Cambiamento climatico e salute mentale sono argomenti strettamente correlati. Questo l’argomento che Piemonte Parchi ha approfondito con Daniela Acquadro Maran, docente di Psicologia all’Università degli Studi di Torino.
Il clima che ci cambia
di Sonia Biasutto
(pubblicato su piemonteparchi.it il 12 settembre 2024)
Professoressa Acquadro Maran, quali sono le conseguenze del cambiamento climatico sulla salute mentale?
Sempre più ricerche dimostrano che i cambiamenti climatici possono avere gravi ripercussioni sulla salute mentale. Questo a causa dell’esposizione diretta alle condizioni ambientali, che sono sempre più avverse, ma anche a causa dello stress psicologico e dell’ansia che possono nascere in noi nel momento in cui percepiamo che si tratta di fatto di una minaccia ambientale globale. Finora le ricerche esistenti si sono concentrate principalmente sugli effetti delle esposizioni dirette. Tuttavia, per la maggior parte delle persone, è probabile che l’esposizione ai cambiamenti climatici sia indiretta; essa avviene principalmente attraverso le rappresentazioni che i media danno degli impatti ambientali in corso.
A riguardo, sempre più spesso vengono utilizzati termini quali “eco ansia” e “solastalgia”. Potrebbe darci una definizione?
Si tratta di due termini che indicano uno spettro di emozioni, che vanno dalla lieve preoccupazione a uno stato di ansia vera e propria. Entrambe sono emozioni legate alla percezione del cambiamento climatico e alla mutazione dei luoghi che conosciamo. L’eco ansia, o “ansia climatica”, si riferisce a quell’emozione che si attiva nel momento in cui il cambiamento climatico viene percepito come catastrofe incombente e inevitabile. Si tratta di un’esperienza di disagio ambientale che comprende emozioni negative quali tristezza, paura, preoccupazione, colpa, vergogna e disperazione. La solastalgia è invece un termine che origina dai concetti di consolazione e desolazione. Letteralmente, indica “il dolore o la malattia causati dalla perdita o dalla mancanza di conforto e dal senso di isolamento connesso allo stato attuale della propria casa e del proprio territorio.” Si potrebbe definire come la nostalgia che le persone provano per il proprio ambiente nel momento in cui riconoscono che non è più lo stesso. Per una panoramica su questi concetti, mi sento di consigliare il libro di Matteo Innocenti “Eco Ansia” (Ecoansia. I cambiamenti climatici tra attivismo e paura – Matteo Innocenti – Libro – Erickson – IBS)
Come si colloca la nostra Regione in questo contesto? Ci sono studi a riguardo?
Sì, noi ad esempio stiamo studiando, in un comune piemontese, i comportamenti pro-ambientali, che risultano mitigare la percezione negativa che abbiamo del nostro impatto sull’ambiente che ci circonda. Sono tre le tipologie di soggetti analizzati: attivisti per l’ambiente, giovani e lavoratori. La categoria dei lavoratori è interessante perché sorge spontanea la domanda: “il luogo di lavoro è nostro o lo consideriamo come ‘casa’ di qualcun altro?” In caso negativo potrebbe nascere un senso di deresponsabilizzazione, quindi il pensiero che non valga la pena di mettere in atto un comportamento pro-ambientale e cercare di ridurre l’impatto sull’ambiente. A livello pratico: sul mio luogo di lavoro c’è il bidone per la raccolta della plastica ma non lo uso, perchè l’impatto ambientale di questo luogo (di lavoro) non dipende da me ma da tutte le persone con cui lavoro, quindi se altri non adottano un comportamento pro-ambientale non lo faccio nemmeno io. Questo senso di possibile deresponsabilizzazione lo vediamo anche nei luoghi pubblici, ad esempio nei parchi cittadini, nelle zone costiere e in quelle di montagna: se c’è un comportamento pro-ambientale disatteso il rischio è quello di imitare lo stesso comportamento. Ad esempio c’è il cestino per la raccolta dell’immondizia ed è pieno, e trovo le cartacce per terra, potrò decidere di buttare per terra le cartacce, perché altri lo hanno già fatto. Se invece c’è un alto senso di responsabilità verso l’ambiente e il luogo di lavoro, utilizzerò un altro tipo di comportamento, ad esempio cercare un altro cestino o portare a casa l’immondizia oppure chiedere che vengano messi più cestini ecc. Il luogo di lavoro è importante perché vi passiamo molto tempo e il comportamento pro-ambientale può avere risvolti importanti sulla nostra impronta sull’ambiente. Basti pensare alle macchinette del caffè, alle bottiglie di plastica e via dicendo.
