Il materiale d’arrampicata nel 1964 di John Middendorf (pubblicato su bigwallgear.com il 15 agosto 2022)
Lo stato dell’arte nell’attrezzatura per arrampicata riferito agli anni Sessanta passa necessariamente attraverso la consultazione dei cataloghi di quel tempo.
Questo post riguarda un catalogo di attrezzature del 1964, che mostra lo stato dell’arte in Europa in quel momento. Aiuta a capire quali potevano essere i futuri sviluppi, fase per fase.
1964, Europa Il mio vecchio amico Umberto Villotta mi ha recentemente inviato il catalogo Edouard Frendo pubblicato a Chamonix nel 1964: contiene un’analisi della corda da arrampicata all’avanguardia del 1964, oltre ad altri dati storici chiave dell’epoca. Contemporaneo di Gaston Rébuffat, Edouard Frendo era un alpinista di talento coinvolto nello sviluppo e nella scienza della tecnologia dell’arrampicata. Ecco alcune pagine del suo catalogo nel 1964:
Tecnologia delle corde, 1964 Le corde d’arrampicata incamiciate, con anima e guaina, con il giusto equilibrio tra maneggevolezza, elasticità e resistenza sono state sviluppate in gran parte dai produttori di corde europei. Negli Stati Uniti le corde incamiciate (Kernmantle) erano spesso citate come corde “Perlon” (il Perlon è un tipo di polimero Nylon 6-6 realizzato con un processo leggermente diverso per evitare la violazione di brevetto Nylon). I kernmantle per l’arrampicata dei primi anni ’50 potevano essere considerati sperimentali e fu solo a metà degli anni ’60 che le corde di perlon incamiciate divennero le migliori corde da arrampicata per uso generico. Qui, Eduoard Frendo spiega le proprietà e i tipi di corda dell’epoca.
Il materiale d’arrampicata nel 1964
ultima modifica: 2022-11-16T05:34:00+01:00
da GognaBlog
10 pensieri su “Il materiale d’arrampicata nel 1964”
Complimenti per l’articolo e per il sito !!! Veramente Bravi
Che bello articolo, complicati..????
Chi vola vale, chi non vola è un vile, chi vola in montagna NON vive…
@ 6
“Chi vola vale, chi non vola non vale, chi vale e non vola è vile” (Italo Balbo) “Chi vale vola, chi vola vale, chi non vola è un vile!” (Otto Grunf) “Chi vale non vola, chi non vola torna a casa” (Fabio Bertoncelli)
al primo commento di Marcello sul casco, mi verrebbe da rispondere che la probabilità di cadere nel vuoto era talmente alta che proteggersi dai sassi poteva sembrare irrisorio.
Un buon confronto con i materiali odierni si vede nel filmato “Swissway to heaven”, in cui viene ripetuta la nord dell’eiger con abbiglimento e materiale degli anni dell’apertura.
Che belli questi articoli!
Aspetto qualcosa su nodi e imbraghi?
Vero quello detto sul casco, noi si usava un paio di berretti di lana con sopra la “stupida” di tirolese feltro ….che tempi!
Vero!! Fabio, i warthog vengono usati d’inverno in Apuane sulle zolle (turf) ghiacciate di paleo. Io ne ho una buona scorta e li uso abitualmente. Tra i primi ad usarli in Apuane fu Gianni Calcagno e noi ne raccogliemmo l’ottimo suggerimento.
Per estrarli bisogna scavare un pò e poi si girano con la becca della picca. Piantandoli a volte s’infilano tra le rocce nascoste dalla terra e dal palo ghacciato, allora può diventare difficoltoso estrarli. Comunque sono un ottimo modo per proteggersi sull’effimero misto apuano.
Nel catalogo, tra i chiodi da ghiaccio non ho visto gli storici warthog.
All’inizio della mia attività ne comprai un paio. Per estrarli bisognava demolire tutta la massa di ghiaccio circostante, con perdita di tempo e grande dispendio di energie. Per tale motivo li abbandonai quando apparvero le piú razionali viti da ghiaccio.
Adesso credo che siano in uso soprattutto d’inverno sulle Alpi Apuane, quando bisogna proteggersi avendo a che fare solo con un sottile strato di ghiaccio sul pendio di paleo. Ho letto che sono ottimi piantandoli nella terra gelata. Benassi conferma? Però per estrarli bisogna scavare nella zolla gelata, vero?
