Il lockdown di Anna Frank

Dopo penso almeno quarant’anni, impedito dall’accesso alle biblioteche pubbliche per i ben noti motivi, mi sono riletto il Diario di Anna Frank che avevo negli scatoloni dei libri in un’edizione Oscar Mondadori del 1974.

A parte considerazioni generali circa la maturità precoce della ragazza (quando con la famiglia è entrata in clandestinità aveva solo 13 anni) voglio qui riportare due lettere all’immaginaria amica Kitty con tema la natura, del 23 febbraio 1944 e del 15 giugno 1944.

Infine la chiusa di una lettera del 15 luglio 1944, meno di tre settimane prima che lei e gli altri abitanti della casa venissero scoperti.
Non servono commenti. Basta leggere (Massimo Silvestri).

Il lockdown di Anna Frank
di Anna Frank
(dal Diario)

Mercoledì, 23 febbraio 1944
Cara Kitty, da ieri il tempo è splendido fuori, e io sono molto animata. Vado quasi ogni mattina nel solaio, dove lavora Peter, per liberarmi i polmoni dall’aria viziata della stanza. Mi siedo per terra nel mio posticino preferito e guardo il cielo azzurro, il castagno brullo sui cui rami scintillano piccole goccioline, i gabbiani e gli altri uccelli che fendono l’aria e sembrano argentati.

Anna Frank

Egli stava in piedi col capo appoggiato alla grossa trave, io seduta, respiravamo l’aria fresca, guardavamo fuori e sentivamo che c’era qualcosa che non bisognava interrompere colle parole. Rimanemmo a lungo così, e quando egli dovette salire in soffitta a spaccar legna, sapevo che è proprio un bel ragazzo. Si arrampicò per la scaletta, io lo seguii e per tutto il quarto d’ora che spaccò legna non dicemmo parola. Dal mio posto di osservazione lo guardavo e capivo che cercava di far del suo meglio per mostrarmi quanto era forte. Ma guardavo anche dalla finestra aperta, sopra un grande settore di Amsterdam, sopra tutti i tetti fino all’orizzonte, tanto luminoso e azzurro che la linea di separazione non era chiaramente visibile. “Finché questo c’è ancora” pensai “e io posso godere questo sole, questo cielo senza nuvole, non ho il diritto di essere triste”. Per chi ha paura, o si sente incompreso e infelice, il miglior rimedio è andar fuori all’aperto, in un luogo dove egli sia completamente solo, solo col cielo, la natura e Dio. Soltanto allora, infatti, soltanto allora si sente che tutto è come deve essere, e che Dio vuol vedere gli uomini felici nella semplice bellezza della natura. Finché ciò esiste, ed esisterà sempre, io so che in qualunque circostanza c’è un conforto per ogni dolore. E credo fermamente che ogni afflizione può essere molto lenita dalla natura. Oh, chi sa che fra non molto io possa dividere questa gioia esuberante con qualcuno che la senta come la sento io!
La tua Anna

Pensiero:
Qui ci manca molto, moltissimo, e da molto tempo, e tanto a me quanto a te. Non mi riferisco alle cose esteriori – qui ne siamo provvisti sufficientemente – ma a quelle interiori. Desidero intensamente, come te, l’aria e la libertà di cui siamo privi, ma credo che per queste privazioni siamo largamente compensati. Me ne resi conto improvvisamente stamane quando sedevo dinanzi alla finestra. Intendo parlare di compensi interiori.

Quando guardavo fuori, immergendomi nella profondità di Dio e della natura, mi sentivo felice, assolutamente felice. Peter, finché c’è questa felicità interiore, questo godere della natura, della salute e di tante altre cose, finché si ha tutto questo si tornerà sempre a essere felici. Ricchezza, fama, tutto puoi perdere, ma questa felicità nell’intimo del tuo cuore può soltanto velarsi, e si rinnoverà sempre finché vivrai. Finché puoi guardare il cielo senza timore, sappi che sei intimamente puro e che ridiverrai comunque felice.

Anna Frank

Giovedì, 15 giugno 1944
Cara Kitty,è perché da tanto tempo non metto più il naso fuori di casa che vado pazza per le bellezze naturali? So benissimo che una volta l’azzurro del cielo, il cinguettio degli uccelli, il chiaro di luna e gli alberi in fiore non attiravano la mia attenzione. Qui le cose sono cambiate. La sera di Pentecoste, per esempio, sebbene facesse tanto caldo, mi sono sforzata di tenere gli occhi aperti fino alle undici e mezza, per potere tranquillamente contemplare da sola la luna attraverso la finestra aperta. Purtroppo questo sacrificio non servì a nulla, perché la luna spandeva troppa luce e io non potevo rischiare di tenere la finestra aperta. Un’altra sera, parecchi mesi addietro, mi trovavo per caso di sopra mentre la finestra era aperta. Non ritornai sotto se non quando la finestra dovette essere chiusa. La buia sera piovosa, la tempesta, le nubi che si rincorrevano per il cielo mi affascinavano; era la prima volta dopo un anno e mezzo che mi trovavo a faccia a faccia colla notte. Dopo quella sera il mio desiderio di rivedere quello spettacolo fu più grande che la paura dei ladri, dei topi e delle incursioni. Me ne andavo tutta sola al piano di sotto per guardare fuori della finestra dell’ufficio privato o della cucina. Molti trovano bella la natura, molti dormono qualche volta all’aria aperta, molti, nelle prigioni o negli ospedali, sospirano il giorno in cui, liberi, potranno nuovamente godere la natura, ma pochi sono, come noi, chiusi colla loro nostalgia e isolati da ciò che è patrimonio sia del povero che del ricco.

