Il Giorno del Giudizio
(via di arrampicata in tribunale: a chi appartiene la roccia?)
di Andi Dick
(pubblicato su bergundsteigen.com il 15 settembre 2025
Due alpinisti aprono una nuova via: il proprietario del terreno ne chiede lo smantellamento. Un caso che potrebbe segnare una svolta per l’alpinismo.
«Quanto più alta è la posta in gioco, tanto più soddisfacente è il risultato». Questa «saggezza in realtà banale», che molti conoscono dall’alpinismo, è la conclusione dei due primi scalatori di questa nuova via Tag des jüngsten Gerichts» (Il Giorno del Giudizio, 700 m, VIII+/IX-, E5) sul Grünen Nase della parete nord del Kollin Kofel (Cima di Collinetta) 2238 m, sopra il Passo di Monte Croce Carnico (Plöckenpass).

Ora questa impresa è a rischio: una sentenza del tribunale potrebbe potenzialmente costringere gli autori a rimuovere gli spit dalla loro via. Nel luglio 2022, Hannes Lexer e Stefan Lieb-Lind, due guide alpine (nonché autori di guide) che si descrivono come padri di famiglia con “lavori ordinari”, hanno completato la loro via: una superba via in un angolo poco conosciuto delle Alpi Carniche: lunga, difficile e impegnativa. Con roccia in parte magnifica, ma anche con alcuni tratti erbosi e friabili: per lo più però zone molto compatte in cui non era possibile garantire una sicurezza soddisfacente con friend, cunei e chiodi normali, come si è rapidamente scoperto durante il primo tentativo, in alto sopra il Pecker.
Così hanno utilizzato spit – ma solo 31, più gli spit di sosta, nei 22 tiri fino al 7b, con un dislivello’ di parete di 700 metri. Emozione e avventura sono rimaste intatte: “In questa salita abbiamo potuto vivere intensamente tutte le emozioni“, hanno concluso, “superare la sfida personale e morale dell’arrampicata su una parete vicina a casa è uno degli obiettivi che l’alpinismo persegue da secoli“.

Se la cima è su una proprietà privata
Poi, però, è iniziato il problema: la vetta si trova sulla proprietà privata del proprietario della sottostante Valentinalpe. Quest’ultimo ha sentito il nuovo tracciato come una violazione dei suoi diritti di proprietà: sosteneva che qualsiasi iniziativa dovesse richiedere il consenso del proprietario terriero. Inoltre, sosteneva che il nuovo tracciato avrebbe disturbato la naturale tranquillità della zona, utilizzata come riserva di caccia e situata all’interno della riserva naturale “Wolayersee e dintorni“.
Inoltre, ha accusato gli apritori di avere un interesse commerciale nell’utilizzarlo come guide alpine e autori di guide. Ha chiesto che gli spit venissero rimossi. Il caso è ora al vaglio del Tribunale Regionale di Klagenfurt, con un valore di contenzioso di 32.000 euro. E potrebbe costituire un precedente significativo per il futuro dell’alpinismo in ambiente alpino.
Perché se le vie tracciate senza prima individuare e ottenere il permesso dal proprietario del terreno dovessero essere smantellate, sarebbe una notizia disastrosa per un gran numero di vie. E il “diritto al libero accesso alla natura”, che diamo per scontato, compresa l’arrampicata e la necessaria attrezzatura di sicurezza, sarebbe messo a repentaglio.
Che questo principio sia attualmente minato in diversi ambiti è dimostrato dal sito web dell’iniziativa Respektiere deine Grenzen (Rispetta i tuoi limiti) per la Carinzia, che promuove una responsabile interazione umana nella natura, purtroppo senza tenere adeguatamente conto dei valori e delle convinzioni delle associazioni sportive all’aria aperta. Le “Linee guida per l’outdoor” dell’iniziativa affermano quanto segue per le discipline “Arrampicata e vie ferrate”: ” Grazie per… non aver attrezzato nuove vie sulle pareti rocciose “. Questa aspettativa è stata fermamente respinta in una lettera da Michael Larcher, allora vicesegretario generale del Club Alpino Austriaco (ÖAV): “Arrampicare in montagna è un nostro diritto. Le vie alpinistiche (a più tiri) – a differenza delle vie ferrate – non costituiscono l’apertura di un sentiero ai sensi di legge“.
