Il freddo

Nell’approccio oggi dominante, quello del “mordi e fuggi”, non si mette in conto che in montagna si può avere a che fare col freddo e le sue conseguenze. Il problema è ovviamente tanto più importante per le discipline invernali (scialpinismo, ciaspole, cascate, freeride…), ma neppure l’alpinista estivo deve farsi trovare impreparato, specie se sale in quota.

I morsi del freddo possono essere spietati e deve conoscerli bene chi desidera affrontare la montagna in modo “preparato”. A tal fine torna utile questo articolo che, seppur risalente a una ventina di anni fa, affronta con chiarezza il problema del freddo.

L’autrice del testo è Oriana Pecchio: ha lavorato per lunghi anni, come medico, presso l’Ospedale Molinette di Torino. Da molto tempo si occupa di medicina di montagna ed è tra i fondatori della Società Italiana di Medicina di Montagna, di cui è stata presidente dal 2008 al 2011. Giornalista, scrive su testate nazionali e regionali e sui siti internet. Autrice di guide e libri di montagna, fa parte del GISM-Gruppo Italiano Scrittori di Montagna. Predilige l’escursionismo, lo scialpinismo, l’alpinismo classico e i trekking sia sulle Alpi che in Paesi extraeuropei. Le sue considerazioni fondono insieme cognizioni scientifiche con esperienza sul campo (Carlo Crovella).

Il freddo
(come aggredisce e come difendersi)
di Oriana Pecchio (che ringrazia Michele Nardin per la collaborazione)
(pubblicato sulla Rivista della Montagna n. 232, gennaio 2000)

Alcuni amici, negli anni passati, hanno avuto seri congelamenti alle dita dei piedi e relative amputazioni. Huascaran, Everest, Muztagata: un bivacco forzato per la tormenta o per assistere un compagno ferito o colpito da mal di montagna e il giorno dopo le dita erano insensibili e cianotiche. Ma non è solo storia extraeuropea: recentemente ho visto i segni lasciati sulle dita di una mano da una notte di fredda bufera sul Gran Paradiso. I congelamenti sono un pericolo ancora reale anche sulle Alpi: all’ospedale di Chamonix, per esempio, vengono trattati circa ottanta pazienti all’anno e si giunge all’amputazione nell’8% circa dei casi.

Il seppellimento da valanghe è una delle cause più frequenti di ipotermia

I congelamenti
Con il termine congelamento si indica il raffreddamento estremo, con lesioni più o meno gravi dei tessuti di una parte periferica del corpo: arti, orecchie, naso, volto, per l’azione diretta del freddo (temperatura < 0°C) per un periodo indefinito di tempo. I congelamenti si dividono in 3 gradi:

I grado, caratterizzato da pallore, comparsa di rossore con il riscaldamento, dolore e alterazione della sensibilità, con completo ritorno alla norma dopo riscaldamento;

II grado superficiale, in cui si ha completa insensibilità, pallore e comparsa di vescicole a contenuto liquido e possibilità di completa guarigione con il riscaldamento:

II grado profondo, in cui compare gonfiore, per lesione dei tessuti profondi, ed è possibile l’evoluzione verso la necrosi, o morte del tessuto, caratteristica del III grado;

III grado, in cui la cute è cianotica, con vescicole a contenuto siero-emorragico.

Il congelamento è dovuto a un estremo tentativo di mantenere il calore agli organi vitali, riducendo il flusso sanguigno alla periferia, con un meccanismo chiamato vasocostrizione. L’effetto della vasocostrizione dipende dal tempo di esposizione al freddo, dalla sua intensità e dallo stato preesistente della circolazione (cioè la circolazione può essere già di base ridotta per alterazioni dovute a malattie, come diabete, arteriosclerosi, vasculiti, per il fumo o per l’azione meccanica compressiva, per esempio di scarponi troppo stretti). Le zone colpite, non più perfuse dal sangue, cominciano così a gelare e si formano cristalli di ghiaccio nelle cellule. Queste muoiono, si rompono e liberano sostanze che provocano fuoriuscita di plasma e globuli rossi dai vasi: compaiono il gonfiore e le vescicole siero emorragiche, tipiche delle lesioni profonde e molto simili alle ustioni. Le lesioni sono più gravi in superficie e distalmente, per cui il danno profondo si riduce verso il centro, dalla punta alla radice di un dito per esempio. Infine vale la regola che più lunga è l’esposizione al freddo più probabile è il progredire del grado delle lesioni.

