Metadiario – 200 – Il gigante di luce (AG 1995-010)
Il 26 settembre 1995, assieme a Federico Raiser e Davide Dias, saliamo allo svizzero rifugio Medel nel tardo pomeriggio, con scarse speranze di successo fotografico. Con scarsa convinzione ci avviamo a continuare, ma giunti alla Quota 2700 m del Piz Medel ci fermiamo in attesa degli eventi meteo. Il sole è ormai all’orizzonte e non si vede alcuna possibilità di un raggio di luce salvifico. Cominciamo anche ad avere freddo, quando finalmente c’è il miracolo.
Sotto auspici migliori inizia la gita al rifugio Bignami, con Ernesto Fabbri, il 29 settembre, per fotografare il versante meridionale dei Pizzi Palù. Riscesi in valle, proseguo in auto e poi a piedi fino all’ex rifugio Scerscen 2957 m.
7 ottobre 1995, una giornata campale. Alle prime luci dell’alba sono già in vetta allo Schartihöreli 1692 m, proprio a picco sul Lago dei Quattro Cantoni. A rotta di collo riscendo all’auto e mi avvio verso il Sustenpass, oltrepassato il quale, arrivo al posteggio dello Steingletscher.
La lingua principale di questo ghiacciaio mi accoglie con i riflessi azzurri della sua bocca, vicino al verdastro Steinsee. Ora sto salendo alla Tierberglihütte. La storia ci dice che il lago si è formato nel 1930 e si è parzialmente svuotato con violenza il 30 luglio 1956. La catastrofe fu originata dal torrente emissario che aveva eroso le morene circostanti: una valanga di 800.000 metri cubi si abbattè sulla Gadmertal. Il lago si abbassò di sei metri. Fu quello uno degli eventi cui il grande ghiacciaio, con il suo impercettibile respiro, aveva dato vita. Il nostro limite è di vederne soltanto la grande luce.
Quando si entra nel pieno della primavera, sia pur attraverso una pazza variabilità di condizioni atmosferiche, è il momento di praticare lo sci fuori pista sulle nostre Alpi. Le montagne sono ancora coperte di un consistente manto di neve candida, le giornate si stanno allungando e la temperatura assume valori medi più gradevoli: se si scelgono con cura solo itinerari che non presentino pericoli di slittamento di strati di neve instabile, è il momento di partire, per salire in luoghi spesso del tutto solitari e per godere di bellissime discese sulla neve più facile, quella “trasformata”.
In piena estate invece, lasciati a casa sci e pelli di foca, le salite ai “tremila” e ai “quattromila” delle Alpi sono il cuore dell’alpinismo classico e qui nella zona del Sustenhorn ogni particolare sembra pensato apposta per il piacere del turista. Anche qui temperatura fresca rispetto alle soffocanti pianure e masse di neve più assestata e affidabile attirano un gran numero di persone in uno dei tanti e ben organizzati rifugi della Svizzera centrale.
Bocca dello Steingletscher, Steinsee (zona Sustenpass), Svizzera, Alpi di Uri
Tutto è qui preordinato, dall’esatto numero di franchi che occorre spendere per un ben preciso servizio alla scelta di una delle tre sveglie previste a seconda delle diverse destinazioni, dalle file geometriche di zoccoli da rifugio con tanto di colorati numeri del piede agli avvisi di ogni genere, frecce obbligatorie, verboten, ecc. Il disciplinato esercito di alpinisti di lingua tedesca si muove a perfetto agio tra regole che a noi possono apparire eccessive e pedanti: si sa che il metodo non è il nostro stile. Però, una volta accettato il rigore e la mancanza di elasticità, ecco che improvvisamente anche noi italiani siamo in grado di apprezzare i vantaggi dell’inquadramento sistematico. Giorni e giorni di allenamento, sopportato bene quando i custodi sono gentili e premurosi ma con un vago fastidio quando l’accoglienza è più rude, portano ad una gestione delle proprie gite assai razionale e soddisfacente.
Ma gli effetti dell’improvvisazione sono sempre in agguato e anche la più bella gita, rigidamente indirizzata, può diventare un calvario se si dimentica a casa un oggetto preziosissimo: gli occhiali. Parlo apposta di dimenticanza, perché non reputo nessuno così incosciente da andare su montagna innevata deliberatamente senza occhiali: credo infatti di essere stato uno dei pochi ad averlo fatto una volta, di ritorno dalle Rocce Nere dei Breithorn, tanti anni fa. Con risultato catastrofico per l’amico generoso che se ne privò per me: Piergiorgio Ravajoni.
Quella volta alle Rocce Nere feci due grossi errori. Prima di tutto lasciai a casa di proposito gli occhiali, ero proprio giovane; poi accettai che uno della comitiva, apparentemente più insensibile al fastidio della luce, mi offrisse i suoi: da circa dieci minuti camminavamo nella nebbia ed io non riuscivo a resistere con gli occhi aperti. Piergiorgio me li prestò per due ore senza accusare alcun fastidio. Alla sera però si ritrovò colpito da una potente oftalmia che gli costò due giorni di sofferenze e di cecità. Ci rimasi proprio male, ebbi nei suoi confronti un discreto complesso di colpa per molto tempo.
Ma al di là delle colpe e delle generosità, gli occhiali sono necessari perché in quota v’è un’energia che c’invade e il veicolo principe è il nostro occhio: non ci sono solo le radiazioni ultraviolette, c’è anche il lento e maestoso avanzare e regredire dei ghiacciai. Una velocità geologica che non possiamo percepire se non con le misurazioni scientifiche o con il ricordo a distanza di anni. Un lento respiro di giganti di luce.