E se oggi gli ancoraggi vengono realizzati con spit e non più con chiodi, ciò è dovuto esclusivamente allo sviluppo tecnico e alla sicurezza“. Per questo motivo, il Club Alpino Austriaco sostiene i primi scalatori del Grünen Nase citati in giudizio ed è determinato a chiarire la questione giuridicamente, se necessario, fino a una sentenza definitiva del tribunale supremo.
Interessi commerciali, responsabilità, impatto ambientale?
In materia giuridica, la certezza assoluta si ottiene solo attraverso una sentenza, in caso di dubbio, presso la corte suprema. A tal fine, il giudice deve valutare tutti i singoli punti e confrontarli con principi giuridici, precedenti e pareri di esperti. È già stata annunciata un’ispezione in loco da parte del giudice, almeno in elicottero. Nel corso di queste indagini, il punto 9 (interesse commerciale) della tesi difensiva (vedi riquadro sottostante) dovrebbe essere rapidamente confermato; per quanto riguarda il punto 6 (rischio di responsabilità), le sentenze esistenti dovrebbero anche chiarire che i timori di responsabilità sono infondati. L’aspetto del diritto alla tutela della natura, ovvero i punti 7 e 8 (danni alla natura e deterioramento da parte di visitatori abituali), ha effettivamente portato in molti casi e paesi a restrizioni del “diritto di libero accesso” o a regolamenti per l’apertura di nuove vie.
Tuttavia, nella riserva naturale “Wolayersee e dintorni”, istituita nel 1959, non sussistono tali restrizioni. Pertanto, saranno probabilmente decisivi i punti da 1 a 3, vale a dire se il diritto di accesso comprenda anche l’arrampicata e la messa in sicurezza con spit; e i punti 4 e 5, che fondano questa pratica come diritto consuetudinario, in ogni caso senza bisogno del consenso del proprietario del terreno.
La linea di difesa – riassunta all’essenziale – dell’avvocato difensore Dr. Simon Gleirscher
1 “Landa desolata alpina aperta al traffico turistico”
La legge carinziana del 1923 sulla libertà di passaggio nelle zone montane contiene la clausola che “le zone alpine selvagge sono aperte al traffico turistico”. Questo “traffico turistico” consentito include anche l’alpinismo. E le zone incolte designate includono anche le pareti rocciose al di sopra del limite della vegetazione arborea.
2. Tutte le misure di sicurezza necessarie devono essere legittime
Se la legge consente l’accesso a tale luogo, devono essere legittimate anche le necessarie misure di sicurezza. Altrimenti, questo diritto di accesso sarebbe un diritto “vuoto” e quindi privo di significato.
3. Attrezzatura con materiale appropriato
Secondo la consolidata tradizione alpina, queste misure di sicurezza necessarie includevano anche i chiodi (in passato chiodi, oggi spit). Nell’alpinismo sportivo moderno, gli spit sono più la regola che l’eccezione.
4. Fondamento giuridico e diritto consuetudinario
Oltre a questa base giuridica, esiste anche il diritto consuetudinario: esplorare percorsi alpini senza prima cercare un proprietario terriero è una “prassi alpina decennale, contro la quale nessuno si è mai opposto e che si basa su una convinzione soggettiva di legalità“, secondo Gleirscher. In altre parole: le persone lo hanno sempre fatto in questo modo, senza considerarsi illegali.
5. Consenso del proprietario terriero?
Mentre il consenso del proprietario del terreno è comune o addirittura necessario per la costruzione di nuove vie ferrate o aree di arrampicata, questo non vale per le vie alpinistiche. Al contrario, secondo la legge, il proprietario del terreno è addirittura obbligato a tollerarle. Questa è la posizione assunta dai club alpini in un documento attualmente in fase di elaborazione in collaborazione con l’Ente Forestale Federale Austriaco.
Anche le Foreste Federali Austriache (ÖBf), che possiedono il 15% del territorio austriaco, tollerano l’installazione non coordinata di “attrezzature di sicurezza permanenti” per la sicurezza personale (“e senza l’intento primario di un utilizzo commerciale da parte di terzi“). Che si tratti di aree boschive o di terreni aridi, il parere giuridico dei club alpini è chiaro: “Lo sviluppo di singole vie alpinistiche in montagna è, in ogni caso, coperto dal diritto di libero accesso“.