Il primo trattamento
La parte congelata dovrebbe essere riscaldata in acqua calda (non oltre 40°C), in un recipiente non direttamente esposto a fonte di calore, mantenendo la temperatura con aggiunta di acqua calda non bollente ed evitando assolutamente sfregamenti o altri traumatismi. Dopo il riscaldamento, non si deve assolutamente riesporre la parte colpita al freddo, né è possibile usare l’arto colpito, perché i tessuti diventano estremamente fragili dopo il riscaldamento. Non si deve cioè camminare con un piede congelato e riscaldato, ma iniziare il riscaldamento quando si è nella condizione di poter essere trasportati in ospedale, dove il paziente dovrà comunque essere ricoverato per le cure e per identificare nel giro di qualche giorno la possibilità di recupero. L’amputazione è di solito posposta fino a completa e spontanea demarcazione della zona necrotica, cioè non più vitale.

Infine occorre ricordare che a ogni grave congelamento segue una particolare suscettibilità della parte colpita al freddo, a causa del danno vascolare subito, con rischio maggiore di congelamento per successiva esposizione al freddo, che per danni anche reversibili possono persistere a lungo alterazione della sensibilità al freddo e che un congelato può essere contemporaneamente ipotermico e, come tale, va protetto da ulteriore raffreddamento e trattato.

Esercitazione di recupero da crepaccio: l’immersione in acqua di fusione prova una caduta repentina della temperatura.

FATTORI CHE PREDISPONGONO AL DANNO DA FREDDO
– scarso allenamento fisico
– esaurimento fisico
– alimentazione ipocalorica, malnutrizione ed eccessiva magrezza
– disidratazione
– ipossia
– immobilità forzata conseguente a traumi e fratture, età pediatrica e quella avanzata
– alcune malattie come il diabete e le alterazioni della circolazione periferica
– abuso di alcolici e di farmaci ipnotici e sedativi
– abitudine al fumo
– abbigliamento insufficiente o inadeguato

L’ipotermia
Con il termine ipotermia s’intende la diminuzione della temperatura corporea centrale al di sotto dei 35°C. Si verifica quando la temperatura ambiente è ben al di sotto di quella del nostro corpo e contemporaneamente il nostro corpo non riesce a produrre sufficiente calore da compensare le perdite, che possono essere anche rapide e cospicue: per fare alcuni esempi, in montagna un corpo sepolto nella neve perde circa 3°C all’ora, mentre immerso nell’acqua fredda ne perde fino a 1 ogni 2 minuti.

Un alpinista può diventare facilmente ipotermico in caso d’immobilità forzata, dovuta a traumi o fratture, con esposizione a basse temperature, il cui effetto può essere maggiorato dal vento, o per la caduta in un crepaccio e l’immersione in acqua di fusione, o la caduta in un torrente o il seppellimento nella neve di una valanga. Inoltre lo scarso allenamento, lo sfinimento, la disidratazione e la scarsa alimentazione riducono le capacità di difendersi dal freddo. L’ipotermia viene suddivisa in lieve (temperatura centrale tra 35° e 32°C), moderata (tra 32° e 28°C) e grave (al di sotto dei 28°C). Nell’ipotermia lieve entrano in azione meccanismi volti a mantenere costante la temperatura degli organi centrali, sia aumentando la produzione di calore sia cercando di ridurre le perdite. Si hanno quindi i seguenti sintomi e segni: brividi, accelerazione del battito cardiaco (tachicardia) e del respiro (tachipnea), aumento della pressione arteriosa, agitazione, cute pallida e fredda.

LA PREVENZIONE
1) Bere sempre molti liquidi, possibilmente caldi: la disidratazione determina un aumento dell’ematocrito e favorisce il rallentamento della circolazione periferica.
2) Mangiare in modo adeguato, ricordando che il corpo consuma molta energia per produrre calore, ma che un pasto esagerato può essere indigesto per esposizione al freddo.
3) Vestirsi in modo appropriato, usando a contatto della pelle tessuti che permettono al sudore di evaporare rapidamente, mantenendola asciutta, come poliestere e polipropilene, nello strato intermedio tessuti che mantengono il calore, come lana, piumino, tessuti tecnici in poliestere (pile), Thinsulate e infine nello strato esterno tessuti impermeabili all’acqua, resistenti al vento e traspiranti come i laminati o gli spalmati (nylon o altro tessuto accoppiato a membrana traspirante).
4) Proteggere sempre adeguatamente testa e collo, attraverso i quali si disperde circa il 25% del calore, adottando una maschera facciale in ambienti estremi.
5) Evitare le bevande alcoliche che danno un apparente senso di calore per vasodilatazione cutanea, al prezzo di un notevole aumento delle perdite di calore e dell’alterazione dei meccanismi neurovegetativi e comportamentali di difesa. Anche i farmaci sedativo-ipnotici alterano pericolosamente i meccanismi di difesa al freddo e vanno evitati, specie in quota.