Una buona norma per una comitiva è poter disporre di almeno un paio di occhiali di riserva, ma noi la prima volta alla Tieferberghütte eravamo solo in due, così in stentato tedesco e pieno di vergogna mi ero rivolto al custode del rifugio per avere un prestito. La risposta era stata cortese ma senza possibilità di replica: Nein. Allora avevo chiesto una scatola di cartone che avevo intravvisto sotto il tavolo della cucina e anche un po’ di nastro adesivo: questi mi erano stati forniti con sollecitudine, ma con sguardo interrogativo. Mi ero allontanato per andare a sedermi in sala. Fuori, una nebbia luminosa confondeva ogni profilo: qualcuno stava rientrando dalle salite, altri disponevano scarponi e calzettoni sulle ringhiere ad asciugare, degli slavi parlavano ad alta voce accanto al loro fornello a benzina. L’odore di fagioli riusciva a penetrare nel rifugio attraverso i doppi vetri. Tutta questa gente non aveva dimenticato nulla? Come si può essere così superbi da dimenticare il principale simbolo di umiltà nei confronti dei giganti di luce?
Dopo dieci minuti di lavoro con il coltellino ero tornato dal custode per rendergli il nastro adesivo e gli avevo mostrato con fierezza i miei nuovi occhiali di cartone muniti di due bellissime fessure. C’erano persino delle rudimentali protezioni laterali e un cordino di sicurezza in kevlar. Mi aveva guardato incredulo e me li aveva chiesti in prestito per provarli alla finestra della cucina, mentre anche la moglie aveva interrotto per curiosità il lavoro. Erano così divertiti e a loro modo colmi di ammirazione che gli avevo promesso di regalarglieli il giorno dopo, quando non mi sarebbero più serviti.
Sustenpass e Steinsee dal Vorder Tierberg, sulla destra Steingletscher e Sustenhorn
Penso alla moda di portare occhiali scuri anche dove sono del tutto inutili, sprezzanti modelli e modelle nascosti con alterigia dietro design studiati perché un timido possa stare al mondo a testa alta. Oppure al tattico occhiale scuro di chi ha abusato delle proprie notti stupefatte. Sullo Steingletscher invece la protezione scura è necessaria, normale come le cose antiche. Chi non la usa è un ribelle, forse uno stupido o semplicemente un male informato sprovveduto. Ci sono dei momenti di gioia e di apertura di noi stessi all’universo in cui siamo strutturalmente più deboli, forze sconosciute hanno facile gioco su chi ha abbassato la guardia. Così succede per le terribili diarree che colpiscono il viaggiatore in terre esotiche, aperto a mondi che non pensava potessero appartenergli fino a quel punto, a uomini e culture di cui oscuramente subisce il fascino; così succedeva ai navigatori artici senza vitamine di ammalarsi di scorbuto.
Non posso neppure mostrare al custode della Tierberglihütte che questa volta gli occhiali li ho, visto che il 7 ottobre è chiusa. Peccato, avremmo potuto insieme farci una bella risata. Proseguo subito verso la vetta del Vorder Tierberg e questa volta sono fortunato: riesco a catturare delle bellissime immagini panoramiche.
Velocemente riscendo all’auto e mi dirigo a Rosenlaui perché ho appuntamento con Fiorenza Spada, Paolo Cerruti, Marco Spataro e Marco Milani che erano tornati per qualche giorno all’Engelhörnerhütte per concludere il servizio per Alp. Sapevo che stavano scendendo (il furgone era al posteggio), dunque ho ancora la forza di andare loro incontro…
Il giorno dopo, 8 ottobre, tutti assieme andiamo alla Loetschentaler Hoheweg, un itinerario stupendo a balcone sulla parte occidentale dell’Oberland Bernese che si sviluppa tra la Faffleralp e la Veritzalm.
Dal 16 al 20 ottobre 1995 ci fu un corso di aggiornamento straordinario organizzato dal Collegio delle Guide assieme alla regione Lombardia. Sembrava impossibile, ma veniva fornita la possibilità di regolarizzarsi a tutti gli Aspiranti Guida che in certo qual modo erano in stato amministrativo “irregolare”. Ci trovammo tutti a Bormio, per una serie di giornate di aula, con qualche uscita pratica. Quando nella primavera 1983 ero stato bocciato grazie a Gigi Mario alla fine del primo modulo, quello di scialpinismo, mai più avrei pensato che un giorno, dodici anni dopo, avrei potuto rimediare a quell’intoppo con una soluzione di gran lunga più comoda di quella che prevedeva altri 20 giorni per i moduli di roccia e ghiaccio… Insomma, un colpo di culo che mai più ebbe a ripetersi nella storia del Collegio! Lì invece era chiaro fin dall’inizio che ci avrebbero passato tutti, una roba da non credere. Dopo la salita al Passo Tuckett e al bivacco Ninotta Locatelli (18 ottobre), ricordo una bella uscita (19 ottobre) alla cresta est della Punta di Gavia, davvero utile perché Antonio Tone Moles ci insegnò tanti bei trucchi per la scalata di conserva.
Anche l’articolo sull’alta Val Venosta commissionato da Alp non era del tutto completo. Così, nelle belle giornate dell’estate di San Martino (dal 2 al 5 novembre), mi recai con Bibi, Elena e Petra in Val Martello, a Solda, sopra Castelbello e pure all’Annabergschloss. Nei primi due giorni ci fu compagno anche Marco Milani, con Cristina e suo figlio Lorenzo. Ricordo che visitammo anche i magazzini di mele.
Un fatto di quel periodo, non lieto: la vendita a due egiziani del mio furgone arancione, vecchio di dodici anni.
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