Metadiario – 312 – Il compleanno di Mauro Corona (AG 2024-002)
Mauro Corona ed io siamo amici da quasi 35 anni. Tra amici si potrebbe pensare a una comunicazione facile, un colpo di telefono e via a dire scemenze.
La realtà è ben diversa: chi come lui è esposto all’assedio del pubblico che lo osanna o lo condanna, per ciò che scrive e per come appare nelle settimanali comparse televisive a Cartabianca, ha estrema necessità di privacy e la difende.
Provate a contattarlo via il suo sito web o via telefono (se non siete nella sua rubrica): è una manovra del tutto inutile.
Tra l’altro pensavo d’essere nella sua rubrica telefonica, ma in realtà non era così da un bel pezzo, da quando aveva perso il telefono con tutti i dati.
Raramente lo seguo in tv, un po’ per mancanza di tempo e un po’ per l’acceso disinteresse che ho per la sua figura pubblica.
Fino a qualche mese fa non sapevo neppure degli anni terribili da lui attraversati con le malattie di tutti e tre i suoi figli, uno dietro le altre, scongiurate dopo lunghi periodi di cura.
Tanto ci sono stati festosi momenti emotivi nelle rare occasioni d’incontro, tanto inspiegabili gli anni di silenzio reciproco, come se due mondi diversi evitassero un contatto per paura di aprirsi troppo, magari di ferirsi.
Ma la primavera scorsa ebbi modo di invitarlo alla consegna a Sagron Mis del premio Il Personaggio dell’Anno, il riconoscimento che l’organizzazione del festival gli aveva tributato.
Mi disse che era stato a sciare a Misurina, che aveva fatto bellissime escursioni di scialpinismo e che per me a Sagron Mis ci sarebbe venuto gratis…
In effetti quel 28 luglio tutto andò benissimo, compreso il gettone per la sua presenza che io stesso consigliai all’organizzazione. Ci fu qualche ora di tensione: lo stavano aspettando per le 11 di mattina nella piazza della chiesa di Sagron, erano le 12.40 e ancora non si era visto, né lui né il suo grande amico Ferruccio Clerino facente servizio di “autista”, visto che la patente a Mauro l’avevano da tempo e definitivamente stracciata. L’ultimo episodio di conflitto con le forze dell’ordine lo aveva visto posteggiare su un’aiuola e in seguito pretendere, tra insulti e bestemmie, di aver ragione con i carabinieri…
Al mattino gli avevo scritto un sms ricordandogli la puntualità: lui mi aveva risposto “vedrò d’essere il più puntuale possibile”. Invece in piazza nessuno sapeva nulla, il sindaco e l’amico Maurizio Lazzaro cominciavano ad essere un po’ nervosi. Io ero appena tornato dal Sentiero Intrecci del Tempo con 23 persone: telefonai a Mauro alle 12.45, pregando tra di me che mi rispondesse.
“Tre minuti e siamo a Sagron” mi disse trionfante.
Alle 13.15 ancora non si era visto…
Quando alle 13.25 finalmente arrivò, le sue prime parole furono di richiesta di una birra, che ce n’era bisogno. Lo convinsero a fare ancora due minuti di auto per spostarsi allo chalet Giasenei, dove ero io, e dove era previsto un pranzo. Gli offersi subito la birra che stavo bevendo.
Le ragioni del ritardo erano nell’ordine:
– una lunga, molto lunga fermata mattutina dagli amici del ristorante-osteria Alla Stanga, sulla strada tra Belluno e Agordo;
– l’errore di percorso che li portò da Mis, invece di svoltare a sinistra per Sagron, a superare il Passo Cereda e scendere fino a Tonadico, alle porte di Fiera di Primiero, con l’inevitabile inversione per ritornare a Mis… 24 km in più.
Di questa “svista” pare fosse responsabile il terzo passeggero, il mitico psicologo Antonio Scuglia, abitante a Salerno ma per l’occasione in forza alla comitiva. Questi era accusato da Mauro di aver bevuto alla Stanga solo dei succhi di frutta invece che birra e per questo motivo non era in grado di fare da navigatore…
Il pomeriggio trascorse frizzante, il flusso alcolico era continuo ma non eccessivo. A Mis, sotto il tendone, lo aspettavano circa 350 persone. Dopo un’intervista con RAI Tre si incominciò abbastanza puntuali alle 16.30.
Le risposte di Mauro alle domande che gli posi furono tutte lucidamente brillanti, la gente lo ascoltava rapita e plaudente. Ogni tanto si versava del vino rosso, ma con moderazione. Diceva, evidentemente scherzando, che lo avevamo fatto bere per tutto il pomeriggio, e che dunque la colpa era nostra se ogni tanto punzecchiava gli amministratori presenti e il pubblico…
Le sue doti di oratore sono evidenti: mescola le precise citazioni culturali proprie di chi ha letto migliaia di chilometri di carta stampata (e ha tanta memoria) con battute e affermazioni di chi nella vita ha visto veramente di tutto, in un miscuglio ricorrente di cupa autocritica e fustigazione del prossimo, costantemente sulla sottile cresta tra il rischio-gelo del pubblico e la standing ovation.
