Il degrado della struttura sociale

Il degrado della struttura sociale
di Paolo D’Arpini
(pubblicato su ariannaeditrice.it il 19 gennaio 2020)

Il culto degli antenati in molte delle civiltà antiche è stato il fattore coagulante per la conservazione del senso di comunità. In Cina, ad esempio, era assurto quasi a religione, infatti il confucianesimo non è altro che un sistema morale basato sul rispetto delle norme “gerarchiche” di padre/figlio – sovrano/suddito. In qualche modo questo sistema, che garantisce un ruolo alle generazioni della comunità, ha assicurato, in oriente come in occidente, una crescita ordinata e rigorosamente etica della società; pur con le pecche di inevitabili eccessi, esso ha mantenuto quel processo solidaristico nato nei clan matristici anteriori, e successivamente trasmesso al patriarcato.

Questa concezione è andata avanti senza grandi sovvertimenti sino all’inizio del secolo scorso momento in cui si è avviata una “rivoluzione di sistema”, una rivoluzione apparentemente incruenta e non specificatamente voluta, ma il risultato fu un repentino mutamento d’indirizzo e la sortita dei modelli utilitaristici ed esclusivi. Coincide con l’inizio dell’era industriale e dell’economia di mercato e con la comparsa dei grossi insediamenti urbani, le metropoli: già l’avevamo visto abbozzarsi nel modello imperiale di Roma, poi ripreso negli Stati Uniti d’America.

La scintilla del presente paradigma sociale ed economico – secondo me – è una diretta conseguenza della grande crisi del 1929 che da una parte costrinse migliaia di famiglie all’urbanizzazione forzata, all’abbandono del criterio piccolo-comunitario e all’adozione di modelli sociali strumentali. Una nuova programmazione sociale ed economica basata sulla capacità collettiva di produzione e sul consumo di beni superficiali (coincide con la nascita della Coca Cola, delle sigarette, delle fibre sintetiche, della diffusione di automobili ed altri macchinari). Come ripeto questo modello non fu specificatamente perseguito ma fu inevitabile conseguenza di una accettazione di gestione produttiva “finalizzata” – da parte degli individui operativi – e del demandare agli organi amministrativi le funzioni solidali e sociali.

Questo procedimento trovò la sua affermazione anche in Europa a cominciare dagli anni ‘50 (malgrado le prove generali dei primi del secolo in Inghilterra) e pian piano si espanse al resto del mondo occidentalizzato, meno che in sacche di necessaria “arretratezza” che oggi definiamo “terzo o quarto mondo”. Ma questo terzo o quarto mondo sta anch’esso pian piano assumendo il modello utilitaristico ed il risultato è il totale scollamento familiare e sociale con l’interruzione dell’agricoltura ed artigianato e venuta in luce di schegge impazzite di società aliena a se stessa. Avviene nelle cosiddette megalopoli di venti o trenta milioni di abitanti, con annesse baraccopoli e periferie senza fine. La solidarietà interna delle piccole comunità è morta, mentre si son venute a stratificare categorie sociali che hanno poco o nulla da condividere con “l’umanità”.

Nelle grandi città industrializzate e consumiste da una parte c’è la classe dei produttori “attivi” e dall’altra quella dei cittadini “passivi”, ovvero i bambini e gli anziani. Lasciamo per il momento in sospeso la discussione degli attori in primis, i cosiddetti produttori ed operatori, e vediamo cosa sta avvenendo nelle categorie passive, dei fruitori inermi od assistiti.

