Nell’articolo sui dieci anni del Tor des Géants, pubblicato recentemente su questo blog, Pietro Trabucchi ha raccontato della partecipazione all’edizione 2019 di un gruppo di alpini e ha espresso una serie di considerazioni sugli effetti della leadership sulla prestazione del gruppo. Nella discussione che ne è seguita, è stato fatto notare che si trattava di un gruppo di soli maschi, con un leader maschio, il comandante. Che cosa sarebbe successo se il leader fosse stato una donna? E se il gruppo fosse stato misto oppure composto di sole donne? Il tema della leadership al femminile in tutti i campi della società è oggi al centro dell’attenzione, visto il numero crescente di donne che accedono a posizioni di comando in passato destinate solo agli uomini. Il mondo della montagna non vive isolato dal resto della società e non poteva non essere investito da questa trasformazione. In particolare non poteva non iniziare ad essere coinvolto uno dei ruoli di leadership più antichi e prestigiosi in montagna: la guida alpina. Oggi in Italia ci sono solo 16 guide donne su 1129 in esercizio, l’1,4 % rispetto al 14% degli USA, dove le donne guida sono circa 280. Anche negli USA, comunque, la guida alpina è la professione che ha la più bassa percentuale di donne, insieme alle professioni del mondo delle costruzioni. Qualcosa tuttavia si sta muovendo e il tema è caldo. E’ stato affrontato con una serie d’interviste anche dal “femminile” più diffuso in Italia, Donna Moderna. Chi vuole può leggere l’articolo a questo link:
https://www.donnamoderna.com/news/tendenze/guide-alpinedonne
Qui proponiamo un articolo pubblicato sul blog di Arc’terycs, noto produttore di abbigliamento e attrezzature per la montagna. E’ stato scritto da Shelma Jun, Ambassador del marchio. Nell’articolo c’è sicuramente un intento di marketing e alcuni temi sembrano lontani dal nostro ambiente sociale e culturale, ma viviamo in un mondo globale e i cambiamenti sono molto rapidi. Non dobbiamo inoltre dimenticare che quando in un settore della società cambia la base della piramide, prima o poi cambia anche il vertice. Ad esempio, oggi sono donne il 38% di coloro che praticano l’arrampicata sportiva nel mondo (dati International Federation of Sport Climbing) e il 46 % dei partecipanti ad attività outdoor negli USA (dati Outdoor Foundation) (Roberto Pasini).
Il futuro della guida è donna?
di Shelma Jun
Fotografie: Irene Yee
“Sono qui per aiutarvi a diventare il leader che io sono convinta voi già siete” dice Elaina Arenz, una dei nostri istruttori, la sera prima dell’inizio del corso pilota All Women Single Pitch Instructor (SPI) dell’America Mountain Guide Association. Guardandomi intorno, vedo un gruppo di donne forti, intelligenti e qualificate. I loro volti sono pieni di entusiasmo e anche un po’ di nervosismo. Per la prima volta, quest’anno il Corso SPI è stato organizzato per sole donne e con sole donne come istruttori. Questo programma pilota è il risultato finale di dieci mesi di programmazione da parte di Flash Foxy (un’organizzazione di donne che ho fondato nel 2014), Brown Girls Climb, American Mountain Guide Association (AMGA) e American Alpin Club.
E’ una cosa davvero potente che siano le donne a insegnare alle donne. Aiuta a rinforzare l’idea che noi, come donne, possiamo essere esperte, decisori e insegnanti nel mondo outdoor. Così tante donne imparano ad arrampicare da partner maschi che, intenzionalmente o no, possono essere indotte ad appoggiarsi agli uomini per le scelte decisive o i tiri più duri. Una dinamica di arrampicata tutta femminile amplifica la percezione che noi siamo perfettamente in grado di prendere le decisioni giuste nell’ambiente outdoor.
Il nostro ambiente tutto femminile ha creato uno spazio sicuro per conversare e porre domande. Se sei la sola donna in uno spazio dominato da uomini, probabilmente senti la pressione a dimostrare che tu appartieni a quell’ambiente e hai il diritto di essere lì anche se sei diversa dagli altri. Puoi aver paura di apparire debole e questo può impedirti di condividere parti di te che ritieni vulnerabili allo scopo di crescere. In un corso tenuto da donne, c’è un’elevata probabilità che la tua istruttrice abbia avuto le tue stesse esperienze e ti possa offrire consigli su come gestire situazioni dove il sessismo può contagiare le relazioni con clienti, capi e colleghi.
Il seme dell’idea di questo programma iniziò a germogliare durante un incontro estemporaneo all’Outdoor Retailer Winter Market lo scorso gennaio 2019. Il gruppo fu inizialmente costituito da un manipolo di donne che stavano lavorando a una serie di iniziative locali per coinvolgere più donne, in particolare di colore, nelle attività outdoor. Lo scopo dell’incontro era di identificare le sfide che le donne di colore devono affrontare nello spazio outdoor. Una specifica sfida che emerse fu quella della professione di guida.
Le sfide che una donna di colore che vuole diventare guida deve affrontare possono accumularsi molto rapidamente. La prima sfida che quasi tutte devono affrontare è quella del costo dei corsi di formazione, degli esami e dei certificati ausiliari richiesti come il Wilderness First Aid Certificate. Oltre a questo, può essere isolante e spesso anche alienante essere non solo l’unica donna, ma anche l’unica donna di colore in un ambiente di apprendimento. Spesso le esperienze che hai avuto o che potresti avere sul luogo di lavoro non sono condivise dagli altri partecipanti o dal tuo istruttore.
Quasi un anno dopo la nostra prima conference call per generare idee, si è tenuto il primo corso pilota SPI per sole donne che è stato portato al successo dal nostro gruppo eccezionale. Gli istruttori comprendevano Elaina Arenz (l’unica trainer donna certificata SPI in un gruppo di dieci) ed Erica Engle (l’undicesima donna diventata guida della IFMGA). I partecipanti comprendevano le leader delle due organizzazioni Brown Girls Climb e Flash Foxy, educatrici della National Outdoor Leadership School e molte altre donne che si stavano facendo strada nell’ambiente outdoor.
Il corso pilota è stato un grande successo su diversi piani. L’attenzione, la focalizzazione e il rispetto di cui ogni donna era portatrice hanno creato uno delle esperienze più speciali che io ho vissuto nella mia vita. Sono certa che si siano creati dei rapporti di amicizia per la vita ed è una cosa bella pensare che io potrò contare sul supporto di queste donne durante il mio percorso. Questo è solo l’inizio. Spero che questa esperienza apra la strada a molti gruppi oggi poco rappresentati e li aiuti a trovare il loro spazio nella nostra comunità e nella nostra professione. Le nostre istruttrici competenti e abili non lasciano dubbi sul fatto che le donne non solo appartengono alle montagne, ma sono anche capaci di guidare altri in questa direzione. Il futuro della guida è queer*, è donna, è donna di colore.
(“Queer” è un termine generico utilizzato per indicare le minoranze sessuali e di genere che non sono eterosessuali. È un termine della lingua inglese che tradizionalmente significava “eccentrico”, “insolito”)
Shelma Jun è la fondatrice di Flash Foxy (http://flashfoxy.com) e del Women’s Climbing Festival. Flash Foxy è stata creata nel 2014 per celebrare le donne che arrampicano con altre donne e per offrire un luogo dove le donne possono trarre ispirazione e connettersi tra di loro. Il Women’s Climbing Festival riunisce circa 300 donne in un weekend di arrampicata, discussione e approfondimento tecnico e fisico due volte all’anno a Bishop, CA e a Chattanooga, TN.
Shelma è dirigente di Access Fund(https://www.accessfund.org) e nel 2017 è stata nominata da Outside Magazine come una delle 40 donne che più hanno contato nel mondo dell’outdoor.
E’ anche una delle socie fondatrici di Never Not Collective, un nuovo organo di diffusione fondato nel 2017 da quattro delle più incallite donne dell’outdoor. Never Not Collective sta producendo il film Pretty strong, anche questo sull’arrampicata al femminile. Californiana ormai trapiantata a Brooklyn, NY, Shelma la si può vedere spesso scalare nei Gunks o sui terrificanti boulder highballs in Bishop.
Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
La moglie perfetta. Le producono ancora dunque, persino in Francia. Pensavo nella prossima vita di dover andare più lontano per trovare questo modello 🤪
“ Mi ha insegnato tutto e, anche se adesso condividiamo le responsabilità del capo cordata, è lui il più esperto. È inevitabile quindi che io conti sempre un po’ su di lui. Nonostante questo è sempre bellissimo scalare insieme e condividere grandi progetti e spedizioni.”
Se qualcuno ha ancora l’idea che ci siano differenze tra guide alpine femmine e maschi, si legga questa bella intervista https://www.scarpa.net/post/5d9dcf6902e58eb1ae7b23e7/chi-%C3%A8-fanny-schmutz-la-scalatrice-dagli-occhi-di-ghiaccio-con-una-passione-che-brucia-a-tutto-tondo-.html
Anno 1949. Gita sociale molto affollata della SUCAI Torino al Ciarforon. La Direzione organizza le cordate e ne affida una ad una ragazza evidentemente all’altezza. Un po’ di stupore e sconcerto da parte dei due affidati. Al termine della gita i due, felici della giornata che resterà immemorabile nei loro ricordi, si profondono in complimenti e ringraziamenti alla loro capa! Allora non si trattava di pregiudizi ma di risultati! Quella ragazza l’ho poi sposata io…
Renzo
a me molti di voi sembrano un po’ tocchi. non voglio offendervi, ma mi esprimo liberamente, senza pregiudizi. vedo che continuate a ripetere le stesse cose che tanto non sono condivise da tutti. trovo inutile dibattere su iniziative di sensibilizzazione a monte, cioè sul facilitare l’accesso di donne alla professione di guida. al massimo le iniziative di sensibilizzazione si potrebbero fare a valle, cioè sulla platea dei clienti. finchè i clienti sono composti, almeno in parte, da vecchi rompiballe come me, pochissimi clienti prenderanno guide donne. rischiate di indirizzare tante donne verso uno sbocco professionale che poi le lascia disoccupate. ma ho già detto che non si può obbligare i clienti a prendere la guida e a prenderla di un certo tipo pur per rispondere a esigenze sociali di far crescere il numero di guide donne. ben altre sono le magagne che, viste da fuori, ci sono nel mondo delle guide. quello delle donne è una faccenda marginale. io non ci starei a perdere tempo.