Con semplicità, riferendosi a un fatto realmente successo a un intellettuale spagnolo, disse che era ben lieto di ricevere il riconoscimento di Personaggio dell’Anno, ma che alla parola “anno” si doveva togliere una “enne”…
Resse con stoicismo il successivo assalto della gente che voleva firme, selfie e quant’altro. Alle 19.30 salimmo in auto per tornare allo chalet Giasenei: Mauro ci arrivò appisolato. Per questo i suoi compagni decisero di tornare a casa senza fermarsi a cena. Seppi in seguito che erano arrivati a Erto alle 5 di mattina, dopo una perniciosa sosta alla Stanga…
Già prima del nostro incontro a Sagron, Mauro mi aveva invitato alla festa del suo compleanno, che sarebbe stata a Misurina il 9 agosto. Gentilmente mi aveva anche prenotato una camera (trovata a fatica per il pienone) all’Albergo Miralago.
Dopo qualche giorno passato a Magnéaz, sopra a Champoluc, con gli amici Stefano Romanengo e Alessandra Raggio, più la banda dei romani (uno acquisito obtorto collo e gli altri veri) Mario Verin, Giulia Castelli, Franco e Paola Bellotti e altri due genovesi, Marco Silvestri e Stefania Orengo, la mattina dell’8 agosto Guya ed io partimmo con destinazione Misurina senza neppure prevedere una sosta a Milano per via della sofferenza che avrebbe provato la nostra gatta Freccia nel rivederci solo per qualche minuto.
Per via dei vari bollini neri il viaggio non fu dei migliori. Fummo costretti a fare la Bre.Be.Mi e ad evitare a sud con lungo giro il nodo di Desenzano-Peschiera. Bellissime le campagne tra Solferino, Valeggio sul Mincio, Custoza e Sommacampagna, ma il tempo stringeva.
Sfruttando la Pedemontana da Montécchio a Conegliano riuscimmo a recuperare una progressione più normale. Ma in ogni caso arrivammo assai in ritardo al previsto incontro con Luca Calvi e Marco Furlani a Domegge di Cadore. Luca e la moglie Sara erano in vacanza lì da fine giugno, in una casa non particolarmente bella ma posta in una posizione davvero invidiabile. Dallo spazioso terrazzo (che dà su un rigoglioso orto) si gode una vista impareggiabile sugli Spalti di Toro e sui Monfalconi. L’angolatura non permette di individuare la figura altrimenti slanciatissima del Campanile Toro, ma già così le imponenti sagome della Cima Herberg, del Castello di Vedorcia, del Cadin degli Elmi fino al Picco di Roda fanno la loro figura e possono paragonarsi alle più note visioni dolomitiche, specie se arrossate da certi tramonti.
Ci attendeva una bella merenda (di cui approfittammo solo noi visto che loro in nostra attesa ci avevano già dato dentro da ore), innaffiata da un buon Cartizze unitamente a bicchieroni di Hugo Spritz preparati con cura da Sara. Il caldo torrido ci impediva di stare sul terrazzo, poi finalmente verso le 17.30 uscimmo per fare qualche foto. In quella suonò alla porta Emilio Da Deppo, lui sì vero abitante di Domegge, bravo scrittore e attento storico del Cadore. Che mi regalò anche due libri, Cirolòide (del quale è l’autore) e Le Dolomiti d’Oltrepiave (di Wolfgang Herberg e Vincenzo Altamura) del quale è stato il curatore.
Purtroppo non avevamo più tempo per altre piacevoli chiacchiere con un uomo di tale spessore. Guya, Marco ed io dovevamo ancora andare a Misurina per prendere possesso della stanza d’albergo e avere contatto con Mauro. Di lui non sapevo dove fosse, come al solito non rispondeva al telefono.
Dopo i saluti con Sara e Luca (e l’impegno di vederci presto per una mia prossima serata ad Auronzo prevista per il 4 settembre) partimmo per Misurina. Marco ci seguiva con il suo camper.
Passammo per il paesino di Cima Gogna ma non ci fermammo a fare una foto accanto al cartello stradale, come avrebbe voluto fare Guya per mandarla a Petra ed Elena.
La serata era calda ma la visibilità abbastanza buona. Mostravo a Guya le montagne, indecise tra la luce e qualche nebbia, e finalmente arrivammo a quel posto unico che un tempo doveva essere Misurina.
