Il fenomeno Reinhold Messner

Si ricorda che Motti scrisse Storia dell’Alpinismo nel lontano 1977: necessariamente la figura di Messner qui non tiene conto delle imprese e dell’evoluzione successive.

Il fenomeno Reinhold Messner
di Gian Piero Motti
(pubblicato in Storia dell’Alpinismo) (GPM-SdA-37)

Sulla linea ideale tracciata da alpinisti come Bonatti, Buhl, Cassin e Couzy, Reinhold Messner si è imposto come il migliore alpinista dei nostri tempi, anche se sappiamo che i paragoni non valgono molto. Nato a Funes, nella bella valle dell’Alto Adige, nel 1944, Messner ha iniziato ad arrampicare si può dire fin da bambino, al fianco del padre sui monti di casa. Tra il 1960 ed il 1964 ha realizzato qualcosa come 500 ascensioni di ordine estremo: ripetizioni di tutte le vie più difficili della catena alpina su roccia, ghiaccio e misto; prime ascensioni, soprattutto sulle Dolomiti, di estrema difficoltà in arrampicata libera, molte delle quali non ancora ripetute da altri alpinisti; numerose prime invernali ed altrettante numerose prime solitarie. Messner si è dimostrato fedele ad un’etica severa e rigorosa, che pone l’arrampicata libera ad un ruolo assolutamente prevalente e si è sempre tenacemente battuto contro l’abuso dei mezzi artificiali in scalata.

Reinhold Messner al Lhotse (1975). Foto: Mario Conti.

La sua concezione alpinistica si fonda sul coraggio lucido e costante nell’ideazione, non intimorito da alcun tabù, e sull’eleganza e la sicurezza nella realizzazione pratica. Anche se le sue imprese possono apparire come le gesta di un temerario o di un ambizioso, va ricordato che esse sono invece il frutto di una preparazione serissima e tenace e di una determinazione che non sembra conoscere alcuna debolezza. Messner può far leva su una volontà irriducibile e su un’intelligenza non comune, che sa valutare analiticamente ogni problema, per quanto arduo esso sia, filtrando emotività e timori inconsci e risolvendo già in sede teorica le eventuali difficoltà di ordine psicologico. Con tutto ciò non bisogna pensare a Messner come ad una sorta di computer o una fredda macchina per arrampicare.

Anzi, Messner agisce nel solco dell’avventura individuale e ricerca nel suo alpinismo un modo di vivere che altrove gli è impossibile realizzare. Inevitabilmente il suo atteggiamento tipicamente individualista gli ha attirato critiche a non finire: chi lo accusa di essere un seguace di Nietzsche, chi lo definisce un nevrotico, chi un complessato, chi di essere un esempio negativo per i giovani, chi di rifiutare il corso della storia che oggi sembra più incline a «smussare» (o a decapitare?) le personalità «eroiche» e trascendenti. In qualunque modo lo si voglia intendere e da qualunque ottica lo si voglia osservare, resta in ogni caso il fatto che Messner ha saputo valicare un limite ed ha saputo infrangere un tabù che forse a molti faceva comodo.

Non ci si stupisca allora se la sua personalità ed il suo agire a molti possono risultare fastidiosi. In ogni situazione, comunque, Messner ha dato prova di serietà e di notevole coerenza con i suoi principi senza mai scendere a compromessi con se stesso e con gli altri. Tutta la sua azione è tesa a dimostrare che ciò che vien comunemente definito «impossibile» è invece possibile, ammesso che si accetti una preparazione durissima e costante, sia fisica che mentale, quale quella a cui Messner si sottopone. Le realizzazioni compiute sulle Alpi e al di là delle Alpi praticamente parlano da sole e non necessitano di alcun commento. Molte delle sue salite rappresentano una data basilare nella storia dell’alpinismo e molte delle sue imprese hanno poi permesso ad altri di avventurarsi in scalate solitarie e in avventure himalayane che prima forse erano state soltanto concepite, ma non ancora realizzate sul terreno pratico. Del suo formidabile alpinismo solitario, parleremo nell’apposito capitolo. Ma qualche cenno sull’attività extraeuropea è doveroso.

Messner è l’unico alpinista al mondo ad aver raggiunto la vetta di tre Ottomila (1).