6. Nessun rischio di responsabilità per il proprietario del terreno
Non sussiste alcun rischio di responsabilità per il proprietario del terreno, peraltro neppure menzionato nella causa originale. Nel caso di aree di arrampicata progettate sistematicamente, potrebbe esserci, a determinate condizioni, una responsabilità per la manutenzione delle vie, analogamente a quanto avviene per sentieri escursionistici e vie ferrate, in caso di incidenti causati da malfunzionamenti degli impianti (alcune aree di arrampicata in Francia sono o sono state interessate da questo problema).
In Austria, tuttavia, anche una simile responsabilità potrebbe sorgere solo in caso di grave negligenza da parte del rispettivo “proprietario”. Va inoltre osservato che il proprietario di una zona di arrampicata non è praticamente mai il proprietario del terreno, il che significa che una parte lesa non potrà quasi mai far valere le proprie pretese nei confronti del proprietario del terreno.
Quando si tratta di vie di arrampicata alpina, piuttosto che di palestre di roccia, tale responsabilità per i primi salitori non è mai stata legalmente sancita e non può essere contestata, perché una singola via di arrampicata non è un sentiero attrezzato. Qui, ciò che conta è la responsabilità personale in ambiente alpino, che include il controllo degli spit e la consapevolezza del rischio di caduta sassi o valanghe.
7. Nessun danno alla natura
L’avvocato ha inoltre escluso qualsiasi danno alla natura causato dalla salita iniziale o da quelle successive. Ha sostenuto che la causa non forniva una spiegazione comprensibile di come le azioni dell’imputato potessero compromettere gli habitat naturali, soprattutto perché i chiodi non avevano alterato la struttura della roccia.
La vicina riserva naturale non è interessata dal tracciato. Questo perché “gli spit da dieci millimetri di diametro, fissati a intervalli ampi (31 spit su un’altezza di 700 metri, ovvero in media uno spit ogni 20 metri)” non compromettono lo stato di conservazione della natura.
8. Nessun danno dovuto a troppi ripetitori
Va aggiunto che è improbabile anche un impatto dovuto a troppi scalatori ripetitori, un problema che sarebbe più plausibile su vie “plaisir”. Su una via di 22 tiri di grado UIAA VIII+, classificata E5 (ovvero: scarsa protezione, lunghi runout, vie di ritirata molto difficili e rischio di gravi infortuni dovuti a cadute nei tratti più impegnativi), il sovraffollamento è difficilmente considerabile.
9. “Interessi commerciali?”
Questo dovrebbe anche dissipare l’accusa di “interesse commerciale”. Perché una via del genere – anche se si tratta di itinerario attraverso una delle pareti più alte delle Alpi Carniche – non è né una miniera d’oro per le guide alpine né motore economico di altro. Il Grünen Nase non è un “naso d’oro”.
Secondo il dott. Gleirscher, esistono diversi approcci all’interpretazione di una legge.
- ‘interpretazione letterale-grammaticale si occupa del testo della legge e del significato delle parole e delle frasi. Poiché il linguaggio è sempre ambiguo, nonostante si cerchi di formulare una legge in modo chiaro, a volte è necessario fornire delle spiegazioni, ad esempio che il termine “turista” nel significato storico e quindi anche nell’anno di approvazione della legge carinziana sulla libertà di passaggio del 1923 era usato come sinonimo dei termini odierni “alpinista/escursionista”.
- L’“interpretazione sistematica” colloca una disposizione giuridica nel suo contesto all’interno di una legge e in relazione all’intero ordinamento giuridico.
- L’«interpretazione teleologica» pone la questione del significato e dello scopo di una norma giuridica: cosa voleva ottenere il legislatore? A volte nei testi di legge o nei commentari giuridici sono presenti note esplicative che aiutano a chiarirlo.
- Infine, l'”interpretazione storica” confronta il testo giuridico vigente con le versioni precedenti e con il contesto storico al momento dell’emanazione della legge. La domanda “cosa è rimasto uguale, cosa è cambiato?” aiuta a comprendere il senso di giustizia che la legge intende esprimere.
Ai fini del presente procedimento, la disposizione dell’art. 5 della legge carinziana sulla libertà dei sentieri (“l’area incolta è aperta al traffico turistico”) sarà valutata e interpretata secondo questi metodi interpretativi. Ciò potrebbe anche rivelare come le dinamiche di potere tra gruppi di interesse – come cacciatori e associazioni alpine – si riflettano nel diritto alpino.
