Il dirtbagging è morto

Il dirtbagging è morto
di Cedar Wright www.cedarwright.com/

Questo articolo è stato tradotto da Climbing n. 326 www.climbing.com

Attenzione! Siamo alla vigilia di una grande tragedia. C’è un modo di arrampicare che sta morendo, il modo dal quale è addirittura nato il nostro sport: il dirtbag. L’età d’oro dell’arrampicata contava un gran numero di questi anti-eroi: Chuck Pratt, Yvon Chouinard e Fred Beckey erano i più “dirty”, parenti poveri di campioni come Magic Johnson, Larry Bird e Michael Jordan.

Ma ora sembra che la cultura dirtbag sia sull’orlo dell’estinzione, forse avviata allo stesso destino della swami belt o del discensore a “otto”.

Molti climber non sanno neppure cosa è un dirtbag (in America, figuriamoci in Italia, NdT), per non parlare della swami belt (imbragatura improvvisata con una fettuccia, NdT), e questo è parte del problema. Ci sono giovani climber forti, motivati e promettenti, che hanno imparato o stanno imparando ad arrampicare in una delle 889 sale di arrampicata degli USA, che potrebbero consultare il vocabolario Webster’s al riguardo della parola dirtbag e trovare: “persona sporca, disordinata o spregevole”. In effetti, c’è della verità in questa breve definizione. Ma eccone un’altra, più accurata, dall’Urban Dictionary: “persona che si è dedicata a un dato stile di vita (in genere estremo) al punto di abbandonare l’impiego o altre normali attività al fine di perseguire quello stile di vita. I dirtbag si distinguono dagli hippy per il fatto che hanno una ragione specifica per vivere assieme e in genere non igienicamente; i dirtbag cercano di passare tutto il tempo arrampicando”.

Cedar Wright
Dirtbag-3889-undefined
Quando a 21 anni cominciai ad arrampicare, il mio mentore Sean “Stanley” Leary, che era già uno scalatore affermato e dirtbag, mi raccontava storie bizzarre della Yosemite Valley, mecca non solo dei climber ma anche del dirtbagging, un luogo dove i climber migliori vivevano in macchina (o in qualche grotta!), campavano di quasi nulla e arrampicavano full-time. Full-time! Era stato gettato un seme.

Quando arrivai in Yosemite, fui calorosamente accolto in una tribù con i suoi valori, slang e stile di vita. C’era il Center of the Universe, una provvidenziale piazza asfaltata dove i ranger (che noi chiamavamo i “cazzoni”) guardavano dall’altra parte e ci permettevano di campeggiare nelle nostre auto (oggi è piena di bus turistici). Se avevi bisogno di un compagno o volevi stare in compagnia, c’erano i tipi più svariati a disposizione, lì al Center. Col tempo cominciammo a chiamarci “the rock monkeys”, le scimmie della roccia, e, in retrospettiva, fummo una vera forza nell’arrampicata in valle.

Facevamo delle prime, infrangevamo record di velocità, e in quella roccaforte dirtbag nacquero e vissero veri e propri campioni. Penso che molte di quelle epiche imprese sarebbero state impossibili senza quell’illimitata possibilità di arrampicare che ci eravamo procurati.

Ma, passato il 2000, le cose cominciarono poco a poco a cambiare. I ranger cominciarono a sloggiare i campeggiatori dal Center. I dirtbag erano schedati anche nei nascondigli più segreti, così da spingerli ancora più lontano, in angoli ancora più remoti. C’incontravamo ancora alla Yosemite Lodge Cafeteria per il caffè, oppure a El Cap Meadow a fumare erba, ma senza il Center il nostro senso comunitario era sminuito, smorzato. Anche Camp 4 ci era diventato stretto con l’istituzione del limite di due settimane di soggiorno. Col passare degli anni, e a dispetto della sempre minore tolleranza dei ranger, continuavo a passare la maggior parte dell’anno appostato in Yosemite. C’era ogni tanto qualche nuovo ingresso nella comunità dei dirtbag, ma era chiaro che stavamo perdendo smalto.

E’ triste. Da dirtbag ho imparato così tanto. Farmi il culo che mi facevo nelle salite in giornata al Capitan mi portò a un’etica forte. Vivere una vita semplice nello sporco in un posto così bello ispirava un amore profondo e il più grande rispetto per la Natura. Con poco danaro a disposizione, imparai il valore del risparmio e del non sciupare. E ora, che ho più di un migliaio di dollari sul mio conto in banca e anche un tetto sulla testa, vivo ancora con l’impressione dirtbag che fare esperienze è più importante che ammassare ricchezza e beni materiali. Spero che la diradata popolazione dirtbag in Yosemite non sia l’inizio della fine.

Cedar Wright impegnato nella prima ascensione di Birthday Bash, Zion National Park
Dirtbag-cedarclimbing
Credo che la lunga agonia dei dirtbag abbia varietà di cause. Benzina, cibo e campeggio sono ogni anno sempre più cari. Le autorità perseguitano coloro che vogliono stare lì senza pagare. Per esempio, lo scenario dirtbag a Joshua Tree ebbe un duro colpo quando furono introdotti tassa di campeggio e limiti di soggiorno a Hidden Valley Campground, dove leggende dell’arrampicata come Lynn Hill, John Bachar e John Long si erano stabilite negli anni precedenti.