I bambini sono forse i più penalizzati giacché verso di loro è rivolto il maggior interesse redditizio e di sviluppo, sono i “privilegiati” delle nuove formule di ricerca di mercato ed allo stesso tempo abbandonati a se stessi, in seguito alla totale mancanza di solidarietà interna in ambito familiare e sociale. Con poche prospettive reali di crescita evolutiva in intelligenza e interessi futuri, i bambini si preparano ad essere la “bomba” della perdita finale di collegamento alla realtà organico-psicologica tra uomo natura ambiente. Già in essi assistiamo alla quasi totale incapacità di relazionarsi con una realtà sociale e materiale, sostituita da una “realtà virtuale e teorica”. Ora, finché le generazioni che son nate dagli anni ‘50 sino al massimo degli anni ‘80 sono in grado di reggere il colpo della produzione utilitaristica, questa massa di “imberbi passivi” può ancora mantenere una ragione almeno consumistica, dopodiché la capacità di sopravvivenza si arresta ineluttabilmente, assieme al volume operativo dei genitori…

L’altra categoria, passiva per eccellenza, è quella degli anziani e invalidi, i pensionati, che sopravvivono senza speranza già sin d’ora, preda di violenze sempre più diffuse, di furti e truffe e di strumentalizzazioni della loro condizione vittimale (perseguita da enti e associazioni che sorgono per “proteggerli” dagli abusi…). Nella società solidaristica antecedente gli anziani avevano una precisa ragione sociale nella trasmissione della cultura e delle esperienze necessarie alla vita, convivendo in ambiti familiari in cui non c’era separazione fra bambini, giovani e vecchi. Ora gli anziani son d’impiccio e finché possono arrangiarsi da soli, bene, poi diventano oggetto di mercato per gli assistenti sociali, per gli ospizi e per colf spesso senza scrupoli o finti operatori assistenziali che mungono alle loro misere pensioni. Inoltre – recentemente – son sempre più vittime di “enti morali” fasulli e ladri. E questo perché gli anziani non hanno più posto né tutela nella società.

Ma, qui vorrei porre un punto interrogativo, come faranno i quarantenni di oggi a garantirsi la sopravvivenza se la struttura sociale è così degradata? I quarantenni di oggi saranno ancor meno assistiti sia dalla società che dai loro stessi figli. E – mi vien da dire – sarà proprio per questo inconsapevole sospetto che molti rifiutano di aver figli e si atteggiano ad eterni “ragazzi”. Oggi si è “giovani di belle speranze” sino a cinquant’anni (e oltre) e poi improvvisamente si precipita nell’inferno dell’anzianità e dell’abbandono… Il che significa: “finché ce la fai a barcamenarti con le tue forze, bene, e poi ciccia al culo!”. Forse siamo ancora in tempo a prendere coscienza di ciò e attuare una repentina inversione di marcia prima del precipizio. In questo caso dovremmo iniziare a considerare l’importanza, per la continuazione della specie umana, che è riposta nei nostri figli e nipoti. Ovvero passare dal culto degli antenati a quello dei successori.

La soluzione alla crisi umanitaria che la nostra società sta vivendo – secondo me – sta nella così detta “decrescita” ovvero nel superamento dei modelli consumistici e dello schema sociale attuale, in primis, per ritrovare in una socialità allargata nuove espressioni per la solidarietà umana, contemporaneamente limitando al massimo il consumo delle risorse e l’inquinamento ambientale, nonché attuando una politica bioregionale e di controllo della concentrazione residenziale nei grandi agglomerati urbani; e allo stesso tempo rinunciando ai parossismi culturali (musiche preconfezionate, televisioni, sport idioti, giochetti virtuali, ecc.) in modo da ricreare in noi lo stimolo primario della gioia di vita e la capacità creativa per produrre qualcosa che abbia lo spirito del necessario e del bello. 

Insomma si parla ancora di bioregionalismo, ecologia profonda e spiritualità laica.

