Il potere incontrollato del denaro. Su questo quesito, affascinante quanto controverso, si sono articolati nei giorni 1 e 2 ottobre 2010 i Colloqui di Dobbiaco 2010. Alla luce della crisi finanziaria internazionale, e dell’indebitamento ormai spropositato di molti paesi del mondo, il potere del denaro e le sue possibilità di pilotare le scelte e lo sviluppo economico di intere nazioni sono aspetti di scottante attualità, come lo è, del resto, il problema di riportare un capitalismo finanziario sempre più sfrenato sotto il controllo degli interessi collettivi. Una serie di relatori di fama internazionale sono quindi giunti in Val Pusteria, fornendo nuovi dati e spunti di riflessione. Si è visto, ad esempio, come sulla scia dell’ultima crisi finanziaria mondiale si sia evitato davvero per un soffio il collasso totale del sistema finanziario internazionale. Certo, il prezzo per evitarlo è stato altissimo. Nei tempi economicamente floridi, infatti, la finanza mondiale aveva incamerato dei profitti esorbitanti, pagando dei premi altissimi ai gestori dei vari fondi, e inducendoli ad investire in operazioni sempre più rischiose. Nel momento in cui il castello di carte dei mercati internazionali, sempre più avulso dall’economia reale, ha finito per crollare su se stesso, gli stati nazionali hanno dovuto intervenire per salvare il salvabile, dilapidando in pochi giorni delle vere fortune, sottratte ovviamente al denaro pubblico dei contribuenti. Oggi, questi paesi e i loro cittadini si ritrovano con montagne di debiti, prodotte non da spese utili, ma da un’economia finanziaria pressoché priva di regole, e col risultato che ora mancano le risorse per realizzare infrastrutture pubbliche, fornire servizi sociali o pagare le pensioni, per non parlare della riduzione del potere d’acquisto. Tuttavia, sembra che quest’esperienza della crisi abbia insegnato molto poco: riportare ordine e regole nel sistema finanziario sarebbe sicuramente possibile (per esempio con banche a vocazione locale dotate di una copertura finanziaria sufficiente per concedere crediti), ma le resistenze opposte dai poteri forti fanno apparire questi interventi molto lontani da venire. Tra le varie documentate e puntuali relazioni abbiamo scelto di riportare quella di Claudia Apel (esperienze di azionariato critico).

Il denaro governa il mondo – ma chi governa il denaro?
Percorsi per una finanza eco-solidale
Tesi di Dobbiaco 2010
a cura dell’Accademia dei Colloqui di Dobbiaco
Ideatore: Wolfgang Sachs
Moderazione: Karl-Ludwig Schibel
A Dobbiaco dunque si è parlato delle varie iniziative per rendere più sostenibile il sistema economico, per esempio dell’azionariato attivo di varie organizzazioni di ispirazione etico-ecologica, che acquistando azioni di gruppi multinazionali si presentano alle assemblee dei soci ponendo quesiti critici alla direzione e proponendo degli interventi più sostenibili. Altri esempi sono le monete integrative locali, assai efficaci per promuovere le filiere del territorio, o i prodotti finanziari etici, come quelli offerti da Ethical Banking presso le casse rurali altoatesine. Si è anche sottolineata la necessità di rendere più ecologico il sistema fiscale. Per fare in modo che i prezzi dei beni e dei servizi rispecchino finalmente i costi reali in termini di impatto sociale ed ecologico, gli stati dovrebbero tassare maggiormente le attività economiche più nocive per l’ambiente e la salute umana. Attualmente, però, siamo ancora molto lontani da questo obiettivo, basti pensare al trasporto aereo o alla produzione di energia nucleare, che oltre a non essere tassati, beneficiano perfino di sovvenzioni pubbliche. Al momento, inoltre, a livello internazionale si assiste ancora a una gara fra i vari paesi a ridurre i rispettivi carichi fiscali, ma anche a leggi finanziarie che agevolano transazioni poco trasparenti e a una corsa al ribasso nei vincoli di salvaguardia ambientale. Si è anche discusso di come, negli ultimi decenni, siano cambiati i valori legati all’uso del denaro, che da mero strumento di scambio si è trasformato sempre di più in una religione dogmatica e indiscussa cui devono assoggettarsi tutti gli altri interessi. Ecco perché, in un mondo in cui col denaro si può ormai acquistare qualunque cosa, è importante far capire che molti beni e servizi non hanno un “prezzo”, ma proprio per questo hanno un valore impagabile.