Matteo, a te tipicamente piace la polemica da avvocatino, un po’ fine a se stessa. Nel commento precedente leggilo come “tradizionalmente”, con significato di “fino ad ora”, e tranquillizzati.
” un modello per l’ingresso femminile in un’area tipicamente maschile”
ed ecco finalmente da una voce dal sen fuggita il nocciolo del problema.
Un po’ come per il calcio, la meccanica, la finanza e via dicendo…le donne sono fatte al massimo per il lavoro di cura (e beninteso in posizioni subordinate, come nelle varie task forces per il corona virus dove non ce n’è una!).
Senza alcun intendo denigratorio, perché, poco o tanto, maschi e femmine, tutti abbiamo dentro questa voce. Rileggete Mariana che ha detto tutto
Ok. È bello capirsi anche se non si è d’accordo. Anch’io chiudo ed esco. E ‘ stato comunque un confronto interessante. Alla prossima.Peccato pochi interventi femminili (pochi ma significativi) ma come dicono gli inglesi: “ nessuna buona azione resterà impunita “.
Roberto, e qui chiudo. Non ti frustrare, ti ho capito perfettamente, inutile ripetere le stesse cose. Io continuo a pensarla diversamente. L’articolo stesso propone un modello per l’ingresso femminile in un’area tipicamente maschile, che a me pare francamente caricaturale. Spero sinceramente che non abbia seguito qui in Europa.
Giacomo per me a volte è veramente frustrante non riuscire a farmi capire da chi vuole davvero confrontarsi. Forse sbaglio io. Ho in casa una persona che si occupa professionalmente di percorsi di carriera femminile e che è tutt’altro che favorevole alla separazione e alla ghettizzazione privilegiata. Mi ha spiegato molto bene gli effetti positivi che hanno avuto in molti ambienti le quota rosa ( che io non suggerirei alle guide alpine preferendo logiche più soft). Ovviamente sono uno strumento temporaneo che serve come acceleratore costringendo i sistemi a cambiare. Lo scopo non è solo il politicamente corretto. Come ho già detto, avendo fatto selezione e valutazione in vari ambienti negli ultimo anni, ho trovato che le giovani donne (in particolare le giovani donne meridionali che hanno studiato nelle migliori università del nord) rappresentano un potenziale elevatissimo di motivazione, determinazione, competenza e orientamento al cambiamento spesso molto superiore ai coetanei maschi. Per le organizzazioni non utilizzare questo potenziale (che spesso infatti emigra) a causa di preconcetti o di difesa di posizioni di monopolio consolidate vuol dire perdere il treno. E ‘ la favola di cappuccetto rosso dire che tutti hanno le stesse possibilità e che si guarda solo il merito. Le possibilità e gli incentivi li devi creare. Leggi il libro di Michelle Obama sulla sua infanzia e gioventù e su cosa ha permesso alla figlia di un operaio di colore di Chicago di diventare la capa dell’uomo che poi ha sposato nel megastudio legale dove lavoravano. Non è solo giustizia, è anche interesse di una società se vuole crescere e non campare di rendita rimuovere gli ostacoli e creare canali di accesso ai talenti in tutti i campi. Siamo finiti un po’ fuori tema ma non tanto. Scusa se ancora non sono riuscito a spiegarmi.
Il mio intervento era in risposta a Roberto…
Non so… Pur riconoscendo il valore del tuo interessamento alla questione, fatico a connettermi con il tuo modo di pensare. Credo che il tuo approccio al problema della parita’ di accesso a lavoro e carriere ( che innegabilmente esiste ) sia ispirato al mondo anglosassone, molto ‘enterprise’, tutto focalizzato sul politically correct, ma in definitiva poco analitico. Il rischio e’ che invece di risolvere problemi concreti, diversi per aree e situazioni, si crei una cultura della parita’ aprioristica ( di cui le quote rosa sono figlie ), che non solo non cambia la cultura laddove sarebbe necessario, ma e’ risulta anche mortificante per chi, tra le donne, vorrebbe davvero mettersi in gioco esclusivamente con il proprio valore.
vi do un parere del tutto disinteressato, tanto a me questo argomento mi intetessa poco. puo’ darsi che io non sia un test veritiero perché non mi passa per la testa l’idea di rivolgermi a una guida, uomo o donna che sia. faccip ascensioni facili e mi va bend cosi’. ma se entrassi nell’ottica di prenderla e pero’ la guida che mi “impone/propone” il sistema non mi piace, ho sempre la scelta di non prendere la guida, no? non è un obbligo, la guida, ma una scelta. se quello che c’è sul mercato quel giorno non mi piace, io preferisco rinunciare alla guida e vado a farmi una gita piu facile senza guida. per cui, se a me non piace una guida donna (per i più vari motivi personali) e quel giorno ci sono solo donne libere da impegni con clienti, rinuncio e vado con amici. a mio parere i vostri commenti sono senze collegamento con la realta’ perche’ date per scontato che uno prende la guida che trova libera: se e’ uomo prende uomo, se e’ donna prende donna. invece non e cosi. ci sono persone (clienti) che, se non trovano la guida che piace, non ne prendono un’altra. per cui magari potrebbero esistere 1000 donne guida ma essere tutte disoccupate.
Non c’entrano gli esami e il tasso di successo. Tu hai un ordine regolato che per ragioni storiche è quasi totalmente maschile. Houston we have a problem io penserei se dirigessi la baracca. Non puoi stare fermo e aspettare che le cose accadano. Magari che qualcuno faccia strumentalmente qualche campagna contro di te utilizzando un certo spirito del tempo, basta poco oggi, magari una causetta su temi di discriminazione agli esami con adeguato appoggio media e un po’ di sponda parlamentare. Certo puoi contare sul fatto che sei una nicchia e che il business è piccolo, molto locale e quasi artigianale ma non si sa mai. Meglio dimostrare con chiarezza che tu sei conscio del problema/opportunità e hai fatto tutto quello che potevi per cambiare. Senza mollare sulla qualità e sui criteri di selezione io metterei in atto delle azioni di comunicazione, di promozione, di sostegno che allarghino la base di reclutamento e la motivazione ad entrare da parte delle donne, superando alcuni elementi che potrebbero scoraggiare magari qualche candidatura valida. Poi farei comunque le mie serie selezioni senza distinzioni con commissioni e criteri a prova di bomba. Ho letto da qualche parte che i francesi si sono posti l’obiettivo di arrivare con azioni di discriminazione positiva entro una decina d’anni al 20/25 %?di donne. Le cose si possono fare, in altri campi professionali lo hanno fatto, hanno agito e hanno inserito persone validissime che hanno rilanciato l’istituzione e la sua immagine (Forze di sicurezza ad esempio) . Bisogna avere visione e anticipare i tempi e non subirli. Ma questo è un punto di vista “ingabbiato” dalla mia esperienza personale come direbbe Cominetti. Verissimo, ma è un punto di vista disinteressato e con un fondo anche valoriale e idealista.
Roberto, quale sarebbe lo squilibrio a cui ti riferisci? La percentuale di donne tra le guide alpine? E su che basi affermi questo? Dovresti provare, che le candidature femminili, pur numerose soffrono di bocciature percentualmente maggiori rispetto ai maschi. Ne hai i dati?
Addendum: mi sono dimenticato una cosa rispetto ad alcuni commenti. Se in un mercato regolato l’offerta è fatta al 98,5% dal prodotto A e dall’1.5% dal prodotto B , il cliente non si trova di fronte ad una libera scelta. Il fatto che scelga il prodotto A non vuol dire che questo corrisponda alle sue preferenze. E’ un’illazione. La controprova si avrebbe solo se l’offerta fosse equilibrata. Poiché questo “ordine” non agisce su un mercato liberalizzato ma gode di una posizione di monopolio regolata da leggi nazionali e regionali, se io fossi il vertice mi porrei il problema di agire in anticipo per riequilibrare la mia struttura prima che qualcuno sollevi il problema, magari un pugnace candidato bocciato e si sia costretti ad agire sulla base di una regolamentazione esterna. Questo è il consiglio disinteressato che darei a chi dirige la baracca. Meglio prevenire che essere costretti ad agire di rimessa, perché come diceva Pozzetto in un famoso spot quando il Natale arriva, arriva e non ci puoi più fare niente.
Amico mio di blog rischi più di Honnold!!! (o forse da brava guida hai fatto una selezione molto accurata del partner di cordata e hai un certo rodaggio in merito). Come quando guardo lui non so se ammirarti o essere terrorizzato. Un caro saluto dal Lazzaretto.
Dimenticavo. Sono completamente pazzo perché racconto a mia moglie tutto quello che faccio e che dico anche quando sono con uomini.
