Il libro di Batman

Il libro di Batman
(Molti friends e alcuni nuts)
di Salvatore Bragantini

Un posto tutto suo nella letteratura di montagna italiana lo detiene Gianni Battimelli, ormai non più giovane alpinista romano, meglio noto nel giro come Batman. Perché questo soprannome? Forse i suoi baffi spioventi possono, se il clima è umido, ricordare le ali di un pipistrello, forse alcune delle sue imprese rimandano a Gotham City, fatto sta che il nomignolo ce l’ha addosso e non glie lo leva più nessuno.

Gianni ha appena pubblicato un libro che tutti gli scalatori di ultima generazione dovrebbero leggere, per gettare almeno un fugace sguardo su un mondo che non han potuto conoscere, il mondo che è passato dagli scarponi rigidi, quelli dalla dura lotta con l’Alpe, alle scarpette e all’arrampicata come gioia pura. Non parliamo poi di quelli della sua stessa generazione, come il sottoscritto; leggendo il libro essi rivivranno eventi, ricordi e cambi di attrezzatura storici.

Gianni Batman Battimelli

Il libro, intitolato Molti friends e alcuni nuts (Edizioni del Gran Sasso), raccoglie una serie di scritti di Batman su argomenti alpinistici, o all’alpinismo variamente collegati; ci sono prefazioni di libri, appunti personali dimenticati e tirati fuori dai cassetti, articoli pubblicati su vari periodici, dalla indimenticata Rivista della Montagna, all’organo sezionale del CAI Roma, L’Appennino (avvertenza per i nativi digitali, non è l’App delle Pennine), all’Annuario del CAAI, al supplemento del Manifesto, In Movimento, ecc.

Il libro, lo troverete certo nelle librerie di montagna delle principali città; chi non ci riuscisse può acquistarlo su http://www.montagneincitta.it/o/edizioni_del_gran_sasso.

Lo stile di Gianni scrittore è in linea con l’uomo; ironico è il tono di fondo, serio quando vuole esserlo e quando vuole, più spesso, faceto. Batman ha avuto la fortuna di disporre di tanto tempo libero e l’ha usato, senza risparmio, per arrampicare. Si diverte a raccontarcelo, e si vede, quasi quanto la lettura diverte noi.

Il libro è in due atti; il primo evoca il nodo bulino alla vita, l’immagine degli scarponi Galibier o Dolomite, della giacca a vento Cassin color nocciola chiaro di cotone rinforzato, dei pantaloni alle ginocchia di velluto a coste, degli zaini Lafuma senza cinghie, stesso colore, con il fondo di pelle (chissà che fine ha fatto il mio, cui tanto ero affezionato). Nel secondo atto arrivano dapprima il cinturone integrale, poi le scarpette (per me molto tardi, prima Canyon Chouinard, poi Mariacher), le nuove protezioni, spit e simili inclusi, fino alle tute aderenti color fucsia (fin lì non mi sono piegato); arriva soprattutto il divertimento fine a se stesso e la scoperta della scalata senza cime da “conquistare”.

Batman sul Campanil Basso nel 1969

La mente di chi c’era allora corre ai viaggi da Roma al versante teramano del Gran Sasso, prima che costruissero l’autostrada Roma-L’Aquila, quando ci volevano quattro ore di auto. Ci si fermava anche due volte al bar, specie se s’era partiti a buio pesto, e si sentiva via via cambiare la pronuncia del barista, quando diceva, con ben scarsa partecipazione allo sconforto dei viandanti “Nun se pò fa er caffè, la macchina nun sta in pressione” e ti rifilava il tè con un Buondì Motta cellofanato; quando, dopo Rieti e Antrodoco, sbucando dai tornanti si svalicava il Passo delle Capannelle e finalmente iniziava la discesa verso Fano Adriano, per poi risalire a Pietracamela e ai Prati di Tivo. Sono i tempi ai quali rimanda una notissima T shirt che ho visto più d’una volta indosso proprio a Gianni, c’era scritto: Remember when sex was safe and climbing was dangerous?