Nel corso della valutazione giuridica di un particolare comportamento e/o dell’interpretazione di un testo giuridico poco chiaro, l’autenticità e la logica intrinseca, ad esempio, di uno sport possono essere riconosciute anche se possono apparire in qualche modo diverse dalla pratica sociale quotidiana.
L’alpinismo, l’immersione sub e la vela in solitaria sono caratterizzati da esposizione e responsabilità personale e hanno sviluppato le proprie “regole non scritte“. Queste, naturalmente, non sostituiscono le norme formali con cui la società nel suo complesso organizza la propria convivenza. Tuttavia, possono spiegare azioni compiute in base alla tradizione e al “diritto consuetudinario” dello sport.
Ci sono regole non scritte
È qui che entrano in gioco i periti, le cui relazioni forniscono la necessaria competenza al procedimento e verificano le affermazioni e le interpretazioni presentate dalla difesa. La difesa ha richiesto tale perizia, volta a dimostrare che “l’uso di chiodi durante l’apertura di vie di arrampicata (a più tiri, non palestre di roccia) in ambiente alpino in Austria è una norma generalmente riconosciuta e praticata“. A tal fine, il tribunale ha sottoposto al perito nominato un elenco completo di domande volte ad esaminare a fondo la tesi.
La conoscenza approfondita dei principi intrinseci del nostro sport, che ci viene instillata come praticanti attivi fin dal primo contatto con la roccia e che viene trasmessa dai mentori e dalla comunità – “come si fanno effettivamente alpinismo e arrampicata, cosa è consuetudinario e cosa no?” – può essere introdotta nel procedimento da una perizia di questo tipo, attraverso domande precise. Su questa base, le parti in causa possono sperare che la sentenza tenga conto anche di questi aspetti nella sua decisione. Pertanto, il Club Alpino Austriaco (ÖAV) continua a sperare che, al termine del procedimento (o dei procedimenti), la Corte Suprema confermi il diritto al libero accesso, inclusa l’arrampicata con la necessaria attrezzatura di sicurezza.
Una speranza di libertà e realizzazione
Naturalmente, tutti gli amanti della montagna che confidano che la libertà di trovare gioia e appagamento lassù non verrà limitata senza una ragione giustificabile e valida – né al Grünen Nase né in altre zone – possono sperare in questo. Indipendentemente dal verdetto finale, dovremmo continuare a impegnarci per una convivenza pacifica e per la comprensione reciproca. Non può mai far male, anche se non è legalmente richiesto.
Andi Dick
Andi Dick ha studiato ingegneria ambientale e di processo (FH), lavora come giornalista freelance e come guida alpina nei team di insegnamento DAV per l’alpinismo e l’arrampicata sportiva, tiene conferenze e si esibisce nei teatri come corista di canti di montagna.
Il racconto dei primi salitori
di Hannes Lexer e Stefan Lieb-Lind
(pubblicato su oeav-obergailtal.at nell’inverno 2022)
Questa parete non è ancora molto conosciuta al di fuori delle valli Gailtal e Lesachtal, nonostante sia ben visibile dalla strada che porta al Passo di Monte Croce Carnico (Plöckenpass). E c’è una buona ragione: la parete è difficile e offre praticamente tutto ciò che l’arrampicata su roccia può significare. Naturalmente la roccia è ottima, ma soprattutto nella parte inferiore il terreno è molto ripido, con erba instabile e roccia in parte piuttosto friabile. Non è proprio una combinazione che attira le masse.
Insieme alle difficoltà di arrampicata piuttosto elevate (le lunghezze più difficili sono infatti le prime tre) e alla scarsa possibilità di assicurazione, soprattutto l’inizio non era proprio allettante alla vista delle numerose lunghezze che ci aspettavano: questo era chiaro dopo una prima ispezione sul posto. Non è che non ci abbiamo provato senza chiodi: anche se Hannes ha iniziato il primo tentativo pienamente motivato e dopo circa 10 metri di altezza è riuscito a fissare un “affidabile” punto di assicurazione intermedio, il resto del percorso sembrava ancora peggiore, con roccia non proprio solida (alla fine abbiamo valutato la lunghezza di 7a con 4 chiodi e un ancoraggio mobile affidabile, un Pecker, a 35 m). Ci abbiamo riflettuto e siamo giunti alla conclusione che senza un minimo di chiodi non si poteva fare. Ma era la linea che ci affascinava.