In effetti, anche sull’Appennino Tosco-Emiliano sarebbero utilissimi in tali occasioni. Io però li ho buttati via e ora me ne dispiace.
… … …
Per quanto riguarda le viti a cavatappi, il mio commento è: [CENSURA].
Tra i primi a usare il casco ci furono gli austriaci Kurt Diemberger e Wolfgang Stefan, nel corso della loro salita sulla parete N dell’Eiger nel 1958.
Ne scrisse lo stesso Diemberger nel suo libro di memorie Tra zero e ottomila. La loro ascensione destò molto interesse, dopo la tragedia del 1957, e secondo Diemberger la fotografia dei due reduci con il casco in testa contribuí alla diffusione del casco.
Molto interessante il sistema di discesa con una sola corda Décrocheur Allain.
Progenitore dell’attuale e ottimo Escaper di Beal.
Interessante pure il fatto che non si parli di caschi e che la copertura del capo fosse trattata solamente dal punto di vista estetico con cappelli da cacciatore.
Complimenti per l’articolo e per il sito !!! Veramente Bravi
Che bello articolo, complicati..????
Chi vola vale, chi non vola è un vile, chi vola in montagna NON vive…
@ 6
“Chi vola vale, chi non vola non vale, chi vale e non vola è vile” (Italo Balbo)
“Chi vale vola, chi vola vale, chi non vola è un vile!” (Otto Grunf)
“Chi vale non vola, chi non vola torna a casa” (Fabio Bertoncelli)
al primo commento di Marcello sul casco, mi verrebbe da rispondere che la probabilità di cadere nel vuoto era talmente alta che proteggersi dai sassi poteva sembrare irrisorio.
Un buon confronto con i materiali odierni si vede nel filmato “Swissway to heaven”, in cui viene ripetuta la nord dell’eiger con abbiglimento e materiale degli anni dell’apertura.
Che belli questi articoli!
Aspetto qualcosa su nodi e imbraghi?
Vero quello detto sul casco, noi si usava un paio di berretti di lana con sopra la “stupida” di tirolese feltro ….che tempi!
Vero!! Fabio, i warthog vengono usati d’inverno in Apuane sulle zolle (turf) ghiacciate di paleo. Io ne ho una buona scorta e li uso abitualmente. Tra i primi ad usarli in Apuane fu Gianni Calcagno e noi ne raccogliemmo l’ottimo suggerimento.
Per estrarli bisogna scavare un pò e poi si girano con la becca della picca. Piantandoli a volte s’infilano tra le rocce nascoste dalla terra e dal palo ghacciato, allora può diventare difficoltoso estrarli. Comunque sono un ottimo modo per proteggersi sull’effimero misto apuano.
Nel catalogo, tra i chiodi da ghiaccio non ho visto gli storici warthog.
All’inizio della mia attività ne comprai un paio. Per estrarli bisognava demolire tutta la massa di ghiaccio circostante, con perdita di tempo e grande dispendio di energie. Per tale motivo li abbandonai quando apparvero le piú razionali viti da ghiaccio.
Adesso credo che siano in uso soprattutto d’inverno sulle Alpi Apuane, quando bisogna proteggersi avendo a che fare solo con un sottile strato di ghiaccio sul pendio di paleo. Ho letto che sono ottimi piantandoli nella terra gelata. Benassi conferma? Però per estrarli bisogna scavare nella zolla gelata, vero?
In effetti, anche sull’Appennino Tosco-Emiliano sarebbero utilissimi in tali occasioni. Io però li ho buttati via e ora me ne dispiace.
… … …
Per quanto riguarda le viti a cavatappi, il mio commento è: [CENSURA].
Tra i primi a usare il casco ci furono gli austriaci Kurt Diemberger e Wolfgang Stefan, nel corso della loro salita sulla parete N dell’Eiger nel 1958.
Ne scrisse lo stesso Diemberger nel suo libro di memorie Tra zero e ottomila. La loro ascensione destò molto interesse, dopo la tragedia del 1957, e secondo Diemberger la fotografia dei due reduci con il casco in testa contribuí alla diffusione del casco.
Molto interessante il sistema di discesa con una sola corda Décrocheur Allain.
Progenitore dell’attuale e ottimo Escaper di Beal.
Interessante pure il fatto che non si parli di caschi e che la copertura del capo fosse trattata solamente dal punto di vista estetico con cappelli da cacciatore.