Anche lei lo fa con me e ci divertiamo da morire. Ma, essendo pazzi, la cosa non mi sembra strana
Pasini, bonariamente e affettuosamente, Mariana ha detto cose equilibrate ma non mi pare abbia accennato a gabbie. Le gabbie le ho tirate fuori io quando ho notato nei commenti di alcuni, l’avere passato “in gabbia” molto tempo della propria vita. Aziende, capi, classi, montagna come valvola di sfogo e tutte quelle cose lì. Con tutto il rispetto, però, in questo modo si ha una visione di ogni argomento filtrata negativamente dal proprio vissuto. Fin dall’inizio, su quest’argomento, mi sono schierato su una (secondo me) posizione realistica e soprattutto libera. Non si può fare la guida alpina vivendo ingabbiati perché non funziona. Il genere non c’entra.
Matteo, tu scrivi:
Mi pare sospetto questo affannarsi a proclamare l’assoluta purezza delle guide, che in fondo della montagna fanno ancora parte.
Forse le giovani guide stanno facendo diventare difficile la professione per le vecchie guide che stanno difendendosi in tutti i modi e con tutti i mezzi, non riuscendo a capire ed adattarsi ai cambiamenti in atto.
Sto appunto dicendo che non ci devono essere gabbie ne’muri. tutte le “guide” sono tecnicamente uguali. però è il cliente che sceglie la singola guida, non c’è imposizione dall’alto. se il cliente preferisce avere un capocordata maschio, non ci sarà ideologia che tenga. Magari lo preferisce maschio per motivi completamente diversi dalla tecnica. per certi clienti maschi, di mentalità vecchia, potrebbe essere frustrante fare da secondo a capocordate femmine. ma anche per certe clienti femmine potrebbe esserlo, perché una capicodara donna dimostra che la cliente non è riuscita a diventare ugualmente forte. voglio dire che il mercato e’ molto segmentato ma cio’che domina e’ la mentalità dei clienti non quella delle guide. Forse occorrerebbe lavorare sulla mentalità dei e delle clienti ma allora non ci sarebbe più libertà di fare alpinismo da soli. infatti se io non voglio affidarmi a una guida, che mi.importa se sono in maggioranza uomini o donne?
Scusate lo sfogo bonariamente affettuoso ma oggi persino a Canzo dopo una corsetta ai Corni mi son dovuto sedere al tavolo anticontagio per bere il caffè al solito baretto. Ma è la meravigliosa focaccia genovese che vi fa diventare così zucconi? Marianna e le altre (bel titolo di un film) non parlano di “gabbie” ma di “spazi” dove confrontarsi e scambiare esperienze senza dover fare attenzione all’immagine. Ma non è una cosa che rivendichiamo anche noi? Non è forse vero che ogni tanto ci piace starcene tra di noi e regredire in pace dando sfogo al nostro passato scimmiesco? E non è forse vero che a volte è fonte di tensione nella coppia meno esperta (primo matrimonio😊) perché le donne possono viverlo come rifiuto e abbandono? ( John Gray : le donne vengono da Venere e gli uomini da marte. Che gli dei l’abbiano in gloria, mi ha salvato dopo alcuni disastri). Ma voi raccontate alle vostre donne tutto quello che facciamo e diciamo quando siamo tra noi? Se lo fate siete pazzi. Nelle organizzazioni questa pratica fa parte del bagaglio di azioni di discriminazione positiva finalizzate a riequilibrare situazioni troppo squilibrato. Nella mia azienda era promossa persino da quei paraculi maschilisti dei miei capi (in realtà preoccupati di essere denunciati per discriminazione). Il tema dell’omosessualità maschile in montagna è troppo succulento per essere sprecato qui. Lo rimando ad un prossimo puntata della telenovela.
“Ma perche’ dovrebbero esserci dubbi sul fatto che le donne possano essere esperte, decisori ed insegnanti? “
Me lo chiedo anch’io, in effetti…ma il problema è che i dubbi ci sono e spesso sono la certezza opposta appena appena mascherata!
E qualche volta nemmeno capita:“laddove ci sono davvero, e non derivano da percezioni magari frutto di retaggi culturali”
E’ ovvio che si tratta proprio di retaggio culturale (sarebbe contro la legge altrimenti)
E Mariana ha anche provato a spiegare che spesso è anche un retaggio culturale delle donne stesse, ancora più infido quindi.
E’ un retaggio che continua a esistere nella nostra società: nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole, in politica e nei bar. E, molto forte, anche in montagna: basta entrare in un rifugio, guardare le cordate che arrampicano o contare chi si incontra sui sentieri. Per non parlare dei valligiani…
Mi pare sospetto questo affannarsi a proclamare l’assoluta purezza delle guide, che in fondo della montagna fanno ancora parte.
L’unica cosa che una donna non può fare è fecondare una donna. L’unica cosa che un uomo non può fare è concepire un figlio. Per tutto il resto è solo questione di volontà e tempo. I risultati non saranno mai uguali.
Govi santo subito.
Massettini, le considerazioni fatte a tavolino mi sembrano perfettamente le tue.
A parte pochi commenti sembra che la maggior parte di voi viva nel medioevo o comunque abbia una visione molto limitata. Ma lo sapete che quando nel nostro ambiente si parla di “guida alpina” non viene in mente a nessuno di specificarne il sesso?
Siccome ce ne sono pure gay, allora cosa dovremmo fare? Una terza gabbia che alimenti le visioni settarie di qualche retrogrado?
Thanks, Mariana!
Caro Marcello, nessuna volontà di trasformazione.
Tra le intervenute è elencata anche la ex rappresentante degli Amm del Trentino, mi pare, quindi non era solo per guide alpine. 🙂
Ma perche’ dovrebbero esserci dubbi sul fatto che le donne possano essere esperte, decisori ed insegnanti? Per me e’ qui l’errore, o meglio il preconcetto di partenza. Perche’ si parte da una percezione di ‘dubbio’? Se e’ un problema culturale dell’ambiente a maggioranza maschile, sicuramente non verra’ corretto separando le classi, anzi…
Pur ringraziando Mariana per la sua spiegazione, io resto convinto che il modo migliore di abbattere eventuali pregiudizi ( laddove ci sono davvero, e non derivano da percezioni magari frutto di retaggi culturali ) e’ di mischiare il piu’ possibili i gruppi e le esperienze.
macchè muri, le prima a essere scettiche verso le guide donne sono molte donne alpiniste. anche qui occorrerà una nuova generazione di donne alpiniste clienti che sceglieranno guide donne anziché guide uomini. per ora le donne clienti di una certa età che hanno i soldi per permettersi una guida sono di mentalità per cui preferiscono inconsciamente un capocordata maschio. ci sono sicuramente eccezioni, ma guardatevi intorno e contate le cordate guida maschio-cliente donna e confrontatele con le cordate guida donna-cliente donna. non c’è paragone. visto che sono i clienti a scegliere le guide, significa che le clienti donne tendono ancora a preferire le guide uomini, almeno in maggioranza. le giovani leve di alpiniste donne o non prenderanno proprio la guida in vita loro o forse la prenderanno fra qualche anno, quando potranno permettersela economicamente. questo sarà il vero cambiamento. le altre sono considerazioni legittime, ma teoriche, fatte a tavolino.
Anch’io ti ringrazio di cuore Mariana; con il tuo intervento mi hai risollevato la speranza e mi hai riconfermato che le donne giovani sono uno dei gruppi più rilevanti su cui fare leva nel nostro paese per promuovere i cambiamenti necessari in vari campi, lasciando loro spazio e creando specifiche opportunità perché se il processo è lasciato a se stesso è troppo lento e può produrre troppe perdite di potenziali. Purtroppo anche in altri ambiti ho sempre fatto una gran fatica a farlo capire a quelli della mia generazione che ancora detengono posizioni di potere. Ps. Ho scoperto da poco il sito Donne di montagna che si muove nella stessa direzione dell’articolo e al quale collaborano attivamente alcune delle 16 happy few.
Complimenti Mariana, con un colpo solo hai detto tutto e spiegato molto.
“E’ una cosa davvero potente che siano le donne a insegnare alle donne. Aiuta a rinforzare l’idea che noi, come donne, possiamo essere esperte, decisori e insegnanti nel mondo outdoor. […] Una dinamica di arrampicata tutta femminile amplifica la percezione che noi siamo perfettamente in grado di prendere le decisioni giuste nell’ambiente outdoor.”
Vorrei fare una breve considerazione su questo passaggio dell’articolo, forse allontanandomi dagli argomenti sollevati dai vostri commenti. Ma queste righe mi hanno colpito.Credo che qui sia stato espresso un concetto valido, probabilmente non per tutte, ma per molte donne. Con le ragazze con cui ho avuto la fortuna di fare cordata ne abbiamo spesso parlato, concludendo sempre che davvero è molto importante e arricchente condividere alcune salite tra sole donne, anche per i motivi espressi sopra dall’articolo.
E nel cercare questi momenti di condivisione solo femminile non sono mai stati occasione di erigere muri, anzi! Quando poi i ragazzi ci chiedevano perchè ci tenessimo così tanto a creare cordate femminili avevamo l’occasione di creare un dialogo che si è rivelato estremamente produttivo per saldare con loro, uomini, rapporti ancora più forti; e par far cadere tutta una serie di prgiudizi, perchè abbiamo avuto la possibilità di conoscerci più a fondo, parlando anche delle nostre differenze di Genere.