Partendo dal basso e seguendo una linea più o meno retta direttamente sopra il pilastro centrale, lontano dalle altre vie esistenti. Dal nostro punto di vista una linea regina assoluta, che tra l’altro aveva già attirato l’attenzione di altre cordate in passato. Helmut Ortner una volta osservò la situazione da vicino, così come la leggenda vivente dell’arrampicata Roberto Mazzilis. Trent’anni fa Reinhard Ranner con Bimbo tentò addirittura di aggirare la brutta sporgenza e attraversò il ripido terreno erboso fino al pilastro vero e proprio.
Dopo alcune lunghezze di corda e un bivacco seduti, con il materiale disponibile all’epoca anche per questa cordata, che comunque aveva già scalato molte delle vie più impegnative della parete, era finita. Era una linea in cui senza chiodi era praticamente impossibile procedere. Così abbiamo osato infrangere il tabù e abbiamo iniziato a piantare spit. Non è stato del tutto silenzioso (e non mi riferisco al rumore del trapano), ma abbiamo cercato di piantare il minor numero possibile di chiodi. Alla fine sono stati 35 chiodi su 22 tiri + soste forate. Il che non rende necessariamente questa salita una passeggiata plaisir (vedi anche le osservazioni sopra). Il punto cruciale della storia era però la logistica. In un terreno simile si procede lentamente, quindi il tracciamento del percorso non è questione di ore, ma di giorni.
Poiché proprio su questa parete i temporali sono tabù a causa della caduta di sassi e cascate d’acqua, i pochi giorni di piena estate con tempo perfetto sono appena sufficienti. Siamo entrambi padri di famiglia e abbiamo lavori normali, quindi trovare spontaneamente il tempo libero in queste giornate perfette è stata una vera sfida. La chiave del successo quest’anno è stata che, dopo le due estati piovose del 2020 e del 2021, siamo passati allo stile big wall con pernottamento sulla parete (dovevamo infatti raggiungere ogni volta il punto di ritorno dell’ultima volta). Stefan, da vecchio appassionato di arrampicata tecnica, era particolarmente felice di poter finalmente provare di nuovo un po’ di big wall feeling: l’ultima vacanza a Yosemite era stata troppo tempo fa e la prossima, come padre di famiglia, era troppo lontana. Ma perché guardare sempre lontano? Abbiamo quindi allestito due bivacchi sugli unici ripiani della via: uno dopo il 7° tiro (“Hotel zur schönen Aussicht”) e uno dopo il 18° tiro (“Hotel zur schmalen Bettkante”).
E proprio questi pernottamenti, guardando indietro, sono stati tra le esperienze più belle di quest’estate. Quando alla fine di luglio di quest’anno abbiamo completato il percorso, dopo un po’ di tempo abbiamo capito ancora una volta alcune banali verità: maggiore è l’impegno, più soddisfacente è il risultato. E non è sempre il piacere immediato a rendere felici, ma l’insieme di tutte le emozioni. E questo lo abbiamo potuto sperimentare in modo molto intenso durante quest’impresa.
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In ogni caso per arrivarci spesso si deve attraversare un terreno privato
Siamo proprio sicuri che le pareti verticali di una falesia rientrino nella proprietà dei terreni alla loro base?
Il tipo di vecchiano non capito assolutamente nulla…..e se continua così davvero potrebbe finire male…..
Nel caso di cui parlo, l’Asd paga un affitto simbolico per l’utilizzo della falesia e quindi ASD diventa contestualmente responsabile per ciò che accade deresponsabilizzando il propietario. Ovviamente servono chiodature certificate e manutenzione…..l’unico problema sono i climber non soci dell’ASD a cui nessuno ovviamente impedisce di scalare che però potrebbero rivalersi sulla ass o sul proroietario..però l’acceso è libero e non è nellenintenziini di nessuno proibirlo …. è un luogo comunque frequentato da un cerchia ristretta di locals
ilfetido #13: non credo basti. Se qualcuno decide di far causa non c’è accordo che tenga, nemmeno se l’ASD è proprietaria della falesia (come nel caso che immagino tu stia prendendo come esempio).
Vedere quello che è successo in Francia.