Per raggiungere l’Albergo Miralago occorre fare un giro attorno a un rilievo boschivo a nord dell’iconico bacino lacustre. Come non fosse bastato l’ammasso di autoveicoli sulle rive, lì lo scempio si manifestò al suo massimo. Un numero spropositato di camper stazionava in quello che una volta era un grande prato, una rotonda spartitraffico campeggiava nel brusio umano e motoristico. L’autocritica consapevolezza d’essere parte (e certo non solo passiva) di quel casino non diminuiva la sofferenza del confronto con i tempi andati.
Marco ebbe il permesso di stazionare con il suo camper nella piazzola davanti all’albergo, noi ci concedemmo tre quarti d’ora di relax. Mauro ci aveva dato appuntamento per le 20.30 alla Locanda Quinz, a pochi minuti a piedi da dove eravamo.
Come sospettavamo, Mauro non era da solo. Ci presentò la sua fidanzata, Consuelo Cinotti. Lei risvegliò in noi la più immediata delle simpatie per lo stile con cui si poneva e la classe con cui ti ascoltava. Lui fu molto contento che ci fosse anche Marco (in effetti una mia iniziativa): sapevo bene quanto Mauro sia ancora grato a Marco per le gentilezze da lui avute a Trento nei primi anni Ottanta, quando ancora era un perfetto sconosciuto e senza un soldo in tasca.
Ci sono momenti destinati a inserirsi nelle coordinate mnemoniche con grande dolcezza: so che sono duraturi quanto o forse più di quelli che si inseriscono con imperiosità. Eravamo lì fuori, a due passi dalle acque tranquille del lago. La grande bastionata del Sorapìss era testimone della profonda verità di quanto stavamo vivendo, un momento in cui nulla succede ma che fa storia.
Marco e Mauro fecero una telefonata al comune amico Fabrizio De Francesco, che in quel momento era a casa sua in Valle del Sarca. Mauro pretendeva che prendesse la macchina e venisse a Misurina, poi, resosi conto della tempistica proibitiva, si accontentò di imporgli di venire a scalare con noi il giorno dopo, quello del suo 74° compleanno.
– Guarda che se non vieni vengo io a prenderti… col zapìn vengo! Marco mi spiegò subito che lo zapìn è il rude strumento con cui i boscaioli arpionano i tronchi…
All’interno della locanda di Andreas Quinz scegliemmo il punto più appartato. Infatti, mentre entravamo, un turista aveva chiesto una foto a Mauro con troppa sicurezza di ottenerla e ne aveva avuto una risposta ferma e negativa. Nessuno voleva ci fossero altre intrusioni.
In quel momento Mauro era del tutto sobrio e contornato solo da persone che gli volevano bene. La sua naturale verve poteva esprimersi senza sovrapposizioni di convenienza, scevra dalle curiosità di giornalisti in cerca di gossip, libera da qualunque pubblica relazione, anche di fronte ad Andreas, il quasi ieratico padrone della locanda che ormai stava prendendo le ordinazioni. Prima di tutto del vino, la parte più seria della comanda. La scelta di Mauro cadde sulla mia passione, sul Lagrein di una cantina che si distingue.
I dialoghi s’incrociavano, tutti erano curiosi di tutti. Notammo che Mauro piluccò un po’ di primo e che si dedicò invece alla buona carne del secondo. Si parlò di Maurizio Crozza e delle sue imitazioni, poi Mauro se ne uscì affermando che per lui era una bella fonte di ispirazione… Si accennò anche al dove saremmo andati a scalare il giorno dopo: venimmo così a sapere che sarebbe venuta anche Consuelo.
Ci furono due interruzioni che però non dettero alcun fastidio. Appena spazzolato il secondo si palesarono due giovani che evidentemente erano sopraffatti dai “miti” dei quali avevano appena scoperto d’essere commensali. Mi feci spiegare in inglese che venivano dalla Carinzia ed erano lì per scalare in Lavaredo. Così timidi e carini fecero tenerezza a tutto il nostro tavolo: dopo la foto di rito si congedarono accennando a un sorriso, decisi “a non farci più perdere tempo”, senza immaginare che per noi quello era il miglior modo di trascorrerlo, il tempo.
La seconda interruzione fu opera dello stesso turista che era stato rifiutato al nostro ingresso. Tralasciata ogni goffaggine, si era riarmato di coraggio ed era tornato gentilmente alla carica. Questa volta fu lo stesso Mauro a dirgli di sedersi accanto a lui invitandolo a bere assieme una grappa. Eh già, perché nel frattempo eravamo giunti al dessert e alle libagioni superalcoliche.
Come succede solo nelle serate perfette, non si trascese: ci si alzò da tavola come avventori sazi ma non sfatti, ebbri di serenità ma non di alcol.
Ci avviammo alla cassa per pagare e là scoprimmo che Andreas Quinz ci aveva gentilmente offerto la cena: era il suo regalo di compleanno a Mauro.