Nel dettaglio
Helge Peukert ha cercato di dare una risposta alla domanda che ha fatto da filo conduttore: “È possibile una vita senza crisi finanziaria?” Tonino Perna ha affrontato il tema della rivoluzione monetaria del XXI secolo. Il film documentario di Erwin Wagenhofer Let’s Make Money nel 2009 ha provocato parecchio clamore nei paesi di lingua tedesca: è stato quindi oggetto di discussione anche durante quell’incontro. Sette crisi – un crollo è stato il titolo della relazione di Winfried Wolf che si è posto la domanda perché nulla ci hanno insegnato le crisi finanziarie e ha illustrato conseguenze e misure d’adottare. Giovanni Allegretti ha presentato un’innovativa forma di gestione democratica di bilanci. Luigino Bruni ha parlato del significato psicologico del denaro. Damian Ludewig ha proposto come risposta alla crisi del debito una riforma finanziaria ecologica. Ugo Biggeri ha parlato di “slow money” come forma innovativa di finanza etica. C’è stato poi l’intervento di Helmut Bachmayer che ha presentato le iniziative dell’Alto Adige nel campo della finanza eco solidale. Infine Claudia Apel ha presentato esperienze di azionariato critico, mentre Ralf Becker ha riferito su teoria e pratica delle valute locali.

L’azionariato militante – esperienze e campagne
di Claudia Apel
Non v’è progresso senza resistenza. Se un gruppo imprenditoriale non viene messo costantemente in discussione, criticato e indotto a migliorare dai vari soggetti con cui è chiamato a confrontarsi (dipendenti, sindacati, organizzazioni e così via), il suo sviluppo si arresta. La dinamica di un mercato in continuo cambiamento, infatti, può essere fatale per le imprese che non affrontano con spirito d’autocritica l’opposizione interna ed esterna. È una tesi sostenuta dai professori Peter Fleming e André Spicer nel libro Contesting the corporation. Struggle, Power and Resistance in Ortganisations, edito dalla Cambridge University Press. Nella prefazione si legge che “… Nel cuore di un’organizzazione si compie una lotta continua fra coloro che si piegano al potere, e chi invece cerca d’opporvisi o è in grado – nei casi estremi – di scardinarlo. Ma è proprio questa lotta che dà a un’impresa la vitalità e il polso politico di cui ha bisogno per non restare immobile”. L’azionariato attivo, quindi, è una sfida che può rivelarsi utile per un’impresa, mettendola in condizione di comprendere meglio le proprie dinamiche e, nella migliore delle ipotesi, di ottimizzarle.

Fare azionariato attivo – o militante – significa acquisire ed esercitare il diritto d’informazione e di voto riconosciuto ad ogni azionista durante l’assemblea dei soci di un’impresa quotata in borsa. Chi acquista azioni di un gruppo, infatti, non si limita a investire il proprio denaro, ma diventa comproprietario dell’impresa, e in quanto tale ha il diritto non solo di partecipare all’assemblea dei soci, ma anche di porre delle domande (critiche) sul bilancio e sul piano industriale, vale a dire entrare in dialogo con la direzione. Per la società civile che partecipa alle transazioni in borsa, dunque, l’azionariato attivo è un’opportunità concreta per esercitare pressioni continue sulle grandi imprese. Troppo spesso, infatti, le domande poste ai grandi gruppi imprenditoriali da organizzazioni esterne (associazioni ambientaliste, movimenti per i diritti umani e organizzazioni dei consumatori) rimangono inascoltate o ricevono risposte evasive, ma se a levare la propria voce è un azionista, l’impresa è tenuta per legge a dargli ascolto e a rendergli conto.
Negli Stati Uniti opera da ormai 35 anni l’ICCR (Interfaith Center on Corporate Responsibility), un’organizzazione di 275 investitori ad ispirazione religiosa con sede a New York, che ogni anno si presenta alle assemblee dei soci di circa 200 multinazionali americane. Dopo averne analizzato i bilanci, prepara delle mozioni (shareholder proposals), chiede di mettere ai voti nuovi punti all’ordine del giorno e raccoglie in anticipo centinaia di deleghe di altri azionisti. Grazie agli sforzi continui prodotti in questi anni, l’ICCR è riuscito a far discutere mozioni sul rispetto dei diritti umani in Cina, sugli effetti dei cambiamenti climatici, sulla trasparenza del sistema bancario, sugli investimenti in armi pericolose e su numerosi altri argomenti d’interesse collettivo. In alcuni casi, è anche riuscito a ottenere la maggioranza dei voti e a costringere le imprese a cedere alle sue pressioni. In altri casi, invece, le mozioni presentate hanno ottenuto soli il 5 o 10 percento dei voti espressi, ma in grandi multinazionali come la Coca Cola è pur sempre un risultato di tutto rispetto. E anche quando le mozioni portate avanti dall’azionariato attivo non riscuotono in prima battuta la maggioranza dei consensi, sono comunque assai efficaci per aumentare la visibilità dei loro promotori – che si presentano sempre come interlocutori preparati e competenti – e per migliorare la consapevolezza delle problematiche sollevate.