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Il degrado della struttura sociale ultima modifica: 2020-04-07T04:10:17+02:00 da Totem&Tabù

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12 pensieri su “Il degrado della struttura sociale”

  1. Sono d’accordo con entrambi.
    Quindici anni fa (scusate per il ritardo!) mi sono resa conto che si consumava molta plastica e che non veniva realmente riciclata come ci raccontavano. Autonomamente ho cercato dei rivenditori di detergenti alla spina e ho enormemente diminuito la dose consigliata, sia perché i prodotti di qualità hanno più resa sia perché realmente ne basta meno per rendere pulito.
    Questo per detersivo per le stoviglie, pavimenti, lavatrice, shampoo. Per il corpo ho cominciato a usare solo saponette, poi sono passata a scegliere con attenzione i prodotti leggendo le etichette e da anni compro solo sapone fatto in casa. Da quest’inverno produco anche un detergente a base di enzimi che posso usare per tutto, saggiamente diluito.
    La mia presa di coscienza riguardo ai detergenti e a molto altro mi ha portata a frequentare persone simili a me, a guardare certi film e documentari, a leggere libri precisi e, da cosa nasce cosa, piano piano le mie conoscenze sono andate alimentandosi e ampliandosi da sé.
    Molto più comunemente è più semplice far passare un messaggio dando l’esempio. Tanto per dirne una, ho smesso (quasi da subito!) di parlare di vegetarianesimo perché ho notato che bastava che i miei ospiti mi offrissero un panino con il prosciutto e io lo rifiutassi per portarli a parlare di alimentazione, senza necessariamente convincerli delle mie posizioni.  Anche per questo disapprovo le foto e i video proposti dai vegan. Sono d’accordo per la conoscenza, ma sono convinta che violenza generi violenza.
    Perciò, nella speranza che le coscienze si illuminino di nuovi saperi, sarebbe opportuno offrire articoli che promuovessero stili di vita più salutari.
    Anche negli ultimi tempi abbiamo potuto notare quanto abbiamo effetto i concetti ripetuti sino alla nausea – in siciliano si dice “a chiuviddu” (come un piccolo chiodo battuto ripetutamente).
     
     
     
     
     

  2. Parlavo della tua presa di coscienza, di quelli che non vedono la Torre di Babele sulla quale declamano il progresso.

  3. Lo e’. Del resto l’hai detto tu stesso: ti e’ sufficiente la “presa di coscienza”, che dal lato comunicativo consiste evidentemente nella recitazione del tuo formulario. Il cambiamento verra’ da se. Buona attesa  nei tuoi meta-pensieri.
    Visto che “quelli come me” non potrai convincerli, non ti resta che parlare a te stesso. 

  4. E’ il destino – auto-scelto – di chi trascorre una vita a piangere la propria condizione ( che, con modestia, assurge a condizione umana ), e non riesce neppure ad immaginare come cambiarla…
    Ma ovvio, noi ‘ciechi’ non possiamo capire il vostro linguaggio… 

  5. Trovato per caso.
    «Lo stato di evidente assopimento in cui vive il soggetto moderno è da attribuirsi alle manipolazioni che egli subisce e che agiscono sul suo corpo, sull’anima e la ragione, funzioni nelle quali l’uomo moderno si riconosce. Esse determinano: “la soggezione al materialismo rispetto al corpo, allo scientismo e al razionalismo rispetto alla ragione e all’irrazionalismo o sentimentalismo rispetto alla psiche”» (p. 231).
    Elémire Zolla, Le potenze dell’anima, Marsiglio, 2020.

  6. Senza presa di coscienza di ciò che è alcun cambiamento è proponibile.
    Le alternative sono autopoieutiche [vengono da sé] al rifiuto di un modello.
    La visione di un altro modello è implicita alla critica dell’attuale.
    Senza condivisione della critica alcuna alternativa è proponibile.
    Questa, come scritto qui poche ore fa, ha il problema della transizione.
    Transizione che farebbe da pretesto per invalidare d’amblée l’alternativa.
    Fornire modelli alternativi a chi non condivide la critica non è una proposta ma una fesseria.