Ci trovammo alle 9.30 la mattina dopo e ci avviammo a piedi. Proprio dove il casino cede luogo finalmente a prato e bosco, Mauro fu riconosciuto da una ragazza che gli disse subito di lavorare presso la segreteria di Matteo Salvini. Questa voleva fotografarlo ma lui prese la palla al balzo per chiederle un breve filmato da mostrare al suo “capo”.
– Salvini? Bene, bene, l’amico Matteo… fammi un ciak! Hai capito? Fammi un ciak!!
La ragazza armeggiò col cellulare poi gli disse d’essere pronta.
Allora Mauro salutò l’amico Matteo, poi senza altri mezzi termini disse “… perché va bene il ponte di Messina, ma non devi dimenticarti della montagna… occorre un carosello di funivia che da Auronzo porti alle Tre Cime e scenda qui a Misurina… e poi torni ad Auronzo. Così eliminiamo queste macchine che fanno solo male alla montagna. Tu fai pure il tuo ponte di Messina, uno che va in là, uno che torna in qua… e un altro che va in giù… ma non dimenticarti della montagna”.
Dopo questo piccolo show e l’obbligatoria foto con la ragazza, finalmente potemmo avviarci lungo i molti tornanti che salgono il bosco fino ai primi baranci alla base della parete sud-est del Monte Popena Basso. Avevo avvertito i miei compagni che non ero più quello di una volta e camminavo più lentamente. E in effetti furono comprensivi: aspettavano il vecchietto ogni quattro o cinque tornanti, facendo finta di fermarsi a chiacchierare. Io, arrancando con i miei bastoncini, salivo regolare e intanto ascoltavo quello che si dicevano. Verso le 10.30 Mauro ci confidò:
– Ecco, proprio adesso 74 anni fa, strillavo sul carretto dove ero appena nato.
Senza neppure aver sudato troppo arrivammo all’attacco, al limite destro della parete, proprio sotto un vago spigolo dove Mauro intendeva prima o poi aprire un itinerario non difficile, ma certamente bello, di non più di tre lunghezze. Lì ci preparammo. Osservai Mauro prendere una t-shirt nuova e asciutta: con il coltello tagliò di netto le corte maniche e la indossò così, aggiungendo poi il giubbotto.
Feci una foto al lago e la mandai a Guya scrivendole che eravamo giusto sotto la parete. Di sicuro lei in quel momento stava facendo la sua passeggiata attorno al lago, curiosa come sempre di tutto ciò che le succedeva attorno.
Poi traversammo a sinistra alla base della via che Piero Mazzorana aveva aperto con M. Adler nel 1936. Il vecchio Mauro arrampicava sempre bene, calmo e astuto: si stava gustando la compagnia della sua donna che era legata con lui e di due amici che lo seguivano. Marco ed io procedevamo in alternata e mi sembrò di capire che ogni volta che toccava a lui tradiva un po’ di fretta di partire per poter essere a contatto con Consuelo… e riempirla di complimenti.
Dopo cinque lunghezze di corda la via Mazzorana-Adler era già finita, come un dolce di cui si mangerebbe ancora.
Consuelo aveva portato con sé una fetta di grana nella quale aveva infilzato una candelina, accesa la quale iniziammo la canzoncina dei “Tanti auguri a te”, storpiata da Mauro come si può vedere dal breve filmato. Terminata questa breve cerimonia tra i baranci iniziammo la discesa. Verso le 14.30 eravamo giù a Misurina. Salutammo l’amico Gianni Pais Becher, padre di Tatiana (ex-sindaco di Auronzo), che era nel suo negozio di articoli sportivi e che era stato capospedizione di Mauro in Groenlandia, ma poco dopo eravamo seduti al sole pomeridiano accanto ai tavolini del Grand Hotel Misurina. Feci convergere lì anche Guya. Ci scolammo tre birre una dietro l’altra, rimandando il momento in cui alzarci per andare alla locanda Quinz come seconda osteria. Mauro si assentò un attimo, poi tornò a sedersi. Ma prima diede a Guya e a me una piacevole spruzzatina da una boccetta di essenza di cirmolo, prima di donarcela. Scoprimmo in un secondo tempo che era per ambienti, auto o ufficio…
Il nostro amico era assediato dai soliti cercatori di selfie e firme, più o meno uno ogni dieci minuti. A qualcuno Mauro concesse, firmando un suo libro, un rapido schizzo sulla pagina bianca accanto al frontespizio. Con mano rapida e sicura, un po’ di tratti a matita o a pennarello, ed ecco pronto un suo ritratto. Il proprietario del libro sarebbe già stato felice così, ma lui, parlando e senza dare importanza alla cosa, intingeva due dita nel suo bicchiere di birra (o forse di vino, sì, forse lui era passato al vino) per poi spalmare il liquido a chiazze sul disegno. Ad una signora particolarmente simpatica disse: “Così quando muoio con questo ti ci puoi comprare una casetta…!”.