Salto del crepaccio

Gianni inizia da adolescente con l’ESCAI, gruppo escursionistico del CAI Roma, salendo alla Ciamarella. È facile identificarsi con i suoi racconti successivi partendo dalla Scuola di Roccia della SUCAI; a Roma l’alpinismo lo praticavano gli universitari, quasi solo borghesi allora, ma il ’68 stava arrivando, e Gianni ne parla. Nella Scuola insegnava anche Paolo Consiglio, cui essa fu poi intitolata; vengono le prime salite al Gran Sasso e in Brenta, le conversazioni serali con il grande Bruno Detassis al Brentei. È storia comune di una generazione. Quando Gianni va a Yosemite non si ferma alla valle, mitica per gli arrampicatori, ma risale verso i grandi prati e i mammelloni di granito di Tuolumne. Cosa deve essere stata la vita per gli indiani, ora meglio noti come nativi, in quello che a noi ora pare un meraviglioso paradiso terrestre! Per loro la vita deve essere stata certo più dura che per il turista di oggi, ma esserne scacciati con la prepotenza delle armi deve essere stato un trauma ben peggiore di quello subito da Adamo ed Eva per il furto della mela.

Isole di pietra

Il lettore assiste all’irruzione delle nuove tecniche, sperimentate in Galles nel ’75 da Gianni insieme ad alcuni celebri alpinisti nostrani, fra cui Sergio Martini, Roberto Chiappa, Gianluigi Vaccari e  Renato Casarotto; il quale china il capo davanti al livello degli ospitanti – Pete Livesey, maestro di tale Ron Fawcett, Pete Boardman, Joe Tasker fra gli altri – mormorando ”I xè superiori!”

Vediamo anche l’arrivo della successiva generazione, con la quale il piccolo mondo chiuso dell’alpinismo romano si apre ad ambiti, anche sociali, fino a quel punto rimasti fuori; arrivano Pierluigi Bini e il suo Vecchiaccio. I giovani superano di slancio i timori ancestrali di chi s’era formato nella gavetta di quei tempi; in precedenza, la regola non scritta di noi, cittadini scalatori di ordinaria abilità e prudenza (e che, va pur detto, avevamo visto tanti compagni andarsene), era la cauta progressione. Dopo la Scuola di alpinismo, il primo anno, massimo un po’ di IV, senza esagerare, l’anno dopo sul V e se ti sentivi forte potevi assaggiare un moderato VI. Grado questo spesso reputato tale solo perché sul tiro c’erano tanti chiodi, unico strumento di protezione allora noto, e il contatto col quale – a volte spasmodico – non era ancora sanzionato dalla deprecazione generale.

A Sainte-Victoire (Provenza) con Bernard Amy, Giorgio Mallucci ed Elisabetta Galli.

Come che sia, i nuovi e disinibiti arrivati alzano rapidamente il livello tecnico, complici anche i nuovi materiali e le nuove protezioni, superando difficoltà prima impensabili. Ricordo ancora il mio ritorno, forse solo per meriti storici, nel corpo insegnante della scuola, nel frattempo dedicata a Paolo Consiglio. Dopo dieci anni di assenza, mi capitò, o meglio una sapiente regia mi affiancò, come aiuto istruttore Stefano Finocchi, stella nascente dell’arrampicata romana, che come Colombo mi spalancò il nuovo mondo.

È godibile il racconto di Gianni sulla salita della mitica Demande in Verdon, dove i nostri tre eroi, privi di martello, si arrestano, bloccati sotto un impressionante camino; solo Dario, che pure s’era accodato per andare da secondo, risolve il tiro, duro e sprotettissimo, usando il discensore a otto per sbattere nella fessura un eccentrico, predecessore dei nut. Attrezzi che a Batman sono presentati per le prima volta nel ’69, ai piedi della via del Tetto al Campanile Livia (Gran Sasso) da Alan Heppenstall, che glie li depone in mano; peccato che Batman ne ignorasse allora totalmente l’uso.

A proposito, nut in inglese, oltre a designare una noce e, per similitudine di forma, un attrezzo di protezione della scalata, si dice anche di un tipo un po’ fuori di testa; he’s nuts vuol dire “è uno svitato”, traduzione forse più azzeccata, per via della prossimità nell’uso fra vite e bullone. Di qui i nuts del titolo; più scontato è il doppio senso dei friends.