Poi c’è lo spostamento di visuale dovuto al dove la maggior parte dei moderni climber vengono a contatto con lo sport. I più imparano nelle palestre, disconnessi dalla storia dell’arrampicata. Per essere chiari, non sto condannando le sale. Diamine, non sono mai stato così forte come adesso che vivo a Boulder e ne frequento regolarmente una: però spero che si possa collegare la cultura della sala alle radici della storia alpinistica. E’ facile avere rispetto per i tuoi predecessori quando cammini sulle loro orme. In Yosemite, giganti come Chuck Pratt, Warren Harding e Royal Robbins passarono interi pezzi di vita dormendo nella sporcizia e facendo prime da sballo sul Capitan e sull’Half Dome.

Ora puoi scalare del 5.13 anche senza uscire. Non ti è necessario dedicare la vita all’arrampicata per diventare davvero forte, anche perché i più fanno arrampicata sportiva o bouldering. Non impari la cultura dirtbag nelle sale d’arrampicata, e sembra che stiano perdendosi alcune delle etiche ambientali o di quelle caratteristiche che costituivano il dirtbagging.

Internet ha cambiato il modo in cui la gente arrampica. “Non hai più da sbatterti in giro per Camp 4 per trovare compagni – scherza l’amico e adepto dirtbag James Lucas – vai su Mountain Project e trovi quello che vuoi, dalle vie più belle al compagno!”. In un’epoca in cui molto della vita sociale e comunitaria è affidata al virtuale, anche l’arrampicata sta soffrendo dello stesso problema.

Nel suo insieme la cultura moderna sta diventando sempre più materialista, l’essere al verde o il vivere in macchina è sempre meno figo, anche per i climber. E’ sempre più difficile uscire sganciarsi dalla corsa al successo.

Cedar Wright e Alex Honnold
Dirtbag-sufferfest-natgeo
Fine della storia. Ora la smetto di frignare o di cercare qualche motivo per essere ottimista. Le regole sociali hanno il loro modo di andare in declino o di correre avanti. Il dirtbagging non è ancora a zero e la bellezza e la passione che ancora molti di noi trovano nell’arrampicare possono bastare per attirare una nuova generazione. E’ qui che spero di far la differenza. Non sono qui a dire che ogni climber dovrebbe lasciare il lavoro e correre in Yosemite, o cominciare a dormire nel suo furgone: sono qui a dire che questo potrebbe cambiare la vita.

Prendi Alex Honnold. Ha imparato a scalare in una sala di Sacramento e si è trovato la strada con un orgoglioso dirtbagging in Yosemite. Pian piano e con sempre più sicurezza è diventato uno dei più grandi scalatori mai visti al mondo; un semplice e spartano modo di vita gli ha fatto trovare il tempo di perfezionare le sue capacità sulle big wall. Il record di velocità sul Nose e il free solo all’Half Dome sono soltanto un paio di una fitta lista di imprese notevolissime. Posso dire in confidenza che la vita di Alex sarebbe ora molto diversa se non avesse mollato il college e fatto quell’atto di fede di vivere in  camper e seguire i propri sogni.

Hai qualche sogno di arrampicata ancora nel cassetto? Hai un qualche lavoro di merda che ti fa schifo? Hai fantasie tipo quella di scalare tutti i giorni? Il weekend, quando tocchi finalmente roccia, è l’unico momento della tua vita in cui provi gioia e passione? Se è così, potresti avere ciò che serve al sogno dirtbag per restare vivo. Forse, questa cosa così bella e libera ha ancora qualcosa di vivo.

 

Cedar Wright è climber professionista e contributing editor di Climbing. Ancora oggi si fa la doccia una volta alla settimana, più o meno.

Guarda il breve documentario di Cedar Wright, The last dirtbag:

 

1
Il dirtbagging è morto ultima modifica: 2014-08-14T08:00:33+02:00 da GognaBlog

4 pensieri su “Il dirtbagging è morto”

  1. 4
    sandro says:

    Bel pezzo. Viva i barbù…

  2. 3
    Luca Visentini says:

    Anch’io vedo in pericolo la spontaneità e lo spirito anarchico pure qui sulle nostre montagne.

  3. 2
    Dario Bonafini says:

    E’ un po’ questo lo spirito che manca, le Sale di Arrampicata sono utili ma danno un approccio diverso al futuro Climber, per me un po’ “freddo” e in generale non interessato a sapere di chi sono le orme che l’hanno preceduto ma solo il grado la prestazione la chiodatura sempre sicura. per fortuna voci fuori dal coro ogni tanto ti fanno ben sperare per la nostra comune Passione “la scalata”

  4. 1
    Carlo Bonardi - Brescia says:

    Sob! Speriamo.

La lunghezza massima per i commenti è di 1500 caratteri.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.