Purtroppo ancora oggi non tutte le bambine che nascono in Italia (sebbene sia un Paese “occidentale”) hanno la possibilità di diventare grandi in ambienti liberi da pregiudizi. La cultura del “non ti sporcare e fa la brava” è ancora molto radicata, spesso dunque cresciamo con la convinzione inconscia di non essere in grado di affrontare determinate situazioni (dalla carriera lavorativa al condurre una cordata in montagna). Il fatto che ci possano essere occasioni di imparare da altre donne è utile per sradicare questa idea… perchè vediamo nell’insegnante donna una “come noi”, una che probabilmente “ha vissuto le nostre esperienze”, insomma un esempio estremamente vicino a noi.(Ciò non toglie che si possa imparare moltissimo anche dai ragazzi, ovvio!)
Sarebbe controproducente se questa opportunità di incontro tra donne diventasse occasione per erigere muri, e credo che ogni qualvolta venga immaginata/progettata/creata non sia questo l’intento (o almeno lo spero).Sciuramente posso portare la mia/nostra esperienza: ogni volta che ci siamo legate in cordata femminile mai lo abbiamo fatto con intenti di esclusione, sammai lo abbiamo fatto con l’intento di crescere come donne e come persone.
Ogni donna, come ogni uomo, nel suo processo di crescita ha un suo percorso, ci saranno dunque sicuramente ragazze e donne che non si ritroveranno completamente in queste mie considerazioni, sono probabilmente le fortunate a cui non è mai stato detto “non sporcarti fa la brava”. Mi auguro ce ne siano sempre di più!
Grazia, se vuoi trasformare l’argomento dell’articolo nella solita diatriba guide alpine-accompagnatori-sanatorie-abusivismo-ecc.ecc… (argomenti peraltro trattati più volte anche da questo stesso blog) fai pure, ma certamente non renderai un buon servizio alla causa.
Le gabbie cui mi riferivo sono quelle in cui la gente si identifica o ci vuole rinchiudere altra gente. E sono pure convinto che ne nascano molte per incomprensione e troppa comunicazione incrociata. Di un’iniziativa privata il tuo Collegio magari non ne sapeva nulla, perciò non ti ha informata. Neppure io lo sapevo, ma non incolpo di certo nessuna istituzione. Poi trovo anche logico che non abbiano esteso l’invito alle AMM trattandosi di professioni ad alto rischio. Dal nome mi è sembrato che fosse un incontro al femminile su un tema finora mai trattato in Italia e proposto sicuramente non per combattere una qualche aggressione maschile che sinceramente non vedo dove stia. Sarà che ho sempre avuto un ottimo e paritario rapporto con le mie colleghe, ma, lo ripeto ancora, il “problema” nel rapporto maschio femmina nel mondo delle guide alpine non so dove stia. E non mi pare esserci neppure tra gli e le AMM. Almeno nella mia zona.
L’unica gabbia visibile è quella costruita dalle guide alpine.
Mi dispiace non aver saputo dell’evento organizzato per (poche) donne di montagna, ma non è la prima volta che il collegio non invita i propri membri è generalmente questi incontri sono creati per pubblicità personale e non per divulgare e condividere.
Non ho verificato personalmente, ma pare che il numero degli Amm sul territorio nazionale sia di circa 1.100 e che le donne siano sui 400 – questo sicuramente frutto delle diverse sanatorie effettuate negli ultimi anni.
Alla selezione a cui ho partecipato eravamo 5 su 36 è solo in 2 su 20 siamo passate.
Non entro minimamente nel merito della qualità delle varie figure di guida USA che è totalmente fuori delle mie competenze e su cui Cominetti è fonte autorevole. Solo un’informazione sui numeri che ho trovato in internet rispetto all’unico insieme credo comparabile. Le guide USA certificate IFMGA nel 2018 erano 131 di cui 12 donne. Per il resto il confronto è difficile perché mi sembra ci sia un gran casino di figure disparate certificate a vario titolo da parte di varie associazioni anche locali. Mi sembra che non ci sia nulla di paragonabile alle norme che esistono da noi. Immagino sia un bel business per le assicurazioni e per gli avvocati se le cose vanno male. In ogni caso il tema stimolo non era la comparazione tra paesi ma la questione dell’evoluzione della composizione per sesso di questa categoria. Senza per carità fare confronti inappropriati ma solo per citare casi di altre categorie tradizionalmente maschili ricordo che a venti anni dalla apposita legge e come conseguenza di una serie di azioni di sviluppo appositamente messe in atto dalle rispettive organizzazioni le donne sono il 7.2 % dell’Esercito e il 14 % della Polizia di Stato e il 35% dei ruoli dirigenziali di quest’ultima. Voci ricorrenti sulla stampa parlano di un futuro capo della Polizia donna.
Una considerazione.
Per me l’alpinismo è una attività per deficienti, gente alla quale manca qualcosa, che la mamma non ha finito: rischi, fatiche, sofferenze… tutto inspiegabilmente inutile.
Però è bellissimo.
Io stimo molto di più le femmine umane che i maschi.
O la donna alpinista è veramente straordinaria (e la loro percentuale è nettamente superiore a quella maschile) o è quasi una psicopatica: non credo assolutamente che una donna possa fare dell’alpinismo come una deficiente come lo fanno gli uomini.
E poi fare da guida agli altri … ma può benissimo fare da mamma ad altri 🙂
Forse questo è il futuro delle donne guida, almeno vedendo cosa stanno combinando i nuovi arrivati super accessoriati e super istruiti, ma abituati a vivere nella bambagia.
I maschi guida non ne saranno capaci.
A parte che sui calcoli riguardando, mi sono pure sbagliato, il succo del discorso e le proporzioni non cambiano. Voglio dire che, se guardiamo al modello USA per quel che riguarda la densità di guide di montagna donne e lo facciamo citandolo come esempio migliore, siamo fuori strada. Le nostre guide di montagna donne sono proporzionalmente di più e sicuramente meglio preparate. Stabilito (da me, lo so..) che le differenze maschio/femmina sul terreno e sul mercato in Italia, non ci siano, per me l’argomento è esaurito. Chi dovrebbe semmai lamentare problemi sarebbero le guide femmine nostrane, ma per ora solo una ha detto come la pensa. Sarebbe bello intervenisse Anna Torretta.
Cominetti, scusa l’ottusità, ma non capisco cosa vuoi dire citando questi numeri.
Non dimentichiamo poi che in Italia chi vuole farsi pagare per accompagnare delle persone ad arrampicare in falesia DEVE essere guida UIAGM/IFMGA.
Di certo noi colleghi maschi siamo contrari a ciò.. ovviamente volevo dire che noi colleghi maschi NON siamo contrari a ciò.
I clienti, potenziali e acquisiti, non vanno convinti. Lo devono essere già di loro.
A parte questo non penso affatto che le donne abbiano difficoltà maggiori a superare corsi e esami.
Per quanto riguarda il fatto, giustamente sollevato da Pasini, che spesso i giudizi da chi è esterno a un certo ambiente sono da tenere in considerazione in quanto tali, sono pienamente d’accordo e credo di averlo sempre pensato.
Ciò che in questi commenti e nell’articolo non mi piace, è che si prendono le differenze di genere come pretesto per erigere muri. Alcune mie colleghe hanno sia dei clienti di stampo super classico che altri di vario genere. Quel cambio generazionale auspicato da Crovella secondo me c’è già stato.
Riferendomi all’articolo, negli Usa le guide donna appartenenti alla AGM sono molte perché i corsi sono facilissimi e l’accesso avviene tramite presentazione e senza selezione. Su 250 milioni di abitanti degli Usa le donne sono ca 250. Il 10% della popolazione. In Italia siamo 60 milioni e le guide donna in attività sono ca. 20, percentualmente molte di più che negli Usa. E qui hanno il titolo Uiagm/Ifmga tutte e 20. Negli Usa le donne guida Ifmga sono 2.
Non amo le statistiche ma so che con certi funzionano. Per questo le cito.
Che le donne guida si coalizzino e organizzino tra loro è una bella cosa. Di certo noi colleghi maschi siamo contrari a ciò. Non dimentichiamo che questo aspetto ha un risvolto mediatico che si può cavalcare senza infamia.
“Ma davvero ancor oggi è più difficile superare gli esami da guida alpina se sei donna? ”
Questo non lo so, però siccome pare che qualche volta sia più facile superare gli esami se si viene da un certo posto piuttosto che un altro non ne sarei così stupito…
Questo possono dirlo solo le donne, non certo noi maschi.
Ma davvero ancor oggi è più difficile superare gli esami da guida alpina se sei donna? visto il tutto dall’esterno io direi di no, ma è rilevante la testimonianza di chi è direttamente coinvolto. La fase successiva, ovvero la competizione/concorrenza fra professionisti… fa parte della vita. Ci saranno guide donne capaci di “convincere” i clienti (a loro volta maschi o femmine) ed altre no. Lo stesso vale fra le guide uomini. Non penso che si possa imporre per legge che il cliente è obbligato ad assoldare una guida femmina, anche se l’idea non gli va… se il problema è una certa ritrosia delle generazioni anziane di clienti maschi ad affidarsi a guide donne in montagna… bhe non c’è che da aspettare, con uno o due cambi generazionali il tutto si sistemerà.
