Il fascismo è morto ma vive ancora
di Marcello Veneziani
(pubblicato su inchiostronero.it il 6 febbraio 2024)
Arrendiamoci. Dopo aver sostenuto per anni che il fascismo è morto e sepolto e nessun uomo di senno può pensare di riproporlo oggi, dobbiamo prendere atto che invece Il fascismo non è mai morto, come recita il titolo dell’ultimo pamphlet di Luciano Canfora, storico antichista e comunista non pentito. Saremmo negazionisti se ci ostinassimo a non guardarci intorno: in libreria il tema più presente in libri, memorie, pamphlet è il fascismo, in tutte le sue varianti – nazifascismo, razzi-fascismo, neofascismo. Lo stesso vale al cinema e in tv, dove le fiction sul tema nazifascista imperversano; anzi, dire film di memoria storica significa dire film sul nazifascismo. Lo stesso vale per i quotidiani e i dibattiti pubblici. Perfino le foibe, in occasione della giornata del ricordo, sono ormai colpa del nazifascismo. Un tema così vivo e sovrano che pure il governo di destra postmissina è costretto a condannare di continuo il fascismo, accetta perfino la definizione di nazifascismo, impropria per molti storici, e identifica ormai fascismo, nazismo e razzismo. Mussolini grandeggia, Stalin, Lenin, Mao, Marx spariscono. I loro anniversari passano inosservati. Il comunismo è morto, il fascismo è vivo nei secoli e nel mondo, malefico ma gigantesco, epocale e globale, ineliminabile…
Cosa si può opporre a questa marea? Che è un fantasma, morto ottant’anni fa, che si affaccia dal vivo solo nelle cerimonie funebri, che non potrebbe mai rinascere? Ma no, se ne parlano tutti, se nazisti sono pure quelli di Hamas e i fanatici islamisti, se fascista è Putin, Orbàn e pure Trump, perché insistere sulla sua estinzione? E se si sono ormai accodati anche coloro che si opponevano a questa fascistizzazione universale, cosa possiamo fare noi poveri, solitari bastian contrari?
Eppure gli storici ci hanno insegnato, e non solo i Renzo De Felice ma anche storici ebrei come George Mosse e Zeev Sternhell, che il termine nazifascismo è una forzatura storica, come l’identificazione tra fascismo e razzismo antisemita. Per almeno quattro ragioni:
1) l’assenza di ogni riferimento razziale nel fascismo dalle origini al fascismo che si fa regime, nei suoi testi e documenti. Solo vaghi accenni alla stirpe, senza alcuna connotazione antisemita e bio-razzista;
2) la presenza di molti ebrei tra i nazionalisti e poi i fascisti nella Marcia su Roma e poi nei ranghi fascisti;
3) il primo riconoscimento giuridico della comunità israelitica con una serie di garanzie, si ebbe nel concordato con lo Stato fascista nel 1930, molto apprezzato dagli stessi ebrei;
4) la diffidenza di Mussolini e del fascismo nei confronti di Hitler e del razzismo, almeno fino al 1935. Poi le sanzioni, in seguito all’impresa coloniale in Etiopia e il conseguente isolamento internazionale spingono il fascismo nelle braccia della Germania. Fino all’infame delirio delle leggi razziali. Con tante contraddizioni, salvacondotti, salvataggi, ma restò una pagina infame.
Il suprematismo bianco, occidentale e colonialista attraversò il fascismo, e lo permeò alla fine degli anni Trenta, ma fu comune a tanta storia euro-occidentale, a partire dagli inglesi. E l’antiebraismo fu coltivato in ambito socialista e marxista nel nome dell’anticapitalismo, ritenendo gli ebrei ricchi e sfruttatori. Canfora ricorda che un germe di razzismo nacque in Italia con gli studi etnico-positivistici sulle popolazioni, la fisiognomica, ecc. Ma quasi tutti quegli studiosi erano progressisti e militavano nella sinistra. Nei confronti degli ebrei il cattolicesimo nei secoli ebbe un ruolo ambiguo: da un verso ghettizzò gli ebrei, li discriminò, pur commerciando con loro; ma dall’altro verso la carità cristiana riparò da ogni fanatismo persecutorio e arginò ogni deriva biologico-razziale (anche al tempo di Papa Pacelli, accusato ingiustamente di connivenza coi nazisti e la Shoah).