Non è una mia fantasia che la vista del cielo, delle nubi, della luna e delle stelle mi renda tranquilla e paziente. È una medicina migliore della valeriana o del bromuro. La natura mi rende umile e pronta ad affrontare valorosamente ogni avversità.

Purtroppo è andata così: io non posso guardare la natura – ed eccezionalmente – che attraverso finestre polverose e coperte da sporche tendine. E guardarla così non è più un piacere, perché la natura è davvero l’unica cosa che non tollera surrogati.
La tua Anna

Sabato, 15 luglio 1944
Cara Kitty, abbiamo avuto dalla biblioteca un libro dal titolo: Hoe vindt u het moderne meijsje? [Che pensate della ragazza moderna?]. Oggi vorrei parlare di questo argomento. L’autrice critica da cima a fondo “la gioventù d’oggi”, senza tuttavia condannarla del tutto come buona a nulla. Anzi, è piuttosto d’opinione che la gioventù, se volesse, potrebbe costruire un mondo più grande, più bello e migliore; essa ne ha i mezzi, ma si occupa di frivolezze senza degnare di uno sguardo le cose veramente belle.

In alcuni passi avevo l’impressione che la scrittrice riferisse a me i suoi biasimi, e perciò voglio finalmente aprirmi con te e difendermi da questo attacco.

Nel mio carattere c’è un tratto molto spiccato che colpisce tutti coloro che hanno dimestichezza con me: la conoscenza che io ho di me stessa. In tutti i miei atti io posso studiarmi come se io fossi un’estranea. Io mi pongo di fronte all’Anna di tutti i giorni senza prevenzioni e senza scuse e osservo ciò che essa fa di bene e ciò che fa di male. Questo “senso di me stessa” non mi abbandona mai, e non appena ho pronunciato una parola so subito se ho parlato bene o se avrei dovuto parlare diversamente. Mi condanno in innumerevoli cose e sempre più mi convinco che è giusta la massima di papà: “Ogni bambino deve educare se stesso”. I genitori non possono dare che consigli o un buon indirizzo, ma tutto sommato ciascuno deve formare da sé il proprio carattere.

A ciò si aggiunga che ho un coraggio e una vitalità fuor del comune, che mi sento sempre così forte e pronta a sopportare qualunque cosa, così libera e giovane! Quando me ne accorsi per la prima volta ne fui felice, perché non credo che piegherò facilmente sotto i colpi a cui nessuno sfugge.

Anna Frank con il padre Otto Pim

Ma di queste cose ho già troppo sovente parlato. Ora vorrei venire al capitolo “Papà e mamma non mi capiscono”. Mio padre e mia madre mi hanno sempre molto viziata, sono stati molto cari con me, mi hanno difesa e hanno fatto tutto ciò che possono fare dei genitori. Eppure mi sono sentita a lungo terribilmente sola, esclusa, abbandonata e incompresa. Il babbo fece tutto il possibile per temperare il mio impeto ribelle, ma non c’era niente che servisse: mi sono guarita da me, studiando quello che c’era di errato nella mia condotta. Perché dunque il babbo non mi è mai stato di appoggio nella mia lotta, perché è sempre fallito quando ha voluto offrirmi una mano soccorritrice? Il babbo non ha seguito la via giusta, mi ha sempre parlato come si parla a una bimba che deve superare una difficile fase dell’infanzia. Ciò suona strano, perché il babbo è l’unico che mi abbia sempre accordato la sua confidenza, e dato la sensazione di esser una ragazza intelligente. Ma ha trascurato una cosa: cioè non si è accorto che la mia lotta per emergere era per me l’essenziale. Non volevo sentir parlare di “fenomeni dell’età”, di “altre ragazze”, di “cose che passano da sé”; volevo essere trattata non da ragazza-come-tutte-le-altre, ma da Anna-così-come-è. Pim non lo capiva. D’altronde, io non so accordare la mia confidenza a chi non mi racconta molto di sé; e siccome conosco pochissimo di Pim, non posso entrare in intimità con lui.

Pim assume sempre l’atteggiamento del vecchio genitore, che ha avuto anche lui a suo tempo simili passeggere inclinazioni, ma per quanto si sforzi non può più riviverle con me come amico.

Queste cose mi hanno indotto a non comunicare le mie vedute sulla vita e le mie ben ponderate teorie ad altri che al mio diario, e una volta sola a Margot. Al babbo ho tenuto nascosto tutto ciò che riguardava il mio intimo: non l’ho mai fatto partecipe delle mie idee e l’ho volutamente e consciamente estraniato da me.