A proposito di scuole: è vero che la popolazione giovane è la più colpita?
La popolazione più giovane è quella che sta affrontando e che dovrà affrontare il cambiamento climatico, si sente quindi più coinvolta sia in termini di conseguenze che in termini di preoccupazione. In particolare, le donne sono più attente all’ambiente, se ne prendono maggiormente cura, quindi sono più propense ad adottare comportamenti pro-ambientali. Recentemente, in un ricerca condotta dall’Università di Torino sul territorio piemontese, è stato dimostrato come le ragazze non cambiassero la loro propensione al comportamento ambientale, propensione già di per sé alta, prima e dopo un gioco virtuale sull’ambiente, mentre i ragazzi avevano una propensione minore prima del gioco e più alta dopo il gioco. La promozione del comportamento pro-ambientale può passare attraverso strumenti innovativi e ludici, come il gioco virtuale, ma va tenuto conto che le ricadute di questi strumenti possono essere diverse in base alle sensibilità individuali.
I danni sulla salute mentale causati dal cambiamento climatico possono essere equiparati a quelli sulla salute fisica?
In un certo senso sì, vivere in un ambiente caratterizzato da una costante incertezza può determinare la nascita di sentimenti negativi che hanno poi un impatto sulla nostra salute fisica. Ad esempio, un aumento dello stress può portare a una diminuzione delle difese immunitarie.
Pensa che la popolazione sia consapevole dei danni provocati dal cambiamento climatico sulla salute mentale? O è un aspetto poco conosciuto?
Dagli studi che stiamo conducendo emerge una forte preoccupazione accompagnata dal desiderio di mettere in atto comportamenti il più possibile a basso impatto ambientale.
Nel 2021 è stato effettuato un sondaggio in 31 Paesi, su oltre 75 mila utenti di Facebook, la maggior parte degli intervistati ha riferito di essere “in qualche modo” o “molto” preoccupata per il cambiamento climatico. Poiché gli effetti acuti e a lungo termine della percezione del cambiamento climatico diventano un’esperienza vissuta per una percentuale crescente della popolazione mondiale, sembra anche esserci un corrispondente aumento del numero di persone che soffrono di disagio psicologico in relazione all’ambiente e alla percezione di crisi climatica. Va ricordato che nei Paesi occidentali si rileva una maggiore attenzione alle informazioni, affrontiamo il tema con un sguardo che, per quanto possa essere preoccupato, risulta comunque quello degli osservatori per la maggior parte delle volte con una non-esperienza dei fenomeni meteorologici catastrofici e distruttivi.
Le persone che sono più a contatto con la terra e con l’ambiente sono quelle maggiormente preoccupate, ci sono tantissimi studi che vengono dall’Africa ad esempio e in generale da Paesi a basso reddito. La preoccupazione in questo caso viene esperita dall’esperienza diretta e i più poveri sono sicuramente i più colpiti in quanto la loro sussistenza dipende dalle condizioni ambientali.
L’ultima ricerca che abbiamo pubblicato è relativa al comportamento pro-ambientale in giovani adulti che vivono in Pakistan confrontando coloro che hanno dichiarato di aver vissuto (o meno) un evento legato al cambiamento climatico. E’ emerso che in entrambi i gruppi il comportamento pro-ambientale è maggiormente indicato da coloro che percepiscono che quel comportamento è utile ed efficace per ridurre l’impatto ambientale. Ma è anche emerso che questi soggetti si percepiscono all’interno di una comunità che condivide le stesse regole. Emerge infine che è importante indicare quali sono i comportamenti pro-ambientali che possono ridurre l’impatto della nostra impronta sull’ambiente: le buone pratiche sono utili esempi per tutti.
Esistono strategie per contrastare il disagio psicologico causato dai cambiamenti ambientali? La psicoterapia può risultare efficace?
Sì, certo. Ad esempio adottare comportamenti pro-ambientali può far sentire le persone in qualche modo utili per ridurre la nostra impronta sull’ambiente, aumentando la sensazione di speranza. Dal punto di vista dell’intervento psicologico, ad esempio la psicoterapia può essere consigliata in caso di forte disagio che compromette la qualità della vita. In situazioni di questo tipo, suggerisco di rivolgersi agli Ordini professionali della propria regione (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi) per una prima valutazione e per una eventuale presa in carico.
C’è qualcosa in particolare che vorrebbe aggiungere per concludere?