Finalmente ci trasferimmo alla Locanda Quinz, dove ci piazzammo ad uno dei tavoli e iniziammo a bere Lagrein. Lì ci raggiunsero sua figlia Martina con quelli che dunque erano i suoi nipotini, Igor e Neve. Con lei Mauro parlava un rigoroso dialetto ertano. Martina era stata incaricata di portare una cassa di Nebbiolo, che gli era stata regalata e giaceva nello studio a Erto, e lei aveva svolto il suo compito. Poco dopo arrivò una compagnia di allegri toscanacci provenienti da Abetone, in quel di Pistoia. Si trattava di amici di Consuelo e Mauro, invitati alla festa. I loro nomi sono Luigi Bigio Sbaragli, il notaio Antonio Marrese (proprietario di un grande furgone nero), Riccardo Nesti, Gabrielino, Cristian, Tommaso.
La loro grande simpatia rallentò la nostra necessità di andare in albergo a fare una doccia e riprenderci un attimo: così fummo compartecipi di altri aperitivi e bevute fino alle 17.30. Quando trovammo la forza di allontanarci, ci fu comunicato che l’appuntamento era alle 20.30 allo Chalet Antorno, quella grossa costruzione accanto al laghetto omonimo, poco prima del pedaggio della strada che da Misurina porta al rifugio Auronzo.
Raggiungemmo quel luogo grazie al furgone nero che dicevo prima, guidato dal proprietario molto “carico”. Dentro eravamo ammassati, anche per l’ingombrante presenza di una bicicletta: ad ogni curva ci ritrovavamo ammonticchiati uno sull’altro. Quando arrivammo baciammo terra, anche se la breve strada era stata tutta in salita…
Era ancora chiaro e vedemmo molto bene l’innaturale fila di camper lì posteggiati, oltre al laghetto in condizioni penose di inerbimento. L’unica visione gradevole era quella del tramonto sui vicini Cadini di Misurina.
Alle 20.45, tra un aperitivo e l’altro (Mauro era andato avanti senza interruzioni dalle 14.30), ci fu la consegna dei regali. Quando Marco gli porse il nostro libro Valle della Luce e dopo che gli ebbe dato una veloce scorsa, ci promise che ne avrebbe parlato a Cartabianca (cosa che poi in effetti fece il 3 settembre).
Poi ci sedemmo a tavola, necessariamente un po’ divisi. Nel salone non eravamo soli, c’erano anche piccole tavolate di turisti, italiani e stranieri. Alle persone che ho già nominato potete aggiungere altri cari amici di Mauro, come l’enigmatico Pojana (Pio Dal Cin, quello che fa i versi degli uccelli e che Mauro si è portato due o tre volte a Cartabianca), oppure Mauro Valmassoi (guida alpina, anche lui di Domegge), oppure ancora i custodi del rifugio Lavaredo, Lorenzo Quinz e Simone Corte Pause con la sua ragazza. A questa illustre e chiassosa compagnia vanno aggiunti il cantante e chitarrista “country” Armin Calligaro, di Domegge, un suo amico che lo avrebbe spalleggiato come seconda chitarra, oltre allo psicologo Antonio Scuglia che però ebbe la sfortuna d’essere l’unico a fare innervosire Mauro. Questi era già al livello di guardia e Scuglia ebbe modo di iniziare con lui un discorso che riguardava Bianca Berlinguer. D’improvviso Mauro ebbe un accesso d’ira e, urlando che non ne poteva più di essere accostato alla Bianchina, si alzò da tavola incazzato. Mentre si allontanava verso il bancone del bar Antonio gli chiese scusa, ma la pronta risposta di Mauro fu “scusa un cazzo”. Per fortuna Armin e compagno ripresero la loro performance musicale e il gelo che si era creato si dissipò in fretta.
L’ottimo cibo, il Nebbiolo, le virtù anche canore dei due musicisti, l’allegria ormai sfrenata, le sigarette fumate in terrazza, le tenerezze che si scambiavano Mauro e Consuelo fecero il miracolo che nessuno desiderasse essere altrove. Dopo un quarto d’ora dallo scazzo, vidi Mauro abbracciato allo psicologo.
Poi ci fu la cerimonia della torta che si svolse nel più classico dei modi. Distribuite le fette, ne era rimasta ancora una buona parte. Mauro insisteva perché ne prendessi ancora. Al mio gentile rifiuto, motivato dal desiderio che almeno la assaggiasse anche lui, Mauro con un gesto brusco ne buttò una doppia porzione nel piatto di Marco, che non ebbe problemi ad accettare.