Certe reazioni apparentemente strane non mi meravigliano. Le donne a volte per conquistarsi il posto che giustamente spetta loro devono vincere ostacoli interni (noi abbiamo altri tipi di problemi). Può succedere anche a donne di grande carattere, competenza e responsabilità. Anch’io ho fatto la guida, non in montagna, ma nel mondo del lavoro, un mondo ugualmente duro e pieno di rischi e di pericoli. Alle mie clienti che ho cercato di aiutare a spiccare il volo (“Paura di volare” un libro che tutte le mie coetanee avevano sul comodino) ho sempre consigliato di leggersi il libro di una donna moderna di grande spessore Sheril Sandberg “Facciamoci avanti”. Ogni giovane donna dovrebbe secondo me tenerlo sul comodino oggi insieme al libro di Michelle Obama (entrambi mi sono stati consigliati da donne per capire certe cose di loro che facevo fatica a comprendere). Siamo tutti esseri umani e certe resistenze si possono verificare anche in chi per mestiere aiuta gli altri a superarle. Si chiama appunto supervisione reciproca, una pratica utile a chi esercita certi mestieri. È anche il tema dell’articolo. Forse le donne sono più brave a guidare altre donne nella wilderness della carriera. Nel lavoro io ci ho provato con onestà ma spesso mi sono reso conto dei miei limiti. E adesso chiudo perché ho detto anche troppo.
Forse quello che Cominetti e Favé vogliono dire è che le donne guida si guadagnano sul campo il rispetto dei colleghi maschi, grazie agli altissimi requisiti necessari per accedere alla professione.
In altre parole: dimostra che sai superare delle prove fisiche e di carattere (valori tradizionalmente maschili), per di più in ambiente ostile (la montagna), e allora sarai rispettata.
Beh, tante grazie!
In questo senso, non mi sembra poi così fuori luogo il paragone “militaresco” con un qualche corpo speciale delle forze armate.
Comunque, guide o non guide, mi sembra che l’articolo sia incentrato sulla dinamica dove in un “ambiente formativo” interamente maschile (dai “docenti” agli “allievi”) sia presente una sparuta minoranza di donne, o addirittura una sola donna.
Se le donne sentono il bisogno di avere ANCHE un ambiente diverso (cioè fra donne), mi sembra sacrosanto ascoltarle, rispettarle e, soprattutto, rifletterci.
Ben lungi da me il tribunale visto che è una causa che mi vede molto a favore. Io sono convinto che le differenze esistano (non superiorita’ ma differenza), che siano una cosa positiva e rappresentino un potenziale per allargare la presenza femminile in questa comunità professionale con vantaggi per tutti clienti e fornitori. Sono anche convinto che lo squilibrio attuale in Italia nel 2020 debba essere superato e lo sarà inevitabilmente per l’evoluzione della società come accaduto in altre professioni, ma il processo sarà troppo lento se non si faranno delle azioni di “discriminazione positiva” come quelle proposte dalle americane. Ma forse sono rimasto un inguaribile idealista. Non importa. Continuerò a battermi per cause che ritengo giuste anche se non mi riguardano personalmente.
Roberto, eviterei i modi da tribunale, forse qui viene postato il vero pensiero, mentre su Donna Moderna e al convegno si preferisce fare marketing… E in ogni caso sulle presunte superiorita’ ( curioso che si persegua un un obiettivo di parita’ cercando dei punti di superiorita’!) bisognerebbe forse chiedere ai clienti…
E se non esistono differenze di genere perché avete fatto questo convegno su un tema
non esistente l’anno scorso? E ovvio che i requisiti di base sono uguali ma non mi pare che di questo abbiate parlato. O mi sbaglio e avete fatto un convegno per dire che le differenze non esistono?
O,1- DIFFERENZE DI GENERE NELLE PROFESSIONI AD ALTO RISCHIO
organizzato da Donne di montagna
Quindi se l’è inventato la giornalista?
Aggiunge Marica Favè, classe 1973, ex campionessa di sci, guida dal 2009 tra le Dolomiti. «Tra guida e cliente ci si aiuta. Loro si lasciano indirizzare, tu devi dare fiducia nei tratti più impegnativi. E noi donne abbiamo più sensibilità per capire le paure e accettare le debolezze».
Sono donna e sono guida alpina (UIAGM). Credo che come in nessun altro campo professionale l’essere maschio o femmina conti così poco. I requisiti sono e devono essere gli stessi. Preparazione, sicurezza, atteggiamento… La montagna per salire non ti chiede il “gender passport”. Poi sarà il cliente che sceglierá la sua guida, maschio o femmina, brutto bello, sensibile duro, alto basso…
Caro Cominetti , la guida alpina è un mestiere come altri e un business, normato da leggi, che comporta l’appartenenza ad un albo, un percorso formativo certificato etc. Per qualcuno è anche una vocazione come per i medici, gli avvocati etc. Certamente chi lo esercita ha una consapevolezza maggiore di chi lo vede da fuori. Tuttavia chi sta fuori e un po’ conosce ciò di cui si parla può a volte vedere alcuni aspetti con più freddezza perché meno coinvolto e perché può avere categorie di analisi di ordine generale che possono far percepire connessioni non sempre evidenti a chi ha una visione approfondita ma meno comparativa. È il motivo per cui le organizzazioni assumono i consulenti che possono anche vendere aria fritta ma se sanno fare il loro mestiere possono dare un valore aggiunto che poi sarà chi vive sul campo a utilizzare. Io ho fatto il consulente per una buona parte della mia vita professionale, credo con coscienza, e a volte mi hanno fatto capire cose sul mio mestiere persone che facevano tutt’altro e mi hanno magari stimolato a fare riflessioni che io da solo non avrei mai fatto. Io non intervengo mai su questo blog su questioni tecniche, perché non sono all’altezza come alpinista e corridore della domenica. Propongo solo temi con implicazioni di tipo organizzativo sulle quali penso di poter dare qualche contributo che magari stimola la riflessione di qualcuno. Certamente posso prendere cantonate e dire cazzate, ma lo faccio in buona fede. Ho proposto questo tema alla redazione proprio perché speravo di stimolare la discussione tra i protagonisti del settore su un tema intrigante non solo sul mestiere di guida ma anche sulle differenze di genere in montagna. Vediamo come procede. Ci abbiamo comunque provato.
No, unfortunately I don’t. Però ti ringrazio per lo spunto, visto che interessa anche a me. Mi informo e ritorno da te.
Per il resto, penso che stiamo vivendo un periodo storico caratterizzato sugli eccessi e, presto o tardi, tutto avrà una giusta forma. Di conseguenza trovo utile andare a caccia di tendenze solo se si punta a far soldi, altrimenti mi sembra più giusto che ognuno di noi metta in luce i propri talenti.
Mi viene da dire: vi lascio nel vostro brodo. La qualifica americana AAMG equivale al socio del Club bocciofilo in quanto a requisiti richiesti per accedervi. A parte questo devo dire sottolineandolo che gli/le accompagnatori di media montagna e le Guide Vulcanologiche pur appartenendo allo stesso Collegio delle guide alpine, svolgono una professione che non li pone certamente al livello di sensazioni e tecnica dell’alpinismo. Non voglio sminuire nessuno ma vorrei che le differenze fossero chiare a tutti.
Finché non interverrà una guida alpina donna continueremo a supporre e discutere di aria fritta. Io che sono una guida alpina ho praticamente finito gli argomenti, cercando di chiarire aspetti che chi guida non è non conosce, figuriamoci dove vogliamo andare?
Ottima questione Grazia. Hai qualche dato sulla distribuzione tra le varie figure ? Ho cercato in internet ma non sono riuscito a trovarli. A mio parere la risposta alla domanda che l’articolo pone rispetto alla categoria specifica “guida alpina” in Italia dipenderà da tre fattori: 1. Azioni di discriminazione positiva messe in atto dalla categoria per scelta o costrizione esterna (tipo quote rosa) 2. Evoluzione della composizione per sesso ed età della clientela di questo segmento 3. Evoluzione delle domanda: tipo di salite/attività verso le quali la domanda si muove. Ovviamente nel breve cambierà poco nel nostro paese, ma gli eventuali cambiamenti avverranno al salto generazionale. Avrai notato che il corso è per Single Pitch Instructor: ho la sensazione che le americane la sanno lunga sul marketing e sulle strategie di penetrazione. Partire basso, rinforzarsi e poi da lì espandersi verso nuove fasce di mercato, come ad esempio le giovani donne di colore. Per curiosità guardati il sito personale dell’autrice. Gente tosta su tutti i fronti e che sa come si arrampica ma anche come si fa business e si conquistano spazi nelle organizzazioni.
Caro Roberto, riferendomi al tuo chiamare in causa le “16 happy few », è vero che l’articolo citava le guide alpine, ma del collegio fanno parte anche le guide vulcanologiche e gli accompagnatori di media montagna (come me), per non parlare di tutte le altre figure che orbitano in montagna.
Proviamo un po’ a estendere il titolo di guida anche a chi guida alpina non è? 🙂
Certo che esistono già oggi le guide (m/f) che cavalcano i trend modaioli, ma da esterno (ricordo che io NON sono guida e quindi esprimo solo delle “sensazioni”, però rivordo che sono un istruttore titolato da circa 40anni per cui portar gente in montagna non mi è del tutto sconosciuto, seppur con un appriccio diverso da quello delle guide), da esterno, dicevo, ho l’impressione che sarà sempre più così. Avranno molta platea (e quindi molto successo) le guide capaci di cavalcare le mode, a prescindere dal fatto che siano uomini o donne, mentre tenderanno ad estinguersi le guide più classiche, quelle cui ti affidi per fare in sicurezza un qualcosa di sfizioso, tipo un 4000 un po’ rognoso. Questd ultime tenderanno a sparire perché diventeranno sempre meno numerosi i loro corrispondenti clienti. Fra questi potrei rientrare, in linea teorica, io. Viceversa saranno sempre più numerosi i potenziali clienti di iniziative che io considero incomprensibili. Per esempio c’è una guida torinese che ha saputo (e bisogna fargli i complimenti da un punto di vista professionale) catturare l’esigenza di chi vuole essere progressivamente preparato fino ad arrivare a partecipare al Trofeo Mezzalama. In pratica questi clienti pagano per avere un personale trainer sul terreno, sci ai piedi. A parte il fatto che tutto ciò a me appare incomprensibile (se vuoi allenarti hai davvero bisogno di uno che ti batta il tempo???), si tratta di un’iniziativa (di successo) che prescinde dal fatto che la guida sia maschio o femmina. Buona serata a tutti!!!