Sicuramente sarebbe necessaria una maggiore attenzione da parte delle istituzioni: la salute psicologica delle persone in relazione alla percezione di cambiamento climatico andrebbe monitorata, così come andrebbero proposte delle strategie di adattamento e di mitigazione – o buone pratiche – alla popolazione: è necessario alimentare la speranza di un futuro non necessariamente catastrofico. Il modo con cui il fenomeno viene descritto e affrontato dai media è di fondamentale importanza in questo senso.
Doherty & Clayton, 2011: The psychological impacts of global climate change
Pihkala, 2020: (PDF) Eco-Anxiety and Environmental Education
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Cla, sei ansioso?
Rassegnati: è la condizione umana.
😀 😀 😀
Ho l’ansia per l’immondizia sparsa nelle citta, strade, mari, laghi, spiagge. Dei supermercati che vendono 3 piselli in una scatola di lamiera smaltata che diventerà immondizia.
Ho l’ansia per i fazzoletti di carta seminati nei sentieri, boschi, prati, montagne.
Ho l’ansia per la scomparsa del silenzio. Pinelli dovrebbe riscrivere l’articolo oggi.
Ho l’ansia per lo spazio aereo perennemente occupato da aerei, elicotteri, droni.
Ho l’ansia per l’inquinamento industriale e da traffico veicolare.
Ho l’ansia per le piste ciclabili lasciate andare in malora. Le biciclette dovranno scomparire.
Ho l’ansia per la sanità che sarà completamente a pagamento.
Ho l’ansia per le bollette sempre più care.
Ho l’ansia per il frastuono dei 50ini dei 16enni e delle auto tuner che fanno il rumore di un aereo.
Ho l’ansia di tornare a casa da una gita in montagna e trovarla occupata dai rom.
Ho l’ansia per il litio nell’acqua del rubinetto e per i Pfas.
Ho l’ansia per il 5G, 6G, 7, 8, 9G.
Ho l’ansia per esperti troppo esperti, ( Ivan Illich, 1977)
Ho l’ansia che i miei vicini saranno i peggiori spioni e delatori.
Ho l’ansia dello scudo penale alle forze dell’ordine.
Ma l’ansia per il cambiamento climatico proprio non ce l’ho!
Farà più freddo? Metto un altro paio di calze!
Farà più caldo? Le tolgo!
“in un anno siano stati prodotti circa 119 milioni di tonnellate di CO2e legati al conflitto russo-ucraino”
Emissioni ben spese grazie al “baluardo contro l’arroganza dell’Occidente” per la nobile causa della “denazificazione” (in casa d’altri).
“o remiamo tutti dalla stessa parte o sarà tutto inutile”
Sono d’accordo, e non ottimista.
Mi sono però dimenticato la domanda più importante: per rispondere a buona parte delle altre domande, su cosa ci baseremo ?
Sulla comunità scientifica o sui nostri pregiudizi, sulle “oscillazioni quantiche” o i tarocchi, su quello che dice “La Pravda” ( 🙂 ) il meinstrim o la c.d. controinformazione?
Ad esempio, uno studio dell’Università di Padova ha calcolato che “in un anno siano stati prodotti circa 119 milioni di tonnellate di CO2e legati al conflitto russo-ucraino. Questa quantità corrisponde all’ammontare prodotto nello stesso quantitativo di tempo da uno stato come il Belgio (de Klerk, 2023).”
Quindi inutile negare che tutto il risparmio dovuto alle buone pratiche sia andato (come si suol dire) a puttane.
4. “ma potrei sbagliarmi”.
Buona l’ultima, riferita a tutto il commento, è evidente che segui poco o nulla il blog.
Per il resto, Balsamo, sì concordo in parte, ma o remiamo tutti dalla stessa parte o sarà tutto inutile, tranne che per chi ci guadagna. In sostanza, considerato che la remata unidirezionale non avverrà mai, andremo verso un peggioramento costante ma inevitabile.
Il cambiamento climatico esiste o è un complotto ben orchestrato da chi vende pannelli solari e auto elettriche?
Se esiste, può creare problemi significativi per la vita sul pianeta così come la conosciamo o al caldo staremo tutti meglio?
Se questi problemi sono rilevanti, in quale misura sono imputabili alle attività umane e quanto a cause naturali (e quali, esattamente)?
E se le attività umane sono una causa importante, possiamo fare qualcosa per rimediare o è meglio continuare come se niente fosse e adattarci come abbiamo sempre fatto?
Infine, quanto è stato fatto finora può davvero avere un impatto significativo oppure si tratta solo di business per far guadagnare i soliti noti?
Immagino che gli illuminati commentatori finora intervenuti abbiano già le loro risposte.