Se vogliamo fondare su basi serie una critica del fascismo, della sua “ideologia” e della sua matrice storico-politica, dobbiamo uscire dall’antisemitismo e puntare sul suo peccato originale: la volontà di potenza. È nella volontà di potenza il germe distruttivo e autodistruttivo del fascismo, il seme della violenza, del dispotismo e della pulsione bellicosa (il fascismo nacque dalla guerra e morì in guerra). La volontà di dominio e di rivalsa avvelenò l’amor patrio, l’identità nazionale, la comunità, la civiltà e la tradizione. La volontà di potenza è l’ombra di Nietzsche che si allunga sul Novecento: Nietzsche non fu solo quello, il suo pensiero apre ben altri orizzonti, ma la sua ombra funesta che si allunga sul piano storico-politico è la volontà di potenza del superuomo.
Ma a ben vedere, il culto della volontà di potenza non è originale del fascismo, se non nel suo apparato estetico e retorico; ma è quel che collega il fascismo al suprematismo occidentale. Anche Canfora ammette che “è nato e si è diffuso ben prima che il fascismo prendesse forma, e fece le sue prime esperienze nel mondo coloniale”. Canfora è nel solco della vecchia tesi comunista e luckacsiana del fascismo come esito e altoparlante del capitalismo e del colonialismo imperialista.
Il fascismo non fu un regime totalitario se non nelle aspirazioni retoriche o teoriche; per essere totalitario, nel senso in cui lo descrisse Hannah Arendt (ebrea ma separò il fascismo dai totalitarismi compiuti) mancò non solo l’uso del terrore, il gulag o il lager, la deportazione e l’eliminazione di massa dei suoi avversari (che fu invece praticata sistematicamente dal comunismo e dal nazismo con la Shoah); ma anche il monopolio assoluto del potere: il fascismo venne a patti con la monarchia, la Chiesa e il capitale, lasciò indenni la magistratura e altri settori militari e civili dell’Italia prefascista. Una ventina di condanne a morte in vent’anni non sono il segno di un regime totalitario. Trucidarono più antifascisti italiani nell’URSS dove si erano rifugiati che nell’Italia fascista… In realtà il fascismo fu un regime autoritario di massa (Togliatti lo definì regime reazionario di massa).
Ma un’analisi oggi è impossibile, si deve solo sottoscrivere l’anatema; una ricostruzione storica delle opere e delle realizzazioni del regime, del grande e duraturo consenso popolare, internazionale e culturale che riscosse, è oggi interdetta. E la maledizione sul fascismo viene poi estesa all’amor patrio, al senso della tradizione, della natura, dell’autorità e della civiltà.
Non resta che aderire all’Anpi e buonanotte.
P.S. Ma allora perché insisti, direte voi, se sai che è inutile, se ti danneggia e ti fai solo nemici, ora pure a destra, e se reputi il fascismo sepolto in via definitiva? Lo faccio a onor del vero, non riesco a tacere quel che mi pare evidente e non riesco a pensare senza distinguere. Scusate l’insistenza, è solo per colpa di quello stupido, fottuto amor di verità…
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Segnalo: La lunga marcia dell’estrema destra in Germania.
il regime fascista cambia il nome CAI in Centro alpinistico italiano, la sede da Torino va a Roma con presidente un gerarca. nel 1938 la direzione del CAI emana una direttiva a tutte le sezioni per segnalare i soci CAI non ariani da epurare. Complimenti.
intanto Cassin fa le sue grandi vie e partecipa alla resistenza.