Quando la temperatura centrale scende al di sotto dei 32°C si perde il riflesso del brivido e la persona diventa sonnolenta, scoordinata, confusa; il battito e il respiro rallentano, il polso diventa debole, la muscolatura rigida. A questo stadio il paziente può essere delirante, e riferire una sensazione di benessere e calore diffusa (per paralisi dei vasi sanguigni cutanei e riscaldamento della pelle) e paradossalmente si spoglia (paradoxic undressing). Questo grave sintomo precede di poco una rapida diminuzione della temperatura centrale, (ipotermia grave), con perdita dei riflessi e perdita di coscienza, polso e respiro appena percettibili. A 28°C il metabolismo basale si riduce di circa la metà e le cellule hanno bisogno di poco ossigeno. Successivamente il soggetto raggiunge lo stato di “morte apparente”, caratterizzata da pupille dilatate e fisse, flaccidità dei muscoli, assenza di risposta agli stimoli dolorosi, scomparsa di attività respiratoria e circolatoria, cute rosea. Nello stato di “morte apparente” l’elettroencefalogramma è spesso piatto e l’attività meccanica cardiaca è assente (asistolia), ma il recupero totale in centri ospedalieri attrezzati (se l’ipotermia non è associata a traumi e lesioni gravi o asfissia), è all’ordine del giorno e i soccorritori che operano in montagna non devono aver timore di “ricoverare un cadavere”, se si presuppone una “morte apparente”.

La misurazione della temperatura centrale e alcuni esami di laboratorio possono rivelare, al momento del ricovero, se le condizioni dell’ipotermia sono compatibili con la sopravvivenza. Va inoltre segnalato che i primi sintomi neurologici dell’ipotermia possono essere confusi con quelli del male acuto di montagna e che le due patologie potrebbero anche combinarsi.

Oriana Pecchio

Trattamento
In caso di ipotermia lieve, o moderata con paziente cosciente e presenza dei meccanismi di difesa sopra descritti, il paziente deve essere isolato dal freddo, togliendogli gli abiti freddi e bagnati e coprendolo con indumenti caldi e asciutti, capo e collo compresi, trattandolo con molta delicatezza e evitando bruschi movimenti attivi e passivi. Il riscaldamento passivo può essere attuato con impacchi caldi (40°C), non a diretto contatto della pelle. Anche se il recupero è di solito rapido, è consigliabile il trasporto immediato in ospedale per monitoraggio clinico e elettrocardiografico: peggioramenti improvvisi si possono verificare con il riscaldamento. In caso di ipotermia moderata, con paziente incosciente, o di ipotermia grave, il paziente deve essere isolato termicamente, e trasportato al più presto in centro ospedaliero dotato di terapia intensiva, dialisi e possibilità di praticare circolazione extracorporea, meglio se con elicottero e medico rianimatore a bordo, che potrà anche intubare e ventilare il paziente e al bisogno praticare il massaggio cardiaco esterno. Durante il riscaldamento esterno dell’ipotermico lieve o moderato, si può verificare il fenomeno “after drop”, ovverosia ulteriore pericoloso abbassamento della temperatura centrale per rimescolamento di sangue freddo proveniente dalla periferia, o per persistente cessione di calore dal centro caldo alla periferia, anche in corso di riscaldamento. Se l’abbassamento della temperatura arriva al livello critico dei 32°C si possono instaurare aritmie cardiache improvvise anche molto gravi.

Un altra reazione negativa è lo “shock da riscaldamento” in cui si osserva diminuzione della pressione arteriosa per vasodilatazione periferica conseguente a riscaldamento esterno, non compensato dall’infusione endovenosa di liquidi caldi.

Il ricovero ospedaliero precoce garantisce di poter trattare tempestivamente le possibili complicanze successive al riscaldamento.

Riferimenti bibliografici
– Nardin Michele, Patologia da freddo in Medicina di Montagna, I Manuali del CAI, 1997;
– Tom Prentice A., Garmel Gus M., Auerbach Paul S. Environment-dependent sport emergencies in Med Clin North Am, marzo 1994, 78 (2), pagg. 305-25.