Gianni ha partecipato anche ad altre nostre epopee domestiche, subentrate al tempo della lotta con l’Alpe, in Valle dell’Orco soprattutto, e in Sardegna. Chi ha provato il piacere di scalare nel Supramonte, o sulle vie aperte da Gianni e dai suoi friends (e nuts) nel Dolòvere di Sùrtana, a Gorropu o a Cala Gonone, avvertirà ancora il fascino di quei luoghi, rivedrà i prati fioriti dei primi di maggio, quelli che i vacanzieri non vedono mai, annuserà gli odori aspri e familiari dell’elicriso, del cisto e di altre erbe sarde.  Non si può tacere poi il sensazionale scoop di Gianni, l’intervista a Horace-Bénédict de Saussure, uscita quarant’anni prima che le fake news trumpiane ci ammorbassero. Tanto altro vorrei dire, ma chiudo raccomandando ai lettori la piccola epopea vissuta da Gianni con Giorgio, Fabrizio e altri aprendo a Gaeta la via Hellzapoppin. Vale da sola il libro ma devo dire – e il caro Gianni non mi tolga il saluto – che, se Hellzapoppin è certo più originale, la vicina via Spiderman è più tradizionale sì, ma anche più bella, con quella sua aspra uscita bracciosa.

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Il libro di Batman ultima modifica: 2021-04-25T05:08:00+02:00 da GognaBlog

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7 pensieri su “Il libro di Batman”

  1. Il tono è da Battimelli d. o. c., persona solidamente seria che riesce ad essere autoironica e scanzonata. È un po’ l’attitudine della, chiamiamola così, “scuola d’alpinismo della facoltà di Fisica” di Roma. 

  2. Devo ringraziare sentitamente Salvatore e Alessandro per la pubblicità (lo giuro, non sollecitata né retribuita). E commentare quanto detto da Andrea, lamentando che scalare insieme è stata una meraviglia ripetutasi ahimé troppo di rado (un paio di volte in tutto, credo, in tempi lontani).
    Mi corre tuttavia l’obbligo, come si suol dire, di alcune precisazioni, tanto per fare il pignolo. E’ vero che sono un gran contaballe, ma sono l’unico autorizzato a contar balle su me medesimo.
    I baffi spioventi li ho definitivamente abbandonati già nel millennio passato, e non hanno dunque nulla a che vedere con batman, che è semplicemente il nickname che ho scelto per iscrivermi al forum di Fuorivia, visto che il più anodino “gianni” era già occupato.
    Ricordo benissimo i tempi “when sex was safe and climbing was dangerous”, ma nego di aver mai posseduto o indossato la famosa maglietta. Salvatore la deve aver vista addosso a qualcun altro/a. Non che importi molto, diciamo la verità.
    Non ho mai aperto vie nuove a Gorroppu, anche se mi sarebbe piaciuto (a Surtana e Cala Gonone sì, ma non si tratta comunque di itinerari paragonabili, per la traccia lasciata nella storia dell’alpinismo, alla coeva “Weg durch den Fisch”).
    Infine, sulla antica querelle della superiorità di Hellzapoppin o Spiderman, manterrò un dignitoso silenzio, per rispetto alla anzianità dell’autore, salvo denunciare la sua insana passione per “l’aspra uscita bracciosa” di Spiderman (che poi è l’uscita della Croce del Sud). Su Hellza non bastano le braccia, bisogna arrampicare. Tiè.

  3. Lo compro e so già che sarà bello, scalare con Gianni è sempre stata una meraviglia.

  4. non ho mai conosciuto Gianni 
    ho salito la via hellzapoppin nel lontano 1986 quando ho vissuto in abruzzo per mesi per il mio lavoro
    nonostante i tanti anni passati mi ricordo la via e quanto mi è piaciuta
    grazie

  5. “..il primo evoca il nodo bulino alla vita, l’immagine degli scarponi Galibier o Dolomite, ..”  Volendo si fabbricano  anche oggi e si trovano pure nuovi.(‘na cifra!..)o fondi invenduti  di magazzino..L’obbligo di essere sempre”contemporanei” alla fine sfibra e  si alza bandiera bianca(specie in campo smartphone ed altri gadgets e e pure auto.)..ma anche in campo abbigliamento ed attrezzature da  montagna .” ironico è il tono di fondo, serio quando vuole esserlo e quando vuole, più spesso, faceto.”  Questo approccio  risale a  Daudet fruibile gratis
    https://www.liberliber.it/mediateca/libri/d/daudet/tartarino_sulle_alpi/pdf/daudet_tartarino_sulle_alpi.pdf
    s

  6. Di questo libro mi ha subito colpito il titolo e la copertina. Quindi mi sono affrettato a prenderlo e lo sto leggendo. Sono un pò più giovane di Batman, ma come lui, anche io ho attraversato il periodo dai rigidones alle superga e poi alle scarpette che  “appiccicano” come le chiamava un mio vecchio amico. Dagli zuava di velluto e calzettoni rossi,  ai pantacollant colorati presi al mercatino delle pulci.
    Ve lo consiglio leggetelo.

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