Il drago, la pulzella e la decadenza della scalata moderna

Il drago, la pulzella e la decadenza della scalata moderna
di Alessandro Jolly Lamberti
(pubblicato il 25 febbraio 2016 in http://www.climbook.com/)

 

Per far capire bene la mia idea sullo stato dell’evoluzione o, se a parlare è un vecchio nostalgico, della decadenza della nostra nobile arte, farò un parallelo con il sesso, che è un affare con il quale quasi tutti, prima o poi, hanno avuto un coinvolgimento emotivo.

DragoPulzellaDecadenza
Nella cultura medioevale il cavaliere, per conquistare una pulzella (notate questo termine “conquistare”… non si usava anche per le montagne?), doveva come minimo sconfiggere un drago. Tutta la passione romantica del sesso scaturiva dalla difficoltà e pericolosità del percorso per arrivare a consumare l’atto sessuale.
Siegfried, l’eroe wagneriano dell’Anello del Nibelungo, l’uomo-selvaggio che non sa cosa sia la paura, uccide il drago Fafner e poi scala una montagna, avvolta dalle fiamme, per risvegliare con un bacio sulle labbra la valkiria Brunhilde. Conoscerà così l’amore e con esso la paura. Ma uccidendo il Drago, entrerà in possesso dell’Anello che porterà lui e il mondo alla distruzione
Come dice David Foster Wallace, ogni animale è capace di scopare ma solo gli umani sanno (sapevano) cos’è la passione sessuale, tutta altra cosa rispetto all’impulso biologico a accoppiarsi. E se questa passione sessuale ha resistito per millenni come forza psichica vitale nell’animo umano, questo non è stato nonostante gli intralci, ma grazie a loro. Nei secoli i draghi si sono poi trasformati in mille altri tipi di impicci naturali e culturali per arrivare alla copula fino a che, a un certo punto, improvvisamente, questi draghi sono morti e la passione romantica ha cominciato a decrescere tanto più aumentavano facilità, sicurezza, sterilizzazione: facile il parallelo con la scalata, no?

Plastificazione, indoorizzazione, volumizzazione, uniformità alle mode.

Lo scalatore moderno non ha più un drago da sconfiggere e, oltretutto, gli è stata anche oscurata l’immaginazione, quella facoltà che rende la passione sessuale diversa dal mero accoppiamento, il mangiare diverso dal semplice metabolismo cellulare, e che rende lo scalare diverso dallo sfogo ginnico.
In un mondo che sembra senza draghi, il nuovo climber scala come un moscerino scopa, e il punto non è soltanto l’assenza del pericolo, che non è scomparso del tutto, ma di certo è stato nascosto come polvere sotto a un tappeto.
Il punto è che la scalata è stata virtualizzata. Per sfuggire definitivamente dal drago agonizzante, si è pensato bene di prendere tutto l’ambaradan e di allontanarlo il più possibile dal reale. Gli appigli ruvidi e tattili sono diventati enormi prese di plastica colorata (neanche più resina, quelli più in voga oggi sono panetti di poliuretano… aiuto! che provocano un certo disgusto tattile). Le prese che ancora un poco somigliavano alla roccia sono state sostituite da orrendi “volumi” assolutamente dissimili dal reale; sempre su questi “volumoni” si svolgono tutti i campionati, dalla garetta sociale alla coppa del mondo, cosa che, all’inizio, poteva pure sembrare divertente, ma che, ora, ha finito per decreativizzare il tracciatore modaiolo. Tracciatore che ormai veste soltanto scomodi vestiti climber – hip hop e avvita prismi di legno annoiando il pubblico (che vorrebbe immaginare come sia possibile tirarsi supcon la punta delle dita), dicevo lo annoia, invece, con ginniche evoluzioni circensi a mano piena, che di scalata non hanno più nulla.