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Il freddo ultima modifica: 2020-12-27T05:50:33+01:00 da GognaBlog

11 pensieri su “Il freddo”

  1. 11
    albert says:

    Saggio medico scientifico  pubblicato”a fagiuolo” solo 2 giorni prima..del 29,  oggi. Articoli su cronaca locale del  Trentino e  Veneto: punte di – 42, zona dolina di Campo Magro, Asiago. di altre conche fredde storiche non si sa…sono irraggiungibili..non per via del timore del gelo, ma per le restrizioni Covid.

  2. 10
    Paolo Gallese says:

    Albert, ma tu sei l’Albert che spesso vedo commentare su Montagna TV? Nel caso  benvenuto.

  3. 9
    albert says:

    “Dal caldo non e’mai morto nessuno”..ma ci sono pur sempre le  ustioni da raggi ultravioletti, di cui fanno parte gli UVA e UVB. I primi hanno subito effetti negativi causando scottature e arrossamenti della pelle, i secondi hanno conseguenze a lungo termine, incidono quindi sull’invecchiamento cutaneo o altri danni a livello patologico…tra cui melanoma. Poi” ..ma neppure l’alpinista estivo deve farsi trovare impreparato, specie se sale in quota.” Ampia letteratura  in merito di alpinisti famosi.In estate sulle Dolomiti piombano certi temporali con strati di grandine e a volte nevicate..e chi non e’pronto  soffre per  le conseguenze del freddo descritte in Articolo .
     

  4. 8
    albert says:

    albert Pappagone ,Mr Aristogitone, cosa non va?Mica dobbiamo essere graditi a qualcuno, o a tutti :si scrive senza conoscere chi legge, difficile essere in sintonia..Scrivere non e’negato, leggere si puo’evitare.

  5. 7
    Enri says:

    Renzino Cosson diceva sempre che in montagna di caldo non e’ mai morto nessuno…

  6. 6
    Prof. Aristogitone says:

    Sig. Albert, se lei rivelasse la sua identità la verrebbero a prelevare per farne studio antropologico. Con antipatica simpatia.

  7. 5
    albert says:

    Porto il 44, ma non mi sono fatto sfuggire su  sito occasioni un paio di scarponi seminuovi 46 che tengono internamente una soletta di sughero e 2 paia di calzettoni..allacciati non stretti e con un movimento dita possibile. Collaudati con successo in caminata , anzi “winterwarden”, fa piu’ effetto.,.Come pure scarpe sci escursionismo cuoio attacco 75.. 43 attillate e 45 larghe..Poi trovate in svendita   da rigattiere 2 paia di moffole di piumino  a 5 mila lire cadauna.Bevande calde? O Thermos o..fornelletto.Insuccesso scoperto a mie spese: Il butano  di fornelletto da campeggio non evapora   da +2 in giù ,meglio combustibile solido.Se si hanno le mani gia’ fredde, le moffole non le scaldano ,isolano soltanto, ce ne vuole per portarle a temperatura normale e se si sfregano , ad un certo punto parte un bel dolore..Meglio tenerle sotto le ascelle.Ma se si ha l’auto accanto appena fermata, si apre il cofano e ci si scalda con l’aria che calda che emana o si tocca il tubo dell’acqua che porta al radiatore. Esistono anche scaldini a carboncini  o elettrici a batterie ricaricabili, buste di prodotti chimici speciali. Chissa’ se funziona un mini phon a batterie ricaricabili.Un problema e’l’appannamento lenti da vista.. ma   dicono che le salviette antiappannanti funzionano .Per escursioni in ambiente isolato:un telo thermico riflettente costa e pesa poco come pure un materassino espanso arrotolato o pieghevole a fisarmonica nello zaino.Il massimo e’avere persona amica che presta le chiavi di un baito lungo il percorso  con caminetto  o stufa a legna d’antan…il top e’entrarci in  compagnia .Un errore compiuto e’ stato coprirmi troppo a inizio movimento..e poi sudore in abbondanza.Meglio  sopportare pochi minuti di gelo e muovendosi arrivare a regime   se sudati cambiarsi appena possibile.Una bella  batosta: appena terminata sessione di sci fondo…lo scambio di chiacchere con altri e..rapido trasformarsi di sudore in strato di brina ghiacciata…poi dolori cervicali e muscolari.Per ultimo..meglio per i maschi avere cerniera sia su tuta che sottotuta..le fanciulle sono svantaggiate..prudente provvedere prima di partire o  sperare  di trovare zona appartata al sole.In centri  ospedalieri  specializzati hub regionali, praticano il riscaldamento di sangue degli assiderati ( con segni ancora vitali )sotto valanga in circolazione extracorporea con macchinario e sempre anestesista rianimatore e neurologo  pronti.Buona lettura, poetica, di Casati, La lezione del freddo.Sul web basta cercare”sopravvivenza in ambienti freddi”.Se proprio qualcuno vuole far eesperienza..trune e altro ma nei pressi di rifugio invernale..e poi..le doline del freddo, sul ciglio -12, sotto qualche decina di metri -* 48, occasioni nostrane senza andare ai poli o Himalaya.
     