Oltre alle conseguenze penali per le sue minacce armate, il proprietrario ignora che una volta o l’altra casca in bel cespuglio di stiaffi. Perchè prima o poi, e già c’è arrivato vicino, qualcuno lo farà nero.
A vecchaino non hanno raggiunto nessun accordo, e tra l’atro il proprietario ignora le conseguenze legali penali in cui potrebbe incorrere…..io mi riferivo a falesie del nord est
A Vecchiano non mi sembra che ci sia un buon accordo, dal momento che gli arrampicatori vengono minacciati col pennato.
In alcune falesie hanno agito così :Raggiunto accordo con proprietario. Istituita ASD . Fine dei problemi. Cioè se al proprietario non interessa guadagnarci ma vuole solo togliersi le responsabilità….questa è una via possibile. È chiaro che per chi non è del posto è difficile rientrare come socio ASD…..però dal punto di vista giuridico il proprietario è tranquillo.
In alcune falesie hanno agito così :Raggiunto accordo con proprietario. Istituita ASD . Fine dei problemi. Cioè se al proprietario non interessa guadagnarci ma vuole solo togliersi le responsabilità….questa una via possibile. È chiaro che per chi non è del posto è difficile rientrare come socio ASD…..però dal punto di vista giuridico il proprietario è tranquillo.
D’ora in poi prima di aprire una via nuova si dovrà fare una ricerca catastale da un tecnico abilitato ( spesa minima 4000 euri), per verificare eventuali proprietari della parete. Chiedere autorizzazione al proprietario.
Fare una SCIA nel comune di appartenenza della parete con inizio e fine lavori con progetto firmato da un ingegnere che certificherà materiali, posa, tracciato e balle varie.
Nominare responsabile di cantiere e della sicurezza.
Pagare oneri di urbanizzazione.
@4. La risposta alla domanda “ a chi appartiene la roccia ?” è abbastanza semplice. Appartiene … al proprietario. L’analogia con le spiaggie non regge. Nel caso degli arenili è specificato chiaramente a livello legislativo che si tratta di superfici di proprietà statale, anzi “demaniale” per usare la corretta terminologia. Ciò al pari di sorgenti, miniere e tutto quanto viene utilizzato sulla base di “concessioni” che lo Stato conede ricavandone un tornaconto economico (v. la querelle senza fine degli impianti balneari).
Le pareti rocciose non mi risulta che rientrino tra questi beni demaniali. Ergo se una parete è all’interno della proprietà di qualcuno, quel “qalcuno” può decidere liberamente come comportarsi. Fossi io chiuderei l’accesso e la userei solo io (da solo o con qualche amico fidato). Questo non per egoismo infantile ma per evitare di essere chiamato a risarcire i danni a qualcuno che si infortuna sulla mia palestrina.
E quindi?
E gli altri mille sport quali valori portano a chi non li pratica?
E cosa ci vedi di male? Senza contare che l’alpinismo e l’arrampicata hanno portato benessere economico a un sacco di gente nel mondo, alpinisti e arrampicatori spesso compresi. Il resto è solo evidente rosicamento.
l ‘alpinismo e l’arrampicata come altri sport consimili è un attività residuale dell’essere umano,che ne trae un valore solo per il praticante,che l avvolge in considerazioni tra l’onirico esistenziale e il simil sport,con una specificità, non avviene in casa del praticante ma ovunque questo ne rilevi un suo indiscusso interesse.Tutto qui,salvo il fatto che avviene su terreni non di sua proprietà,molte volte privati,con singoli e specifici proprietari,con proprietà collettive indiscusse,aree demaniali,se non in aree mai definite per mancanza di strumenti adeguati,spazi enormi,catene alpina extra,deserti altopiani etc.Ecco che l’alpinista torna ad essere quello che è e la sua attività si ridimensiona.Con buona pace di chi attorno ci costruisce un suo mondo che l’aiuta dal punto di vista psicologico,ma resta ininfluente per tutto il resto
Fino a pochi anni fa il versante settentrionale del Fitzroy ricadeva nella proprietà della famiglia Arbilla che faceva pagare per accedervi. Oggi questa proprietà fa parte del Parque Nacional Los Glaciares dove l’ingresso, sia per gli escursionisti che per gli alpinisti, è comunque a pagamento.