DragoPulzellaDecadenza-CampionatoBoulder

La sala boulder è diventata una playstation, il reale è stato abolito. Quando giochi a tennis con la Wii o scopi su una chat non rischi di incontrare un drago e neppure di slogarti un polso. Ma neppure impari a giocare e neppure ti verranno le farfalle nella pancia al pensiero di una nuova partita.
Un altro esempio paradigmatico di questa fuga dalla realtà sta nell’abbigliamento. Così come i volumoni sono cool, pur essendo dannosi per la scalata vera e propria, così gli scomodi (e oggettivamente brutti) pantaloni larghi, duri, con il cavallo così basso da sembrare un mega pannolone, pur intralciando oltremodo la progressione, sono considerati (??) fighi; una veste funzionale, invece, è considerata alla stregua di un vecchio appiglio similroccia degli anni novanta: da sfigato.
A questo punto sorge un dubbio: o lo stilista delle “uniformi” del climber standardizzato non è uno scalatore e quindi non sa neppure che voglia dire fare un incrocio di piede sullo stesso appoggio (o alzare tantissimo una gamba) oppure è un genio che riuscirebbe a vendere scarpe col tacco a spillo per correre in spiaggia. Esattamente come il gestore di una sala boulder “moderna” che riesce a vendere (ma per quanto ancora?) a migliaia di scalatori di falesia una maestria che, sulla roccia vera, può risultare scomoda ancor più dei pantaloni hiphopclimber.

Ma c’è una cosa che il tracciatore-gestore dovrà considerare, e forse anche lo stilista dei pantaloni gialli col cavallo a pannolone: l’espressione sul volto del principiante che si iscrive a un corso di roccia quando entra in una sala boulder plastificata, volumizzata e playstationata.
La scalata è una disciplina e forse un’arte, e pertanto sopravvivrà per secoli e secoli, come lo yoga.
Le mode, per definizione, sono passeggere: i volumi presto marciranno nelle soffitte, al fianco dei pantaloni hiphopclimber oversize e alle calzamaglie di lycra.
Ah, un’ultima cosa:
Presto il Drago si risveglierà.
Perché non è stato mai ucciso. Sta solo dormendo.

 

0
Il drago, la pulzella e la decadenza della scalata moderna ultima modifica: 2016-04-12T05:41:17+02:00 da GognaBlog

28 pensieri su “Il drago, la pulzella e la decadenza della scalata moderna”

  1. 28
    wolf says:

    bah … il drago è vivo, basta cercarlo, in parete o dentro noi stessi. Se non lo troviamo evidentemente non l’abbiamo dentro, o non vogliamo trovarlo. Chi non lo trova, o non lo cerca, vada in palestra… VIVA LA MONTAGNA

  2. 27
    Gabriele says:

    Articolo molto provocatorio fatto apposta per scatenare un po’ di dibattito (e di click che portano soldini), il che e’ comprensibile ma triste. La mia risposta e’ che l’autore ha frequentato le palestre sbagliate.
    Le palestre si svuotano cosi tanto quando le condizioni fuori sono favorevoli che nei weekend di sole chiudono SEMPRE. E’ evidente che siano una marea di cazzate quelle scritte nell’articolo.

    Ci mancava giusto la critica dei pantaloni larghi per dare pochezza all’articolo. Come un anziano che si lamenta dei jeans strappati. Ah tieniti forte caro autore, ma sai che suddetti pantaloni hanno due dettagli tecnici incredibili?:
    1- l’elastichino -> il pantalone si ferma alla caviglia e non da fastidio nel cambio piede.
    2 – sono elasticizzati. Poi anche tallonarti la tempia senza problemi. Incredibile eh?

    Difficile da scoprire eh?

  3. 26
    luca says:

    Penso sia di Vittorio il commento più appropiato. Condivido a pieno. Troppe incoerenze e false “predicazioni” si leggono e sentono sempre più spesso.

  4. 25
    vittorio says:

    Più dei draghi, delle pulzelle e “delle scopate” (termine forse poco appropriato in una sede come questa… o no?) mi è venuto in mente Fantasia di Disney. L’apprendista stregone ne combina di tutti i colori, si crede chi sa chi e invece è null’altro, giustappunto, che un apprendista stregone.
    Wolfgang Gullich salì Action Directe nel 91, primo 9a ufficialmente riconosciuto ben 25 anni fa. Wolfgang era realmente un campione e genio dell’arrampicata: per riuscire nella via inventò il pan gullich, che servì per chiudere quella incredibile via, con grandissimo anticipo sui tempi.
    Poi venne una certa mentalità che ha tentato di trasformare l’arrampicata in un “idolatrare” il pan gullich e il sintetico. E il pan gullich è diventato il primo vero “agnello d’oro” della scalata che alcuni hanno accettato come unico “dio”.
    A seguito di quella “filosofia”, per alcuni il pan gullich è diventato indispensabile perfino per fare il 5 grado o il 6a. Sai che ridere se il grande Wolfgang avesse saputo dello stravolgimento culturale che è stato apportato alla sua invenzione…
    Ora leggo che si vorrebbe mettere al rogo il frutto di quella mentalità, e cioè di ciò che è stato esaltato e proposto fino a ieri, ma anche la sua evoluzione. E’ innegabile che Lamberti è stato sicuramente uno che il pan gullich l’ha esaltato mica poco. E ora? Lo stesso Lamberti spara a zero su chi usa i volumi. Mah… qual’è il senso? E perchè?
    A me piace la natura ma certo che se proprio dovessi scegliere, siccome non devo fare Action Directe, per arrampicare preferisco i volumi al pan gullich e soprattutto le persone che agiscono con coerenza a chi sentenzia dogmi e tendenze per poi rigirarseli a piacimento, a seconda del momento, delle proprie turbe e “pippe”mentali, passatemi il termine utilizzato in adeguamento allo stile lambertiano.
    Dopo aver letto un simile articolo contenente esplicite critiche alle azioni e al modo di scalare di altre persone, mi rendo conto di aver perso il mio tempo esattamente in seghe mentali. Il commento per esempio di Antonella è veritiero: tanti credono che la scalata è solo il grado e il tenere o meno le prese, molti parlano solo di queste cose come fossero degli automi psichiatrici. Ma si tratta proprio del frutto della mentalità alla jollypower. Per fortuna però esistono tante altre mentalità più sane e interessanti.
    Comunque direi che ognuno dovrebbe sentirsi libero di scalare dove e come vuole e chi si pone su un piedistallo a sentenziare mi fa solo pensare allo stregone apprendista.
    Ho dato anch’io la mia sentenza perchè credo sia giusto rispondere a tono alle provocazioni soprattutto a quelle che a mio avviso proprio non stanno in piedi.
    Per me gli uomini sono tutti uguali, indipendentemente dal curriculum, che facciano il 4 grado o il 9c non cambia nulla, e la bontà dei pensieri che esprimono non dipende dal grado che fanno ma soltanto dal senso e dal valore dei concetti che esprimono. E purtroppo temo che se quest’articolo lo avesse scritto un qualsiasi scalatore da 6a… probabilmente sarebbe stato sommerso dalle critiche e magari l’autore si sarebbe beccato pure una denuncia da parte di qualche fabbricante di pantaloni…
    Buone scalate a tutti, apprendisti stregoni inclusi, e soprattutto nei luoghi e nei modi che più vi aggradano, purchè ci si comporti educatamente e con rispetto, senza limitare od ostacolare la libertà altrui.

    PS
    Perchè invece di criticare i gusti e i costumi personali delle persone, nessuno mai ha messo in evidenza quanto sia negativa, violenta, invasiva, inquinante per l’uomo e per la natura, oltre che fastidiosa, la maleducata usanza di urlare in falesia nel caso di una realizzazione così come pure nel caso di una caduta? Non sarebbe più interessante e utile occuparsi di questi temi per eliminare queste mitomani e dannose “espressioni”?

  5. 24
    Alex says:

    A mio modesto parere, la montagna/l’ambiente sono uno stile di vita/filosofia; la plastica/la palestra uno sport. Punto.
    Bell’articolo, condivido in pieno.

  6. 23
    Graziano says:

    Scusate…ma qualcuno per caso si ricorda quanto pessime fossero le prese in resina fino a qualche anno fa? Io non posso che ringraziare il cielo per questa evoluzione che ci ha portato lontano da un finto scimmiottamento della roccia, ci si è provato per a lungo, ma senza risultato…le vecchie tacche spaccadita andavano bene solo per causarsi lesioni o farsi crescere calli in posti inutili e fastidiosi, sono anni che non mi salta più un callo da resina alla prima vera tacca su roccia. Il metodo di allenamento moderno è funzionale per tutto il corpo, niente più gobbe e gambe a stecco, fate una prova: andate a Font, non esattamente un posto scoperto ieri e sicuramente non un posto dove chi non sa scalare si trova a suo agio…andateci con gambe, pettorali, bicipiti e addominali allenati, non solo dita e chiusure anni novanta…poi mi direte la differenza che avete sentito.