Ma la serata si avvicinava al termine, l’abitudine al bere di Mauro è indubbiamente straordinaria ma tutto ha un limite. Verso le 23, quando si reggeva ancora in piedi ma ormai aveva difficoltà a camminare e dovevano sorreggerlo, iniziò una pippa sul “chi diavolo mi ha messo una polverina nel bicchiere”, concludendo che era stata l’Onorata, cioè la padrona dello chalet, per fare in modo che la festa finisse.
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Carosello di funivie in Val Marzon su da una parte giù dall’altra: dici sul serio? TÓGLIERE TÓGLIERE TÓGLIERE Mauro, tut-to.
Ti vengo a prendere con el zapin, è un’espressione che ho già fatto mia e… funziona!
Bellissima cronaca dove, fra una fase della storia e un’altra, risalta come comun denominatore, tra i protagonisti, una sincera e vera amicizia.
È una guerra persa. Anche perchè non siamo capaci di fargli la guerra. Se giochi pulito con certi personaggi, parti già perdente.
Pasini, come si dice a Camaiore, “AMMÒ” se siamo assopiti, lo siamo “BAO”.
Assopiti, no, dai. Responsabili magari si. E poi chi sono davvero in questa commedia buffa che si rappresenta nel teatro della politica “recitata” sui media gli uomini d’ordine, con senso dello stato e delle istituzioni repubblicane? Bella questione. È paradossale che a difendere i valori borghesi dell’89 Libertà Eguaglianza Fraternità sia che viene da altre tradizioni politiche e sociali. Ma non è una novità. Qualcuno disse in tempi di ferro e fuoco: la borghesia nel nostro paese ha gettato nel fango la bandiera della Rivoluzione Francese, toccherà a noi rialzarla e tornare a sventolarla. I tempi e gli uomini sono cambiati, la Nutella ha sostituito l’acciaio ma le questioni di fondo sono rimaste le stesse. Ci risentiamo prossimamente su questi schermi o altri. Difendiamo con fermezza e civiltà le Apuane..questo possiamo ragionevolmente fare.
caro Roberto, si rassicuriamo Crovella ed Expo, uomini di stato. Anche se a certi personaggi a capo della regione non gli farebbero male un po di massaggi dati bene,visto quello che avallano. comunque Crovellik ed Expo stiano tranquilli, oramai siamo tutti assopiti
Benassi. Non so se sia il caso di Corona, intrappolato nel suo personaggio, ma in linea generale sono d’accordo. Spiega molte dinamiche, individuali e di gruppo. Guarda cosa avviene nel blog. Un gioco di specchi infinito e ripetitivo, dove non riesci più a distinguere la persona dalla sua immagine riflessa, un po’come nelle case degli specchi dei lunapark della nostra infanzia. È tempo di andare. Ciao. Grande manifestazione il 28 a Firenze in difesa delle Apuane. Non ci posso venire perché sono coinvolto in un’iniziativa ambientale con dei ragazzi nel nostro Parco, ma cerco di fare propaganda qui da me. Speriamo ci sia una significativa partecipazione anche da fuori. Nessuno scaglierà pezzi di marmo contro la Regione. Ne sono sicuro. Rassicuriamo gli uomini d’ordine. Molti di noi sono uomini d’ordine, anche se magari in modo un po’ diverso. Il disordine in realtà sta altrove, proprio la’, nell’abuso del territorio, selvaggio e senza regole di buon senso.
A volte si diventa vittime di noi stessi che abbiamo dato fiato alle trombe.
Mi son alpin me pias el vin. Non è una novità. È parte della cultura alpina. Alcuni miei parenti ossolani, operai metalmeccanici, montanari e persino ex partigiani comunisti, erano alcolisti e pure appartenevano al filone dei rigorosi e dei “non gaudenti”. È un fenomeno trasversale, come la depressione. La maggior parte dei “consumatori seriali” ha imparato nel tempo a controllarsi ma qualcuno purtroppo deraglia e il piacere diventa dipendenza e il soggetto persegue la sua distruzione accelerata, fisica e mentale. Le prime società alpinistiche ed escursionistiche messe in piedi dai socialisti all’inizio del secolo scorso furono fondate proprio per combattere la piaga dell’alcolismo tra il popolo offrendo un’alternativa più sana. Sul problema, non solo in montagna, si tace ma basta parlare con chi opera nei servizi sociali per avere un quadro realistico della situazione, lontano dalla rassicurante idea che si tratti di un fenomeno del passato ormai marginale.
Un tot di anni fa’ trascurando le accoglienti falesie di S.Anna e Deiva con la mia socia andammo a scalare in Friuli.
Alla falesia della Moliesa c’era Corona con sua figlia e assieme fra un tiro e l’altro nonostante l’unto di certe vie passammo un piacevole pomeriggio .