Un altro esempio positivo viene dalla Svizzera, dove l’organizzazione Ethos è riuscita a unificare gli interessi di circa novanta fondi pensione. In sostanza, l’Ethos è stata incaricata d’esercitare per tutti questi fondi il diritto di voto e di informazione in seno alle assemblee dei soci delle imprese in cui hanno investito, ottenendo più volte dei risultati assai significativi. In particolare, l’Ethos si è battuta efficacemente contro i premi eccessivi pagati ai dirigenti delle banche, e per una maggiore trasparenza nella gestione delle imprese.
Dal 2008, anche la Fondazione Culturale Responsabilità Etica (Banca Etica) ha avviato un’iniziativa di azionariato militante. Fra l’altro, su proposta di Greenpeace e della Campagna per la riforma della Banca Mondiale, ha acquistato un pacchetto d’azioni del gruppo petrolifero italiano ENI e della società energetica ENEL, presentandosi poi alle assemblee annuali dei soci per porre una serie di quesiti mirati. La Fondazione ha scelto di acquistare azioni di questi gruppi perché l’ENI e l’ENEL sono le società italiane che producono il maggiore impatto ambientale nel Sud del Pianeta.
L’obiettivo dichiarato dell’azionariato attivo professato dalla Fondazione culturale della Banca Etica è di dare voce a quelle categorie sociali che vorrebbero opporsi allo strapotere delle multinazionali, ma che non riescono a farsi ascoltare. All’ENI, per esempio, è stato chiesto di spiegare nei dettagli come l’impresa intende ridurre il cosiddetto gas flaring in Nigeria. Attualmente, nella foce del Niger ci sono più di 120 siti estrattivi con gas bruciati in torcia, che continuano a bruciare grazie a permessi ottenuti in cambio di assurde convenzioni stipulate col governo nigeriano. Da anni, la combustione di questi gas sta appestando l’aria e diffondendo gravi patologie respiratorie, soprattutto fra i bambini. L’ENEL, invece, ha dovuto illustrare con dovizia di particolari come intende realizzare il suo megaprogetto di una diga sui fiumi River e Pascua nella Patagonia. Anche in questo caso si tratta di un progetto con ripercussioni enormi sull’ambiente e sulla popolazione residente. Per entrambe le iniziative, la Fondazione di Banca Etica è riuscita a coinvolgere gruppi di protesta locali e a rappresentarne gli interessi in veste di azionisti attivi.

Grazie a questo metodo dell’azionariato militante, ad esempio, il vescovo della Patagonia ha potuto partecipare in prima persona, nei panni di azionista, all’assemblea annuale dei soci ENI, esponendo le proprie posizioni e ponendo una serie di quesiti mirati sul progetto della diga. Di quest’intervento hanno poi riferito varie agenzie di stampa come la Reuter e quotidiani come il Corriere della Sera, inducendo il direttore generale dell’ENEL a recarsi personalmente la settimana successiva in Cile, per ottenere un avvio più rapido della valutazione d’impatto ambientale per la diga. Questo risultato sarebbe stato impensabile imboccando la strada classica di una campagna di protesta o di sensibilizzazione.
Un metodo analogo è stato scelto per l’ENI. Sono stati coinvolti i soci nigeriani di Friends of the Earth, una rete mondiale che raccoglie le maggiori organizzazioni ambientaliste, e ad un incontro con una parte dei massimi dirigenti dell’ENI i rappresentanti delle organizzazioni del Congo Brazzaville, dove è prevista l’estrazione di sabbie bituminose, hanno avuto la possibilità concreta di informarsi sullo stato d’avanzamento e sulle fasi future del progetto. Ne è scaturito un dialogo con l’ENI che da quel momento non è più cessato, e lo stesso vale per i contatti con l’ENEL.
Dalle esperienze maturate finora emerge che questa forma di protesta e di dialogo può funzionare solo garantendo alcuni presupposti:
1. Per intervenire in modo efficace e per essere ascoltati, è essenziale conoscere e parlare la “lingua” delle multinazionali. In altre parole, presentarsi all’assemblea annuale dei soci e criticare l’impresa come incarnazione del male non serve a molto. Per ottenere risultati concreti e avviare un dialogo proficuo è assai più efficace prepararsi con analisi tecnicamente inappuntabili e citare dei dati incontrovertibili. Per esempio, non ci si può limitare a protestare contro il progetto della diga dell’ENEL in Patagonia. È molto più efficace e produttivo presentare un progetto alternativo che consenta di evitare i danni ambientali previsti, pur dando all’impresa e ai suoi azionisti prospettive analoghe di profitto.
È inutile limitarsi a puntare il dito contro l’ENI gridando che l’impresa dovrà pagare una sanzione di 365 milioni di euro per aver corrotto funzionari e politici nigeriani. Molto più efficace è spiegare agli azionisti dell’ENI che questa forma di corruzione nel 2009 ha ridotto l’utile netto del gruppo del 7,5%. Di fronte a quesiti concreti, basati su fatti e dati emersi da ricerche affidabili, i dirigenti non possono più esimersi dal rispondere, e nemmeno limitarsi a risposte evasive o ai consueti rimandi alle pagine patinate del bilancio sociale dell’azienda.

