto che riguardava l’Afghanistan. In quella terra devastata dalla guerra, poteva aiutare l’idea di costituire una realtà turistica impostata sugli sport della neve. E Nando parte”.

Nei luoghi dove i talebani hanno fatto polvere delle gigantesche statue di Budda, Nando smise subito di cercare itinerari buoni per clienti facoltosi che amassero sciare in quei luoghi. Ben presto si fece conquistare dal popolo afghano: così ideò, staccandosi definitivamente dall’Aga Khan, il progetto Alpistan, che intendeva sì favorire lo sviluppo turistico di quelle regioni, ma basandolo sulla presa di coscienza e sulla crescita professionale della popolazione, oltre che sulla messa in sicurezza di percorsi montani dove morivano per valanga centinaia di montanari all’anno. Nando divenne presto nome noto a Kabul e nel resto del Paese. Alla ricerca degli aiuti, fece conoscere al mondo una vera strada pacifica per cominciare a risolvere qualche problema.

Il libro è composto da note di diario, lettere, appunti e altro materiale di Rollando. In ogni pagina si legge l’amore che Nando provava per quella gente unitamente alla pena per non poter fare di più.

Il coinvolgimento
di Lorenzo Merlo

Nando, dapprima cogliendo un’occasione offertagli dallo Shah Karīm al-Husaynī, Āgā Khān IV e poi realizzando la Onlus Alpistan, ha avviato in Afghanistan un progetto di emancipazione sociale attraverso la diffusione delle attività alpinistiche e uno di avviamento di una struttura di protezione civile. 

Credeva che nella promozione di un impiego alpinistico-turistico del territorio montagnoso, era implicato il ritorno alla normalità della vita pacifica e una risorsa economica locale. 
Credeva che dedicandosi a interventi per la riduzione delle vittime da valanga, che ogni inverno mietono centinaia di vite, avrebbe avviato un servizio d’importanza capitale. 

Radunò decine di paia di sci e di scarponi da amici e le portò là. Coinvolse la Protezione civile del Trentino. Fece tutto ciò sulle ali dell’entusiasmo e dentro le pene della burocrazia. Lo fece ridendo e dimenandosi. Lo fece ricco di orizzonti lontani e povero di denaro al punto da proseguire nei suoi intenti a costo di graffiare il fondo del barile, a costo di farsi ospitare da chicchessia, purché gli desse un divano per passare la notte. E a volte rimase in strada.

In Libreria della Naturaa Milano, è stato presentato da suo figlio Ernesto e da altre persone il libro postumo Il cielo di Kabul (Il Melangolo). Una raccolta di lunghe mail che Nando, nel freddo inverno afghano e a mezzo di collegamenti risicati e balbettanti, riusciva a trasmettere da Kabul alla sua mailing list.

Racconti, scanzonati, irriverenti, terribili, vivi. Alla fine, resoconti dettagliati di battaglie contro i muri di gomma di chi gioca sporco e di successi tanto piccoli quanto necessari per proseguire.

Sono stato a poche presentazioni di libri. Ma questo non ha peso per impedire di dire che quella del 13 febbraio 2018 aveva sentimento. Da subito, più che del libro, a tutti premeva di parlare e di ascoltare di Nando. Senza nessun timoniere né artifizio dietro le quinte, nell’incontro, non solo si è andati oltre il libro, si è andati anche oltre Nando stesso. Sì, si è abbracciata l’umanità. Certo, quella di Nando, ma anche l’umanità tutta. 

Come si fa? Come è possibile? Non lo so, quasi sono domande fuori luogo. 
Lo si è fatto nei risvolti privati, come quando qualcuno ha ricordato che, anche negli uffici ministeriali dove lui andava – costretto – per realizzare il suo progetto afghano, portava scarponi, zaini e tracolle, pantaloni tecnici e magliette termiche, senza mai sentirsi fuori posto. Non per amore di quella divisa alpinistica. Magari perché dopo una salita al Bianco era andato direttamente a Roma, per non aver trovato il tempo di cambiarsi. Sempre coinvolgendo l’umanità dei suoi interlocutori, fossero anche burocrati.
Lo si è fatto più ampiamente quando qualcun’altra ha letto per tutti, nel silenzio assoluto, poche pagine del libro. 

Aveva scelto un brano dedicato alle donne. Nando lottava anche per loro. Insegnava a sciare ai giovani hazara dell’Afghanistan centrale e nonostante i religiosi divieti morali non escludeva le donne. Con quelle pagine, Nando ci ricorda che, quando con sdegno, assistiamo e giudichiamo il maschilismo patriarcale dei Paesi musulmani, è opportuno fare mente locale su quello autoctono. Non solo quello sociale, ma anche quello personale. 

«Nel 1952 mia mamma aveva 18 anni e decise di andare a sciare a Cervinia. 
Guadagnava bene dando lezioni private, era ragioniera, poteva permettersi una bella fotocamera (fu la mia prima), un paio di sci (li conserviamo ancora) e una vacanza, magari risalendo a piedi qualche pendio perché le funivie erano un po’ care. 
A Sestri Levante, dove viveva, il fatto fu da alcuni accettato, da altri commentato e riprovato come eccessivo, inadeguato. Non credo che nessuno mettesse di mezzo la religione, ma forse 60 anni prima a qualcuno sarebbe scappato anche di dire che era contro gli insegnamenti di Santa Madre Chiesa.
Bisognerebbe calarsi nell’Italia del 1890 e del 1950 per capire questa storia della “religione” che impedirebbe di sciare alle ragazze afghane».

e poi:
«Vi svelo allora qualche lato del mio maschilismo. Non riuscirei a guardare cinque minuti di pallanuoto femminile: avendola giocata abbastanza, non mi sembra cosa. Non la vieterei, ma non l’avrei certo promossa. Il calcio femminile lo sopporto adesso, all’inizio mi infastidiva. Le donne guide alpine nella camera delle guide non mi sembrava possibile: le avrei mandate in un’altra camera o con i clienti. Mi ci sono dovuto rassegnare. 
Sono perdonabili i miei residui di maschilismo? 
Prima di tirare in ballo un torneo di buskhazi (una sorta di polo a cavallo che si gioca con una capra con la testa mozzata: è lo sport nazionale afghano) tra squadre femminili, evitabile, direi, assai più che la pallanuoto femminile, ci saranno tante altre battaglie maggiori da combattere. 
Faccio il mio piccolo, domani con lo sci».

In poche righe, un’autocritica sociale e personale. In poche parole, oltre allo sci alle ragazze dell’Afghanistan, l’alpinismo e chissà quanto altro, Nando insegnava genuinità, franchezza, entusiasmo. In una parola insegnava bellezza. Quella che tutti abbiamo e che pochi hanno la libertà di esprimere. 

Nel suo piccolo, era grandioso.

 
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Il cielo di Kabul ultima modifica: 2018-02-26T05:10:05+01:00 da GognaBlog

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2 pensieri su “Il cielo di Kabul”

  1. Lo sport nazionale citato, per una corretta pronuncia andrebbe scritto all’italiana: BUSCASCì  e all’inglese: BOOSKASHI’.

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