     
     
     
     

  8. 4
    Giorgio Daidola says:

    Questo articolo dovrebbero studiarlo a memoria ed applicarne alla lettera i principi gli scialpinisti della categoria “tutine”. Supermen o superwomen che divorano dislivelli incredibili, fasciati in leggerissimi tessuti speciali di capi tecnologicamente studiati per le loro performance, capi a cui fanno completo affidamento per non morire assiderati. Senza vedere e capire nulla della montagna che li circonda,  aspirando solo alla doccia bollente che, se stanno nei tempi, li aspetta  in basso.

  9. 3
    albert says:

    In piatta pianura, la bora spazza le  zone periferiche e si insinua nei vicoli anche  lontano da Trieste.Eppure un commerciante mi ha detto di avere regalato in beneficenza  le maglie e le mutandone di lana lunghe…di  pura lana…occupavano solo posto in magazzino.Utili sotto i vestiti..soppiantate da tessuti tecnlogici.Finalmente si scopre il perche’ del cappuccio orlato da pelliccia vera o sintetica. Eppure si vede qualcuno che per un presunto senso di”dignità nel look” sopporta a cranio rasato senza coppole…e guanti, scarpini stretti di vernice. De gustibus..

  10. 2
    atanasio kostis says:

    salve ! abito nell’appennino Toscoromagnolo ,ieri 26 dicembre sono salito a 1200mt , altezza neve 40/50 si camminava da 3 ore e la temperatura era attorno allo zero tuttavia soffiava un discreto vento,  la temperatura percepita era molto inferiore a quella registrata ,un mio amico aveva i piedi che non li sentiva più. poi siamo rientrati e tutto bene , ho verificato nelle tabelle praticamente era come se fossimo stati a -10 /-13, quindi anche in appennino se non adeguatamente vestiti e preparati si può rischiare, bisogna essere prudenti ed imparare ad adattarsi al freddo piano piano, personalmente vivo in montagna e dal mattino alla sera sono all’aria aperta ,ma uno che vive a 20 gradi in ufficio e poi sale sui monti rischia anche senza essere ad alte quote .

  11. 1
    Paolo Gallese says:

    Articolo sempre valido e pericolo clamorosamente sottovalutato da chi non ha esperienza. Eccesso di fiducia nell’abbigliamento (inadeguatamente utilizzato), erronea presunzione delle proprie capacità e abitudini, ignoranza dei fenomeni naturali e ambientali e delle loro dinamiche di progressione. 
    Per imparare sulla mia pelle come far fronte al freddo, come leggere le mie capacità e criticità, ho fatto le cose peggiori. Ma in luoghi che, sebbene esposti a caratteristiche di “estremo”, mi consentissero una veloce ritirata.  Ad esempio mi allenavo ai piani di Bobbio, in Val Sassina, una stazione sciistica di tutta tranquillità, ma dormendo in buche nella neve, o in tenda durante le peggiori condizioni meteo. La gente, gli amici, mi prendevano per matto.
    Però, sull’Aletsch e allo Spluga mi sono salvato la pelle grazie alle mie simulazioni e all’allenamento. 
    Ogni mia uscita in ambienti di quota, o in inverno, non mi ha mai visto privo di attrezzatura adeguata, possibilità di bivacco, calcolo della possibilità di restare bloccato. 
    Certo, ha comportato pesi maggiori da trasportare, riducendo la velocità, con tutte le possibilità negative del caso. Ma preferisco essere veloce dove so che posso esserlo e dove abbia preparato angoli intermedi di fuga e riparo.
    Ma poi tutti sappiamo che qualunque piano se ne va a quel paese in un istante in montagna. E capita sempre che l’ambiente ti faccia “marameo”…!

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