  7. 22
    Antonella says:

    Ho iniziato ad arrampicare nel 1985, si andava in falesia sempre pensando alle manovre da fare in montagna, ai passaggi, alla sicurezza tutto in funzione della montagna…. la vita mi ha allontanato dall’arrampicata.. o mi sono allontanata io. Ho ricominciato pochi anni orsono e non riesco a dialogare con i nuovi climber, si parla solo di gradi, non c’è modo di pensare ad altro ed io ovviamente sono guardata con sospetto, un pò snobbata e vabbè definita “vintage”. Ma la cosa peggiore è che io mi sento fuori posto, mi faranno passar la voglia di arrampicare?

  8. 21

    via del Drago, Lagazuoi nord, Dolomiti di Fanis. Claude Barbier e Almo Giambisi, anni ’60
    Esiste anche il libro: La Via del Drago di A.Lauwaert ed CDA Vivalda. Provare.

  9. 20
    Guerrini Michele says:

    L’arrampicata sportiva segue la trasformazione che l’uomo stesso ha voluto.

    Come tutte le altre attività umane è stata ridimensionata ad immagine di generazioni diverse da quelle che la avevano “inventata” o “concepita” oramai molti anni addietro…ovviamente rendendola cosa diversa dall’originale….

    Ora,da una parte bisogna accettare questo fatto ( e con esso tutte le sale,le mode e l’indotto che ne consegue) come”normale” evoluzione ( o per alcuni involuzione)dell’essere umano e, pensando positivo, affermare che effettivamente molti piu’ giovani si avvicinano a questa disciplina sportiva piuttosto che per esempio andare al bar o giocare a calcio…

    Dall’altra parte, giustamente, si è perso quasi tutto quello che dell’arrampicata ne faceva qualcosa di molto piu’ profondo di una semplice attività ginnica…manca praticamente il drago.

    E’ compito allora di chi in anni passati ha visto, combattuto ( sconfiggendolo o meno ) il drago, di spiegare a chi non sa cosa sia, dove trovarlo…

    E’ compito dei gestori delle sale indoor ,se ne sono all’altezza, spiegare ai propri giovani che non esistono draghi di plastica ma solo di roccia naturale.

    E’ compito di ognuno ( e per fortuna questa passione ce lo permette ) cercare un drago ( un sogno) ed amare quello per cui lo si combatte.

    Mic

    E’ compito

  10. 19
    Bruno says:

    Si è passati “dalla dura lotta con l’Alpe”, ad accarezzare la roccia. Il drago è divenuto un simpatico gattino? Visto che l’argomento tocca nervi molto sensibili, quali la passione, lo sforzo per progredire, l’aspetto ludico e sociale…. son convinto che mai si arriverà ad una definitiva sintesi. Per me, è divertente andare in palestra dopo una giornata al lavoro, è fantastico sentire il sole sulle spalle in falesia, guardare da una cengia un paesaggio mozzafiato. Non voglio ragionare in ottiche oppositive, A vs B… Ci sarà chi arrampica solo per fare il fighetto al bar, vabbè, si è autopunito, eslcudendo da solo tanta bella roba. Quello che per me è importante, è il rispetto degli altri e dei loro sforzi (perchè si può esser al proprio limite anche con un 5b, esattamente come chi lo raggiunge con un 9a), il rispetto di chi le vie le traccia e il rispetto dell’ambiente in cui ci si trova. Le lattine vuote le vedo tanto in via quanto in palestra.

  11. 18
    Eugenio says:

    Enorme rispetto per Jolly, che attraverso “jollypower” e altri input mi ha insegnato un sacco di cose e ha contribuito a migliorare la mia arrampicata sia a livello fisico che mentale. Capisco la provocazione, ma il paragone è poco calzante, o meglio contribuisce a sottolineare come le visioni del mondo si sviluppino e come sia difficile dare un giudizio sulla bontà di questo progresso.
    Cerco di esprimere il mio pensiero in tre punti.
    1. La visione medioevale dell’epica nasconde in realtà un forte maschilismo e riduzione del soggetto della conquista a oggetto. Così fu anche come per le prime imprese in montagna, si tendeva a vedere la montagna come un semplice oggetto, solo l’attenzione si è rivolta più verso il gesto e l’arrampicata ha potuto svilupparsi ancora di più come arte oltre che mezzo di conquista.
    2. Mi dispiace sentire ogni volta critiche sull’apertura dell’arrampicata ad un pubblico più ampio. Certo, la democratizzazione porta con sé anche aspetti negativi, forse abbassa la qualità media dei partecipanti, ma non inficia lo spirito dell’arrampicata. Dovremmo essere felici che il popolo dei climber sia diventato più vasto e cercare di educare chi si avvicina allo sport, non denigrarlo. Sicuramente anche noi quando abbiamo mosso i primi passi avevamo bisogno di conoscere meglio la disciplina e capire per capirci.
    3. Da un punto di vista strettamente personale sono molto contento che le palestre di arrampicata si siano diffuse così tanto, altrimenti avrei dovuto quasi abbandonare la mia passione trovandomi a molti chilometri da qualsiasi zona dove ci sia dell’arrampicata decente (abito a Vienna). La presenza di palestre mi permette di continuare ad allenarmi e farmi trovare preparato quando riesco ad andare ad arrampicare “sul serio”. Nel frattempo cerco di migliorarmi e di apprezzare quello che le palestre hanno da offrire…e magari di iniziare veramente qualche novizio alla disciplina dell’arrampicata!

  12. 17
    dani1967 says:

    E purtroppo a rimanere fregato è sempre il drago ..
    (credo che pochi capiranno la battuta dal mio nome ..)

  13. 16
    Albertaccia says:

    Sinceramente sono molto contento che un articolo del genere abbia sollevato non poche controversie e discussioni perchè finalmente si parla di qualcosa di più profondo rispetto alle solite dispute su un grado più o meno azzeccato ecc ecc

    Personalmente l’articolo mi è piaciuto, perchè al di là dei toni e delle affermazioni più o meno condivisibili o esasperate finalmente tratta di una questione fondamentale, che sta a cuore a molti di noi che arrampicano da molti anni.

    Qui non è in discussione la libertà o meno di vivere l’arrampicata come si vuole, non sono sotto accusa le nuove generazioni nè i nuovi mezzi a disposizione. E’ in discussione come questi mezzi siano stati utilizzati e come sono cambiate le prospettive dei praticanti nel portare l’arrampicata ad essere un qualcosa di nuovo e diverso, migliore o peggiore ognuno la veda come vuole.

    Da anni sono convinto che si sia aperta una forbice destinata a diventare sempre più ampia. Da una parte, l’arrampicata come puro sport: con i suoi volumi improbabili, gli allenamenti sempre più innovativi, veri e propri atleti guidati da allenatori e preparatori, che hanno come unico con obiettivo quello di innalzare il livello dei loro exploit sportivi, su plastica ma anche su roccia. E sicuramente i risultati sono eccellenti.
    Dall’altra parte, l’arrampicata (includendo comunque sempre l’allenamento, anche indoor) in una veste che direi più “olistica” ed integrale, dove l’esplorazione, la ricerca comunque del limite e della difficoltà ma in un’ottica più personale, il rispetto dell’ambiente e dell’etica, la conoscenza della storia, le connessioni con discipline affini e connesse ecc la rendono una attività necessariamente non solo sportiva e molto più totalizzante.

    Un tempo queste due facce della medaglia erano sfumate e interconnesse ma l’evoluzione le ha portate ad essere a mio parere ben distinte ed a tratti inconciliabili.

    Ciascuna probabilmente ha i suoi punti di forza o di debolezza e, ripeto, ognuno è libero di viverla come vuole.

    Per quello che mi riguarda, non mi piace immaginare l’arrampicata alla stregua di un qualunque altro sport perchè penso si perda molto del romanticismo e della passione che l’hanno sempre contraddistinta e caratterizzata.
    Ma d’altronde una certa sterilità e fredda razionalità caratterizzano sempre di più qualunque aspetto del nostro mondo attuale…

    Per questo credo che l’articolo di Jolly abbia il grande merito di porre una questione fondamentale nell’approccio a questa disciplina e tutte le discussioni e considerazioni ad essa connesse sicuramente aiuteranno a schiarire le idee, specialmente per quei giovani che forse nemmeno hanno mai conosciuti prospettive diverse per vivere l’arrampicata.