E poi la Meloni, che fascista non è come dice lei ma senza condannare mai il fascismo e con compani di partito che hanno ancora, 2024, il busto di Mussolini sul tavolo, partecipa osannata ad una videoconferenza con VOX spagnola, un gruppettino di estrema destra più vicino a Casa Pound che a Fratelli d’Italia.
Che il fascismo non sia mai morto purtroppo lo sappiamo tutti, anche senza questo articolo in cui il tono prevalente è quello di un velato sfottò, culminante con la “caduta di stile” (eufemismo) finale, relativa all’adesione all’ANPI, già rilevata da Giovanni Golini al #6.
A Crovella (#4) ricordo che “fascista” nella lingua italiana significa anche (v. vocabolario Treccani)
e che non è per niente automatico che chi è “legittimamente eletto” non possa essere anche fascista.
Concordo però con Crovella che l’uso a sproposito delle parole finisce col svuotarne il significato (come sta avvenendo negli ultimi mesi con “antisemita”).
Rimango sempre un pò perplesso quando sento o leggo la parola “verità”. Rimango sempre un pò perplesso quando si traduce “superuomo” e se ne scrive così sinteticamente. Si potrebbe citare anche il “manifesto del futurismo” e cadere forse in errore. Trovo una caduta di stile l’ironia finale sull’iscrizione all’Anpi. Sperando di averne la capacità, cercherò di comprendere meglio l’articolo (necessariamente non esaustivo per la vastità del tema e dei richiami). Forse alcune parole, così come anche i silenzi più o meno colpevoli, hanno troppe sfumature; essendo troppo cariche di significati è facile perdersi o trovare via di uscita. C’è sempre altro da sapere ma ciò che è stato è un fatto. Rimango inquieto, comunque sia un rispettoso grazie.
Sarebbe più corretto parlare di neofascimo.
Sul significato di “fascismo” si giocano innumerevoli equivoci, spesso in buona fede, altrettanto spesso in male fede. Il principale è che si vuole “bollare” l’avversario politico attuale, macchiandolo (agli occhi degli odierni elettori) di esser figlio del Ventennio. Che poi, come riconosce lo stesso autore qui sopra, nel dramma di tutte le dittature, complessivamente è risultato una macchietta all’italiana. Invece fascismo dovrebbe esser esclusivamente sinonimo di nostalgico di “quel” regime. Purtroppo lo si usa per definire ogni posizione “antipatica” a chi parla. Si dà del fascista a Israele, che (come nazione) è legittima, o si bolla il suo governo, legittimamente eletto, ma con la stessa leggerezza si dà del fascista ad Hamas, che di Israele è il nemico giurato. Questa strumentalizzazione del termine nuoce a chi la usa: col passare delle generazioni, il “ricordo” storico del Ventennio si appanna sempre più. I ventenni di oggi non riescono neppure a focalizzare il Ventennio, che in effetti è roba di 80-100 anni fa. L’agone politico deve incentrarsi sulla contrapposizione dei programmi politici e non su accuse ormai solo più in odor di naftalina. chi ricorre a queste, è alla frutta
Agli equivoci sul fascismo si possono aggiungere i paradossi sull’antifascismo. Basta considerare che la repubblica italiana nata dalla resistenza tace sulla resistenza. Il 25 aprile lo stato ricorda l’orrore delle rappresaglie tedesche, ma ignora le eroiche gesta dei partigiani. Si tratta di una rimozione collettiva necessaria per condannare qualsiasi simpatia per la lotta armata, ma ovviamente lacunosa sul piano storico. Si comprende l’imbarazzo: da una parte la democrazia è l’effetto della violenza, ma d’altra parte è la causa della convivenza civile.
Caro Giovanni, il motivo è che tu stai leggendo questo articolo nella sezione Totem&Tabù, che si occupa di tutto (qualche volta anche delle tematiche della montagna). Cordiali saluti
Ma quale è il motivo per cui questo articolo è stato pubblicato su un blog che dovrebbe parlare di montagna e di tematiche ad essa collegate?