Andando via gli faccio: dopodomani venite con noi a fare una via sul Montanaia?
lui: dipende da come và la sbornia di domani a Erto.
Il giorno dopo a cena al Gallo Cedrone era ridotto in uno stato che faceva pena guardarlo con sua moglie che provava ad alzarlo da terra per trascinarlo via (non in un’altra osteria immagino)
Poi la via l’abbiamo fatta giusto in tempo per beccarci una gelida grandinata già dalla prima calata.
Chissà se la g.a. che ha dimenticato una corda vicino alla campana è qualcuno che legge qui.
Corona, o meglio non lui ma il personaggio Corona, è una personificazione molto efficace dell’archetipo del “gaudente” in versione “ruspante” e di “sinistra” e come tale viene usato dai media, con qualche reciproco vantaggio. Così come Erri de Luca, il personaggio Erri de Luca non lui, è una buona personificazione dell’archetipo dell’ “astinente” in versione cittadina e intellettuale, anche lui di “sinistra”meno usato dai media perché troppo spigoloso e duro, con un passato politico un po’ imbarazzante come responsabile del servizio d’ordine di Lotta Continua. Qui ovviamente si parla non delle persone reali, che andrebbero conosciute di persona nelle probabili diverse sfacettature della loro umanità, ma dei personaggi che essi stessi e i media hanno creato. Perché anche nell’alpinismo c’è la realtà fattuale delle persone in carne ed ossa e la realtà del racconto e della rappresentazione autobiografica o scritta da biografi più o meno ufficiali e testimoni, amici o nemici. In parte coincidono ma possono anche divergere. Un po’ come i ritratti di persone famose dipinti o fotografati dai grandi artisti che rimangono impressi nella nostra memoria come modelli depositati in un museo. Penso ad esenpio ad alcune straordinarie foto ritratto di alpinisti: il volto austero di Guido Rossa, l’aria sorridente e rassicurante di Cassin che scende a valle dopo la grande impresa…
Ma come mai Mauro Corona c’è l’ha tanto con la Biachina? In fondo l’ha creata lui…la Bianchina, non la Bianca.
Stimata Franca, con il suo cognome, non rendersi giustizia trincandosi qualche buon bicchiere, è peccato davvero.
Mi stia bene.
Ho letto un libro di Mauro Corona,il racconto del disastro del Vajont,la sua infanzia,la ricostruzione dei paesi attorno Erte,da quel momento ho conosciuto la tempra di Mauro Corona,una bella persona,molto sincera con sé stesso,un libro che si legge senza sosta,giusto pause d’obbligo.Beve un po’ troppo,danneggia la sua salute,non capisco questo vanto.Una festa di compleanno ben riuscita,con tanti amici e belle escursioni,voglia di stare al mondo e godersi quanto essa dà.Poi si sa,siamo passeggeri,ognuno con la sua breve o lunga vita e tutto ciò che la circonda.
Non servirà un Copernico, saremo noi stessi , con i danni che facciamo intorno a noi, a noi stessi e agli altri, a riportarci alla realtà. Che non so se sarà positiva…
Trovo il tutto bello e ben raccontato. D’altronde il sale lo danno personaggi coinvolti. Immagino il Furli fare o complimenti a Consuelo e Sandro che osserva sornione. Peccato non esserci. Mi associo a Marcello e al suo Bastardi 😁😁
Caro Pasini sono sempre stato convinto che non siamo il meccanismo, ma ne facciamo parte con il nostro piccolo ingranaggio, anche se importante. Il problema è che siamo convinti del contrario.
Assolutamente d’accordo. Ognuno porta il suo contributo, notevole o modesto, al grande ciclo, senza esaltarsi troppo e con consapevolezza delle proporzioni, visto che un’epoca centrata sull’individuo ha un po’ dimenticato il collettivo senza il quale dureremmo poco. Un grande passo per un uomo ma un piccolo passo per l’umanità. Mai scordarsrlo quando l’Ego fa il colpo di stato e sostituisce l’Io. Questo è il compito specifico dell’ironia e della “leggerezza” . In ogni campo.
Caro PAsini
ti svelo un segreto, faccina che sorride, due punti e parentesi tonda, faccina che ride due punti e d maiscolo.
quanto alla centralità dell’individuo, rectius del genre umano, direi che è sufficiente stare in un bosco o su un lmonte per capire che siamo di passaggio e manco siamo la specie più evoluta ma – tuttalpiù – dei semplici primus inter pares 🙂
de resto ci sarà una ragione se questa epoca decadente è chiamata antropocene, e ci sta portando alla rovina.
Io però sono convinto che ciascuno nel proprio piccolo (che poi tanto piccolo non è…) possa fare molto, dentro e quindi fuori di sè.