  14. 15

    Semmai sesso e arrampicarsi non meritano nessun parallelo perché si complementano. Scopare bene aiuta a scalare bene, draghi assopiti o svegli.
    Quello che la moderna visione (e pratica) dell’arrampicata ha tolto ai suoi accoliti è una certa ruviditá appiattendo il diffuso livello di delicatezza. Oggi un arrampicatore é un fighetto isterico delicatino con sempre qualcosa di cui lagnarsi. Prima arrampicavano quelli che i draghi li affrontavano e qualche volta li sconfiggevano, mentre oggi mi sembra che i draghi facciano paura e provochino la fuga di tutti. D’altronde esiste anche il sesso virtuale e una vecchia barzelletta contrapponeva “donne e champagne” a “seghe e gazzosa”.
    Segno che i tempi cambiano ma non sempre migliorano.

  15. 14
    rikyfelderer says:

    È solo che certa gente fa troppi distinguo tra la propria “attività” e quella di altri, dimenticandosi totalmente che ognuno, al di la dei risultati, si diverte come gli pare. A me piace farmela sotto sulle placche melliche di 7° o rantolare cacciando friend sulle fessure perfette, dove ho visto scalatori che fanno l’8abc tornare indietro. Io, di contro, su un 8abc non stacco i piedi da terra, e a Passaggio Obbligato (palestra indoor sotto casa mia) tocco i top solo perché sono alto 2 mt   … e quindi? Mi diverto a passaggio, in val di mello e a yosemite. Se capita anche a finale o a lecco. Mi diverto con lo “sbragato” di 20’anni come con il vecchio con la camicaia CarloMauri! A patto che siano simpatici e abbiano qualcosa da dire… La mia libertà comincia dove finisce quella degli altri. Se gli altri non mi scavano le placche e non mi cementano le fessure, si divertano come meglio credono, facciano la loro “ricerca” negli ambiti che più li stimolano esattamente come io faccio la mia. Divertendomi. Unico appunto: i pantaloni sono “soggettivamente brutti”, perché oggettivamente chi li porta spesso copula più di altri, dimostrando “oggettivamente” che piacciono, quantomeno al gentil sesso. (alla fine vogliamo copulare, il 9a è solo un drago da sconfiggere per vantare uno ius primae noctis!)

  16. 13

    Francesco… e ci hai ragione ci hai…!
    Ma lo dico seriamente!
    Come ha ragione a mio avviso, anche Jolly…
    Sta di fatto che… l’arrampicata ha subito un cambiamento radicale negli ultimi 15 anni (20?) e dal naturale si è passati all’artificiale…
    due mondi diversi dove il gesto si incontra ma che non collimano in quell’ambito che si può (forse) definire filosofico… : perché scalo?…
    Citi nomi di atleti che oggi qualcuno conosce… domani si perderanno nel limbo e su questo ha ragione Jolly, ma effettivamente se la guardiamo con gli occhi delle new generations ognuno ha ed ha avuto i suoi miti… cambia la longevità delle realizzazioni…!
    Plastica, boulder vari ecc. ecc. ci sono alla fine sempre stati, dai muri delle città alle traversate infinite su roccioni senza identità che diventavano un tempio solo perché qualcuno li scopriva e li utilizzava…
    Ognuno ha il proprio drago, quello di Barbier, alla fine, non è durato neanche troppo tempo…
    Personalmente quello che più mi lascia perplesso non è il drago o ammenicoli vari ma quell’omologazione che purtroppo vedo tra società routinaria e ciò che invece dovrebbe essere la dimensione di fuga dalla realtà che in questo modo scompare…!
    Braghe larghe, braghe strette… chissenefrega! Il problema non è nella braga ma in ciò che significa… il marketing si è preso anche la libertà di essere e morire come meglio si desidera… credo sia questo il fine ultimo dell’articolo…!

  17. 12

    Francesco… e ci hai ragione ci hai…!
    Ma lo dico seriamente!
    Come ha ragione a mio avviso, anche Jolly…
    Sta di fatto che… l’arrampicata ha subito un cambiamento radicale negli ultimi 15 anni (20?) e dal naturale si è passati all’artificiale…
    due mondi diversi dove il gesto si incontra ma che non collimano in quell’ambito che si può (forse) definire filosofico… : perché scalo?…
    Citi nomi di atleti che oggi qualcuno conosce… domani si perderanno nel limbo e su questo ha ragione Jolly, ma effettivamente se la guardiamo con gli occhi delle new generations ognuno ha ed ha avuto i suoi miti… cambia la longevità delle realizzazioni…!
    Plastica, boulder vari ecc. ecc. ci sono alla fine sempre stati, dai muri delle città alle traversate infinite su roccioni senza identità che diventavano un tempio solo perché q