Il tema della gabbia è interessante e molto sentito da noi che in questi giorni viviamo in una piccola gabbia, per proteggere noi ma anche gli altri. Per tornare al tema è storicamente accaduto che le minoranze per farsi strada in ambienti dominati da altri, nella fase iniziale si siano chiuse in gabbia per proteggere i loro membri meno individualmente aggressivi e capaci di difendersi. Poi nel tempo avendo ottenuto una certa forza e rispetto da parte della maggioranza dominante le gabbie di sono aperte e le persone della minoranza hanno trovato la loro strada. Questo è successo nell’emigrazione italiana ad esempio in certi paesi. È anche successo e può succedere che qualcuno preferisca rimanere al calduccio rassicurante della sua gabbieta e del suo ghetto. Questo è il rischio della strategia di cui di sta parlando. Peccato non intervenga nessuna delle 16 happy few.
Vivere in gabbia fa vedere tutti rinchiusi in gabbie ben distinte.
Grazia, comunità professionali equilibrate nella loro composizione rispetto a tutte le diversità sono una garanzia per tutti, clienti e fornitori.Anni fa, anni 80, una mia amica fu oggetto di attenzioni non proprio professionali al ritorno da una salita da parte della sua guida. Lasciò perdere perché non erano i tempi e non voleva rovinare l’uomo padre di due figli. Mi informai discretamente avendo rapporti con la locale comunità delle guide ( tutti maschi fino a pochissimi anni fa) venni a sapere che l’abitudine dell’uomo era nota ma sollevava tuttalpiù qualche sorriso indulgente. Oggi i tempi sono cambiati e penso questo non succederebbe più ma non si sa mai, meglio prevenire con un sano equilibrio dei generi e delle diversità: tutti si danno una regolata, diventano più tranquilli e tolleranti e tutti ci guadagnano (salvo i cialtroni che ci sono e ci saranno sempre da entrambe le parti, ma la loro percentuale scende se il contesto sfavorisce e punisce quando necessario. Adesso devo proprio andare. Dicono che noi over 65 dovremmo avere sostegno familiare in questo momento ma a me sembra il contrario: siamo noi a sostenere il sistema delle famiglie in crisi per chiusure e restrizioni😇
D’accordo con il commento 29 di Matteo.
Ribadisco l’importanza all’apertura e al rispetto (qualità che nell’ambiente in cui vivo e lavoro non sono per nulla scontate) verso il nuovo, siano donne o uomini.
Per il resto penso che anche gli uomini guide siano capaci di attenzione ed empatia e che il non mostrarle talvolta è solo frutto di abitudini consolidate. Per mettere in risalto e mantenere doni e qualità ci vuole allenamento.
Ricordo in particolare uno scambio avuto con una guida etnea (“ga”), che maltrattava i genitori disperati che attendevano il ritorno del loro figlio che da 3.000 m si era avventurato in sandali verso i crateri attivi. Quando l’ho invitato a dare loro attenzione, ascoltandoli e rassicurandoli, si è inalberato rispondendomi che non dovevo insegnargli niente. Ho commentato dicendogli che gli stavo solo ricordando i suoi doveri di guida e montanaro, che evidentemente aveva dimenticato.
Sebbene pensi che ascolto e attenzione siano alla base di qualunque relazione in qualunque campo lavorativo e non, ci saranno sempre guide burbere ma super in gamba nell’accompagnare e guide-animatori scarsi tecnicamente, al di là del genere. Ed esiste un pubblico ampio che ama questi ultimi ed uno più ristretto che preferisce i primi, ma questo non deve indurre i professionisti a diventare forzatamente clown solo per l’amor del guadagno facile.
Roberto, anche questo articolo è interessante. Mi è successo di essere bistrattata da clienti in presenza di colleghi che hanno taciuto, ma la prima cosa che ho fatto è stata relazionare l’accaduto all’agenzia che mi aveva passato il lavoro.
Per Cominetti: non era un confronto coi militari. Per carità, anche se quando ho fatto io la Parravicini lo stile era quello. Mi riferisco ai vari strumenti che sono stati utilizzati per riequilibrare la composizione di comunità professionali monosesso,a volte con effetti paradossali come in magistratura fino al 1973 soli uomini e ora a predominanza femminile (tranne che nelle cariche apicali ma è questione di tempo).
Per Crovella. Per ragioni di storie matrimoniali, amicali e in parte professionali ho fatto e faccio vita sociale nel mondo della psicologia e della medicina e mi piace osservare comportamenti e approcci, ma non vorrei cadere in discorsi da bar basati su “evidenze anedottiche” come dicono gli accademici e preferisco rimandare agli articoli apparsi recentemente sul tema specifico. Ciao
Una volta le guide alpine proponevano attività sulle creste, mentre in futuro proporranno attività sulla cresta (dell’onda). Sarà davvero cosí?
O tempora, o mores! 😥😥😥
Per gli appassionati dei deliri (astenersi Cominetti). Questo era in realtà l’articolo che avrei voluto tradurre, ma era troppo lungo per il blog. Mi piaceva tanto l’attacco : “chiamami papà” dice un anziano cliente alla sua giovane guida che non lo manda a fare in c….perché è molto professionale e ha imparato a gestire la situazione. Chissà se a qualcuna delle guide maschio che leggono è mai capitato una cliente che gli ha detto chiamami mamma? Mi hanno raccontato amici di episodi di tentata seduzione (spesso generosamente e gioiosamente ricambiata ma non fatturata) ma il chiamami mamma mai nessuno me lo ha raccontato.
https://www.climbing.com/people/freedom-of-the-hills-guiding/
Le guide alpine “modaiole” simil-animatore da villaggio turistico, ci sono già. Come ce ne sono di molti altri tipi, per fortuna. Così ognuno può scegliere. E per favore non paragonateci ai militari e alle Aziende. Faccio la guida per sentirmi libero e avendo pure fatto l’ufficiale nell’Esercito, so di cosa parlo. Peace and love.
Credo anch’io che il futuro delle Guide Alpine non sarà delle donne.
Ma, come in tutti i campi che mi vengono in mente, sarà un futuro molto migliore se sarà anche delle donne e non solo.
Cosa che però al momento pare ancora molto distante.
Anche per me (che NON sono guida) la risposta è no. Nel senso che contano le caratteristiche della persona, maschio o femmina che sia. Ci saranno guide femmine “con le palle” e guide maschi da retrovia. Ma non è solo una questione di capacità tecnica. Ho il timore che conterà sempre di più l’aspetto modaiolo: avranno successo, fra il pubblico, quelle guide (m/f) capaci di proporre attività sulla cresta dell’onda in termini di preferenze del momento.
———–
PS: commento 22: che significa: donne impegnate nei servizi di cura alla persona che ho avuto modo di confrontare con i loro colleghi maschi
Visto il delirio torno a bomba alla domanda che pone il titolo dellarticolo: il futuro della guida è donna? La mia risposta è: no. I motivi li ho già spiegati.
Mentre leggevo l’articolo il mio sorriso si allargava sempre di più pensando a tante situazioni in cui mi sono trovata.
In tanti anni di collaborazione con colleghi uomini, sono stata sempre felice d’esserci in quanto complementare alla loro funzione (sottolineo che non parlo di mancanze).
Essere in empatia non equivale a farsi psicoterapeuta, anche perché nessuno di noi ne ha le competenze, a meno che non abbia percorso un iter di studi appropriato, e i clienti non lo pretendono.
Sicuramente amo ascoltare, ma anche interloquire e passare i messaggi che mi stanno a cuore (amore per la natura-noi siamo natura- stili di vita sostenibili-selvaticità-sicurezza in montagna-presenza-e chi ne ha più ne metta).
Questo articolo farà sicuramente arrabbiare qualcuno ma nella tradizione di Totem e Tabù può stimolare la discussione nel suo estremismo. Dicono che sia ricavato da interviste ai clienti.
https://mountainplanet.com/why-women-guides-are-better-than-male-mountain-guides
Ricordo che il secondo tema dell’articolo di partenza è quello dei modi per raggiungere un maggiore equilibrio nella categoria. Aggiungo che ogni comunità professionale mono-sesso o quasi (maschile o femminile che sia) ha anche un rischio esplicito come insegna il caso del clero cattolico: quello di essere più disponibile a coprire i comportamenti non sempre corretti di alcuni suoi membri. Io sono vissuto in una comunità professionale in passato prevalentemente maschile e ricordo bene che tendevamo a sottovalutare quando le colleghe, prevalentemente single a causa dei carichi e delle modalità del lavoro, si lamentavano di alcuni comportamenti sgradevoli di clienti, o colleghi, magari nelle lunghe trasferte fuori sede, e a volte tendevamo ad attribuirli a loro errori o ingenuità. Negli ultimi miei anni di lavoro la situazione si era riequilibrata, anche grazie a una serie di azioni compiute dalle aziende del settore in ambito di reclutamento, formazione, codici etici, condizioni di lavoro: c’era una maggiore attenzione di tutta la filiera sia nel linguaggio, sia nei comportamenti, sia nell’attenzione ai bisogni delle colleghe madri sia nell’intervenire su colleghi maschi poco attenti ad alcuni aspetti della relazione. Se non si fa nulla, magari forzando un po’ come è ad esempio successo nelle forze di polizia o nei militari, i tempi del cambiamento diventano lunghissimi.