Caro Benassi, ognuno deve fare il suo mestiere, come il famoso pasticciere del detto popolare. Comunque io sono arrivato alla conclusione che l’idea della assoluta unicità e specificità dei comportamenti individuali sia decisamente sopravvalutata e forse una nostra illusione, come lo fu per secoli la centralità della Terra nell’Universo. Prima o poi un Copernico ci riporterà ad una visione più realistica del nostro ruolo individuale nella specie. E ce ne faremo una ragione, senza disperarci, anzi consolandoci per il fatto che la vita individuale sia breve ma non quella della specie alla quale apparteniamo, all’interno del grande ciclo della Vita su questo pianeta. Magari non sarà la Vita eterna ma in fondo dura da un bel po’. Accontentiamoci. Ci vorrebbe la faccina che ride.
è un mondo di cui fai parte, quindi puoi scriverne. Pasini la capacità non ti manca. mettiti in gioco.
Oh si. Anche le cartine geografiche e le carte nautiche. In particolare mi piacciano le ibridazioni, non i tipi puri che non esistono. Mi ricordo ancora a memoria dalla maturità (l’ultima tradizionale prima della riforma) le classificazioni animali e vegetali. Infatti vorrei tanto leggere un libro o un articolo che non sono finora riuscito a trovare. “Antropologia arrampicatoria”. Scritto non con lo stile del DSM5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) ma da una penna dotata di arguzia capitolina come quella di Filippo Ceccarelli nei suoi ritratti dei politici e uomini di potere italici, aspetti iconografici e parafernalia compresi. Chissà io non ne sono capace ma qualcuno potrebbe provarci. Leggerezza e profondità insieme. Sarebbe interessantissimo in un mondo che tende a prendersi molto sul serio.
La mania del catalogare non ce l’ha solo Crovella.
Questo ricordo apparso in contemporanea ad altri di segno opposto, anche visivamente, mi stimola ad osservare che nel “giro” alpinistico arrampicatorio, come peraltro in altri “giri” convivono estremizzando due modelli/stili. Da un lato abbiamo il modello “astinente”, puro e duro, basato sull’idea che si debbano controllare le passioni, evitare gli eccessi in ogni campo, sesso, cibo, alcool e via cantando. Di solito i volti sono austeri, concentrati, il sorriso contenuto, i capelli corti e ordinati, gli abbigliamenti un po’ fuori moda, il corpo coperto e pudicamente messo in secondo piano. Spesso la monogamia o la monoandria sono esibite con un certo orgoglio, o comunque il numero dei matrimoni e relazioni amorose è contenuto. Il buon “padre di famiglia”, classico o la buona madre e/o fedele compagna anche arrampicatoria di una vita. A volte questo modello si accompagna a orientamenti alimentari vegani e salutistici ed ad una cura estrema del corpo e della sua salute da perseguire con mezzi “naturali”. Questo soprattutto nella componente femminile, essendo notoriamente nei maschi il controllo dell’oralita’ più difficile. Prevalgono la massa magra e il BMI è spesso sotto la media per età e altezza. Gli orientamenti ideali sono frequentemente intransigenti e severi verso chi si pone in modo diverso. Dall’altro lato abbiamo il modello “bon vivant”, la gioa del vivere come spinta primaria, nella versione più sofisticata, urbana, o buon selvaggio. Volti sorridenti e gaudenti, corpi esibiti (almeno in giovane età) amore per il cibo, la buona tavola e soprattutto il buon bere che viene orgogliosamente esibito in foto con calici alzati o numerose bottiglie sui tavoli. Le relazioni amorose numerose ed esibite con un certo orgoglio, l’atteggiamento verso l’altro sesso è seduttivo e disinvolto, a volte scherzosamente allusivo. La cura del corpo è meno stringente, almeno con l’andare degli anni. Possono apparire arrotondamenti qua e la’. L’abbigliamento è originale o casual chic. Il capello può essere riccioluto o al vento, raramente militaresco. L’atteggiamento generale è indulgente e tollerante verso se stessi e gli altri e si abbina con una certa frequenza a polivalente curiosità e sincretismo intellettuale. Ovviamente questi sono i due modelli base. Archetipi dell’eroe alpino. Poi ci sono le versioni mescolate, anfibie oppure fluide, succede anche che convivano, uno come ombra dell’altro. Cosa generi le due tipologie, natura o cultura, è controverso. Ovviamente tutto questo è un puro scherzuccio di dozzina in un giorno di pioggia però….però
“Mauro Corona è un mezzo balengo” Federico Tavan
L’età dell’autore gli rallenta il passo in salita ma gli consente una scrittura sempre più fluida, anche – come in questo caso – raccontando piacevoli banalità. Una perla da antologia: “proprio dove il … cede luogo finalmente a prato e bosco”. Complimenti, nella speranza che sia farina del suo sacco e non una di quelle frasi che … ‘mi annoto r la faccio mia alla prima buona occasione’.
Bastardi!