Dapprima (1970) scala la formidabile parete Rupal del Nanga Parbat, con il fratello Gunther e ne discende per il versante Diamir, dove sfortunatamente Gunther viene travolto da una valanga e scompare per sempre. Il secondo Ottomila vinto è il Manaslu (nel 1972), scalato per una nuova via di estrema difficoltà e raggiunto dall’ultimo campo in scalata solitaria. Il terzo Ottomila conquistato è l’Hidden Peak, nel Karakorum, scalato con il fortissimo alpinista austriaco Peter Habeler lungo la inviolata parete nord ovest. Quest’impresa si distingue da tutte le altre per l’eleganza insuperabile con cui è stata condotta e rappresenta una vera rivoluzione nella storia dell’alpinismo. Senza portatori, senza ossigeno, senza campi intermedi, senza installazioni di corde fisse, i due alpinisti hanno superato, slegati sia in salita che in discesa, una parete che a 7500 metri di quota presenta difficoltà pari alla Nord del Cervino!

Ma ciò non sorprende, se si pensa che durante la fase di preparazione a quest’impresa, Messner e Habeler avevano superato la famigerata parete nord dell’Eiger in sole 10 ore d’arrampicata dall’attacco alla vetta!

Messner ha inoltre effettuato spedizioni su tutti i continenti: nelle Ande Peruviane, dove ha aperto nuove vie sulle ripidissime pareti di ghiaccio del Yerupajá e del Yerupajá Chico; nelle Ande Argentine, dove ha aperto una nuova via diretta, di estrema pericolosità e difficoltà, sulla gigantesca parete sud dell’Aconcagua, raggiungendo la vetta in scalata solitaria dall’ultimo campo installato in parete; in Nuova Guinea, in Africa, in Afghanistan, ancora in Himalaya, dove ha tentato nuove vie sul Makalu, sul Lhotse (con la spedizione italiana del 1975 guidata da Riccardo Cassin) e più recentemente sul Dhaulagiri.

Senza alcun timore si può affermare che Messner è un vero professionista dell’alpinismo. D’altronde egli ha scelto di vivere d’alpinismo e quindi, come un Rébuffat, con molta intelligenza riesce a far fruttare economicamente le sue imprese eccezionali. Infatti è autore di molti libri, è un brillante conferenziere ed ha prestato il suo nome ad alcune ditte che producono articoli per alpinismo.

Forse è proprio per questo che la sua figura suscita in maggior misura reazioni contraddittorie ed errate: da un lato esagerata ammirazione, quasi adorazione ed adulazione; dall’altro lato invidia, gelosia, vero e proprio odio, pulsioni per altro facilmente smascherabili.

Nota
(1) Il 16 ottobre 1986, raggiungendo la vetta del Lhotse, Messner diventerà il primo uomo al mondo ad aver scalato tutti gli Ottomila. Si veda a tal proposito l’aggiornamento scritto da Enrico Camanni (che GognaBlog pubblicherà tra qualche mese).

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Il fenomeno Reinhold Messner ultima modifica: 2025-02-15T05:39:00+01:00 da GognaBlog

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1 commento su “Il fenomeno Reinhold Messner”

  1. Cinquant’anni e non li dimostra. Questa, più o meno, è l’eta’ dello scritto. “… agisce nel solco dell’avventura individuale e ricerca nel suo alpinismo un modo di vivere che altrove gli è impossibile realizzare. Inevitabilmente il suo atteggiamento tipicamente individualista gli ha attirato critiche a non finire … ” 
    Si narra dell’ altoatesino o di tale Walter Bonatti?
    E così via nel prosieguo, quasi ad anticipare quella conclusione concorde tra tutti i qualificati commentatori: Cassin, Bonatti, Messner caratterizzano la storia dell’alpinismo del ‘900. Ciascuno di loro ha portato avanti di almeno una generazione il modo di scalare. Senza peraltro dimenticare altri forse più bravi che però non hanno avuto la possibilità, e la fortuna, di raccontare fino in fondo le loro imprese.
    Articolo che oggi il compianto bravissimo storico potrebbe aggiornare e ridatare, senza cambiarne il senso e le conclusioni.
    “… la sua figura suscita in maggior misura reazioni contraddittorie ed errate: da un lato esagerata ammirazione, quasi adorazione ed adulazione; dall’altro lato invidia, gelosia, vero e proprio odio … ”
    È già trascorso un quarto del nuovo secolo. Un bravo e ben documentato narratore di alpinismo (A. Gogna?) potrebbe già anticipare chi è quella persona che farà un passo avanti di una generazione, come i tre citati del secolo scorso. 
    Mi rendo conto che sfidare G.P. Motti sul piano narrativo è veramente arduo.
     

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