Entrare in empatia con gli “altri” è strettamente legato al come gli “altri” sono e a com’è la guida, maschio o femmina che sia. Questo aspetto è quello che da sempre mi ha interessato maggiormente nello svolgere la mia professione e quindi credo di averlo sviluppato e approfondito abbastanza da poter dire che non ci sono differenze in termini di genere. Volutamente non metto pazienza nel rapportarmi al prossimo per fare immediatamente, a volte sbagliando, una selezione. In pratica, dopo tanti anni, non ho più voglia di fare lo psicanalista, voglio fare l’alpinista, il trekker, l’esploratore, lo sciatore e semmai l’intrattenitore suonando la chitarra e bevendo birra, ma sentirmi riversare addosso i problemi altrui e dovervi trovare una soluzione scalando le montagne mi piaceva quando ero giovane e ora mi fa letteralmente orrore. Analizzerei, in termini di differenze, gli anni di servizio e esperienze vissute (chissà cosa dirà Merlo ora…) più che la questione maschio-femmina che personalmente credo di avere superato almeno 30 anni fa.Unico mio rammarico è l’avere smesso di fare l’istruttore quando ero ancora giovane e potevo trasmettere agli allievi una piccola parte dell’esperienza che poi ho accumulato in seguito e che in età matura è stata più significativa perché filtrata dal personale vissuto e da conoscenze sempre più vaste e complete. Occhio che non intendo dire che ho scoperto “tutto”, anzi, il percorso di approfondimento e scoperta delle montagne e delle persone lo considero infinito e quindi sono ancora in cammino…Gli istruttori giovani di oggi mi sembrano dei veri draghi in tema tecnico (io non lo sono mai stato e eccellevo semmai in carenze nel soccorso) ma fanno tenerezza dal punto di vista empatico proprio perché tendono al babysitterismo e alla sottomissione verso il cliente nella paura di perderlo. Sono degli Zelig accondiscendenti (ovvio, non tutti, ma in molti si) che hanno in pugno la situazione solo dal punto di vista tecnico e molto poco da quello umano e di “guida”.
Ma mi accorgo di essermi già allargato troppo, quindi vi saluto.
È indubbio che, in linea generale, le donne siano più abili nell’entrare in empatia con gli altri e nella comprensione di difficoltà e disagi, ma queste non sono le uniche caratteristiche richieste a una guida. Come scriveva Marcello, ciò che rende una guida diversa dalle altre è la sua unicità (se è in gamba tecnicamente, se è attento ai bisogni e alle difficoltà, se è appassionato, etc) e sarà questo che attirerà un pubblico diverso da un suo collega.
Chiaramente mi è successo che i miei ospiti fossero titubanti nell’essere accompagnati da una donna, ma la mia fermezza e la sicurezza sul campo hanno portato fiducia, che si è trasformata in stima.
Penso anch’io che porre etichette su generi e gruppi sia limitante, ma anche che l’apertura di una realtà (in questo caso il mondo delle guide), che è stata a lungo dominata dagli uomini, richieda tempo e volontà da parte di tutti.
Le guide alpine donne naturalmente hanno tutta la mia stima, vista la difficoltà dei corsi e degli esami, ma provo lo stesso sentimento nei confronti degli uomini che hanno raggiunto lo stesso risultato, al di là delle caratteristiche personali.
Oggi qui nel Lazzaretto e’ una giornata un po’ critica. Rispondo per ora in modo veloce. Il tema della leadership al femminile è molto intrigante. La diversità di approccio è rivendicata dalle stesse guide donna. Vedi ad esempio interviste su Grazia e libro citato nell’articolo. Quando ho letto questa cosa non mi sono meravigliato. Ho conosciuto per ragioni professionali molte donne in posizione di leadership in vari ambiti organizzativi sia italiane che straniere e due di queste le ho avute come capo, una italiana e una americana. Per ragioni personali ho frequentato, a volte anche di più che frequentato, donne impegnate nei servizi di cura alla persona che ho avuto modo di confrontare con i loro colleghi maschi. Fatte salve le differenze individuali di cui parla giustamente Cominetti (ci sono anche donne che per farsi accettare ricalcano i peggiori modelli maschili) , ci sono mediamente delle sensibilità diverse. Ho fretta e riferisco solo quello che mi disse una donna italiana piuttosto importante che i suoi chiamavano “la cinghialessa” e che era specialista nelle dure trattative sindacali a livello nazionale lei da parte imprenditoriale “quando voi uomini vi incazzate urlate e fate il culo ai collaboratori, nessuno si scandalizza e poi tutti amici come prima, a noi donne quando ci arrabbiamo e o poi perdiamo il controllo può scappare la lacrimuccia emotiva , ma ti rendi conto cosa penserebbero di me se mi succedesse in riunione?” Sarebbe bello che su questi temi intervenissero però le poche amiche di blog. Forza fateci capire meglio anche a noi, non siamo proprio così trogloditi e maschilisti come a volte il nostro stile di comunicazione può far pensare. Ciao
per Pasini commento 19: ma cosa intendi? che le guide donne sono più “materne” verso i clienti? E’ un a curiosità genuina. Io non ho mai avuto a che fare, professionalmente, con guide, né maschi né femmine. Cioè non ho mai “assoldato” una guida in vita mia (ma non si sa mai…). anche perché mi adatto alle performance, fisiche e mentali, della mia persona: quando hanno iniziato a calare, ho fatto calare il livello di impegno. Ma ho conosciuto decine di guide, molti uomini, alcune donne. Le ho incontrata in giro, nei rifugi, agli attacchi delle vie, in vetta. Da osservatore non ho mai notato un atteggiamento diverso in termini di rapporti umani verso i loro clienti, ma è molto probabile che si tratti di una mia pecca di osservazione. non riesco neppure a focalizzare bene il concetto (in che cosa si incentra questa differenza di comportamenti umani con i clienti), ecco perché chiedo lumi. E’ un punto di riflessione interessante e innovativo. Grazie mille!
Anche nei maschi ci sono diversi modi e sensibilitá con cui porsi verso i clienti. Dividere in generi standardizzandoli i modi di porsi di guide femmine e maschi mi sembra un limite. Ognuno è diverso, specie in un ambito in cui le caratteristiche individuali sono peculiari. Auspicherei semmai delle istruttrici ai corsi guida. Mi spiace che Torretta e Caserini non ce l’abbiano fatta per pochi punti ma sará successo anche a tanti colleghi maschi di non passare. D’altronde i corsi/esami per gli istruttori/ici non sono affatto facili, e meno male che è così.
Caro Cominetti sono sicuro che non hai fatto discriminazioni, non è questo il tema, ma prova ad esercitare una capacità sicuramente più sviluppata nelle donne che non in noi uomini: l’empatia e l’ascolto (non dirmi che non te l’hanno mai detto le tue compagne perché la mia ammirazione per te sarebbe infinita, visto che a me l’hanno sempre detto nonostante sforzi sinceri e varie esperienze matrimoniali). Tu poni il tema in chiave di prestazione : le curve fatte benissimo su neve difficile, il 6b con poca luce. Le tue colleghe di qua e di là dell’Oceano, leggi anche l’articolo di Donna Moderna, mettono l’accento sulle differenze nel modo di impostare la relazione. Un po’ di anni fa una mia amica andava ad arrampicare ogni estate con una delle tue colleghe che hai citato. Un’estate io e il mio socio del tempo, compagno temporaneo dell’amica in questione, andammo con loro in Bondasca a fare un po’ di vie. Ricordo bene che notai subito, anche se ero meno attento di oggi, la differenza nel modo di impostare la relazione, rispetto alle guide uomo che conoscevo e di cui ero anche amico. E bada bene non ho detto migliore ma diverso, nel linguaggio, nelle sfumature, nella gestione delle debolezze e via cantando. Forse nelle nuove generazioni di guide giovani queste differenze si sono attenuate, ma comunque esistono innegabili sensibilità diverse tra uomini e donne nell’esercizio di professioni che hanno una componente di aiuto e supporto alle persone. È evidente poi che una comunità professionale quasi totalmente maschile, a prescindere dai comportamenti corretto dei singoli, può avere magari senza rendersene conto un effetto di “intimidazione” in soggetti diversi che vorrebbero entrarvi (attenzione l’articolo non parla solo di donne ma anche di altre minoranze sessuali e qui il discorso diventa veramente delicato) e tende ad autoselezionare personalità molto forti anche rispetto alla media dei colleghi uomini lasciando magari fuori persone altrettanto valide ma magari meno assertive. Ecco perché alcune sostengono l’idea di un canale femminile di ingresso in modo da riportare in equilibrio la situazione. Una soluzione temporanea un po’ come le quota rosa destinata a favorire il cambiamento nelle situazioni di squilibrio. Io non sono una guida ma conosco altri campi professionali dove questa strada sta cominciando a funzionare.
Cominetti, sono amico di Renata da quando eravamo giovani, ma anche di Palma da molto prima e conosco altre guide donne che stimo profondamente.
Forse mi vuoi far dire cose che non penso assolutamente, ma magari mi hai frainteso.
Marcello, allora appunto come istruttore hai la memoria corta, o come stanno facendo in molti con Urubko stai censurando.
Ma essendo io fuori gioco sono completamente disinteressato, ogni tanto metto qualche piccola postilla.
Per parlare di cose serie, mi sai dire come sta Maurizio Giordani, mi han detto che ha avuto un grosso problema fisico.
Spero che almeno in questo triste caso non ci sia nulla di vero.