  18. 11
    kelios says:

    Brabo jchy, bell articolo.ben scritto e sopratutto stimola a riflettere,ma qui ci sono solo Commenti positivi. Quindi non mi posso esimere dal proporre un ulteriore punto di vista se bene in fin dei conti non sia proprio il mio. Tempi dell’amor cortese per fortuna o purtroppo non c’erano solo cavalieri ,ma c’erano anche contadini ,artisti ,artigiani e ricercatori , che pur essendo meno dei cavalieri ed avendo una vita avventurosa hanno sviluppato l’arte e la tecnica che forma il nostro patrimonio e la nostra cultura.

  19. 10
    Alberto Benassi says:

    Nelle sale bulder qualche volta ci sono stato ma sinceramente mi sento fuori posto. Non dico che chi ci va sbaglia. Dico che io sono fuori posto. Molto meglio rischiare di essere mangiati dal drago, ma respirare aria fresca che non sa di ascella e piedi sudati.

  20. 9
    graziano banchetti says:

    Meglio così,forse meno circensi in montagna,le mode sono frutto del soldo.
    Chi ne è coinvolto,forse non sa guardare oltre o a paura di guardare.
    Andare su plastica non è arrampicare è un’altra cosa: circo,ginnastica.
    Poi ognuno faccia quel che vuole.

  21. 8
    massimo ginesi says:

    bella analisi, arguta e che in parte condivido.

    Non mi pare peraltro che il grande Lamberti condanni o sbugiardi alcunché, sottolinea semmai alcuni aspetti critici di una moda.

    ognuno è libero di fare quel che crede e la grandissima diminuzione di cavalieri per i monti per me è solo un piacere, rispetto anche a solo venti anni fa c’è sempre meno casino sulle grandi classiche :o)

    Fermo restando che i pantaloni larghi o i volumi (manco so cosa siano…) sono appannaggio di chi li desidera e ognuno si diverte con ciò che crede, senza essere ne peggio ne meglio di altri, Lamberti fa una bella disamina di un percorso culturale e mentale mentre chi legge un po’ sommariamente l’articolo traendo conclusioni censorie (che io no vedo) potrebbe leggerai con profitto la via del drago di Claudio Barbier e scoprirebbe che ci sono stati personaggi – cinquanta anni fa – molto più moderni degli hipster da falesia di oggi 😀

    mg

  22. 7
    Luca Visentini says:

    Ehi, Francesco, natura = tortura?

  23. 6
    emanuele says:

    Bellissimo il commento di Eva K che condivido in pieno.
    Io ci provo ogni tanto a sconfiggere il drago, ma vince sempre lui, ed è per questo che ammiro ancora di più i cavalieri che lottano e riescono a vincere (o a perdere) ma lottano in modo leale e onesto un drago vero.
    Il paragone per il resto non esiste neanche ed oggettivamente, mi sembra che non sia neppure ricercato. C’è chi pratica entrambe le attività, nessuno lo vieta, magari si completano a vicenda, ma restano cose diverse, sensazioni diverse. Il drago si è solo messo in disparte perché odia le mode, ma è sempre vivo e chi lo cerca sa dove trovarlo.

  24. 5
    Francesco says:

    Con tutto il rispetto per Jolly che e’ un grande dell’arrampicata italiana…maperpiacere!!!

    Se uno vuole avere microprese dolorose, resina sporca e pannelli vecchio stile, e’ liberissimo di cercarsi un antro, una palestrina del CAI, un qualsivoglia trave fatto in casa col santino di Wolfgang.

    Il boulder moderno si sta staccando sempre di piu’ dalla “roccia vera”, e’ innegabile. Soprattutto per quanto riguarda le competizioni e le palestre commerciali. Perche’ mai questa separazione dovrebbe essere un problema? Che ce ne frega se ci sono linee di pantaloni larghi da boulderista, possono piacere o fare schifo, tanto qualto i leggins colorati, chi mi vieta di andare in palestra con un paio di shorts da basket?

    1) GARE: il “ciapa e tira” non e’ piu’ un criterio sufficiente epr fare selezione, movimenti dinamici, coordinazione e doti da freerunner sono richiesti tanto quanto il bloccaggio su microtacca. Ergo…volumi.