  7. “Per esempio la narrazione del capitalismo come distributore di ricchezza, intento poi aggiornato dal globalismo.”
    Ma perche’ parlare come macchiette pro-decrescita? Come chiameresti la tua societa’ che contrapponi a quello che chiami capitalismo ? 
    Come pretendi di destare non dico un seguito, ma un minimo di interesse se non dai un minimo di visione e di concretezza alle idee che proponete?
    Invece di martellarci con decine di articoletti che ripetono lo stesso messaggio cambiando un poco la sequenze delle stesse 5-6 parole chiave, perche’ non prendete un tema specifico del cambiamento che vorreste, e lo approfondite? Esempio, cambiare la societa’ consumistica: come si fa? Da dove si parte? Dalla cultura, dalla scuola? 
    Invece di ripeterci all’infinito i nemici dei sudditi ( la finanza, i potentati economici, le elites ), riuscite a fare un esercizio propositivo?
     

  8. Creato dalla mente del sistema mondiale.
    Tanto la creazione qanto la diffusione.
    Implicata conseguenza della sua avidità.
    La mente è un’entità che ci fa pensare alle abitudini come dati di fatto irrevocabili.
    Per esempio la narrazione del capitalismo come distributore di ricchezza, intento poi aggiornato dal globalismo.
    E tutti ci hanno creduto credendolo una naturale conseguenza dell’attività dell’uomo.
    In questo c’è la mente.
    C’è quando inconsapevolmente credi che un passaggio sia facile o difficile e poi è facile o difficile.
    La mente impone se stessa e distoglie dal restare in relazione con la realtà e con se stessi.
    Ma forse sono argomenti che nel meccanicistico mondo che la tua mente impone sono solo argomenti fuffa.
    Puoi dare un’occhiata a Morin, Bateson, Foucault, Lacan, Jung, Panikkar, Watzlawick, von Foerster, Platone, Maturana, certo più titoloati (so che ti interessa) di me.
    —-
    Quello che c’era prima era meno, ma chi ha detto che di più è meglio? Ed era a misura d’uomo. Quello che il capitalismo ha portato ha le sua ragioni storiche ma. Ora ha mostrato il lato nascosto, la controindicazione, il danno collaterale e sempre più persone lo vedono.

  9. Mi pare un testo che dà la visione di un passato idilliaco, cui si contrappone un presente fosco. Forse un breve excursus sulle condizioni di vita reale, non sognata, del passato sarebbe utile a tutti.
    Mi domando poi cosa significhi parlare di “un virus creato dal sistema mondiale”. Se vuol dire che è avvenuto nel mondo, è una platitude, un’ovvietà. Siccome si dice “creato”, però, si vuol dire che è stato creato dalla volontà del “sistema”. Lo stesso che, suppongo, vorrebbe magari mutare geneticamente la nostra società agreste e felice, “infettandola” con l’immigrazione, fatta venire apposta? Spero di essere smentito…
     
     
     
     
     

  10. Sto pensando in questi giorni insoliti in quale modo si possa realizzare il cambio di paradigma che la crisi virale ci sta offrendo.
    Un mondo più a misura d’uomo pare uscito dalle idee e pronto a farsi prendere come mai era stato finora.
    La sua popolarità gode di un consenso che induce tutti a citarlo come modello.
    Vaneggiando. Anche se ci fosse una classe politica all’altezza di tenere il timone nella burrasca che le lobby capitaliste certamente scatenerebbero, bisognerebbe tenere in conto potenziali rivolte sociali.
    Un percorso verso uno sviluppo bioregionale non lo so immaginare se non sempre con timonieri capaci di gestire la medesima burrasca ma, con una successione di rotte più brevi e modeste. Per le quali però non so essere propositivo. Ogni sviluppo immaginato trova contrasti sufficienti per restare lettera morta. La sola idea buona che mi è venuta è radunare, anche alla garibaldina, le idee di tutti, nella speranza vi si possa trovare la sinapsi necessaria a trasmutare  la favola in progetto.
    Un percorso identico ma di segno opposto a quanto sta avvenendo ora in merito al controllo sociale e ai diritti costituzionali bruciati sull’altare di un virus creato dal sistema mondiale oggi sul punto di crollare. Sempreché non si tratti di un progetto la cui regia assiste agli eventi da dietro il vetro a specchio, con il timone ben saldo.

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