Ho fatto per un decennio l’istruttore ai corsi guida e, anche se sono passati un po’ di anni, non ricordo di disparità di trattamento o dei “casini” cui accennava Panzeri (che con l’ultimo messaggio ha avuto un’inaspettata caduta di stile, perché il mondo dello spettacolo non ha nulla a che vedere con quello delle guide alpine). Frequento per lavoro e amicizia diverse guide donna, anche straniere, e mai e poi mai si è trattata nessuna situazione da maschi a femmine e viceversa. Il valore di ognuno e la sua competenza prescindono dal suo sesso e mi sento di dire che quello delle guide alpine è uno dei pochi ambienti in cui questa differenza non si sente affatto.
Per tradizione e costume il mestiere di guida di montagna è stato iniziato dai maschi, e non sto qui a fare sproloqui retroattivi su cosa sia o meno stato giusto o sbagliato in passato perché è già accaduto, ma guardando all’oggi e al futuro non vedo differenze tra guide femmine o maschi. Per quanto riguarda la scelta da parte del cliente, è e resta cosa a sua totale discrezione. Non si può costringere il cliente a scegliere quello che noi vorremmo. La scelta sta a lui (o a lei) e basta. Con Marika Favè due inverni fa guidavamo nelle Dolomiti 8 scialpinisti dello Utah molto esperti, nati e cresciuti in montagna in un raid di una settimana. Dopo la prima salita eravamo in cima alla prima discesa e la neve era ventata e difficile da sciare. Parte Marika e pennella delle curve perfette fermandosi in fondo a un pendio a guardarci. Io, che stavo ultimo, dico al gruppo di non farsi ingannare dalla tecnica perfetta di Marika perché la neve è tutt’altro che facile. Mi guardano e si fanno una grassa risata prima di partire tutti assieme e… alla prima curva cadono tutti a 4 di bastoni. Marika in quel momento si è guadagnata il rispetto assoluto di tutti quanti (anche il mio ulteriore perché già ne avevo molto verso di lei) e i giorni seguenti sono filati lisci come l’olio e soprattutto verso Marika c’è stata una riverenza umana, tecnica e di consapevolezza delle sue doti tutte, che i componenti non hanno dimenticato facilmente.Sarà una decina di anni fa quando in autunno ci avventuriamo in 4 amici tutti guide lungo una via sul Sas Pordoi che si chiama 5 Giorni un’estate. Io ero legato con Nadia Dimai. Avevamo attaccato tardi perché faceva freddo e le ore di luce erano quelle che erano. Mancava un tiro di 6b all’uscita e l’oscurità ci aveva già avvolti. Non avevamo torce elettriche e Nadia si è fatta quel tiro da prima (andavamo a comando alternato) di corsa al bui che ancora oggi mi tolgo il cappello pensando a come ha fatto. E ne potrei raccontare tante altre con Doerte Pietron, Giulia Monego, Cecilia Buil, Renata Rossi…. donne in gamba, guide ineccepibili e caratteri decisi! Mai fatte distinzioni. E non credo di essere l’unico a pensarla così.
Penso che un gruppo di lavoro composto da sole donne, quando è solido, va più lontano di uno di soli uomini.
D’altro canto, i migliori ambienti lavorativi sono quelli misti, proprio perché valorizzati e animati dall’apporto di entrambe le parti.
Gli ambienti con sole donne possono diventare pesanti da vivere per le inutili competizioni che talvolta si instaurano e quelli maschili possono essere troppo spartani e duri (a 2.900 m sull’Etna non regnano sovrane accoglienza e gentilezza).
In quanto donna, che per di più è guida (anche se non alpina), sono sempre felice per le presenze femminili, anche se nella mia esperienza non sempre sono state sintomo di alleanza e comprensione.
Prima di dire la mia, vorrei sapere da voi che esercitate o avete esercitato la professione di guide, se esiste un problema di “vocazioni” o effettivamente il retroterra maschile fa da argine.
È una questione di cultura nazionale. In USA ci sono 280 guide donna, sicuramente puntano su una clientela femminile ma non campano solo su questa. In quel contesto è molto più accettato avere un capo donna, magari anche più giovane di te, persino sotto le armi e quindi non è un problema affidarsi ad una donna in montagna, anche se in altri articoli sono stati denunciati episodi di sessismo e di paternalismo da parte di clienti.
Non voglio essere volgare, ma troppo spesso le donne da noi utilizzano per lo più le loro “doti fisiche” per raggiungere il successo.
Per esempio ho notato con disappunto che tutte le “grandi” e osannate attrici nostrane di questo millennio hanno iniziato la carriera artistica recitando in film a dir poco osè.
E ricordo vagamente un grosso “casino” nelle guide, ma di anni fa.
Per fortuna abbiamo anche parecchie donne di alto valore intellettuale, ma anche grandi atlete.
Io non credo che sia proprio sempre e così: nei settori innovativi, dove non ci sono rendite di posizioni di tipo ereditario e familiare, vedo che le donne sanno conquistarsi lo spazio senza essere necessariamente protette dalla legge. Nei settori tradizionali magari non è ancora così, ma il segreto non è creare delle riserve indiane a tutela delle donne, bensì incidere sulla mentalità maschile. Certo quasi sempre occorre aspettare il ricambio generazionale. Infatti è difficile che un maschio sciovinista 60-70-80enne possa dall’oggi al domani accettare un amministratore delegato donna. Ma suo figlio lo accetterà. Invece le quote rosa mi intristiscono, non sono una vittoria delle donne, per me sono l’accettazione che, essendo categorie deboli e inferiori, devono essere protette. Se fossi una donna mi sentirei umiliata dalle quote rosa. Cmq non essendo io una donna, la mia opinione è irrilevante. Piuttosto tornando a bomba sul tema specifico delle guide donna, mi piacerebbe capire quanti clienti maschi sono facilmente disposti a mettere la propria sicurezza nelle mani di una donna. Questo è il vero grande ostacolo all’espansione del numero delle donne guida. Se infatti imponiamo le quote rosa, ma poi i clienti prediligono le guide uomini… è solo ipocrisia. A proposito: ho esaurito i miei minuti quotidiani per me. Mia moglie mi richiama all’ordine per preparare cena per tutta la famiglia. Scappo sennò son randellate! Buona serata a tutti!
In un paese cattolico e arretrato, dominato da maschi anziani, senza quote rosa non avresti una donna amministratore delegato o nei consigli di amministrazione, se non figlia di o moglie di. Chiedi alle giovani donne in gamba che conosci come funziona la giostra nella maggior parte delle organizzazioni e il doppio della fatica che devono fare rispetto ai loro coetanei maschi. Ho frequentato per molti anni il retrobottega delle aziende per non sapere come ragionano azionisti e boss quando si tratta di decidere sulle persone.
Libera strada alle donne in ogni campo dell’esistenza, compresa la professione di guida alpina. Basta solo che, ne’ in questo campo né in nessun altro settore della vita, non si impongano le quote rosa, cioè l’obbligo per legge di una ben definita presenza (%) femminile. Largo alle donne, quindi, purché siano meritocraticamente capaci e non perché garantite per legge.
Caro Cominetti, con il dovuto rispetto, i tuoi commenti sono esattamente la risposta al quesito posto da Govi.
Il commento 1 dice tutto.
Giacomo, Anna Torretta che spero ci legga e che ha creato una scuola tutta al femminile potrebbe spiegarti le ragioni oggi di una scelta di questo genere, sostenuta anche da alcuni pedagogisti per la fascia pre/adolescenziale. Spero intervenga e le rilancio la palla.
Anch’io faccio fatica a trovare il messaggio dell’articolo. Poi trovo l’approccio tutto al femminile un po’ debole o perlomeno contradditorio. L’idea finale, l’obiettivo e’ semmai che ci siano donne che insegnano indifferentemente a uomini ed altre donne. Invece qui si lascia il dubbio che la restrizione femminile sia fine a se stessa…
Bisogna forse leggere tra le righe essendo un pezzo apparso su un sito commerciale. L’articolo solleva in modo un po’ frettoloso e criptico alcuni temi che altri contributi apparsi recentemente su riviste del settore approfondiscono di più e in modo più esplicito, ma erano troppo lunghi per essere proposti in un blog. Il primo tema è quello della specifica sensibilità che le donne portano nell’esercizio della professione di guida, non tanto nella prestazione alpinistica ma nella relazione. Tema sviluppato anche dalle guide italiane intervistate da Donna Moderna. Il secondo è quello dei comportamenti sessisti nell’ambiente tradizionale della montagna, prevalentemente a impronta maschile a volte anche un po’ maschilista. È il terzo è il grande tabù dell’accettazione della diversità esplicita negli orientamenti sessuali nel mondo della montagna. Un tabù che in altre aree anche dello sport è stato affrontato in modo più diretto ma nel mondo della montagna è sempre stato sottotraccia e di solito accennato con un vago imbarazzo, soprattutto nel caso della omosessualità maschile.
Ho delle amiche guide alpine che danno punti a molti nostri colleghi maschi, ma quest’articolo non mi sembra che possa elevare una figura, quella della guida alpina femmina, di per sé già “alta”. Poi come in ogni professione, ci sono i buoni e i cattivi, indipendentemente dal sesso.Quest’articolo mi è sembrato di contenuto inutile.
Il mio commento è del tutto positivo, in favore che le donne possano inserirsi nella professione di guida alpina.
Non capisco mai perché ci si sforzi sempre di separare le donne dagli uomini e poi ci si lamenti delle disparità sociali.
E vengono spesso chiamate lotte, battaglie… per creare confini e magari prima abbatterne alcuni.