    2) PALESTRE: il boulder e’ una moda, una cosa hipster tanto quanto i baffi e le camicie a scacchi. Passera’. Ma nel frattempo pare comprensibile che chi vede il boulder solo come un passatempo, possa apprezzare di piu’ palestre con problemi colorati, spazi aperti, sequenze divertenti ed atletiche e non solo sditate e microappoggi.

    Sta storia dello smerdare con poco rispetto tutto quello che e’ nuovo (che ho visto mille volte in ambito caiano per esempio) e’ veramente ributtante, tantopiu’ mi stupisce se viene da un grande come Jolly.

    Venite in Germania per esempio a vedere come sono le palestre nuove qui, la gente che gira, l’aria che si respira. Poi magari potremmo fare un confrontino e vedere come mai in ambito di competizione l’Italia non ha gli Alex Megos, gli Jan Hojer, le Jule Würm che qui hanno. Per carita’, arrampicatori forti ne abbiamo, ma avere una base ampia di gente (soprattutto giovanissimi che forse un giorno diventeranno i prossimi top climbers) che ama scalare, si ottiene anche dando loro qualcosa con cui divertirsi. E posso assicurare che tutti gli straforti che conosco qui in Germania dove vivo trasferiscono le loro abilita’ con successo su roccia.

    La differenza, la scrematura ci sara’ sempre, e chi vorra’ confrontarsi coi propri draghi andra’ a scalare su roccia, appendera’ in camera il proprio strumento di tortura personale, affrontera’ le proprie paure in parete.

    Ci saranno (e ci sono gia’) climbers che hanno dita da 8a e piedi da quinto grado…gente che non sa usare un 8…braghe larghe invece di leggins, ma non mi pare questo un motivo per demonizzare il modo in cui uno sport si sta sviluppando. Chi ha contribuito a mettere le basi per l’arrampicata moderna ne sia orgoglioso, ma lungi da lui assestarsi su posizioni conservatrici e irrispettose!

  25. 4
    EvaK says:

    I draghi sono sempre al loro posto, e qualche cavaliere ardito esiste ancora, ma sono pochi come lo sono sempre stati, stanno in disparte e fanno meno chiasso della massa.
    Pensate che “casino” se tutti gli arrampicatori lottassero contro i draghi…. 🙂

  26. 3
    luigi b. says:

    Credo che questo articolo sia molto interessante e pieno di spunti. Mi piacerebbe sentire a tal proposito cosa ne pensano le guide alpine. Da “alpinista della domenica” ammetto che per un po’di tempo, pur essendo io amante dell’ambiente, degli avvicinamenti e del senso di avventura che ogni uscita in montagna (pur facile o ripetuta mille volte) mi lascia assaporare, ho ceduto alla moda del boulder, della palestra con le braghe larghe, o della falesia a 30 metri da parcheggio; lo facevo – e a volte lo faccio ancora – con lo spirito di allenamento, ovvero mantenere un minimo di forma per poi godermi appieno le uscite in montagna senza tribolare. E’ per questo che non “condanno” in toto le sale boulder, perchè a me(che per lavoro sto in ufficio in città) queste strutture danno la possibilità (o l’illusione) di avere una certa continuità fisica e di farmi provare “pronto” quando invece metto le mani su una via. Mi sono tuttavia reso conto, a mie spese, di quanto l’abituarsi alla sicurezza non sia per nulla formativo, ed è così che su un traverso chiodato un po’ lungo, ormai abituato al boulder con materasso o allo spit ogni metro, mi sono letteralmente piantato e – ahimè – tornato indietro. Purtroppo (o menomale), l’arrampicata sportiva sta conoscendo un vero e proprio “boom”, e questo di per sela valuto una buona cosa, ma dobbiamo abituarci a convivere con il rischio che sempre più persone saranno abilissime a fare un 7b in palestra o falesia, ma non sanno e non sapranno cosa sia un mezzo barcaiolo o saranno in panico a fare una cresta camminabile. A mio parere si tratta, come dice l’articolo, di pornografia alpinistica.

  27. 2
    sandro says:

    (y)

    Non oso immaginare che cosa succederà quando il drago dimenticato sbadigliando si risveglierà.

    😉

  28. 1
    GIANDO says:

    Grande Jolly 😀

La lunghezza massima per i commenti è di 1500 caratteri.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.