2. Non è proficuo lanciare la prima pietra, nascondendosi poi dietro le spalle altrui. Solo i quesiti concreti inducono un’impresa a pubblicare delle risposte precise, che a loro volta vanno verificate con ricerche accurate e confutate con nuovi quesiti. L’azionariato militante è dunque un processo lungo e complesso, che richiede una preparazione attenta e approfondita.
In compenso, l’azionariato attivo offre delle grandi opportunità, per esempio quella di ottenere una maggiore visibilità, criticando ed eventualmente attaccando frontalmente gli intrecci di potere delle multinazionali. Per essere un azionista attivo occorrono preparazione ed impegno, imparando innanzi tutto a parlare la stessa “lingua” dei grandi gruppi imprenditoriali, a riconoscere e a rendere note le conseguenze economiche e finanziarie di determinate scelte, e a sfruttare così la possibilità di denunciare e combattere le violazioni dei diritti umani e ambientali. Senza questo impegno e questa capacità, le proteste resteranno inascoltate e inefficaci. Occorre poi un dialogo continuo, affinché le imprese forniscano delle risposte, da cui far scaturire subito nuovi quesiti. E soprattutto, le imprese vanno percepite per quello che sono, ossia non dei muri da demolire, ma delle organizzazioni dinamiche che si può indurre a cambiare. E per dirla con Fleming e Spicer, questo cambiamento si può ottenere solo imboccando la strada di un’obiezione intelligente.
I relatori
Giovanni Allegretti, Urbanista e Professore presso il Centro Studi Sociali dell’Università di Coimbra e consulente formatiivo di alcuni bilanci partecipativi europei, Coimbra (Portogallo)
dispensa
Claudia Apel, giornalista di investigazione e fondatrice del Merian Research,
Como
dispensa
Helmut Bachmayer, Responsabile dell’associazione Ethical Banking, Bolzano
dispensa
Ralf Becker, Coordinatore, consulente e accompagnatore di iniziative di monete locali, Diemelstadt
dispensa
Ugo Biggeri, Presidente Banca Popolare Etica
dispensa
Luigino Bruni, Professore, University of East Anglia UK e autore di L’ethos del mercato, Norwick – Milano
dispensa
Damian Ludewig, direttore del Forum Ökologisch-Soziale Marktwirtschaft e.V. (FÖS), Green Budget Germany, Berlino
dispensa
Tonino Perna, Professore di Sociologia economica presso l’Università di Messina, Messina
dispensa
Helge Peukert, Professore di Scienze delle Finanze e Sociologia delle Finanze presso l’Università Erfurt, Wetzlar
dispensa
Wolfgang Sachs, sede di Berlino dell’Istituto Wuppertal per il clima, l’ambiente e l’energia, professore onorario all’Univeristà di Kassel, Berlino
Karl Ludwig Schibel, Coordinatore della fiera delle utopie concrete a Città di Castello, membro della presidenza dell’Alleanza per il clima e coordinatore per l’Italia, Città di Castello
Winfried Wolf, Giornalista e autore libri, caporedattore di Lunapark21, rivista di critica dell’economia globale, Berlino
dispensa
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