Sono totalmente contrario a quest’ultima soluzione, che vede i parchi locali solo come scusa per fare cassa (come negli Usa) e non per proteggere la natura, ma quando la proprietà era privata c’era poco da fare…
Attenzione a non confondere il concetto di proprietà privata (=io proprietario “godo” del bene e, se voglio, posso ospitare altri individui e permettere loro di godere della mia proprietà, che sia una casa o un prato con una paretina rocciosa inclusa, per cuoi se io proprietario NON voglio che altri invadano il mio campo, lo recinto e nessuno ci entra) con le responsabilità giuridiche che derivano inevitabilmente dal diritto di proprietà. Su questo specifico risvolto, per esigenze di tempo, copio quanto deriva da una veloce ricerca su google:
“Il diritto di proprietà implica responsabilità per il proprietario, come la manutenzione dell’immobile, il rispetto dei limiti imposti dalla legge e la garanzia della sicurezza. Le responsabilità includono anche il risarcimento dei danni causati da difetti di costruzione o manutenzione, il rispetto delle normative locali, ecc”
Ne deriva che eventuali danni a terzi comportano risarcimento in capo al proprietario, ma solo se ci sono delle violazioni di quest’ultimo (anche in termini di negligenza) delle leggi. I proprietari devono quindi provvedere alla manutenzione delle installazioni all’interno della proprietà. Nel caso di specie: se un climber cade per sua disattenzione e si rompe una gamba, non ha diritto al risarcimento, ma se, nell’ambito dell’infortunio occasionale, interviene qualche “cosa” non perfettamente a norma, allora scatta la responsabilità del proprietario e l’obbligo del risarcimento. Attenzione che il legittimo proprietario è responsabile (o quanto meno corresponsabile) anche di infrastrutture posate da soggetti terzi ma all’interno della sua proprietà. Fuor di metafora: il proprietario di un terreno con annessa palestrina è responsabile della regolare manutenzione degli spit/soste ecc anche se questi sono posati da un climber “terzo” rispetto al proprietario, che ovviamente può esplicitare la manutenzione sia direttamente che delegandola ad altri, ma se non ci pensa ne è responsabile.
Appurato che una futura guerra tra Austria ed Italia è in essere eventualita remota e non sarà con buona probabilità più combattuta sui crinali interessati,che nella base della parete non vi sono accessi segreti e mimetizzati costruiti da imprese terze per conto di Diabolik o almeno così appare da sopralluogo, che nemmeno dopo 32.000 ripetizioni con clienti paganti sussiste l appropriarsi indebito delle rocce con tutte le sue tacche , gocce e buchetti assomanti a nr.127.843 per uso capione delle due guide prime salitrici , assodato che tra uno spit e l altro non vi è possibilità di mettere in pratica dissipatore da ferrata; in qualità temporanea di azzeccaesbrogliagarbuglidicordada11 ritengo che il fatto sussiste e non sussiste e “rinvio” (ops ) -il giorno del giudizio tutto-a data da destinarsi ;in comune accordo con fauna di terra e di cielo locale, presunti proprietari, escursionisti casuali ignari di essere in p.p. e nuovi apritori di vie da sogno.
A chi appartiene la roccia? Penso che appartenga a tutti come il mare le spiagge i fiumi e i monumenti. Si tratta di beni comuni che debbano essere sottratti alla proprietà privata sebbene possano essere regolati come tutti gli usi civici.
Purtroppo se io fossi proprietario di un terreno su cui si trova una bella parete la recinterei e ci metterei dei cagnacci di guardia…… c’è sempre il padre in cicciottello pronto a farti causa ….siamo in Italia…..
È sempre capitato. Mi ricordo anni fa (tanti anni fa … purtroppo … 😢) in Val Chisone una bella paretina che venne recintata e chiusa perchè il proprietario non voleva avere climber in mezzo ai piedi. Ce ne facemmo una ragione. Di “belle paretine” c’è n’erano tante altre, anche in zona …
Si vuole mettere in discussione la proprietá privata ?
Situazione difficile.
Nel Lazio un proprietario terriero che aveva gentilmente accolto ogni week end decine di climbers in una nota falesia che stava nella sua proprietà privata si è visto denunciato per danni dal padre di un ragazzo che è caduto e si è rotto una gamba
Mi risulta abbia dovuto pagare
Da quel giorno ha fatto recintare e chiudere l’accesso alla zona della falesia. Come biasimarlo?