Non potevo fare altrimenti, ho sempre agito secondo il mio sentimento, ma ho agito nel modo migliore per la mia pace interiore. Giacché riperderei completamente la pace e la fiducia in me stessa, costruite a fatica e ancor tanto instabili, se ora dovessi subire delle critiche alla mia opera ancora incompiuta. E non le tollererei nemmeno da Pim, per quanto ciò sembri duro, perché non soltanto l’ho tenuto all’oscuro della mia vita intima, ma spesso l’ho respinto ancor più lontano da me colla mia scontrosità. Questo è un punto a cui penso molto: per quale ragione Pim mi infastidisce tanto? Perché non posso quasi studiare con lui, e le sue carezze mi sembrano affettate, perché voglio essere lasciata in pace e preferirei che egli non si curasse di me fino a quando io mi sentissi più sicura di fronte a lui? La ragione è questa, che io ancora mi rodo dal rimorso per quella brutta lettera che ho osato scrivergli in un momento di esaltazione. Oh, come è difficile essere davvero forti e coraggiosi sotto ogni aspetto! Eppure non è stata questa la mia peggiore delusione: assai più che per il babbo, mi preoccupo di Peter. So benissimo che sono stata io a conquistare lui e non lui a conquistare me: mi sono creata una sua immagine secondo i miei sogni, ho visto in lui un caro ragazzo, tranquillo e sensibile, bisognoso di affetto e di amicizia. Avevo necessità di un essere vivente con cui sfogarmi, di un amico che mi aiutasse a rimettermi in carreggiata; sono riuscita nel mio difficile intento e lentamente ma sicuramente l’ho attratto a me. Quando infine l’ho indotto a sentimenti amichevoli verso di me, siamo giunti senza accorgercene a intimità che ora, ripensandoci, mi paiono inaudite.

Abbiamo parlato delle cose più scabrose, ma finora abbiamo sempre taciuto delle cose di cui era ed è pieno il mio cuore. Non sono ancora riuscita a capire se Peter è un superficiale o se è timidezza quella che lo trattiene anche di fronte a me. Ma, a parte questo, ho commesso un errore escludendo tutte le altre possibilità di stringere amicizia e cercando di avvicinarmi a lui con le intimità. È bramoso d’amore ed è ogni giorno più innamorato, me ne accorgo bene. A lui i nostri incontri bastano, in me acuiscono soltanto il desiderio di ritentare la ricerca di un terreno d’intesa con lui; eppure non riesco a toccare gli argomenti che vorrei chiarire. Ho attirato a me Peter colla forza, più di quanto egli non si renda conto. Ora egli si afferra a me e per il momento non vedo alcun mezzo che serva a staccarlo da me e a rimetterlo in piedi. Quando infatti ho capito che egli non poteva essere per me un amico come l’intendo io, ho per lo meno tentato di sollevarlo dalla sua meschinità e di farlo grande nella sua gioventù. “La gioventù, in fondo, è più solitaria della vecchiaia.” Questa massima, che ho letto in qualche libro, mi è rimasta in mente e l’ho trovata vera.

È vero che qui gli adulti trovano maggiori difficoltà che i giovani? No, non è affatto vero. Gli anziani hanno un’opinione su tutto, e nella vita non esitano più prima di agire. A noi giovani costa doppia fatica mantenere le nostre opinioni in un tempo in cui ogni idealismo è annientato e distrutto, in cui gli uomini si mostrano dal loro lato peggiore, in cui si dubita della verità, della giustizia e di Dio. Chi ancora afferma che qui nell’alloggio segreto gli adulti hanno una vita più difficile, non si rende certamente conto della gravità e del numero dei problemi che ci assillano, problemi per i quali forse noi siamo troppo giovani, ma che ci incalzano di continuo, sino a che, dopo lungo tempo, noi crediamo di aver trovato una soluzione; ma è una soluzione che non sembra capace di resistere ai fatti, che la annullano. Ecco la difficoltà in questi tempi: gli ideali, i sogni, le splendide speranze non sono ancora sorti in noi che già sono colpiti e completamente distrutti dalla crudele realtà.

È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Lo conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità. Intanto debbo conservare intatti i miei ideali; verrà un tempo in cui saranno forse ancora attuabili.
La tua Anna

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Il lockdown di Anna Frank ultima modifica: 2020-07-19T04:21:27+02:00 da Totem&Tabù

1 commento su “Il lockdown di Anna Frank”

  1. Grazie, Massimo, per la condivisione.
     
    Ho letto anch’io, come tutti credo, questo libro alle medie e poi non l’ho più cercato, anche se ci ho pensato più volte durante la mia vita.
    Come trovo veri i suoi pensieri sull’uomo e la natura e come sa esprimere con precisione le difficoltà della giovinezza!
    Stupisce davvero ricordarsi quanto fosse giovane, ma come sapesse vedere e sentire ciò che viveva e ciò che avrebbe desiderato sperimentare. 

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