Speriamo (per noi) che siano quelle giuste. Nel frattempo, tic tac, tic tac…
Sono totalmente d’accordo con Benassi e Gio.
Inoltre ci vedo molto interesse da parte dei cosidetti Stakeholders a spingere su una sorta di catastrofismo e terrorismo ambientale che ha portato l’Europa ad emanare leggi assurde come in Green Deal per obbligare i popoli (già impoveriti da una guerra assurda) a spendere per macchine elettriche, fotovoltaico, eolico, cappotti termici ed altre assurdità del genere con la stessa validità da Stoccolma ad Atene come se i cittadini non fossero in grado di provvedere da soli a scelte per loro più razionali ed economiche. Nel giro di una ventina di anni siamo passati dal riscaldamento casalingo a legna e gasolio a quello a gpl a metano a pellet fotovoltaico ed idrogeno …… tutti come fossero la soluzione ambientale ed economica migliore durata poi solo un batter di ciglia fino a quando nuovi stakeholders si sono fatti avanti con nuove proposte sostenute dalle politiche green. Mi occupo di ambiente con il CAI da 50 anni ma non è questo il modo di risolvere i problemi. La recente dichiarazione di blackrock di abbandonare gli investimenti nel green la dice lunga. Che poi i cambiamenti climatici ci siano è cosa evidente ed io credo anche in gran parte naturale e per quanto riguarda la percentuale dovuta all’uomo forse, in occidente, sarebbe ora di mettere mano ai processi produttivi incentrati su logiche tipo l’obsolescenza programmata e l’impossibilità di “aggiustare” qualsiasi prodotto.
L’ecoansia a mio avviso ha la stessa natura dell’ansia procurata dai media riguardo la pandemia dove si sono raccontate un sacco di balle pur di spingere a determinati risultati. Poi con il tempo si è scoperto che un buon 90% di tutto quel racconto era una fake
Mi pare che l’eco ansia, e fenomeni simili, siano causati soprattutto dalla terminologia catastrofica usata dai media e non dalla fenomenologia climatica reale. Non voglio dire che non siano in atto cambiamenti climatici, ma questi vengono amplificati in modo esagerato. Inoltre il tentativo di convincere l’umanità che i cambiamenti derivino principalmente dagli umani mette in ansia gli individui per il senso di colpa indotto che, tuttavia, permette di mettere in atto politiche economiche che fruttano enormi introiti ad alcuni settori industriali senza alcun effetto misurabile sul clima.
Il clima sta cambiando? Bene ci adatteremo. Come da sempre l’uomo si è adattato su questa terra. Se poi la natura ci farà fuori, vorrà dire che abbiamo fatto il nostro tempo. Quello che è veramente grave, che si continua a far sentire in colpa i deboli. Del resto è facile. Chi veramente fa danni, distrugge, inquina, avvelena, continua imperterrito, e nessuno gli fa problemi.
1# condivido al 100%! Mi piacerebbe che questo blog si occupasse di rischi più attinenti alla comunità alpinistica.. molto reali e attuali.. ad esempio la libertà di frequentazione della montagna che mai come in questo momento è minacciata.. spesso proprio da movimenti eco – fanatici e da amministratori autoritari.. vedasi il caso Abruzzo.. ma quello che mi preoccupa è che qui sembra che si strizzi più l’ occhio a quelli che vorrebbero vietare le montagne piuttosto che a quelli che vorrebbero continuare a frequentarle in santa pace.. vedasi le onnipresenti ospitate di vari menestrelli dei divieti; tutto molto poco coerente visto anche che il fondatore di questo blog una volta gestiva un ” osservatorio per la libertà di frequentazione della montagna” se non ricordo male.. ma potrei sbagliarmi
AAA – OFFRESI PSICOLOGO
CLIMATICAMENTE CORRETTO
Fatemi capire:
1) il clima sta cambiando;
2) il clima sta pericolosamente cambiando;
3) il cambiamento climatico provoca forte disagio;
4) il forte disagio compromette la qualità della vita;
5) ergo serve assistenza di uno psicologo.
Ho capito bene?
Tra l’avere una coscienza ambientalista e prendere coscienza che esiste un problema ambientale c’è ne passa. Da buon globetrotter e quindi senza tema di smentita credo che questo inizi seriamente ad essere preso in considerazione solo nella nostra vecchia Europa. Il mondo farà i conti con altre malattie legate all’ inquinamento piuttosto che a quelle mentali ad esso potenzialmente legate
Come garantirsi il lavoro facendo leva su ignoranza e paura (indotta).
Disgustoso.